venerdì 16 agosto 2013

IL RACCONTO DI FERRAGOSTO - IL POZZO








Mario Scamardo



IL POZZO

     Aveva appena compiuto nove anni quando Evelin vide per la prima volta il mare. Finita la quarta classe delle elementari, con la sua pagella tra le mani, aspettò davanti l’uscio che suo padre rincasasse dai campi per mostrargliela. La madre, compiaciuta, guardava dalla finestra della cucina, mentre preparava una minestra calda. Evelin non aveva fratelli, in quel paesino di cinquecento anime, distante una quarantina di chilometri   da Palermo, tutti si conoscevano, tutti sapevano tutto di tutti, ma nessuno lo ammetteva, ostentando riservatezza che spesso rasentava il cinismo. Il pregiudizio imperava sovrano e aveva trasformato il paesino, a prima vista ridente, in una comunità di guardinghi che sbirciavano dalle gelosie delle loro imposte, per carpire quanto più si potesse, elaborarlo con le menti bacate e servirsene per difendersi non si capiva da che o da cosa.
     Quando il papà di Evelin arrivò davanti l’uscio, smontò da cavallo, allargò le braccia e attese che la bambina si stringesse a lui, prese tra le mani la pagella, lesse i voti e l’attestato di promozione alla V classe, fece un gesto di approvazione, poi la sollevò da terra e la strinse tra le sue braccia, sotto gli occhi compiaciuti della moglie che era sullo stipite.
-  Brava! Diventerai una maestra, forse un avvocato o un medico. Sono contento, domani assieme a tua madre andremo a trovare mia sorella, la zia Rosina a Castellammare del Golfo. Dopo dieci anni in Belgio col marito, finalmente è ritornata a casa sua.
     Evelin sorrise soddisfatta, ripigliò la sua pagella, la consegnò a sua madre ed attese che la riponesse in un cassetto. La fanciulla non era mai uscita dal suo paesino, era stata all’asilo prima, poi alle elementari, dal tabaccaio per comprare qualche volta gli zolfanelli o un francobollo, al bar a prendere un gelato, in oratorio per le lezioni di catechismo e dalla merciaia per comprare aghi e filo. L’unica volta che era entrata in farmacia con la mamma, s’era guadagnata un lecca lecca all’arancia, il farmacista aveva colto il verde dei suoi occhi, i suoi tratti delle donne della mitologia greca, ed un sorriso dolcissimo marcato da due fossette sulle piccole guance.
 -  Mamma, quanto è distante Castellammare?
- Non tanto, un’oretta di macchina, ci faremo accompagnare da mio fratello, poi, quando dovremo tornare ci verrà a riprendere, oppure verremo in pullman.
     Davanti casa, a una diecina di metri c’era un pozzo in mattoni refrattari, di quelli che ancora si vedono nelle cittadine mediavali dell’Italia centrale, il papà di Evelin tirava su un secchio d’acqua per abbeverare il cavallo prima di portarlo nella stalla, poi ne tirava su un altro secchio e si lavava le mani ed il viso. La bambina spesso  sedeva nei paraggi e guardava quel pozzo seriosa, senza mai fare una domanda e spesso, saliva su nella sua cameretta e dalla finestra lo fissava.
     Il mattino seguente, dopo averla vestita elegantemente, dopo averle fatto indossare i calzini bianchi e le sue scarpine di vernice nera con gli occhielli sulle tomaie, la mamma di Evelin impiegò una ventina di minuti a rifarle due trecce nere che le cadevano sulle spallucce, ed adornò le estremità con due bei fiocchi rosa, intonati col suo bolerino.
-  Guardati allo specchio, sembri una bambola, la zia Rosina ti ha visto una sola volta quando ti abbiamo battezzata, e un paio di volte le abbiamo spedito qualche foto, vedrai, lei non ha figlioli, il buon Dio non glieli ha dati, sarà felice di vederti ora che sei già una signorinella cresciuta, e suo marito che ha fatto il maestro ai figli degli italiani in Belgio, proprio per la professione che fa, ama i bambini.

Castellamare del Golfo

        Sotto lo sguardo vigile dei vicini di casa, la famigliola salì in macchina, Evelin sedette accanto allo zio che era alla guida, i suoi occhi, sin dall’uscita del paesello, non si fermarono un istante a mirare i paesaggi d’intorno, i paesi che attraversarono e, quando superarono la piccola sella, agli occhi della fanciulla si presentò, nella sua maestosità, il golfo di Castellammare. La bambina per un attimo serrò le labbra, poi esclamò:
- Il mare!... Mamma, il mare!
- Si Evelin, quello è il mare, tu non lo hai mai visto prima, io son dieci anni che non lo vedo, avevo la tua età quando l’ho visto la prima volta.
- Zio, quanto ci vuole per arrivare?
- Ancora una mezzoretta, vedrai, appena saremo lungo la litoranea ci fermeremo per un caffè e potrai vederlo da vicino, poi avrai tutto il tempo per guardarlo e se vuoi per fare il bagno, tua zia Rosina abita proprio davanti il porticciolo, da li potrai ammirare il castello che si specchia nelle acque del porto e potrai assistere al rientro delle barche dei pescatori.
Evelin assentì col capo e attese sempre col sorriso stampato sul suo volto. Il traffico della cittadina, d’estate sempre più caotico, consentì alla bambina di leggere le insegne degli alberghi, dei grandi bar, dei pub, delle banche, dei negozi. Nulla di ciò esisteva in quel piccolo centro arroccato tra i colli dell’entroterra, non c’era neppure uno sportello bancario, tutto la meravigliò ma non chiese nessuna spiegazione, il suo cervello elaborava piano piano e collegò tutto ai piccoli narrati della sua maestra, tutto le sembrò uscito da una favola.
     Rosina ed il marito erano davanti l’uscio ad aspettare, fu un susseguirsi di baci, di carezze, di domande sulla scuola, sulle amichette, e quando finirono anche i pianti di gioia, il marito di Rosina invitò Evelin a scartare i regali che le avevano portato dal Belgio, vestiti, scarpette di varia foggia ed una bambola grande quasi quanto lei e tante leccornie. Cene, passeggiate, luna park, giri in barca su un mare azzurrissimo. 

Castellammare del Golfo - Fortino
     Dieci giorni passarono in fretta, papà aveva affidato il suo cavallo alle cure di un vicino, ma il suo orto e il suo frutteto abbisognavano dell’acqua, e quando Evelin risalì in macchina volle sedere accanto alla mamma, con la promessa che la zia sarebbe andata a trovarli in paese e l’avrebbe portata con lei per un’altra vacanza.
     Evelin finì le elementari e le medie, era diventata alta quanto sua madre, una signorina bellissima, ed i suoi occhi verdi come uno smeraldo brillavano. L’istituto magistrale era nel paese accanto, un servizio di pullmans permetteva di raggiungerlo agevolmente. Fu all’inizio del secondo anno delle magistrali che timidamente Giuliano, un giovanotto diciottenne l’avvicinò; cominciò un dialogo tra i due che man mano si trasformò in un grande sentimento. Gli esami di maturità furono il giorno in cui la madre percepì che la fanciulla, diventata donna, si era innamorata perdutamente di Giuliano. Non le chiese nulla, aspettò pazientemente che la figlia motu proprio gliene parlasse, ed un pomeriggio Evelin si confidò con la madre e chiese consigli.


     La maestrina vinse il concorso magistrale e si trovò per la sua prima volta in aula davanti a ventidue bambini di prima elementare, Evelin aveva vent’anni, Giuliano ventisei, pazzi d’amore decisero di sposarsi. Lavoravano ambedue, lei nello stesso paese d’origine, lui nel paese accanto, sede dell’Istituto magistrale. Raccolsero le loro forze e con un piccolo aiuto dei genitori diedero la caparra per l’acquisto di un appartamento, Evelin contrasse il mutuo in banca, un anno dopo venne alla luce Chiara, una splendida bimba. La famiglia era al completo e la felicità regnò incontrastata in quella nuova casa, visitata dai genitori di entrambi, che godevano delle moine di Chiara che, come sua madre, diventava sempre più bella. Il lavoro di Giuliano aveva alti e bassi, ma la maestrina onorò sempre l’impegno con la banca.
     Chiara diventò una scolaretta di prima elementare, gracilina ma bellissima, tornando da scuola con la madre, notò, come possono notarlo i bambini, che il dialogo tra i genitori si era raffreddato, almeno, il comportamento del padre era diventato freddo. Evelin sopperì in tutto alla mancanza di calore, ed una sera si trovò sola con la sua bambina ad attendere che il padre rincasasse. Evelin amava alla pazzia il suo uomo, lo stesso non si poteva dire del marito. Cominciò così un calvario senza fine, ed il pozzo davanti alla casa paterna, che lei vedeva affacciandosi dal suo terrazzino, ridiventò l’unico suo amico. La gente, i pregiudizi, le domande sibilline dei vicini di casa, di qualche parente, l’incalzare delle domande di Chiara, fecero di Evelin una donna distrutta che si alimentava male, talvolta non si curava e vedeva se stessa sprofondare in quel pozzo sempre più in basso. I nonni di Chiara di entrambi i genitori sostennero la bambina con il loro smisurato affetto e quando Chiara incontrava suo padre nei fine settimana, era la fanciulla più felice del mondo, sua madre le parlava del genitore in maniera entusiastica, ma un giorno Chiara, ormai tredicenne le chiese:
- Mamma, tu sei ancora innamorata di papà?
Evelin non ebbe una sola esitazione, abbracciò la figlia e la strinse a se.
- Lo sono sempre stata e lo sono ancora, forse più di prima, anche se non siamo stati più assieme dal giorno che è andato via. Mi ha lasciata carica di debiti, ma soprattutto carica di delusioni, con la responsabilità di crescere ed educare da sola una figlia; so che sta con un’altra donna, si è creato un mondo tutto suo ed io lo rispetto, proprio perché lo amo non voglio turbare i suoi equilibri, proprio perché lo amo non desidero che soffra in nome di un amore che per lui non c’è più. Sono arrabbiata Chiara, arrabbiata, delusa, amareggiata. La mia vita?... casa e scuola, non ho rapporti sociali, non vado nemmeno in chiesa, rifiuto le amicizie, non mi fido di nessuno, evito il contatto con la gente e, la mia mente ritorna costantemente sul passato. Avevo un hobby, mi piaceva disegnare, non ricordo nemmeno dove ho riposto le mie matite, i miei fogli, l’unico svago è il contatto giornaliero coi bambini, il mio lavoro, l’ho sempre fatto con amore. Tu sei l’unica cosa che mi appartiene, scusami, che ci appartiene, fino a quando tu lo vorrai, io in nome di questo amore mi sacrificherò, ma voglio condurti ad una vita serena, voglio mandarti all’università, poi, vorrei vederti felice.
 Un nodo alla gola, un singhiozzo trattenuto a stento, il cupo avvolse Evelin, tranne i suoi splendidi occhi verdi. La donna entrò  in condizione psicofisica dolorosa, caratterizzata da una sensazione di soffocamento, per lei fu l’angoscia.
     Il paesino con tutti i suoi pregiudizi si era trasformato nella sua prigione, sotto gli occhi vigili dei vicini che aspettavano un passo falso, un’amicizia maschile, un’uscita fuori dagli orari consueti, e quando Evelin comprò una macchina, tutto il paese sospettò che si spostasse per incontrare chissà quale amante.
     Comparvero i primi capelli argentati sulle tempie di Evelin, man mano che Chiara cresceva, i sacrifici per Evelin diventavano maggiori, ma fece sempre fronte ai suoi impegni, e quel pozzo le sembrava sempre più profondo. Contava e ricontava i suoi piccoli risparmi destinandoli alle necessità più impellenti, e persino quando aveva un guasto alla macchina, temporeggiava nel farselo riparare, il suo orgoglio di farcela da sola! Il marito, dal punto di vista economico non l’aiutò mai, e per la figliola prodigò solo baci e qualche cenetta domenicale. Quando la maestra notò i primi fili d’argento alle tempie, guardandosi allo specchio, pianse, notò le prime rughe che si facevano spazio attorno agli occhi, cinquant’anni!... e si interrogò:
- Cosa ne è del mio orgoglio?
Consapevole che l'orgoglio umano presume l'autonomia dell'uomo ed esprime una ribellione all'ordine divino, non seppe darsi una risposta, almeno per il momento. Aprì gli armadi, sbirciò tra i suoi vestiti, guardò nella scarpiera, poi aprì una vecchia trousse, tranne la forbicina per le unghie e la limetta, tutto era rimasto intatto da anni. Richiuse gli armadi e mogia mogia andò in terrazzo, guardò a lungo il pozzo e disse a se stessa:
- Devo risalire! … e quando verrò fuori, voglio murare quel pozzo, non voglio più vederlo.
 Prese il telefono, chiamò Chiara per sentire come stava, si intrattenne con lei un paio di minuti, poi, senza cenare, si buttò sul letto e dormì profondamente fino al mattino seguente.
      A scuola, nel corridoio incontrò un signore, ben messo, forse sessanta o sessantacinque anni, era il papà di una giovane collega che si intratteneva aspettando la figlia. Il signore si presentò da solo, era simpatico, col fascino della parola, era in pensione da poco, aveva insegnato in città in un istituto tecnico. La loquacità del vecchio collega affascinò Evelin, e ogni giorno fu un dialogo sempre più lungo ed intenso. L’anziano insegnante aveva colto i turbamenti della donna, sapeva ascoltare e ciò coinvolgeva la donna a liberarsi delle pastoie, a parlare, a sfogare una rabbia trentennale; fu un lavoro duro, ma con una pazienza da certosino, ogni giorno l’uomo smussava un angolo, poi cercava di coinvolgerla in ragionamenti portandole esempi, raccontandole aneddoti ed ogni tanto intercalava delle battute sperando di strapparle un sorriso o un buon pianto liberatorio, sempre convinto di riuscire nella sua opera. L’uomo quando ritenne opportuno, diede dei piccoli imput ad Evelin, facendola riflettere sul suo stato, sulle sue remore, sulla sua clausura forzata, sulla sua prigionia ad ogni costo e sul pregiudizio. Evelin era una donna fortissima con un carattere granitico, ma la sua voglia di vivere era ridotta al lumicino. Il professore, sempre attento, notò che da un po’, tutte le mattine migliorava l’aspetto della maestra dagli occhi smeraldo, fino ad accennare sorrisi, fino ad abbandonarsi a delle salutari risate, qualcosa stava cambiando. Evelin, in quel galantuomo aveva trovato finalmente chi, ascoltandola, sapeva darle dei consigli utili, disinteressati, ma soprattutto scaturenti da quell’amicizia sincera e leale che s’era creata. Un giorno, come un fumatore incallito che butta convinto le sigarette, stabilì di invertire veramente la rotta, decise di risalire il pozzo e dallo stato di clausura in cui si era reclusa, tentò di venirne pian pianino fuori, in barba ai pregiudizi, in barba a chi tutto scruta da dietro le persiane. Prima che finisse l’anno scolastico, l’anziano insegnante aveva quasi completato pazientemente la sua opera, era riuscito a far capire ad Evelin che la sua voglia di vivere faceva bene anche e soprattutto a sua figlia. Fu allora che le portò un po’ di depliants per alcune escursioni non lontane, era un modo per cominciare ad evadere. Finita la scuola si tenne in contatto telefonico con la maestrina, rimanendo informato delle gite, dei viaggi, delle cene con gli amici. Fu sempre discreto il professore, non gli chiese mai su eventuali incontri sentimentali che la potessero riportare in un mondo sempre più reale, ma lo sperò con tutto il cuore. Nessuno saprà mai se l’attempato collega provò per lei qualcosa, forse si, forse no, ma fu contento quando le chiese se usciva ancora in terrazzo per guardare il pozzo ed ebbe la risposta:
- No, amico mio, mi affaccio, ma non lo vedo più, non ho più voglia di guardare da quella parte!


     Gli occhi verdi di Evelin, a cinquantadue anni, brillano ancora di luce propria, il professore, suo grande amico, trasferitosi in una città lontana un’ora d’aereo, continua a chiamarla per conoscere l’evoluzione della sua rinascita e lei felice, assieme a Chiara, estinto il mutuo in banca, ha deciso di trasferirsi in città, col mare sotto casa, a due passi dall’arenile, dove può sentirne il profumo ed ascoltare i suoi rumori, senza la morsa dei pregiudizi di un piccolo centro. Riappropriatasi della sua vita, con tanti sogni da cavalcare e tante speranze, cominciò col rinnovare il suo guardaroba, il pozzo è stato finalmente del tutto demolito!