venerdì 12 dicembre 2014

“DUCHESSE DE BERRY” - Racconto breve (Giallo) - 12 dicembre 2014




Mario Scamardo

I RACCONTI DEL BORGO

 
“Duchesse de Berry”



   Guido Gattoni aveva lavorato per trentacinque anni presso un ministero economico. Pensionato a cinquantanove anni, si era trasferito con la moglie Jolanda nella vecchia villa del padre in una borgata collinare delle Madonie. La villa, con una pertinenza di circa cinquemila metri quadri, recintata, era circondata da noccioleti, castagneti e uliveti. All’interno una grande peschiera e accanto ad essa, abbarbicata ad un graticciato, una enorme macchia di rosa gallica, la “Duchesse de Berry”, curatissima, con fiori a grappolo con quattro petali. Jolanda, quasi ogni mattina si recava alla peschiera in compagnia di Sofia, la cameriera, e recideva un po’ di grappoli che sistemava metodicamente nei vasi del salotto e nei due vasi della stanza da pranzo.

  Guido, immerso nella pace della sua villetta, si era messo a scrivere romanzi gialli, li pubblicava, curava la pubblicità, partecipava ai concorsi letterari, anche per avere modo di portar fuori la moglie, stante che la loro vita sociale era stata più che dimezzata, perchè la città era ad un’ora e mezza d’auto. Un abbonamento a teatro portava la coppia in città, turno pomeridiano, per far si di ritornare a casa non nel cuore della notte.

       Guido partecipò con un suo romanzo al prestigioso premio letterario “La vela gialla” ed un telegramma lo avvertì di recarsi a Palermo per essere premiato come vincitore. Jolanda fu presa da frenesia, si sentì importante, era molto orgogliosa del marito e volle andare in città per acquistare un capo nuovo, adatto alla cerimonia di premiazione che si sarebbe celebrata in un grande albergo di lusso della città, che sonnecchia immerso da un lato in un immenso verde protetto dai colli e dall’altro su un mare verde smeraldo. Grandi saloni illuminati da enormi lampadari liberty, ricoperti da tappeti di seta; passatoie di velluto rosso che si spiegano lungo i corridoi smisurati e che accompagnano tutti al grande scalone centrale che porta al piano superiore. Camerieri in livrea e guanti bianchi si spostano celermente per i piani. In uno dei salotti Ducrot,  signore ingioiellate se ne stanno adagiate con in braccio bassotti e yorkshire dai collari di pietre dure, quasi a perpetuare un rito che la nobiltà isolana, salottiera, celebra e ripete accedendo dai tempi della realizzazione del Grand Hotel.

La sera della premiazione i coniugi Gattoni incontrarono giornalisti, altri scrittori, politici, prelati, e nel grande salone, al loro ingresso, un lungo applauso li accompagnò in prima fila dove erano riservate due poltrone. La cerimonia fu magnifica, tanti gli interventi, tanti i complimenti e le felicitazioni. Guido ritirò la sua barca in argento sormontata da due vele triangolari in cristallo ed in cima ad una, un piccolo pugnale appuntito in rilievo, anch’esso in cristallo, opera della nota scultrice Aida Meli. Margherita Poli, poetessa, vecchia amica sin dai tempi della giovinezza di Guido, a fine cerimonia, avvicinò la coppia, si congratulò con lo scrittore di gialli lo abbracciò e lo baciò ripetutamente; Jolanda accanto al marito fu ignorata dalla Poli, che non la salutò neppure, attese che si allontanasse e chiese al marito:

- Chi è questa signora che ti ha salutato.

- E’ Margherita Poli, non hai mai letto le sue poesie?

- No, da quando la conosci?

- Direi da sempre, frequentavamo lo stesso liceo, parte della nostra giovinezza la abbiamo passata insieme, poi ho conosciuto te all’università.

Jolanda non fece più domande, ma la sua attenzione fu rivolta a quella donna che l’aveva ignorata, non la perse di vista un solo istante fino all’uscita dall’albergo. Proprio davanti all’ingresso, Margherita riavvicinò Guido, lo prese sottobraccio e gli parlò in disparte mentre Jolanda si intratteneva con uno dei giurati. Tre o quattro minuti che alla moglie di Guido son sembrati secoli poi, si mise in macchina con Guido e si incamminarono, attraversando tutta la città, per raggiungere la loro villa immersa nel bosco.

Il giorno seguente il telefono trillò continuamente fino a sera, complimenti, congratulazioni, felicitazioni. Poi una telefonata, proprio Margherita Poli, Guido dialogò sorridente per un po’, poi si fermò ed ascoltò a lungo, quindi salutò, ringraziò e posò la cornetta. Jolanda non aveva parenti, figlia unica, aveva visto morire a distanza di sei mesi sia il papà che la mamma, Guido aveva solo una sorella emigrata in Canada venti anni prima, i due non avevano avuto figli e, quando avevano deciso di adottarne uno, si sono sentiti rispondere che avevano superato i limiti di età per l’adozione.

Un pomeriggio, previo appuntamento, i giornalisti Adamo Rezzola e Matilde Colla, di due differenti testate isolane, ambedue amici di Guido, lo andarono a trovare per una intervista, Jolanda fu un’ottima padrona di casa, finita quasi l’intervista, in giardino fece servire da Sofia un the e, considerato che l’intervista si protrasse per un bel po’ e furono scattate delle fotografie, trofeo compreso, che faceva bella mostra sulla consolle del salotto, consigliò al marito di invitare a cena i due. Adamo e Matilde reclinarono l’invito, ma si impegnarono a presenziare alla festa che Guido avrebbe programmato nella propria villa sulla collina madonita.

Decisa la data, Guido pensò agli inviti, stilò un elenco, porgendolo alla moglie: il giudice Ugo Pinotti, la scultrice Aida Meli, il pittore Illuminato Fusco, Elisa e Franco Coco gioiellieri, i giornalisti Matilde Colla e Adamo Rezzola.

- Sette persone, più noi due.

- Vuoi aggiungere qualcuno?

- No, non mi viene in mente nessuno. Penseremo ad un catering, ma dobbiamo preparare il menù, Sofia dovrà solo servire.

- Lo faremo nel pomeriggio, ordineremo il tutto in quel ristorante sulla statale per Palermo, quello sempre illuminato, loro forniscono il catering perché sono attrezzati, hanno anche il furgone col cassone termico, e sono anche bravi!

- Guido, perché non hai invitato quella tua amica poetessa?

- Chi Margherita?

- Si la tua amica d’infanzia.

- Margherita non guida, chi la piglia a Palermo?

- Non so, uno degli invitati.

- Ma si, il giudice Pinotti abita nella stessa strada, loro si conoscono bene, gli chiederò di darle un passaggio, stasera telefonerò ad ambedue.

Jolanda da quella sera della premiazione era diventata sospettosa, spesso si isolava e non dispensava più tanti sorrisi, il marito non ci aveva fatto caso, ma Sofia la cameriera lo aveva notato e quando il marito era in casa, lei lo seguiva pur quando andava in cucina per un bicchiere d’acqua. Sofia era una bella donna, ma mai sospettò che la signora Gattoni potesse essere diventata gelosa, non aveva dato mai segni in tal senso.

Il sabato pomeriggio, assolato, nel prato fu allestito un tavolo per gli aperitivi, in sala da pranzo fu apparecchiato  per dieci persone. Arrivò per primo il giudice Pinotti in compagnia di Margherita, li accolsero Guido e Jolanda, li fecero accomodare in casa e la poetessa chiese dove deporre la sua immensa borsa in fibra di cocco e la sua sciarpa di seta. Jolanda indicò la cassapanca dell’ingresso, sormontata da un attaccapanni poi, accomodatisi in salotto aspettarono che la domestica portasse il caffè. Arrivarono il gioielliere e la sua signora, Elisa Coco, che conosceva bene Jolanda perché sua cliente ed amica, si complimentò con lei per l’anello in oro bianco sormontato da un grosso smeraldo e gli orecchini anch’essi di smeraldo che la donna aveva acquistato in Olanda, poi arrivarono tutti gli altri. Dopo che Sofia fece uscire dal cancello il furgone col catering, avvisò Jolanda che gli aperitivi e gli stuzzichini erano pronti all’esterno. Tutti si servirono e Margherita Poli si complimentò con la padrona di casa, sembrava che l’atto di scortesia, per non averla degnata di un saluto il giorno della premiazione, non fosse mai avvenuto; ebbe parole stupende per la tenuta del parco, per la peschiera illuminata e per i suoi fiori. Al cenno della domestica Jolanda invitò tutti in sala da pranzo, una cena luculliana che si protrasse per tutta la serata. Nessuno si alzò dalla tavola, tranne la padrona di casa che ogni tanto si recava in cucina per dare una mano a Sofia.

Tutti dialogarono a tavola, tutti chiesero a Guido sul nuovo libro, tutti commentarono sulle motivazioni della giuria, poi arrivò il dessert, una montagna di profiteroles al cioccolato e una torta chantilly, amari, distillati vari e caffè erano pronti fuori nel prato. Uscirono tutti e tutti, tranne Guido e Jolanda, accesero delle sigarette. Il giudice Pinotti si complimentò con Aida Meli che aveva realizzato la scultura in argento e cristallo, con la quale era stato premiato Guido e chiese di illustrare la tecnica con cui aveva realizzato sia la barca che le vele e come le aveva assemblate, ma soprattutto a cosa si era ispirata. Tutti seguirono interessati, anche perché la scultrice era una artista di fama internazionale, scriveva in riviste d’arte e insegnava all’Accademia delle belle Arti del capoluogo siciliano. Franco ed Elisa Coco, i gioiellieri, chiesero di poter vedere l’opera d’arte, loro non erano andati alla premiazione perché la loro gioielleria, nel salotto buono della città, non poteva essere chiusa. Jolanda invitò tutti in salotto, si fermò sulla soglia e aspettò che tutti fossero dentro, poi si avviò verso la consolle e la indicò, ma su quella consolle non c’era nulla. Guido, sorpreso, guardò la moglie che chiamò la domestica.

- Desidera signora?

- Sofia, hai spostato tu il trofeo?

Sorpresa Sofia, guardò tutti negli occhi, quasi balbettando:

- No signora, c’era fino a quando ho spolverato dopo pranzo.

- E il ragazzo del catering?

- Mi dispiace signora, è appena sceso dal furgone, ha aperto il portellone, mi ha consegnato i vassoi sull’uscio della cucina, poi è risalito sul furgone ed è andato via.

Gli astanti si guardarono in viso sgomenti, la faccia di Guido diventò crucciata, guardò all’interno della vetrina liberty posta di fronte alla consolle, poi alla moglie:

- Non è entrato nessuno oltre al garzone del catering?

- Nessuno! Proprio nessuno!

Il giudice imbarazzato, che era stato in salotto al suo arrivo con Margherita ed aveva ammirato l’opera d’arte:

- Scusate, alle diciassette io, la dottoressa Poli, Guido e Jolanda eravamo in salotto e il premio era lì, se non è entrato nessuno e se il garzone non ha varcato la soglia di casa, qualcuno l’avrà preso, spostato, oppure rubato.

Tutti si guardarono e tutti fecero gesti di disappunto. Ma il vecchio giudice:

- Scusate signori, nessuno si crucci, io come voi, potrei essere stato colui che l’ha rubato. Due sono le cose, o qualcuno di noi, cameriera compresa, ha voluto burlarsi degli altri e fra un minuto torna a rimettere a posto il premio, oppure, se ciò non accadesse, inviterò tutti voi a sedervi e ad aspettare la polizia che chiamerò subito. Nessuno disse una parola, mezzora dopo arrivò il commissario Parelli e tre poliziotti. Chiusi i cancelli della villa, interrogata la signora Jolanda, Parelli ordinò agli agenti di perlustrare il parco con le torce, siepi, fioriere, peschiera, furono passate al setaccio, nulla di nulla! Il commissario invitò i proprietari delle quattro auto parcheggiate all’interno a consegnare le chiavi, le perquisì alzando anche i cofani dei motori. Erano le due del mattino, le signore strofinavano le mani sulle braccia, ad onta della bella stagione, in collina l’umidità si faceva sentire. Tutti entrarono in casa e Margherita Poli andò verso la cassapanca, dove aveva depositato la sua borsa in fibra di cocco con adagiata sopra la sua sciarpa di seta, la prelevò per mettersela sulle spalle e tutti notarono che dalla sua enorme borsa fuoriusciva la vela in cristallo del premio. Tutti si guardarono negli occhi, l’unica che rimase di ghiaccio fu Jolanda, non disse una parola e poggiò la testa sulla spalla del marito. Il commissario Parelli si avvicinò alla cassapanca, prese la borsa, tirò fuori il premio e chiese a Margherita:

- E’ sua questa borsa?

- Si commissario, è mia, ma io non ho preso quel trofeo, qualcuno ha voluto nasconderlo nella mia borsa.

Il giudice Pinotti, che era stato tutta la serata accanto a lei:

- Scusi commissario, la dottoressa Poli non si è allontanata mai dal mio fianco.

- Signor giudice, uno scherzo di cattivo gusto o la volontà di rubarlo? Io devo trovare chi ha tentato la sottrazione.

Guido Gattoni era imbambolato, mortificato, imbarazzato per l’accaduto, incredulo, non si spiegava perché Margherita avrebbe tentato di portarglielo via, lei che di trofei, di premi, aveva le bacheche delle sue vetrine piene. Uno scherzo di cattivo gusto, e perché se è durato tanto da fare intervenire la polizia? Il commissario interrogò tutti, ad uno ad uno, sui loro rapporti attuali e del passato, sugli orari di arrivo alla villa, sulle loro relazioni, poi mandò tutti a casa, appuntò su un taccuino quanto gli serviva e promise di ritornare la mattinata seguente.

Guido e Jolanda rimisero al proprio posto la barca d’argento con le vele in cristallo e andarono a dormire. Sofia sparecchiò, rimise a posto ogni cosa e andò a letto pure lei.

Il mattino seguente sembrava che nulla fosse successo la sera prima. Sofia preparò il caffè, lo portò in camera ai signori Gattoni e poi, come di consueto, iniziò le pulizie di routine. Davanti alla consolle il trofeo al suo posto, col piumino lo spolverò e in controluce notò proprio in cima alla vela, sul minuscolo pugnale in cristallo, un riflesso rossastro, strinse le palpebre e notò una impercettibile macchiolina di sangue. Aggiustò due tazze in porcellana cinese coricate sui rispettivi piattini e portò via i vasi con le rose per pulirli e riempirli d’acqua, pronti a ricevere le rose fresche che la signora Jolanda avrebbe, come era solita, raccolto nel suo roseto.

Intorno alle undici bussò il commissario Parelli, Sofia lo fece accomodare.
      - I signori sono in casa?

- Si, commissario, li faccio scendere in salotto.

- Solo una domanda, prima. Da quanto tempo la poetessa Poli frequenta questa casa?

- Ieri sera è stata la prima volta.

- Ha notato atteggiamenti strani da parte dei signori Gattoni in questi ultimi tempi?

- Nulla fuori dall’ordinario, qua viene poca gente, loro escono quasi sempre assieme, per andare a teatro, qualche volta a cinema, qualche cena da amici, ma succede solo di rado e poi, lei in giardino tra le aiuole o a leggere un libro e lui alla macchina da scrivere, non usa il computer, è legato al ticchettio dei tasti. Però…

- Però?...

- Si commissario, da un po’ di giorni la signora non ha lo stesso umore, segue il marito anche quando viene in cucina per un bicchiere d’acqua, per un caffè, è un pizzico scontrosa, non dispensa più tutti i sorrisi di prima, spesso si isola in salotto e pur tenendo un libro in mano fissa il soffitto, una finestra, un quadro.

- Che fosse gelosa?

- No! Lui non gliene ha dato mai l’occasione, è un galantuomo!

- Eppure c’è qualcosa che non mi convince. Chi commette qualcosa deve avere un movente, dagli interrogatori, l’unico movente a cui ho pensato è la gelosia, qualcuno uccide, qualche altro si accontenta solo di un giudizio negativo, di mettere in cattiva luce il “nemico” o l’avversario.

Sofia si accigliò come se volesse far mente locale, aprì un’anta dei pensili della cucina e cercò qualcosa che non trovò, richiuse.

- Commissario, vuole che avverta i signori?

- Si, grazie, li faccia accomodare in salotto, poi mi chiami, io darò un’occhiata in giro.

Quando la domestica uscì dalla cucina, Parelli riaprì l’anta del pensile, dentro una scatola col bicarbonato di sodio, una scatola di sale iodato, una scatola con bendine di garza sterile e null’altro. Richiuse e aspettò nel disimpegno l’arrivo di Guido e della moglie, si accomodò in salotto anch’egli e salutò i due, li pregò di sedere, si recò davanti alla consolle, lucidissima, in ordine quasi certosino ma notò alla base del trofeo una scatola di cerotti, i salvelox, semiaperta. Strano, che Sofia l’abbia dimenticata proprio su quella consolle? Riparlò della serata precedente e cercando di ricostruire ogni movimento nella casa, guardò negli occhi i due coniugi, nulla, proprio nulla di nulla! I due vasi erano pieni d’acqua ma senza alcun fiore, riappuntò qualcosa su quel suo minuscolo taccuino e si commiatò promettendo di ritornare. Quando diede la mano alla signora notò il cerotto al pollice della mano sinistra della donna:

- Un piccolo incidente in cucina?

- No, commissario, le mie rose, una spina!

Andò via il commissario, sull’uscio, alla cameriera disse:

- Ritornerò nel pomeriggio, non disturberemo i signori, voglio solo visitare il giardino.

- Quando vuole, io sarò libera da stasera dopo cena a domani pomeriggio, una volta la settimana vado a trovare mia madre.

Parelli ritornò nel pomeriggio e pregò Sofia di accompagnarlo in giardino, ispezionò le aiuole di gerani, quelle dei ranuncoli, poi la peschiera e accanto ad essa l’enorme macchia di rose a grappoli. Con sua grande sorpresa notò che al gambo di un grappolo di roselline a quattro petali era attaccato un cerotto, proprio come quello della scatola alla base del trofeo. Cosa la domestica o chi per lei voleva dirgli? Guardò negli occhi Sofia.

- Il movente, commissario?

- Qual è?

- La gelosia! Si, la gelosia! Le bastava solo metterla in cattiva luce! Quando oggi lei è andato via, la signora disse al marito: << Vedi quella tua amichetta del cuore che poco di buono è! Mentre noi festeggiavamo il tuo premio, lei rovinava la nostra festa! Uno scherzo da prete? No, lei è una ladra!>> Il marito non rispose, si alzò e andò a battere sui tasti logori della sua Olivetti 22.

- E i cerotti?

- Commissario, io le ho dato stamattina un suggerimento, ho messo la scatola ai piedi del trofeo, ma lei non ha colto.

- Cosa avrei dovuto cogliere?

- Quest’altro cerotto, proprio sul gambo delle rose!

- Lei mi fa impazzire!

- Commissario, questa pianta di rose è una varietà gallica, la “Duchesse de Berry”, le poche che non hanno spine! Costati lei, non c’è una sola spina, quindi, dove si è punta la signora? In cima alla vela della barca in argento, c’è un piccolo pugnale anch’esso in cristallo, spolverandolo, controluce ho notato dei riflessi rossastri, ho ammiccato, era sangue, di chi? L’unica che si è punta con una rosa senza spine è la signora Jolanda!

- Lei è un fenomeno Sofia! Grazie, il caso è risolto!




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venerdì 21 novembre 2014

LA MATRIOSCA - Racconto breve - (giallo) 21 Novembre 2014




Mario Scamardo

I RACCONTI DEL BORGO
 

La matriosca
       I tronchetti bruciavano sugli alari del caminetto, don Adelmo, il parroco della chiesa del Carmelo, sorbendo un the che Marianna, la badante, gli aveva servito, intratteneva le quattro sorelle Grassi, tutte nubili, Rosina, Mafalda, Augusta e Delia, la più piccola, più minuta delle altre, gracile, malaticcia, scorbutica, consumatrice di farmaci fino alla paranoia, igienista, fino al punto di indossare i guanti per maneggiare le pillole che ingurgitava e che, di volta in volta, depositava con estrema cura nel cassetto del suo comodino. Tra Augusta e Delia c’era Piercarlo, che abitava in periferia, unico maschio, cinquantenne, che aveva sposato Rosaura, di vent’anni più giovane di lui. Tutti e cinque i fratelli dividevano un cospicuo vitalizio lasciato dai genitori che permetteva ad ognuno di vivere con grandi agi. Marianna ritirò il vassoio e ritornò in cucina, lasciando le quattro zitelle ai loro sfoghi col parroco che sapeva ascoltarle pazientemente, anche a fronte di cospicui oboli che riceveva settimanalmente da Rosina, in nome e per conto dell’intera famiglia. Pochi uomini erano entrati in quel salotto, ad accezione di un vecchio zio, l’elettricista e il commesso della pasticceria del bar difronte, che tre volte la settimana portava un vassoio di dolcini da accompagnare il the che veniva servito puntualmente alle diciassette, salvo qualche ritardo di don Adelmo. Da quando si era sposato Piercarlo accedeva alla sua casa natia il martedì da solo e il venerdì in compagnia di sua moglie, sempre sorridente, cordialissima, ma guardata sempre con sospetto, in quanto tutte e quattro le sorelle pensavano che lei avesse sposato il fratello solo per interesse. La più giovane, Delia, durante la visita, trovava sempre una scusa per appartarsi, e ritornava in compagnia, solo al momento del commiato. Non uscivano mai le sorelle Grassi, e se lo facevano, dovevano essere almeno in due, sempre eleganti, sempre curate, ma sempre guardinghe, a passo sostenuto si recavano alla fermata dei taxi e si facevano portare al centro per i loro acquisti. Il giardinetto che circondava la villetta era sempre ben tenuto, circondato da un’alta cancellata e da una fila di fitti allori ornamentali che non consentivano ad alcuno dei passanti di potere sbirciare dentro e, spesso, d’estate, le sorelle e gli eventuali ospiti, consumavano il rito del the sotto un gazebo nel piccolo prato. Due volte la settimana Rosina, la  maggiore, riuniva nel salotto davanti al camino le sorelle e leggeva loro una novella, un passo del Vangelo, il libretto di un’opera, un canto della Divina Commedia, un articolo del quotidiano, poi, nel rispetto delle idee di ognuna di loro, partiva il commento e il confronto, mentre Marianna, la badante, ascoltava i loro commenti spolverando piatti e ninnoli che facevano bella mostra in un’enorme vetrina liberty in palissandro.
        Si avvicinava il Natale, Rosina e Mafalda si erano recate al centro a comprare i regali per tutta la famiglia, Marianna e don Adelmo compresi. La famiglia era solita riunirsi il tredici dicembre, il giorno di Santa Lucia, per continuare a ricordare con una cena l’onomastico della loro mamma, deceduta da un ventennio. Il grande tavolo ovale della sala da pranzo venne apparecchiato con otto coperti, uno in più dei commensali, a capotavola veniva preparato un coperto ma non veniva messa la sedia, venivano girati sottosopra i piatti e i bicchieri e veniva posto il tovagliolo sul piatto, quello era il posto dove sedeva a tavola la madre, un rito diventato nel tempo una normalità. Bussarono alla porta, Marianna fece accomodare don Adelmo e cinque minuti dopo entrarono Rosaura e Piercarlo. Fu servito un aperitivo in salotto, poi tutti presero posto attorno alla grande tavola e al cenno di Rosina, Marianna servì le portate. Imperava il silenzio che venne rotto da don Adelmo:
-            Piercarlo, quando la tua bella moglie ci allieterà    regalandoci un bel bambino?
Il silenzio ritornò per un attimo sovrano e tutti gli occhi furono puntati su Piercarlo.
-             Don Adelmo, siamo sposati da cinque mesi, Rosaura ci regalerà sicuramente quest’evento importante, appena Dio vorrà.
       -       Non dovete temporeggiare, non c’è più bello di un bambino, la famiglia si completa e le ziette saranno felici di tenerlo fra le braccia. 
        Delia diventò irrequieta, nervosa, con la mano sinistra stropicciò il tovagliolo, si alzò.
        -        Scusate, sono stata distratta, corro in camera mia, ho dimenticato di prendere la mia compressa di valeriana, torno subito.
        Si alzò pure Rosina, imboccò il corridoio e dopo un po’ rientrò dalla cucina assieme alla sorella più piccola. Rosaura aspettò che don Adelmo finisse di servirle del vino:
        - Stai bene Delia?
        - Si cara, a volte dimentico di prendere le mie compresse, ma ora è tutto a posto, vi chiedo ancora scusa.
        - Perché domani non vieni a trovarmi a casa, staremo un poco assieme a raccontarci qualcosa, mi farà piacere, se vuoi verrà Piercarlo a prenderti.
        - Grazie, ci penserò.
        La cena continuò serena tra gli aneddoti di don Adelmo e la faccia sorpresa di Mafalda che ascoltava senza perdere una battuta e si immedesimava nel racconto. Tutti erano ghiotti di panna, tranne Rosaura che aveva un’avversione a tutti i dolci che la contenessero. Rosina aveva ordinato al suo pasticciere una torta guarnita riccamente con riccioli di panna e fragoline, ed il garzone aveva portato un secondo involto con un dolce guarnito di crema pasticciera, proprio per Rosaura. La badante portò i due vassoi e a servire volle essere Augusta, destra nel tagliare la torta e impeccabile nel servirla. Arrivava dalla cucina la fragranza di caffè che Marianna aveva versato in una caffettiera di porcellana cinese, aveva appena finito di consumare il suo dolce Rosaura, quando si alzò di scatto:
        - Scusate, scusate, vado in bagno.
        Mentre Piercarlo continuava a far domande a don Adelmo, le quattro sorelle si guardarono in faccia, ma poi ognuna riprese a finire la torta e a sistemare il tovagliolo sotto lo sguardo di Marianna. Trascorsero venti minuti circa, Rosaura non ritornava dal bagno, solo Marianna ebbe il buon senso di parlare:
        - Scusate signor Piercarlo, la signora non è ritornata dal bagno, mi è sembrata concitata quando si è alzata dalla tavola.
        Don Adelmo si zittì e chiese alle donne:
        - Qualcuna vada a vedere, potrebbe sentirsi poco bene.
        Si alzò Piercarlo e seguito da Marianna imboccò il corridoio, un attimo dopo rientrò la badante sconvolta:
        - Correte, la signora è a terra, la sua bocca è piena di schiuma, padre, vada pure lei.
        Raggiunsero tutti il bagno, Rosaura esalava l’ultimo respiro, qualcuno corse al telefono a chiamare un medico che arrivò di li a poco, constatò la morte della donna e sentenziò:
        - Avvelenata! Stricnina! Dov’è un telefono, chiamo la polizia!
        Le quattro donne si strinsero in un angolo, farfugliarono qualcosa, il marito rimase in ginocchio accanto al corpo esanime e il sacerdote recitò una prece. Il medico fece uscire tutti e li convogliò nel salotto:
        - Nessuno tocchi niente e nessuno si allontani, la polizia sta arrivando!
        Una sirena, poi un’altra e due macchine si fermarono sull’uscio. Il commissario Parelli guardò assieme ad un sergente la scena del crimine, appuntò alcune cose su un taccuino, dopo che un fotografo immortalò la scena, uscì dal bagno e diede ordini ad un agente di informare il giudice. Si rivolse al medico e chiese l’ora del decesso e le sue impressioni.
        - Veleno, commissario! Stricnina! La schiuma alla bocca me ne da conferma, ma piglieremo un campione della saliva per averne certezza assoluta.
        - Fra poco lo farà il medico legale! Nessuno sparecchi, chiudete la cucina, rimanete tutti in salotto fino a quando non avremo finito i rilievi!
        Rosina, Mafalda, Augusta e Delia sedettero davanti al camino, don Adelmo accompagnò Piercarlo ad una poltrona e sedette accanto, Marianna ed il commissario entrarono in sala da pranzo.
        - Signora, da quanto tempo si occupa di questa casa?
        - Da venti anni esatti, da quando è venuta meno la signora Lucia, la mamma delle signorine Grassi e del signor Piercarlo.
        - Lei abita in questa casa?
        - Si, ho la mia stanza in fondo al corridoio, accanto alla camera della signorina Delia.
        - Chi ha avvelenato la signora?
        - Commissario, domanda da un milione di dollari!
        - E’ stata lei?
        - Perché avrei dovuto, lei era l’unica persona che frequentava questa casa e che portava un alito di freschezza, un sorriso, una gentilezza!
        - I domestici di solito sanno tutto di tutti i componenti delle famiglie, asti, incomprensioni, interessi.
        - Tutte nubili, solo Piercarlo si era sposato, direi contro le volontà delle sorelle, anche se non lo hanno mai detto, ma è trapelato dai loro umori. Interessi? Ognuno aveva la sua parte, stabilita di comune accordo.
        - Visite?
        - Tranne il prete e il commesso della pasticceria, mai nessuno. Il vecchio zio Ignazio Grassi, fratello del padre, anch’egli non sposato, che veniva una volta la settimana, è deceduto circa tre mesi addietro.
        - Bene, mi dica quale era la disposizione a tavola.
        Marianna fornì tutte le notizie e quando finì il commissario le chiese:
        - Durante la cena, qualcuno ha lasciato questa stanza?
        - Si, dopo aver servito il risotto, la signorina Delia si è recata nella sua camera per pigliare una compressa di valeriana, lo fa a tutti i pasti, se ne era dimenticata, Rosina si alzò anche lei e imboccò il corridoio, poi tornarono assieme e rientrarono dalla cucina, strano, di solito nessuno passa dalla cucina.
        - Altra gente che ha lasciato la stanza?
        - Nessuno!
        - Bene! Grazie, lei può andare a riposare, durante la notte i miei agenti faranno tutti i rilievi, domani la cucina sarà sua, stasera pentole e stoviglie varie rimarranno imbrattate.
        La badante andò in camera sua e si mise a letto. Il commissario interrogò Piercarlo e don Adelmo, poi mandò a letto le signorine e attese l’arrivo del giudice.
        Il cadavere della bella Rosaura fu portato in obitorio per l’autopsia che accertò l’avvelenamento da stricnina.
        Il commissario Parelli ispezionò tutte le camere, compresa quella della badante, non trovò nulla che gli desse l’idea di un movente, ma nella camera di Delia notò un mobiletto delle medicine, mille scomparti, tante ricette appese e centinaia di scatole di compresse per tutte le malattie, flaconi di pillole di effetto placebo, era di fronte ad una malata immaginaria che aveva la mania di ingurgitare pasticche in tutte le circostanze, solo una mania! Non una pillola che fosse in grado di uccidere una mosca, nessun flacone di stricnina, ed un elenco di specialità medicinali con orari di somministrazione. Stava per uscire quando notò che un quadro appeso ad una parete pendeva da un lato, lo staccò, dietro attaccata con lo scotch una busta gialla. Staccò la busta, la aprì, era il testamento dello zio Ignazio, una ingente somma destinata in parti uguali ai cinque nipoti, poi un’altra somma ingente destinata a Rosaura, solo se le avesse regalato un nipotino maschio che portasse avanti il nome dei Grassi. Nel caso contrario, la somma sarebbe stata ridivisa tra i cinque fratelli. Trovato un movente! Bisognava trovare l’avvelenatrice o le avvelenatrici! Il mattino delle esequie, mentre tutti erano in chiesa, il commissario Parelli, certo dell’estraneità di Marianna, si recò a casa Grassi e la incontrò:
        - Signora, lei sapeva del testamento?
        - No, per nulla!
        - Il movente è forte, ma chi delle quattro ha ucciso Rosaura?
        Parelli si mise a passeggiare in camera da pranzo, poi entrò in salotto. Marianna spolverava i ninnoli della grande vetrina in palissandro, prelevò una matriosca, la smontò, la spolverò e la ricompose, lasciando fuori la bambolina più piccola, la mise accanto alla grande e continuò il suo spolverare. Parelli percorse per lungo e per largo il salotto, si recò in cucina e ritornò ad ammirare la grande vetrina. Strano! Marianna aveva ricomposto la matriosca e aveva lasciato fuori la bambola più piccola. Non disse una parola, La grande Rosina, la piccola Delia, le uniche due che si erano allontanate durante la cena, le due avvelenatrici? Era un messaggio della badante? Andò via il commissario, era stanco, andò a casa e dopo un panino lo colse il sonno. Quando si svegliò erano le sedici e trenta, sentiva freddo, si sciacquò il viso, lavò i denti, indossò cappotto e cappello ed uscì per recarsi in commissariato dove rilesse tutte le carte e tutti gli appunti sul caso Rosaura. La matriosca, la grande e la piccola! Cosa sa o cosa sospetta la badante! Il mattino seguente si recò a casa Grassi, quando arrivò in salotto si accorse subito che mancava la bambola piccola della matriosca, forse Marianna l’aveva rimessa a posto accortasi della dimenticanza. Si recò in cucina e con sua grande meraviglia vide in una scatolina il resto delle bamboline della matriosca, pure la più piccola. Marianna era lì, si asciugò le mani con uno strofinaccio, poi guardò in faccia il commissario:
        - Si, solo la grande!
        - Rosina?
        - Si meraviglia?
        - Mi spieghi come posso dimostrarlo.
        - Semplice! La mania di mettersi i guanti per toccare ogni medicina, e poi la mania di riporre con ordine certosino i guanti di filo bianco dentro il comodino. Mai Delia avrebbe toccato una boccetta contenente farmaci o veleni senza i suoi guanti, ed i suoi, quella stessa sera erano riposti in ordine nel comodino quando la giovane è andata in cucina. Rosina aveva già avvelenato il dolce con la crema pasticciera, senza farsene accorgere da alcuno, poi, quasi a cercarsi un alibi, attese la metodica sorella che era solita riporre l’involucro della pasticca nella pattumiera della cucina e rientrò in sala da pranzo con lei, dando l’idea che si era presa cura di Delia. La signorina Rosina è l’unica che usa il rossetto per labbra, la boccetta del veleno che io ho trovato per caso, spolverando l’acquasantiera posta sotto il suo capezzale, è sporca di rossetto, il suo, forse l’ha baciata come si bacia un amico, prima di aprirla e svuotarla sul dolce, una sostanziosa fetta di eredità, lo zio Ignazio!
        - Marianna, lei è un genio!
        - No, commissario, sono stata fortunata nel ritrovare la boccetta!
        - Mi consegni quella boccetta.
        - Non ce l’ho!... Venga, andiamo in salotto! La signorina Rosina l’ha cercata disperatamente, non poteva chiedermi se l’avessi vista io.
Il commissario seguì la badante che lo portò davanti alla vetrina liberty in palissandro nero, aprì in presenza dei cinque fratelli l’anta, poi additò la matriosca:
        - Commissario, è lei che è depositaria della verità!
Parelli prese la matriosca, l’aprì sotto lo sguardo torvo di Rosina e vi trovò dentro la boccetta unta di rossetto, che conteneva la stricnina. Marianna prese un tronchetto, lo sistemò nel camino, si tolse il grembiule e andò a prendere la valigia in camera sua.
        Rosina fu arrestata e venne condannata a ventisei anni di galera. Non scontò l’intera pena, trapassò solo due anni dopo.




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