domenica 14 settembre 2014

L'ATTRAZIONE FATALE - (Racconto breve) 15/Sett/2014





















Mario Scamardo
I Racconti del Borgo



L’attrazione fatale



            Enrico Capuana sin da ragazzo era stato un tipo sereno, senza tanti grilli per la testa. Il padre, ferroviere, dopo due femmine, aveva festeggiato con spumante l’arrivo del maschio, sembrava avesse raggiunto tutti gli scopi, e col passare del tempo, si era reso conto che il Creatore lo aveva premiato donandogli Enrico. Maturità scientifica a diciotto anni, laurea in fisica a ventitré, lavoro presso una industria di elettrodomestici e, finalmente una utilitaria che non aveva mai voluto che la famiglia gliela regalasse, proprio per non gravare ancora economicamente su di essa, che tanto aveva già fatto.

            Enrico era un buono, ma arrivò ai vertici dell’azienda in cui era impiegato, perché sempre aggiornato, infaticabile e dotato di lealtà ed onestà. Rappresentava l’azienda ai convegni, il suo nome era legato ai nuovi modelli, alle tecnologie innovative, alla commercializzazione. Più giorni al mese era fuori, in Italia e all’estero.

            All’Expò dell’Elettronica di Busto Arsizio, in un fine di settembre, ad una conferenza, seguì attentamente una relazione sulle innovazioni ai piccoli elettrodomestici, tenuta da Emanuela Gazzi, una ragazza che lo sbalordì per la preparazione, per l’uso appropriato dei termini, per la capacità di illustrare senza  annoiare. La incontrò a fine conferenza, dialogò con lei, una tarantina laureata in architettura, che aveva cominciato col disegnare modelli di piccoli elettrodomestici, per finire in breve tempo, anch’essa ai vertici di una prestigiosa azienda. Tra i due nacque del tenero, sei mesi dopo la presentò alla sua famiglia e l’anno successivo la sposò. Enrico ed Emanuela erano una coppia perfetta, comprarono casa a Milano e dopo due anni la famiglia si completò con la nascita di una bambina, Emma.

            Gli esseri umani sono sempre razionali? Quasi impossibile rispondere! Nella vita, almeno una volta accade! Cammini per la tua strada, sei magari distratto dal tran tran della gente, dallo sferragliare di un tram, da una ambulanza a sirene spiegate, dal pianto di un bimbo, poi, come d’improvviso, incroci lo sguardo di una sconosciuta, senti vibrare la tua schiena e ti accorgi che lei, come te, è colta da una irresistibile attrazione, di quelle che rendono ambedue incapaci di razionalizzare, di quelle che ti potrebbero far fare qualunque follia. Così fu, Enrico ed Annalisa Ferroni  si ritrovarono di li a poco a vivere momenti d’estasi ed il fisico, diventò prigioniero di una passione che non aveva mai vissuto. Quanto durò quella storia? Solo un paio d’ore. Chi era Annalisa? Una affascinante quarantenne nel pieno del suo splendore. Due ore di passione, una cena in un locale alla moda della Milano bene, cinquanta passi mano nella mano per arrivare all’auto di lei, un saluto, poi null’altro, solo un dolce ricordo e nulla più! Non si spiegò mai perché prima di mettere in moto la sua auto Annalisa volle sussurrargli all’orecchio una frase che gli sembrò senza senso: “dimenticheremo tutto amico mio, proprio tutto, e non ci renderemo conto di quanto è accaduto”.

            Enrico era ritornato alla sua vita di sempre, famiglia, azienda, figliola che gli dava tante soddisfazioni a scuola. Si sentiva in colpa? Per nulla! Era stato impotente davanti alla follia di un attimo. Annalisa? Un ricordo che si sbiadiva ogni giorno di più, un sogno durato poche ore e poi svanito, che non lasciava traccia.

            Un mattino in ufficio arrivarono i carabinieri, gli consegnarono un invito a comparire in caserma il mattino seguente, non gli diedero nessuna spiegazione. La sera ne parlò con la moglie, a volte capitava che le forze dell’ordine si informassero su clienti, depositanti, trasportatori. Il mattino seguente Enrico fece duecento metri a piedi da casa sua e andò dai carabinieri. Sedette davanti la scrivania di un giovane capitano, poi si vide porre sotto gli occhi la fotografia di Annalisa Ferroni.

-         Dottor Capuana, lei conosce questa donna?

Enrico prese la foto tra le mani, la ridiede al suo interlocutore:

-         Si, l’ho vista una sola volta, circa due anni orsono, è Annalisa Ferroni.

-         Ricorda quando l’ha vista l’ultima volta?

-       - Capitano, non c’è un’ultima volta, io l’ho vista una volta soltanto, siamo stati assieme due o tre ore.

-       Ci rifletta, lei ha cenato in un locale molto alla moda con lei, difficile da credere che l’abbia vista una volta sola!

-         Le ripeto che non ci sono stati incontri né prima né dopo quella volta!

Il giovane capitano tirò fuori una seconda foto che ritraeva i due mano nella mano in prossimità dell’auto della donna, gliela porse:

-          Vede perché diventa difficile crederle, è un atteggiamento da amanti.

-         Si, usciti dal ristorante, mano nella mano, abbiamo raggiunto la sua automobile, le ho accostato lo sportello ed è andata via, nulla oltre a quello che le sto dicendo.

-         Non l’ha mai più risentita, incontrata, non una telefonata.

-         Proprio nulla! Posso chiederle perché mi sta ponendo queste domande?

-        Certo, Annalisa Ferroni, moglie di un integerrimo idustrialotto di profilati metallici del varesotto viveva una doppia vita. Moglie e madre esemplare a casa e trafficante di droga fuori. Il marito era all’oscuro di tutto, lei ad ogni consegna, stranamente si accompagnava ad un uomo diverso. Professionisti di indubbia moralità, tutti incensurati, tutti al di sopra di ogni sospetto, tranne uno. La seguivamo da un po’, la sera che lei l’ha accompagnata all’auto all’uscita del ristorante, è stata fermata e nel portabagagli era nascosto sotto la ruota di scorta un carico di cocaina che avrebbe dovuto consegnare a qualcuno che è stato trovato impiccato ad un pilone dell’autostrada.

Enrico ascoltava, come inebetito pensava a quelle due o tre ore trascorse con Annalisa, il tutto avvenuto così per caso, per un’attrazione fatale, per una storia che è durata al massimo tre ore e che non aveva lasciato alcun segno nella sua vita.

-         Capitano, cosa c’entro io con tutta questa storia?

-         L’uomo impiccato è stato il primo, ma è stato colui con cui si è accompagnata alla sua prima consegna, diventato in seguito trafficante come lei. Mi capisce ora?

-         Per nulla! Io non fumo neppure, e che fosse trafficante non lo portava scritto in fronte. Non so se le è mai capitato, l’incontro casuale, l’incrociarsi degli sguardi, la voglia matta di consumare una passione e poi nulla più, due o tre ore!

-         Dottor Capuana, di lei sappiamo tutto, ma la legge deve fare il suo corso, devo comunicarle che lei è indagato. Abbiamo la certezza della sua estraneità, ma quelle foto ci metteranno un po’ di tempo a dissuadere il magistrato.

-         E questa donna dov’è?

-         E’ stata fermata quella stessa sera, è in carcere.

-         Santo Iddio, come farò a spiegare tutto a casa mia!

Ebbe un gesto di stizza Enrico, si portò la mano davanti agli occhi, come per volere cercare una soluzione. Firmò il verbale dell’interrogatorio, si alzò, strinse la mano al giovane ufficiale e imboccò l’uscita della caserma.

      Aspettò tre giorni prima di parlarne alla moglie, era una mattina piovosa, accompagnò la figlia a scuola avvertendo la moglie che sarebbe ritornato subito per parlare con lei. Si accomodarono in cucina, Enrico cominciò il suo racconto dall’incontro fatale, senza omettere nulla, finì con l’interrogatorio. Emanuela seguì senza che il suo volto mostrasse il ben che minimo segno di turbamento. Conosceva bene suo marito, chiuse gli occhi solo per cercare le parole giuste che non arrivavano. Lui:

-         Emanuela, penso di non avere tralasciato nulla, tu decidi sul da farsi, io eseguirò passo passo, dovessi lasciare questa casa anche subito!

-         Non ti addosso nessuna colpa Enrico, il colpo di fulmine? L’attrazione fatale? Nella vita una volta può capitare, allora ci si comporta come i pazzi, e i pazzi non vanno puniti ma curati. La tua pazzia è durata poche ore, poi sei guarito, subito, ed una moglie si accorge di tutto, tu non devi essere curato ma non puoi essere punito. Tutto deve rimanere così com’è, nostra figlia anche se studentessa ginnasiale non deve percepire nulla. Affronteremo assieme il problema, lo risolveremo!

Enrico allungò una mano e le fece una carezza, lei sorrise e andò a prepararsi per recarsi al lavoro. L’uomo si sentì sollevato, non disse nulla ma non se la sentì di recarsi in azienda, telefonò accusando un malessere passeggero. Che grande donna Emanuela!

      Non si era mai preoccupato di leggere sul quotidiano la cronaca nera Enrico, da quel giorno la lesse tutti i giorni, capì cosa era successo nella vita di Annalisa Ferroni. Come era possibile che a questa donna, quello che era stato per lui un fenomeno sporadico, l’attrazione fatale, succedeva regolarmente ad ogni consegna di droga, cosa possedevano i suoi occhi? Cosa c’era di inspiegabile? La sua doppia vita, il marito che non si era accorto mai di nulla, la travolgente passione e poi? Il nulla! Contattò un avvocato, lo nominò e attese gli eventi. In un’aula di tribunale gremita, Enrico in compagnia del suo avvocato fu invitato alla sbarra. Nulla di diverso dall’interrogatorio subito in caserma dal giovane capitano, e come lui, una sfilza di uomini della migliore borghesia alla sbarra. Stesse domande, fotografie simili scattate dalla polizia, incontri di mezza giornata al massimo e poi l’obblio, nessuno aveva più visto quella donna. Lei là, sul banco degli imputati, altera, ben vestita, bella, con occhi grandi e lucenti, una pantera pronta a scattare sulla preda. Enrico la fissò, i loro sguardi si incontrarono, ma non accadde nulla. Il processo si protrasse per mesi, udienze su udienze. I giornali scrissero di tutto, buttando sospetti su tutti, la vita a casa era diventata difficile.

      Arrivò il momento in cui alla sbarra si presentò Annalisa, chiese di fare una premessa e le fu concesso. Indicò additandoli tutti gli uomini che si erano accompagnati con lei, vittime di un’attrazione fatale:

-         Signori della corte, tutti questi uomini sono stati oggetto di ipnosi che io ho operato su di loro, li sceglievo tra i professionisti di questa città, studiavo i loro spostamenti, le loro abitudini, mi piazzavo sui loro percorsi in occasione delle consegne di droga, approfittavo di loro, del loro essere noti ed incensurati, li ipnotizzavo, facevo vivere loro una grande passione, poi mi facevo accompagnare all’auto e li salutavo, sussurrando all’orecchio alcune parole che facevano dimenticare l’accaduto. Di uno, l’unico che era cosciente del mio operato, me ne ero innamorata, lo avevo trasformato in un trafficante di droga, poi ha tentato di soffiarmi alcune partite, allora l’ho ipnotizzato, l’ho indotto ad una notte di passione, poi l’ho costretto al suicidio. Le forze dell’ordine l’hanno trovato impiccato ad un pilone dell’autostrada. Sono io la sua assassina!

Si zittì Annalisa, l’aula andò in subbuglio, i lampi di magnesio si consumarono. Il tribunale nominò alcuni luminari per verificare il racconto della donna che in seguito fu sottoposta ad indagini scientifiche. Toccò anche ad Enrico di sottoporsi ad indagine e a tutti gli altri. In aula, dopo qualche mese un docente universitario, a capo dell’equipe nominata dalla corte, relazionò che Annalisa era in grado di usare l’ipnosi così come aveva testimoniato, e che tutti i soggetti in ipnosi erano stati indotti a modificare la percezione del mondo esterno; tutti avevano percepito stimoli che in realtà non c’erano, distorcendo percezioni di stimoli effettivamente esistenti, modificando il vissuto sensoriale. Requisitoria dell’accusa e arringhe delle varie difese, durarono parecchi giorni. La corte sentenziò l’assoluzione di tutti, tranne quella di Annalisa che venne condannata per traffico di droga e per induzione al suicidio. Una sentenza che toglieva ogni dubbio, ma che non faceva ritornare indietro nel tempo. Due anni e passa di processo, Manuela ed Enrico non erano la stessa coppia felice di prima, mentre la figliola si apprestava a finire il liceo. Sul lavoro il fisico non fu della stessa diligenza e solerzia, il processo l’aveva distolto e la sua carriera anziché progredire si era fermata. La stampa era stata un rullo compressore, aveva schiacciato tutti, aveva pesato anche sul morale di Manuela, ed anche lei pagava un prezzo in azienda. La famigliola si rinchiuse nel silenzio, non più rapporti sociali, non più cene con gli amici, e quando la figlia chiese di andare per le ferie a trovare i nonni in Puglia e in Sicilia, le fu proposto di andare da sola. Era finita quella famiglia? Bisognava che qualcuno si decidesse all’inversione di rotta. Col senso pratico che si ritrovano le donne e che manca agli uomini, Emanuela prese in mano il timone e virò di bordo, cominciò ad invitare gli amici a cena, acquistò tre abbonamenti a teatro, cambiò disposizione dei mobili, poi sedette davanti ad Enrico:

-             Da oggi ricominciamo ad essere quelli che eravamo, dimentichiamo la vicenda e         facciamo         si che nostra figlia non abbia a soffrire per qualcosa che non conosce!  

Si alzò, abbracciò Enrico e lo baciò, aspettarono il rientro della figlia e si recarono in una pizzeria in aperta campagna, e risero per lo stupore della ragazza, abituata a frequentare ristoranti rinomati. 




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