sabato 14 gennaio 2017

DIAVOLI E TESORI - Piccolo narrato - 14 gennaio 2017



















Mario Scamardo


DIAVOLI   E  TESORI



         Tutte le leggende narrano di tesori nascosti in posti impervi, spesso antri tenebrosi dove si ascoltano sibili di serpenti, latrati di canidi, ululati di lupi, ruggiti di leoni o grida strazianti di fanciulle. A guardia del tesoro sempre un diavolo che tenta di impedire all’eroe di avvicinarsi, di trovare e prendere il tesoro. Tutte le storie si assomigliano ma, talvolta, il diavolo a guardia è diverso da come ce lo immaginiamo, talvolta si fa tentare dall’uomo e svela il suo segreto, facendo si che l’eroe raggiunga lo scopo e si impadronisca del tesoro, specialmente se l’eroe è un bambino o una giovinetta.  Si narra che spesso Naccalone, uno dei diavoli più grandi dell’inferno, andava in giro a vantarsi della supremazia, dovuta alla sua mole, su gli altri diavoli. Un giorno si imbatté, strada facendo, in un toro dalle corna possenti. Pensando che le sue corna fossero più resistenti di quelle del toro, lo sfidò in duello e nel combattimento perse un dente che, cadendo a terra, lievitò e diventò grande mille volte il toro. Naccalone stette a guardare quell’enorme picco di pietra e attese la punizione che Belzebù, che si era trasformato proprio in quel toro, gli avrebbe riservato:

- Naccalone, per punire la tua vanagloria e la tua immodestia, ti condanno a trascinare una grossa catena che sarà legata alla tua caviglia  e a girare, senza mai fermarti, attorno a questo picco, che voglio chiamare Pietralunga. Ora lo solleverò e vi depositerò sotto, ben nascosto, il tesoro degli Enotri che sono stati sconfitti in una atroce guerra dagli Elimi, i quali hanno occupato un terzo della Sicilia occidentale.
         Naccalone chinò il capo e cominciò lentamente a girare attorno al “dente del diavolo”, che qualcuno nel tempo chiamò “il pizzo di Pietralunga”!
         Del tesoro degli Enotri si parlò per lungo tempo, del diavolo guardiano anche. Quando qualcuno si avvicinava al “pizzo”, con l’intenzione di scavare un tunnel nell’argilla che conducesse sotto il grande masso, veniva scoraggiato da
l rumore dei pesanti passi di Naccalone e dal suono dell’enorme catena che il diavolo portava ad una caviglia. Furono tanti i tentativi che, girando attorno al “pizzo”, si notano decine di buche alla base si esso, che nel tempo ospitarono istrici, ricci, volpi e conigli. Una mattina di sole, una fanciulla passando da quel posto in compagnia della nonna che la portava a piedi a visitare il santuario di Tagliavia, fu incuriosita da quel grosso masso, unico blocco di calcare bianco con attorno campi fioriti. Chiese alla nonna di fermarsi e lo ammirò, notando che un omone si trascinava lentamente attorno al picco, portandosi dietro una grossa catena. Quando la fanciulla fù davanti al demone, questi si fermò perchè fu colpito dal suo sguardo innocente, tanto da disobbedire a Belzebù. La fanciulla si chinò e sciolse dalla caviglia dell'uomo la catena, poi fece un giro attorno al picco e quando arrivò dov'era partita, trovò davanti a se un bauletto pieno di monete d'oro, ma dell'uomo si era persa ogni traccia, solo si percepiva un acre odore di zolfo.
 
Ancora oggi passando, qualcuno si chiede che fine ha fatto il tesoro degli Enotri, e se la fantasia lo aiuta, si inventa un'altra storia.


Pizzo di Pietralunga

A Palermo, al castello della Zisa, edificio del XII secolo, risalente al periodo della dominazione normanna in Sicilia, vi è un dipinto posto nella Sala della Fontana, in cui sono raffigurati alcuni Dei dell’Olimpo ( Giove, Nettuno, Plutone, Giunone, Mercurio, Vulcano, Venere, Marte e altri), chiamati i diavoletti, la tradizione popolare li ha considerati i custodi di un immenso tesoro fatto di monete d’oro che sarebbe nascosto in un punto preciso dell’immenso palazzo. Due giovani amanti, Azel Comel e El-Aziz, costretti a scappare dopo che il sultano, padre della ragazza, si era opposto alle nozze, portarono con loro un enorme tesoro, fecero costruire da abili maestri muratori il castello. Il tempo trascorse e, uno dopo l’altra morirono i due amanti. Prima della loro morte, vedendo la fine imminente, fecero un incantesimo al loro tesoro e affidarono la protezione ai diavoletti dipinti sulla volta della Sala della Fontana. Credenza popolare vuole che i diavoletti spesso si mescolano tra di loro, cambiano di posto perché non gradiscono essere contati al fine di non rompere l’incantesimo. Qualcuno sostiene che, il giorno dell’Annunziata, fissandoli per un po’, muoverebbero le codine e storcerebbero la bocca. Anche lo storico Giuseppe Pitrè si occupò nel secolo scorso dei diavoli della Zisa di Palermo: “La difficoltà di contare esattamente i diavoli della Zisa è data dal fatto che alcune delle figure sono molto piccole e altre non intere, così c’è chi li conta e chi no”.






Castello della Zisa 
I diavoli della Zisa
 



         Gli ebrei chiamavano il diavolo, la quintessenza del male, Belzebù. Ebbene, stranamente, il significato letterale di Belzebù dice chiaramente che il potere del male è solo apparenza, inganno, illusione, menzogna e, in ultimo, pregiudizio. Nei fatti, Belzebù, tradotto letteralmente, è “signore delle mosche”, un epiteto che suscita il ridicolo, il patetico. William Golden, noto scrittore inglese e premio Nobel per la letteratura, a tal proposito, scrisse un libro di grande successo dal titolo “Il signore delle mosche”, dove è contenuta un’analisi serrata dei meccanismi psicologici inconsci  che mettono in moto il nostro falso ego e che prendono origine dalla paura dell’ignoto, dai bisogni primari di sopravvivenza e organizzazione sociale, in grado di soddisfare questi bisogni nel modo, apparentemente, più economico, ovvero, con la violenza e l’esclusione dell’altro da Sé. Come conseguenza, assurdi sacrifici ad altri “signori delle mosche” e agli archetipi delle nostre paure inconsce. In ultimo, con la persecuzione del diverso, di colui che non accetta le regole piramidali di una società che spesso e volentieri semplifica e soddisfa i propri bisogni con la violenza.
         Si narrava nel secolo scorso, che in una segreta del Castello di Venere ad Erice, una nobildonna che vi era stata rinchiusa, aveva nascosto un tesoro fatto di tre preziose gemme, che avrebbe staccato dal diadema di una principessa del Catai, l’antica Cina. Anche qui un sortilegio, il signore delle mosche avrebbe assunto il compito di stare a guardia del tesoro, dissuadendo chi avrebbe voluto venirne in possesso, con dei rumori provocati dai mazzamurello. Caratteristica precipua dei mazzamurello  è il produrre  rumori all'interno delle abitazioni per manifestare la loro presenza a quanti avessero intenzioni cattive. L'etimologia del nome di queste entità viene fatta derivare popolarmente proprio dai termini "mazza" (colpo) e "murello" (mura), per indicare la sua abitudine di battere contro le pareti e scoraggiare chiunque con rumori di qualunque genere, orci che si rompono, piccoli tuoni, fischi e stridii.
         Nel tempo, la tradizione fiabesca popolare ha determinato che, la presenza di un Mazzamurello in casa indichi la prossimità di un tesoro, un pericolo imminente per uno degli abitanti o, più spesso, un messaggio di un caro defunto che cerca di comunicare con i vivi: annunci di presagi, numeri da giocare al lotto, pietanze da evitare per non avere malanni, ecc..

Diavoli
Mazzamurelli

Le leggende ci fanno ritornare indietro nel tempo?.....
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