sabato 26 agosto 2017

LA QUINTADECIMA - Racconto breve - 26 agosto 2017








Mario Scamardo

I Racconti del Borgo

                      LA QUINTADECIMA


La cultura contadina, in ogni parte della nazione, prima che il “miracolo economico” facesse diventare l’Italia una tra le prime potenze industriali del mondo intero, era piena di leggende, di miti, di credenze che, spesso ne condizionavano la vita e mistificavano la realtà. Anche i bambini, con gli accorgimenti dovuti, venivano addottrinati a temere, stare attenti, guardarsi attorno, non fidarsi mai di estranei o farlo con cautela e ricorrere sempre al consiglio di genitori, nonni, fratelli maggiori, prima di pigliare delle decisioni, anche le più semplici, persino di affacciarsi alle finestre per curiosare su un rumore, delle voci, il raglio di un asino.

                                                                   PERIMATTULA

Nell’ordine crescente di pericolosità , i bambini, gli adolescenti, i giovani e, talvolta gli adulti, venivano ammoniti di stare attenti a l’uomo nero; il mammaddau, cioè il proprietario cattivissimo di un maniero, capace di bilocazione; perimattula, essere bruttissimo con i piedi di bambagia, che nessuno sentiva arrivare e, una volta accanto, mugugnava vicino all’orecchio; infine u lupunaru, il licantropo, il lupo mannaro. 

                                                                MAMMADDAU


                                                                LUPUNARU

Il paesino dove era nato ed abitava Giorgio, contava appena seimila anime, con strade ampie e tutte erano perpendicolari le una alle altre e l’unica scalinata, ampia e stesa portava su dalla via principale al sagrato della chiesa madre. Giorgio era un adolescente che aveva ricevuto una educazione rigida e, oltre ai genitori e alla scuola, di lui si curava la nonna materna, la signora Nunzia, un pozzo di sapienza, anche se aveva frequentato solo la seconda elementare. In quanto adolescente Giorgio era curioso e, quando al mattino, andando a scuola, apprendeva dai compagni che nella notte i loro genitori avevano sentito gli ululati del licantropo e l’avevano visto contorcersi  dal dolore e rotolare per terra, per poi vederlo scomparire in direzione della luna piena che tramontava ad occidente, al ritorno a casa, tempestava la nonna di domande.
Gli anni ’40 e ’50  del secolo scorso, furono segnati dal contrabbando e dal banditismo, la guerra era finita da poco e le città erano ancora sventrate dai bombardamenti. I componenti delle varie bande da un lato e i contrabbandieri dall’altro, si spostavano nelle ore buie, per cui bisognava  che non ci fosse gente per le strade, nessun occhio indiscreto. La luna dava una mano a banditi e contrabbandieri, tre giorni prima e tre giorni dopo il novilunio, di notte non ci si vedeva ad un metro, quando la luna era in quintadecima, quindicesimo giorno dopo il novilunio, tre giorni prima del plenilunio e tre giorni dopo, una mano ai contrabbandieri la dava il lupunaru, il licantropo, il lupo mannaro. Se nelle famiglie si avvertiva qualche movimento negli altri giorni, allora per relegare i ragazzi in casa si fruiva dell’uomo nero, del lupo, di perimattula o di mammaddau.
Giorgio, parecchi pleniluni era sceso quatto quatto dal letto e, con molta discrezione si era messo a pancia in giù sul balcone della sua cameretta che dava proprio su una crucivanedda, l’incrocio di due strade perpendicolari da dove il lupunaru sarebbe dovuto passare ed ululare, così  la nonna Nunzia lo aveva erudito ma, tranne qualche latrato di cane, non aveva visto e sentito nulla.
Secondo la leggenda, il lupo mannaro sarebbe un essere umano condannato da una maledizione o, secondo alcuni sono predestinati dalla nascita a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio. Man mano che la luna tende allo Zenith, al predestinato cominciano ad allungarsi unghia e denti, si ricopre di peli in tutto il corpo e, perdendo la forma eretta, rincorre tutti i quadrivi, i crucivanedda, e lancia grida di dolore contorcendosi. Salvarsi dal licantropo è costringerlo ad affrontare le scalinate, essi non possono salirle, le evitano perché ad ogni scalino il dolore si decuplica. Il licantropo non va in direzione delle chiese e non sopporta l’odore dei ceri accesi, dell’incenso che brucia, delle lucine tremolanti delle candele votive.
Giorgio finì le medie, frequentò il liceo e si inscrisse all’università. L’Italia era in pieno miracolo economico, le macerie dei bombardamenti avevano ceduto il posto ai nuovi palazzi, tutti avevano una 600 FIAT comprata a cambiali e tutti si erano muniti di frigorifero e apparecchio televisivo, il licantropo era solo un personaggio da favola.
A metà ottobre  Giorgio festeggiò con gli amici l’ultimo esame del corso di laurea in Scienze Geologiche. Il paese aveva quasi riacquistato la tranquillità di sempre, dopo il fervere della vendemmia che era al suo vertere. Gli acquazzoni si susseguivano e le strade erano quasi deserte. Dopo la cena, Giorgio accompagnò con la sua 500 FIAT color sabbia davanti casa  un suo amico, richiuse lo sportello e mentre stava per riaccendere il motore, sentì un grido lugubre, poi ancora un altro che assomigliava ad un ululato. Gli tornò alla mente la luna in quintadecima, non aveva come verificarlo, il cielo era coperto di nuvole. Col finestrino semiabbassato, a motore spento, percorse un centinaio di metri; seduta sopra una vecchia fontanella in pietra, una figura coperta da un mantello cerato per non bagnarsi, ululava. Attorno tutte le finestre erano chiuse e non si intravedeva nessuna luce. Sarà un matto, pensò Giorgio, accese il motore e girò attorno alla fontanella, notando che l’uomo ebbe solo cura di non farsi vedere in volto. Giorgio andò a casa e si mise a dormire. Il giorno successivo dal panettiere, il ragazzo si ricordò di quell’uomo seduto sulla fontanella sotto la pioggia e candidamente raccontò l’accaduto. Nessuno degli astanti sembrò essere interessato al racconto di Giorgio anzi, qualcuno tentò di cambiare discorso. Giorgio prese il pane ed uscì sulla strada, si avviò verso il bar per prendere un caffè e gli si avvicinò un signore di mezza età e sottovoce gli sussurrò:
- Sofisticano …
- Scusi, ha detto?
- Silenzio, piano, parla piano…sofisticano!
Giorgio si fermò a 10 metri dal bar, si fermò anche il signore di mezza età che lo guardò negli occhi e gli disse sillabando:
- So -  fi - sti – ca -  no!!! ….anche se il cielo è coperto, la luna è in quintadecima, sette giorni per far rivivere il lupunaru!!!
- Scusi, ma sofisticano cosa?............................................................................
- Il vino!... durante la vendemmia, acqua, zucchero e mosto di uva, è più semplice, non occorrono i lieviti, il mosto naturale  li ha, bastano e si moltiplicano!
- Capito!... ma cosa c’entra inscenare il licantropo?...
- C’entra!... è come avvertire tutti che non bisogna immischiarsi in queste vicende! Il lupunaru  avverte la gente di non immischiarsi, e quando cambia il verso avverte i sofisticatori del pericolo di incursioni delle forze dell’ordine!
- Capito! Grazie per avermelo spiegato. Vuole prendere un caffè con me?
- No! Io e te non ci conosciamo neppure!... Io non ti ho mai visto!
L’uomo scomparì tra le vie e Giorgio non seppe mai chi fosse. Dopo aver portato il pane a casa, montò sulla sua macchina e si recò alla fontanella.  La sera prima non ci aveva fatto caso, proprio di fronte c’era una cantina, piccola, con una capacità di ricezione di 3000 qli di uva, ma tutti i giorni venivano caricati circa mille quintali di vino sulle autobotti e portato al porto per essere scaricato nelle navi-cisterna.
Giorgio non fu impaurito dal discorso dell’uomo incontrato al panificio, e la sera, abbondantemente dopo la cena, si recò a piedi alla fontanella. La luna era alta nel cielo, il lupunaru coperto dal mantello cerato aveva preso posto sulla fontanella di pietra e ululava, dal magazzino di fronte arrivava l’odore del caramello che si scioglieva affinchè potesse fermentare per trasformarsi in alcool. …Lo Stato? ….Assente!.... Connivente?... Forse!!!! 


Appena laureato Giorgio conseguì l’abilitazione all’esercizio della professione di geologo, fece la sua valigia e si spostò in una città del meridione d’Italia. Si costruiva una importante arteria, capace di dare lavoro nell’immediato e respiro ad un Sud che stentava a decollare. Una grande impresa, che aveva vinto gli appalti di un paio di tronchi della nascente arteria, lo assunse affidandogli le indagini geologiche delle aree in cui la strada doveva essere realizzata. Trivellazioni, carotaggi, campionature, analisi e lunghe e dettagliate relazioni corredate dei relativi disegni. La direzione dell’impresa un mattino convocò Giorgio negli uffici, si complimentò con lui per il lavoro svolto e gli affidò l’incarico di indicare i luoghi dove scaricare i materiali di risulta del movimento della terra, due grandi bacini per ogni tronco di strada, ma che fossero il più vicino possibile alle strade già esistenti. Giorgio uscì dalla direzione dell’impresa più confuso che persuaso; che motivo c’era di scavare questi enormi fossati per riempirli della terra smossa nei cantieri? Dispendio di energie, di mezzi, di manodopera soltanto per togliere della terra del posto e riempire i fossati con la terra scavata altrove, e poi perché nella vicinanza delle strade già esistenti? Cosa non capiva  Giorgio di quelle richieste strane che l’impresa accoratamente gli richiedeva ?
Localizzati i punti per la realizzazione dei quattro bacini, nell’arco di due settimane le ruspe completarono quelle larghe e profonde buche. La direzione dell’impresa lo richiamò, si congratulò col geologo poi, oltre allo stipendio il direttore gli consegnò una busta gialla con dentro del denaro, quale premio per la sua solerzia e diligenza nel lavoro, quindi la comunicazione del licenziamento. Giorgio non disse una parola, rimase impassibile, girò i tacchi, si recò in cantiere, raccolse le sue cose e andò via in cerca di un altro lavoro.
Spesso Giorgio passava dalla strada, per la verità molto transitata, che costeggiava due delle quattro grandi buche, nessun movimento, per ogni buca una ruspa sul ciglio e non si vedeva anima viva.
Era quasi mezzanotte quando ritornò da una cena a casa di amici, era in macchina in compagnia di Irene, la ragazza con cui si accompagnava spesso. All’angolo della diramazione che portava alla prima delle grandi buche notò una figura umana con un mantello e il cappuccio che all’avvicinarsi delle automobili emetteva un lamento che sembrava un ululato. Dopo la curva si fermò, fece segno alla ragazza di stare zitta e, guardando verso valle notò dei camion che scaricavano tanti fusti che il ruspista ricopriva con uno strato di terra.



 Ancora un lupunaru, la luna era alta nel cielo e Giorgio aveva capito finalmente del suo licenziamento. Arrivato in paese, dopo aver lasciato a casa Irene, telefonò da una cabina in maniera anonima alle forze dell’ordine, spiegando che si interravano dei fusti che altro non erano che scorie radioattive. Indicò luoghi, orari e parlò della ritualità del plenilunio.  Per giorni ascoltò la radio, i telegiornali, lesse i quotidiani senza riscontrare nulla di una notizia che avrebbe fatto saltare in aria anche i morti; si convinse che l’ultima parte del racconto-denuncia, la quintadecima, non avevano persuaso le forze dell’ordine. Uomo nero, perimattula, mammaddau, lupunaru, non erano mai morti, continuavano a vivere perché servivano ancora per realizzare malefatte.


 La luna in quintadecima era la pacchia per malfattori, sofisticatori, trafficanti, contrabbandieri!
Il paesino di Giorgio? …ovunque ci sono uomini  capaci di trasformare i personaggi delle favole in operatori del male….tutti grassi col faccione tondo come la luna in quintadecima!….



domenica 13 agosto 2017

I SICILIANI E GLI SCONGIURI - (atto 2°) 14 - Agosto - 2017

























MARIO SCAMARDO


I SICILIANI E GLI SCONGIURI - (atto 2°)




I siciliani, ma in verità quasi tutti i meridionali, anche se non del tutto superstiziosi, proprio per non correre alcun pericolo, impiegavano gli scongiuri, (oggi il retaggio è soltanto folklore). Esistono scongiuri di ogni fatta e per ogni impiego: malocchio, iettatura, malattie di ogni sorta, lontananza di persone care, ma anche il loro silenzio, amori leciti, illeciti, contrastati o compromessi, fenomeni meteorologici, eccesso di caldo, di freddo o di umidità capaci di compromettere la salute, protezione dei frutti della terra, aggressione e morsi di animali, dalla pulce al cane, allontanamento delle persone negative, ecc..

Bastava poco a tranquillizzare  gli spiriti agitati di quanti temevano, soffrivano, credevano e speravano. I siciliani, nel tempo, hanno fatto rivivere cristianizzandole pratiche sia semplici che empie, a produrre talvolta un maleficio ma spesso a scansarlo.

Nella magia popolare dei paesi di religione cristiana, il mago nella notte di Natale o nel giorno di Pasqua, conduce l’adepto in chiesa e recita le sue formule per liberarlo dal male.

Passiamo agli scongiuri non affidati all’oblio .

CONTRO LE SCOTTATURE

(Recitare tre volte al giorno per tre giorni e sputare sulla scottatura)

Tutti li cani di la canaria

arderu a focu duminicaria;
lu Signuri passau,

lu focu astutau,

Diu ti salvi, o Maria, virgini e pura!

La carni cotta avi addivintari crura!

(Tutti i cani del canile – accesero domenica il fuoco – Passò il Signore, - spense il fuoco. – Dio ti salvi, o Maria, vergine e pura! – Possa la carne cotta diventare cruda!)






PER NON ESSERE MORSO DAI CANI

(E’ sufficiente recitarla tre volte prima di entrare in un ovile)

Santu Vitu, santu Vitu

iu tri voti vi lu dicu,

vi lu dicu pi ssi cani

ca mi vonnu muzzicari

attaccaticci lu mussu

cu un fazzulettu russu,

attaccaticci lu ciancu

cu un fazzulettu biancu

(Santo Vito, Santo Vito,  - ve lo dico tre volte,  - ve lo dico per questi cani – che mi vogliono mordere – legate il loro muso – con una pezzuola rossa – legate il loro fianco – con una pezzuola bianca)






I PESCATORI PER AVERE UN VENTO FAVOREVOLE

(I pescatori di una barca tenendosi per mano la gridano rivolti verso Nord per cinque volte)

Punenti valurusu

fai arritirari lu sciroccu guaddarusu!

(Valoroso vento di ponente – fai cessare quell’ernioso di scirocco!)






I CONTADINI PER SOLLECITARE IL VENTO E POTER SPAGLIARE IL GRANO BATTUTO



Ventu favulusu

ventu amicu e priziusu.
Gira firria e vota

comu na picciotta chianiota.

Ciuscia giustu di ssa ‘ngagghia

alluntanami sta pagghia.

Na ciusciata lenta lenta

fa abballari la trarenta.

Ciuscia forti e fai vulari

i fareddi di muggheri!

(Vento favoloso – vento amico e prezioso. – Gira rigira e voltati  - come una fanciulla pianese  -  Soffia giusto da quella gola – allontanami la paglia. – Una soffiata lenta lenta – fa ballare il tridente. – Soffia forte e fai volare – le gonnelle delle mogli!)





CONTRO I VERMI

(Intingere il pollice e l’indice  in un cucchiaino d’olio con un pizzico di sale; allargare le due dita e formare un compasso, ponendo l’indice  sull’ombelico del malato e girando attorno ad esso tracciando col pollice unto un cerchio, una volta in senso orario e un’altra in senso antiorario e ripetendo:

Pi lu nomu di Maria

lu vermi ‘nterra casca?

Pi lu nomu di Gesù

lu vermi nun torna chiù!

Segue :Ave Maria, Padrenostro, Gloria tre volte.
(Per il nome di Maria – il verme casca a terra? – Per il nome di Gesù – il verme non torna più!)


Una volta fatto  lo scongiuro, si acquisisce serenità, non c'è nulla di più efficace per essere tranquilli!!!