sabato 16 maggio 2015

IL RE DI DENARI - Racconto breve (giallo) - 17 maggio 2015





Mario Scamardo


I RACCONTI DEL BORGO


Il re di denari



Il salone delle feste di Palazzo Filler dei marchesi Turano, era il più grande e il più fastoso dell’intera città. La grande volta reale, nelle serate estive, specie se lo scirocco carico di umidità faceva si che le splendide dame ricorressero sovente ai loro ventagli di merletto, si apriva in dodici spicchi e lasciava intravedere la volta stellata, mitigando anche la temperatura all’interno. Non c’erano lampadari nel salone, ma tutt’attorno alle pareti, come rami che spuntavano tra i grandi specchi e le altissime consolle, ventiquattro appliques ognuna a ventiquattro luci. Il dieci di luglio di ogni anno, il marchese Giovanni Turano dava ordini al suo maggiordomo Guglielmo di preparare il salone per la grande cena del quindici luglio, compleanno di sua moglie Mafalda dei baroni Scollo. L’elenco degli invitati da tempo era sempre lo stesso, non era mai andato al disopra di venticinque e mai sceso al disotto di quindici, a tavola solo parenti carnali ad eccezione di nuore e generi, il medico di famiglia e consorte e il vescovo in carica.

          Guglielmo diede ordini a cameriere e valletti di preparare al centro del salone una tavola ovale con ventidue coperti, la lista dei commensali l’aveva nella sua testa, oltre al marchese Giovanni, la moglie e la marchesa Lucia sua madre, a tavola c’era la figlia Matilde, suo marito il conte Barnabei e la loro figliola Giulia; la figlia Rachele, il barone Nunzio ed il loro figliolo Castrenze; il figlio Giorgio, sua moglie la dottoressa Adalgisa e i loro figli Dorotea e Augusto; suo cugino il marchese Spinotti e sua moglie Laura; suo cognato il conte Viarelli e sua sorella Marta; il medico di famiglia dr. Minotti e signora; sua zia  la contessa Barnabei; suo zio il barone Vullo e S.E. mons. Chiarelli. Ventidue! Né uno in più né uno in meno!

          Fu cura di Guglielmo controllare che nulla mancasse sulla tavola, ordinò dodici piccole corbeilles con fiori di campo dai colori tenui e fece disporre i candelabri. La cena di quel compleanno aveva da più di vent’anni lo stesso menù, dove non mancassero mai tra gli antipasti le cipolle bianche con salsa allo zafferano, gli arancini di riso e le olive schiacciate condite con aglio e menta. Per primo piatto era d’obbligo il timballo di maccheroni mentre le carni erano di solito un tris di cacciagione dove c’era la lepre, le quaglie, l’anatra ed il piccione. Grandi alzate di frutta di stagione, grandi alzate di cannoli e bignè pieni di ricotta, alzatine di dolcetti alla mandorla per dar fondo ai vini dolci, ed infine una grande torta di frutta preparata dal cuoco Raffaele. I vini, rigorosamente rossi, venivano serviti da undici valletti imparruccati in livrea rigorosamente in damascato celeste. Non voleva musici il marchese Turano, finita la cena i commensali si spostavano in una sala attigua, dove la contessa Barnabei si esibiva in una romanza, accompagnata al piano dal barone Vullo.

          Il quattordici luglio di pomeriggio Giovanni Turano, in compagnia di Guglielmo, controllò che in quel salone tutto fosse a posto, poi si fece chiamare il cocchiere e montò in carrozza alla volta del centro città, si fece lasciare davanti ad una gioielleria dove doveva ritirare una collana e ordinò al cocchiere di riprenderlo al “Circolo dei nobili” che si trovava nella stessa piazza, a distanza di tre ore.

          Il quindici luglio alle sedici, puntuale come sempre, monsignor Chiarelli si fece lasciare dal suo cocchiere proprio all’ingresso di Palazzo Filler, Guglielmo gli andrò incontro e lo introdusse in biblioteca dove c’era già la marchesa Lucia in compagnia di alcuni ospiti. Quando per ultimo arrivò il dottor Minotti con la signora, tutti furono invitati a prendere posto in cappella, mentre S.E. si preparava a celebrare la Santa Messa. Dopo la benedizione il vescovo Chiarelli fece gli auguri di buon compleanno alla festeggiata e tutti applaudirono, quindi seguirono la marchesa Mafalda in salotto che offrì agli invitati un aperitivo leggermente alcoolico al gusto di limone ma con un profumo di gelsomino, apprezzato da tutti, retaggio della cucina dei monsù, e fece girare vassoietti con mandorle brustolite, gherigli di noci, pistacchi sgusciati e nocciole. Il sole era quasi all’orizzonte, la pendola in fondo alla biblioteca battette le venti e Guglielmo affacciatosi in salotto attese il cenno della marchesa Lucia per dare gli stimoli a cuochi e servitori. Tutti si accomodarono nel grande salone delle feste, presero posto attorno alla grande tavola ovale, aspettarono che l’anziana marchesa Lucia prima e tutte le donne sedessero, quindi presero posto tutti. La grande volta reale si aprì offrendo lo spettacolo del cielo stellato che apparve in tutta la sua bellezza. La cena si protrasse fino a quasi mezzanotte, fu allora che Raffaele il cuoco, come aveva fatto per tanti anni, seguì due valletti che portavano una enorme torta, decorata con frutta di stagione, fichi, fragole, albicocche, pesche, lamponi e tanti ribes rossi, e aspettò. La marchesa Mafalda si alzò in piedi seguita da tutti, attese che i valletti deponessero il dolce davanti a lei e invitò Raffaele ad avvicinarsi per congratularsi con lui. Tutti applaudirono e Giovanni Turano tirò dalla tasca una scatola ricoperta in velluto rosso e la porse a sua moglie:

- Cara la mia mogliettina, spero tu gradisca questo mio pensiero.

Mafalda aprì la scatola ed i suoi occhi luccicarono, dentro c’era una collana in oro rosso, molto spessa, da cui pendeva un grosso cammeo in corallo rosa incorniciato in una fascetta d’oro satinato, tempestata da brillanti. Una fortuna! La donna non ebbe parole, mostrò la scatola alla suocera compiaciuta e poi agli astanti, tutti si complimentarono per la scelta. Giovanni prese la collana, aprì il gancio e l’attaccò al collo della moglie,  invitò tutti a riempire i calici e a brindare. Anche la torta venne gustata dai commensali e,  dopo una passeggiatina in giardino, tutti pian pianino fecero rientro alle loro dimore.

          Il salotto di casa Turano tutti i mercoledì ed i venerdì era aperto alle visite, a parte i commensali al compleanno di Mafalda, pochissima gente entrava in quella casa, per cui tutti sapevano come muoversi, dove accomodarsi, quale bevanda o quale dolcino chiedere. Il barone Vullo, zio di Giovanni, rimasto celibe per scelta, aveva dilapidato quasi interamente il suo patrimonio, donne, regali, viaggi e fiumi di spumante, per cui gli inviti erano un miracolo del cielo. Anche il conte Viarelli aveva dato fondo ai suoi beni, rimaneva ancora qualche terreno ereditato dalla moglie la baronessa Marta e metà del piano nobile di un palazzetto in periferia, non potevano permettersi servitù, tranne una domestica a mezzo servizio. Il marchese Spinotti e donna Laura erano considerati i paperoni della parentela, vivevano in un intero palazzo nel centro storico, avevano rendite incommensurabili, e donna Laura era anche l’armatrice di due pescherecci, tanto che tra i nobili della città veniva chiamata “la donna di denari”. Suo marito tutte le mattine si recava al mercato ittico per controllare sul pescato, assisteva all’asta del pesce ed intascava la ricevuta che gli serviva a contabilizzare il sabato, arrivato a casa la consegnava gelosamente alla moglie. La contessa Barnabei non aspettava i mercoledì e i venerdì per andare a palazzo Filler, tutti i pomeriggi era là, aspettava la marchesa Lucia in salotto e poi si recavano nella cappella a dire il rosario, quindi un dolcino e un sorso di liquore e via per la cena a casa sua assieme alla sua dama di compagnia e della domestica che faceva anche da cuoca.

  Fu il pomeriggio del primo venerdì d’agosto che il salotto si riempì di tutti i frequentatori abituali, mancavano solo il dottor Minotti e la sua signora. La temperatura alle diciotto del pomeriggio era torrida, Mafalda era rientrata da appena cinque minuti col marito da una visita a casa del figlio Giorgio, Dorotea, sua figlia, era caduta da cavallo lussandosi una spalla. Entrando salutò gli astanti, indossava la sua collana col cammeo in corallo rosa, chiese il permesso di andarsi a cambiare, mentre Guglielmo serviva agli ospiti bibite fresche. Giovanni si recò in bagno per lavarsi le mani e ritornato si mise in conversazione. Il marchese Spinotti amava le rose, si avvicinava alle aiuole e pigliava i boccioli tra le dita, sembrava carezzarli, poi accostava le dita al naso e annusava, sua moglie sembrava soffrisse di questa sua mania, in quanto non partecipava alle conversazioni e bisognava cercarlo spesso in qualche angolo del giardino che visitava, e lei lo aveva fatto già due volte quel pomeriggio.  Rientrò Mafalda e, dopo le notizie positive su Dorotea, fu tutto un chiacchiericcio, sulla moda estiva, sulle cabine al mare, sui nuovi costumi da bagno, sulle spiagge riservate, sulle fortune di molti popolani che si erano arricchiti col commercio e qualcuno era in cerca di partito titolato per contrarre matrimonio e, quindi, comprarsi un titolo di nobiltà sposando un nobile o una nobile. Il sole era quasi all’orizzonte, ma la brezza si fece sentire e Mafalda decise di recarsi in camera sua a prelevare una sciarpa. Si attardò più del previsto Mafalda e quando ritornò in giardino era sconvolta, aveva un nodo alla gola, balbettò:

- Manca la mia collana, l’avevo riposta nella scatola e messa dentro al comodino, la scatola è a terra, la collana non c’è più.

Tutti, sgomenti, si alzarono in piedi, fu proprio il barone Vullo, che si era recato all’interno per i corridoi una decina di volte perché bisognoso di ricorrere al bagno per le continue minzioni, a dire:

- Scusate signori, nessuno si offenda, ma nessuno lasci palazzo Filler, la collana è ancora qui dentro, nessuno è uscito dal palazzo, proprietari, ospiti e servitù. Guglielmo, per favore, avvertite il commissario Parelli, che venga lui immediatamente, il commissariato è proprio all’angolo!

Guglielmo aspettò che Giovanni Turano gli desse il permesso,  poi scomparì di corsa ad onta della sua età. Tornò di li a poco in compagnia del commissario e di due agenti. In trentacinque anni di servizio, Guglielmo se avesse voluto, avrebbe potuto rubare indisturbato, a piccole dosi, non destando mai il sospetto. Il commissario Parelli, salutò gli astanti, ascoltò la marchesa Mafalda, poi volle fare un sopralluogo con Guglielmo nella stanza della donna, guardò attentamente se la finestra fosse stata aperta, se fosse stato forzato il cassetto del comodino, guardò sotto il letto, agli angoli della stanza, tutto gli sembrò a posto oltre alla scatola vuota e al cassetto aperto. Guglielmo, come era solito fare, percorrendo i corridoi o entrando nelle stanze, se trovava un foglio stropicciato a terra, un ritaglio di carta, una foglia o un petalo caduto da un vaso, si abbassava, lo raccattava, lo metteva in tasca e poi si recava in cucina e metteva tutto nella pattumiera.

- Guglielmo, chi è il più squattrinato degli ospiti?

- Commissario, squattrinati sono il barone Vullo, il conte Vaiarelli e la baronessa Marta, gli altri sono agiati.

- Del personale che mi dite?

- Oggi, dal rientro dei marchesi dalla visita alla nipote, al momento della scoperta del furto, di personale nel palazzo c’ero soltanto io, tutti gli altri sono stati esentati dal venire perché i marchesi stasera vanno a cena in un ristorante al mare, invitati dal dottor Minotti e dalla di lui signora, lui è in servizio in ospedale fino alle venti.

- Bene, caro Guglielmo, l’unica cosa certa è che la collana è ancora nel palazzo, qualcuno l’ha presa, l’avrà nascosta, conosce bene questa casa, addosso sarebbe un azzardo se ci costringessero a perquisirli!

- Tutti conoscono bene questa casa, sono frequentatori da sempre!

Il commissario Parelli interrogò tutti in salotto, il marito, la suocera, tutti, proprio tutti, buio totale, non un piccolo tradimento, non un’incertezza, non un indizio. Volle ritornare nella camera della marchesa, c’era stato un’oretta prima, entrando notò proprio sul comodino una carta siciliana, la donna di denari, messa lì in bellavista, e prima non c’era! Cosa voleva dire quella carta, chi ce l’aveva messa? Parelli intascò la carta, si recò nel salotto, nessuno si era mosso da lì, l’unico che aveva libertà di movimento era Guglielmo, che voleva dirgli? Si rivolse al barone Vullo.

- Barone, voi giocate a scopa o a briscola?

- A Briscola?

- Si, con le carte siciliane!

- Non gioco più da tanto tempo.

Tirò fuori la carta trovata sul comodino, la mostrò al barone, lo fissò negli occhi, poi seguì il suo sguardo che puntò donna Laura Spinotti. Parelli non capì nulla, si sentì ancora più confuso, non volle chiedere a Guglielmo, aspettò gli eventi. Tutti in salotto sembravano sereni, aspettavano gli eventi, anche se su ognuno di loro gravava il sospetto del furto. Per la verità donna Laura Spinotti era un po’ irrequieta, contava e ricontava dei piccoli foglietti di carta posti in una piccola borsetta che teneva aperta, li rimetteva dentro e poi li ricacciava fuori per ricontarli, poi si guardava attorno, come se gliene fosse volato via qualcuno. Dopo avere interrogato l’anziana marchesa Lucia, che fece la radiografia di ogni presente, il commissario Parelli volle recarsi nuovamente nella camera della marchesa Mafalda, proprio in sua compagnia, entrando, ebbe la seconda sorpresa, sul comodino un’altra carta siciliana, il re di denari! Senza farsene accorgere intascò anche questa carta e si fece raccontare dalla marchesa la scoperta del furto, poi diede ancora uno sguardo in giro e riaccompagnò la donna in salotto. Guglielmo era lì con un vassoio pieno di bicchieri e una brocca d’acqua fresca, c’era tanta afa e la tensione rendeva la serata ancora più calda. Parelli si avvicinò a Guglielmo, lo prese sottobraccio e uscirono assieme dal salotto.

- Guglielmo, tu giochi a scopa?

- Qualche volta commissario.

- Chi ha messo le carte sul comodino, e quante ancora ne devo trovare?

Guglielmo infilò la mano in tasca tirò un mazzo di carte siciliane e le diede in mano al commissario.

- Tenga commissario, sono trentotto, ne mancano solo due, quelle che lei ha in tasca. Chiami il marchese Giovanni, chieda chi è la donna di denari poi, forse, andremo a prendere la collana.

- Che enigma è il tuo?

- La prego commissario, faccia come le ho detto, poi le darò la prova.

Il commissario entrò in salotto e riuscì in compagnia del marchese. Tirò dalla tasca la donna di denari e gliela mostrò.

- Marchese, chi è “la donna di denari”?

Il marchese imbarazzato:

- Donna Laura Spinotti è detta “la donna di denari”.

Guglielmo sorrise:

- Andiamo a cercare la collana, deve essere in giardino proprio sotto una pianta di rose. La più lontana dalla vista è in fondo al giardino.

Guglielmo tirò dalla tasca una torcia, accese tutte le luci del giardino, poi si diresse verso l’ultima pianta di rose, proprio dove donna Laura aveva raggiunto il marito per invitarlo a riavvicinarsi al gruppo e in quell’istante, proprio mentre il marito odorava le proprie dita che avevano sfiorato i petali delle rose chiudendo gli occhi, lei lasciava cadere la collana che avrebbe ripreso solo prima di andar via, se non fosse stato scoperto il furto. Guglielmo si chinò, raccolse la collana e la consegnò al commissario.

- Come hai fatto a capire?

- Quando ho notato l’irrequietezza di donna Laura che contava i bigliettini riposti nella sua borsetta, ho percepito che ne avesse perso qualcuno. Io avevo raccolto da terra, quando sono entrato assieme a lei signor commissario, nella camera della marchesa un pezzetto di carta, l’ho messo in tasca e poi l’ho buttato nella pattumiera credendolo un ritaglio di busta o un appunto non importante. Ho rovistato nel secchio e ritrovandolo mi sono accorto che era una ricevuta del mercato ittico, proprio quello che le era caduto dalla borsetta quando vi ha nascosto la collana. Come potevo indirizzarvi commissario, se non dandovi il nome della ladra, “la donna di denari”!

- Ottimo, Guglielmo!

Il marchese trasecolato guardò in faccia sia il commissario che Guglielmo, chiese al commissario:

- E’ tutto finito?

- No, signor Marchese, ancora c’è un arcano da scoprire.

- Donna Laura aveva un complice?

- Ce lo svelerà Guglielmo!

Il maggiordomo:

- Si commissario, lei vuol sapere perché le ho offerto anche l’altra carta, “il re di denari”. Vede, volevo essere sicuro che la collana non varcasse il portone del palazzo, volevo che nessun innocente venisse incolpato, allora ho indicato il marito, il marchese Spinotti, perché se non avessimo trovato la collana sotto la pianta di rosa, l’avremmo trovata nella tasca del soprabito del marito, a sua insaputa donna Laura lì l’avrebbe riposta, per cui, caro commissario, lei può rimettere “il re di denari” nel mazzo, ora le carte rimaste sono trentanove, il marchese Spinotti è solo un galantuomo, sua moglie un pescecane! La prego ora di riconsegnare alla dolce baronessa Scollo, marchesa Turano il suo gioiello; della “donna di denari” non mi importa nulla, mi dispiace solo per quel galantuomo del marito, ma poi, sarà veramente dispiaciuto dopo che saprà la verità?




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