mercoledì 14 gennaio 2015

IL GOBBO - Racconto breve 14/01/2015





Mario Scamardo


I RACCONTI DEL BORGO



I L    G O B B O



Sebastiano era l’ultimo di quattro fratelli, nato dieci anni dopo il terzo; prima di lui nell’ordine, Vittorio, Carlo e Pietro che differivano tra loro di due anni. Quando Sebastiano fu inscritto in prima elementare, Vittorio partì per fare il militare. Gracilino, con gli occhietti vispi, alquanto discolo e coccolato, Sebastiano in famiglia non ebbe mai un nome, tutti lo chiamarono il "bambino". Quando, finite brillantemente le elementari, i genitori lo inscrissero alla scuola media, il piccolo Sebastiano cominciò ad essere svogliato, il suo naso cominciò ad ingrossare, la prima peluria fece capolino sopra il labbro superiore, la sua voce cominciò a diventare roca, i genitori pensarono al suo sviluppo, ma nessuno si accorgeva di una leggera scoliosi che deviava la sua colonna vertebrale. La famiglia si allarmò, consultò ortopedici, neurochirurghi e per un periodo fu per il giovane Sebastiano un andirivieni da cliniche e ospedali. La sua colonna si arcuò fino a farlo diventare deforme ed i medici sentenziarono di aspettare, per un eventuale intervento alla colonna, che il ragazzo diventasse adulto. Sebastiano non frequentò più la scuola ed imparò il mestiere del padre, il sarto. Ad onta della bravura del genitore nel modellargli le giacche, per tutti diventò “il gobbo”. Sulle prime il ragazzo ci soffrì, poi cominciò ad ironizzare esso stesso sulla sua deformazione ed alla morte del genitore, tirò giù l’insegna della bottega e accanto alla scritta “Sartoria”, aggiunse “del gobbo”, poi la riappese e l’ammirò soddisfatto, “Sartoria del gobbo”! 



Anche i fratelli non ebbero critiche da fare alla nuova insegna, stante che, ad onta dell’avvento dell’abito confezionato reperibile in tutti i negozi di abbigliamento, Sebastiano aveva decuplicato la clientela ed aveva avuto la necessità di ingaggiare alcuni lavoranti. Stoffe ricercate, rifiniture a mano e impeccabilità a prima prova! Buona parte dei clienti, che apprezzavano la sua arte, entrando lo abbracciavano, lo salutavano cordialmente e non gli risparmiavano, con la scusa dell’abbraccio, una toccatina alla gobba. Sebastiano lasciava fare, anzi, quando qualcuno entrava per la prova o per scegliere la stoffa, assieme alla signora, il sarto chiedeva se fossero superstiziosi, alla risposta negativa o positiva che fosse, lui si girava offrendo la schiena ai suoi interlocutori e diceva:

 - Prego, non fatevi scrupolo, toccate, a me ha portato tanta fortuna.

Tutti toccavano e uscendo dalla sartoria si recavano al botteghino del lotto e giocavano il loro terno secco.

Quando il curvarsi lento e continuo della colonna gli procurò un paio di ernie che lo fecero tribolare, dopo un periodo di sei mesi di busto, Sebastiano prese un aereo per Los Angeles si affidò ad un ottimo neurochirurgo di origine Italiana per raddrizzare la sua schiena. Sei mesi negli Stati Uniti ed un giorno scese all’aeroporto Falcone e Borsellino di Palermo un bel signore di media altezza, distinto, magro, dritto come una candela, elegantemente avvolto in un gessato avorio con giacca a doppio petto, Sebastiano non era più il gobbo. Un taxi lo accompagnò in una cittadina dell’entroterra.

L’anziana madre pianse di gioia assieme ai fratelli del sarto, tutti lo abbracciarono e, ripreso il lavoro in sartoria, i clienti facevano a gara per vederlo e congratularsi con lui. Una signora gli si avvicinò e con ironia gli chiese:

- Sono la moglie del macellaio, siamo clienti da quando la buonanima di vostro padre ha aperto questa bottega, ci siamo chiesti con mio marito come faremo ora a giocare i nostri terni, non potremmo più carezzarle la gobba! Non ne abbiamo mai azzeccato uno, ma ci illudevamo che prima o poi la sorte ci avrebbe baciato, giocavamo il lunedì e fino al venerdì sognavamo.

Sebastiano sorrise, poi si accostò alla signora e le sussurrò all’orecchio:

- Abbiate fede signora, in America dopo l’intervento ho chiesto al chirurgo se con la fine della gibbosità avrei perso la facoltà di portare fortuna. Il chirurgo mi ha assicurato che non avrei perduto nessuna facoltà se avessi conservato la giacca che portavo prima.

- E voi l’avete conservata?

- Ma certo! L’ho messo in valigia e gelosamente l’ho riportata. Vedete, a me ha portato tanta fortuna, non ho più la gobba, questa è la prova provata che quella giacca è miracolosa, un vero talismano!

- Voi siete davvero un miracolato, prima Dio e poi i medici, ma il vostro gibbo vi ha portato davvero fortuna!

- Non il gibbo, ma la giacca che ha coperto per tanto tempo il gibbo!

- Fatecela toccare, per favore, anche noi abbiamo il diritto di tentare la fortuna. Ora dovete cambiare l’insegna, voi non siete più gobbo!

- No signora, i titoli si ereditano, io ero gobbo, il titolo è mio, la cosa più cara che ho avuto, mio e di nessun altro, quindi me lo tengo! I deputati rimangono onorevoli a vita, così pure i ladri, ladri a vita, cavalieri a vita, galantuomini a vita!

- Quindi non cambiate l’insegna?

- No signora, la sostituirò con una al neon ma rimarrà uguale “Sartoria del gobbo”! La giacca la metterò a disposizione della clientela così come era a disposizione la mia schiena curva! Tornate quando volete, continuate a sperare nella fortuna, toccatela!

La signora uscì col marito e come era solita fare entrò al botteghino del lotto.

Il lunedì successivo Sebastiano di buon mattino aprì la sua sartoria, assegnò il lavoro ai lavoranti e si recò da un fotografo, si fece scattare un primo piano e quando ebbe la foto si recò da un fabbricante di manichini, ne ordinò due gobbi e chiese di averli somiglianti alla foto, con lo stupore del fabbricante.

Dieci giorni dopo il sarto vestì i manichini con i suoi vecchi vestiti, ne sistemò uno in vetrina ed uno davanti alla saletta prove dove campeggiava un grande trittico di specchi. Il mattino seguente una ditta di insegne luminose, smontò la vecchia insegna in lamiera e montò una luminosissima insegna al neon sempre con la scritta “Sartoria del gobbo”.

La gente si fermava, ammirava l’insegna nuova e luminosa, poi si avvicinava alla vetrina e guardava il manichino, entrava con una scusa e toccava la gobba del manichino davanti la saletta di prova, salutava, ringraziava e appena fuori, di corsa al botteghino. La “Sartoria del gobbo” era diventata nota in tutta la provincia e, ad onta della crisi e degli abiti confezionati a basso costo, Sebastiano aveva prenotazioni per le stagioni a venire.

Entrò un giorno la moglie del macellaio, salutò Sebastiano e si avvicinò subito al manichino all’interno, carezzò la giacca e strofinò abbondantemente la gobba:

- Bene avete fatto ad esporla, siete stato di parola, vi somiglia tanto questo manichino, voi sembrate un altro, sono davvero contenta. Voi che siete stato miracolato, perché non ci date una mano, diteci quali numeri giocare, datemeli all’orecchio, sarò una tomba!

- Signora, non posso aiutarvi, non ho il potere di prevenire le uscite dei numeri del lotto. Vi potrà aiutare la smorfia, io ho solo ricevuto il miracolo, capite?... il miracolo! Ero gobbo, oggi non lo sono più e continuo a fare il sarto, io non ho mai giocato al lotto!




La signora lo guardò negli occhi, poi si girò verso il manichino e mise la mano sinistra sulla gobba del manichino e ripeté a bassa voce: miracolo, gobbo, sarto, si avvicinò al campionario delle stoffe, prese una pezzuola tra le mani e l’accarezzò, poi usci e si recò al botteghino del lotto. Dopo un lungo colloquio con il gestore del botteghino sentenziò:

- Giocatemi un terno secco su Palermo e Napoli.

- Ditemi i numeri.

- La gobba!

- Uomo o donna?

- Uomo!

- 57

- Sarto!

- 9

- Miracolo!

- 54

- Siete sicuro?

- Sicurissimo!

- Allora giocatemi pure una cartella per tutte le ruote! Lo confido solo a voi, i numeri me li ha dati Sebastiano il sarto, ma vi raccomando, non ditelo a nessuno!

La signora ritirò i tre tagliandi, pagò le giocate e le infilò nella scollatura, poi ripassò da Sebastiano, con una scusa entrò, ritoccò la gobba del manichino e infilò la mano nella scollatura per trasferire la fortuna alla sue giocate, poi uscì quatta quatta e si infilò in uno dei vicoli.

Il venerdì successivo vennero estratti i numeri 57  il gobbo – 9 il sarto – 54 il miracolo, sulla ruota di Palermo. Il gestore del botteghino era stato tanto riservato che l’intera cittadina aveva giocato il terno. La sartoria fu invasa dai curiosi, ma soprattutto da quelli che non avendo giocato volevano accattivarsi la sorte carezzando la gobba del manichino. Sebastiano allora decise di sistemare fuori dalla porta i due manichini tutte le mattine e rientrarli la sera. La bottega era diventata un luogo di culto, toccata, smorfia e giocata, anche se il terno non usci mai più.

Il tempo passò e un giorno la saracinesca della bottega rimase abbassata, i manichini all’interno e l’insegna spenta.
 Nel pomeriggio un lungo corteo accompagnò al cimitero la salma di Sebastiano. Il botteghino ricevette un’enormità di giocate, tutti ambi sulla ruota di Palermo 57 il gobbo e 47 il morto, il venerdì successivo uscì l’ambo secco sulla ruota di Palermo. I cittadini si convinsero che Sebastiano aveva voluto regalare loro un ultimo dono, oltre al suo gioioso sorriso di tutti i giorni. 



Il comune dedicò una via al gobbo e chiamò la strada della bottega “ Via Sartoria del Gobbo”.

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