domenica 11 dicembre 2016

IL FRATE DELLA KUMETA - Racconto di Natale - 11.dicembre. 2016





















Tratto da IL FAVOLIERE Cucù e le sue storie - ediz. ila palma
di Sara Riolo e Mario Scamardo









IL FRATE DELLA KUMETA




     L'autunno ingialliva le foglie e il vento le trasportava per ogni dove. Sulla vetta del monte Kumeta, l'eremita frate Anselmo, si affrettava ad accatastare dentro la sua grotta quanta più legna poteva. L'inverno era prematuro e rigido, spesso la neve ghiacciava e l'anfratto,dove era sistemato il monaco, per porta aveva solo un telaio di vecchie assi, ricoperto di canne intrecciate coi giunchi che crescevano lungo il torrentello che scorreva a valle.
     Gli unici compagni dell'eremita erano due capre e un cane da pastore che lo seguiva ormai da tempo. Frate Anselmo da circa vent'anni non scendeva dalla montagna, ma la gente lo andava a trovare sovente, soprattutto in compagnia dei bambini, e parlava con lui, si confidava, chiedeva consigli e preghiere, distogliendolo dal suo meditare, e gli portava in dono alimenti, frutti della terra e capi di vestiario. Quando era prossimo il Natale, la grotta si riempiva di doni che il frate destinava agli orfanelli che venivano ospitati nel convento di Muffoletto ad opera di alcuni frati questuanti, e che ogni anno, in prossimità della Natività, venivano accompagnati sulla Kumeta per visitare il presepe che il frate allestiva con le figurine ricavate da tronchetti in legno scolpito o in cartapesta e in argilla lasciata cuocere accanto al fuoco.
     Il presepe era suggestivo, la semplicità del frate si coglieva dalla semplicità dei suoi personaggi e dall'amore con cui veniva curato l'allestimento; i fanciulli estasiati ascoltavano la sua parola che li immergeva nell'atmosfera mistica dell'avvento del Salvatore.
     Non ci voleva molto per arrivare in cima, meno di un'ora, andando su per uno stretto sentiero da dove si coglie il panorama stupendo delle valli attorno, e si ha ragione della laboriosità degli abitanti dei luoghi; i campi tutti arati, i vigneti rigogliosi, i giardini stracarichi di frutta e i prati colorati rosso scarlatto dai papaveri.
     Il silenzio avvolgeva la cima della montagna; dentro la grotta regnava un'ordine certosino: un pagliericcio, due pietre affumicate con sopra un vecchio paiolo di rame, un paio di scodelle in metallo, due brocche d'argilla cotta piene dell'acqua che sgorgava appena fuori dall'anfratto, una panca tirata da un vecchio ceppo, e in un angolo un grande Crocefisso in rame con sotto una lucerna ad olio accesa. Su due panche, all'interno, erano sistemati una ventina di volumi; su di essi una Bibbia aperta sul Vangelo di Giovanni e, sopra, un rosario realizzato con i noccioli di olivo. In fondo all'anfratto entrava la luce da un crepaccio, e quando frate Anselmo bruciava la legna per riscaldarsi o per prepararsi una minestra, vi usciva fumo copioso, tanto da far sembrare la cima della Kumeta il cratere di un vulcano.
     L'inverno incalzava rigido, mancava poco al Natale. La neve venne più copiosa a ricoprire la valle. Il sentiero che porta alla grotta fu ricoperto anch'esso, e il frate non potè più uscire all'aperto.
     Era una notte di plenilunio, gli ultimi fiocchi di neve erano planati dolcemente sullo strato formatosi durante il giorno, il vento aveva smesso di soffiare e frate Anselmo, al lume di una stearica, aveva smesso di leggere il breviario, aveva dato uno sguardo alla valle e segnandosi, si era disteso sul pagliericcio, mentre si consumavano gli ultimi ceppi tra le due pietre affumicate.
     Un sonno profondo lo colse e sognò di scendere giù per il costone, portando con se un pò di provviste e una brocca colma di latte di capra, fino al santuario arroccato sul fianco del monte Jato. Il monte nell'antichità si chiamava monte San Cosmano, proprio per la presenza del romitaggio dedicato ai due dottori della chiesa, i santi Cosma e Damiano. Giunto sul posto, poggiò sulla soglia della chiesetta la brocca col latte e le provviste, ed entrò.
     La cappella era tutta illuminata. I ceri brillavano e si coglieva un'intenso profumo d'incenso. Frate Anselmo si girò attorno per scrutare se ci fosse qualcuno, ma oltre all'icona raffigurante l'Annunciazione della Vergine ed il grande Cristo deposto in cartapesta, non c'era anima viva. Sentì solamente un canto soave di fanciulli. Qualcuno dunque doveva esserci, non era possibile che la cappella fosse deserta. Che ne era stato dei frati? E tutti quei ceri da chi erano stati accesi? Si inginocchiò davanti all'altare e si mise a pregare, pregò tanto intensamente da non avvertire più il crepitio dei ceri accesi, e non sentì più il canto, si segnò alzandosi, ma quando fu sull'uscio, notò un uomo disteso a terra che si contorceva dal dolore, e sanguinava dalle mani. Andò verso di lui ma non riuscì a raggiungerlo, più gli andava incontro e più l'uomo era lontano. Tornò mesto sulla soglia della piccola chiesa per ripigliare la brocca col latte ed il suo tascapane con le provviste, ma li trovò vuoti. Qualcuno aveva preso il contenuto, forse l'uomo ferito del sagrato, o chissà chi, ma frate Anselmo ne fu contento, sorrise e si destò dal sonno. Una delle sue caprette lo aveva svegliato strofinandogli la barba sul viso.
     I primi raggi di un sole fioco entrarono nell'anfratto e il monaco, scoscate le coperte, si alzò, tirò a se il vecchio telaio ricoperto di canne intrecciate e ringraziò Iddio per avergli concesso di vedere un nuovo giorno. Fuori era freddo e bisognava accendere il fuoco, mungere le capre, dar da mangiare al cane e sistemare sulla volta della grotta qualche canna che portasse all'esterno le gocce d'acqua che si infiltravano.
     Frate Anselmo si diede un gran da fare per realizzare il suo programma giornaliero, ma ogni tanto si fermava e rifletteva sul suo sogno fantasioso, poi si affacciò e guardò in direzione del santuario dei santi Cosma e Damiano. Non si muoveva anima viva, la coltre bianca aveva ricoperto tutto e il silenzio che vi imperava era turbato soltanto da qualche rapace che sulla neve rastrellava la sua colazione: un topolino, un coniglietto, un fringuello infreddolito, una bacca. Dio era così grande che provvedeva anche ai rapaci stanziati sul monte Kumeta. Il frate godeva di quest'ordine perfetto e ringraziava il Creatore anche per loro.
     Era già dicembre inoltrato, pochissima gente era andata a trovarlo con la neve; e l'inverno vicino sarebbe stato ancora più rigido. Forse i suoi orfanelli non avrebbero ricevuto alcun dono a Natale... La neve aveva forse impedito anche alla Provvidenza di scalare il monte, o forse si era dimenticata di chi aveva bisogno di un'atto d'amore. Corrugò la fronte, chinò il capo ed ebbe rimorso per quel suo dubbio da peccatore. Si segnò tre volte, davanti al grande Crocefisso in rame lucido, là, attaccato alla parete, che sembrava soffrire ancor di più per il suo dubbio. Poi il frate tirò fuori le figurine del presepe, con cura le lisciò ad una ad una e le pose sulle panche in attesa di sistemarle in maniera dovuta, quindi, sedutosi accanto al fuoco, allungò la mano, prese un libro dalla panca accanto e si immerse nella lettura. Il vecchio cane da pastore sdraiato ai piedi del pagliericcio, drizzò le orecchie, si mosse e sortì fuori. Sembrava irrequieto, come attratto da qualcosa, discese lungo il sentiero in direzione del romitaggio, e quando fu sul primo pianoro si fermò e si mise ad abbaiare.
     Frate Ansemo ripose il libro, si affacciò ma non vide anima viva, mentre il cane continuava ad abbaiare. Pensò che la presenza di un coniglio ne avesse destato l'istinto e lo chiamò ripetute volte, ma senza esito alcuno. Rientrato nella grotta si coprì col mantello sdrucito, infilò i piedi in un vecchio paio di scarpe e discese per il sentiero. A un certo punto sentì un lamento e accelerò il passo. Avvolto da un cencio un pellegrino stava disteso e si lamentava. Ai piedi aveva sandali. Frate Anselmo si chinò su di lui, si tolse il mantello e lo coprì, poi cercò di scaldargli le mani e lo sollevò da terra. Lo caricò sulle spalle e trovò la forza per arrivare alla grotta. Quando fu dentro, adagiò sul pagliericcio l'uomo, ravvivò il fuoco e lo ristorò.
     Passarono i giorni. Era la settimana prima di Natale, e mentre il frate sistemava le figurine del presepe, il pellegrino, che era stato zitto fino allora, gli parlò: << Non mi avete chiesto perchè mi trovo su questa montagna.>> Il frate non rispose e l'uomo lo incalzò: << Notti fa, io ho bevuto il vostro latte e mangiato le vostre provviste sul sagrato del romitaggio di san Cosma e Damiano, dopo mi avete salvato, ospitato e curato, e non avete chiesto chi sono.>>
     Il frate guardò l'uomo, mentre adagiava il Bambinello nel presepe, e disse: << Tu sei mio fratello, ed io ho ricevuto da Dio Padre la grazia di poterti amare nel Suo Nome.>>
     Frate Anselmo aggiunse legna al fuoco, rabboccò il paiolo d'acqua, prese le due brocche d'argilla e uscì per riempirle alla sorgente. Dalla valle uno stuolo di fanciulli, gli orfanelli del convento di Muffoletto, si accingeva a risalire il monte per visitare il presepe, si sentiva il loro canto soave che gli ricordava il suo sogno, la stessa musica, le stesse parole, lo stesso salmodiare, ed un momento prima le parole dell'uomo: <<Notti fa, io ho bevuto il vostro latte e mangiato le vostre provviste sul sagrato del romitaggio di san Cosma e Damiano.>>
     Un dubbio atroce tormentò il frate, gli fece paura, forse non aveva per nulla sognato... La sua mente fu turbata. Cosa gli stava succedendo? Si riebbe dopo un attimo e, come sempre, si segnò, si apprestò a riempire le brocche d'acqua, attese la lenta ascesa dei fanciulli e godette della soavità del loro canto, seduto su un sasso. Cosa donare ai ragazzi? Anche le ultime castagne che aveva raccattato quà e là nel boschetto, le aveva aggiunte alla minestra del giorno prima; si interrogò a lungo il frate, guardò le sue mai, erano vuote, e lo colse la tristezza: dai suoi occhi sortirono due lacrimoni. Assorto nei pensieri si stropicciò gli occhi e poggiò il mento sulla mano. Un sassolino rotolato dalla cima lo colpì sulla spalla, si girò, alzò lo sguardo e vide l'uomo che aveva ospitato in cima al monte che lo salutava agitando la mano, il frate si alzò in piedi e capì che l'ospite andava via per sempre, alzò anch'egli la mano e lo salutò: << Dio ti benedica fratello.>> 
     Gli orfanelli avevano raggiunto la sommità e frate Anselmo aperse le braccia come a volerli stringere tutti al suo petto, entrò nella grotta e ai piedi del presepe trovò, con suo grande stupore, tanti doni quanti erano gli orfanelli, ognuno portava una scritta: << Dal vostro fratello Anselmo.>>  Il monaco alzò gli occhi al grande Crocefisso di rame lucido, cadde in ginocchio, si segnò ed esclamò: << Sei venuto a trovarmi e non ti ho riconosciuto, ma ti amo.>> Un raggio di sole attraversò l'anfratto e si posò sul presepe. Il frate capì che l'Uomo della Croce era ancora con lui, in mezzo ai fanciulli.
   

Buon Natale a voi e ai vostri bambini !


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