domenica 12 ottobre 2014

I FANTASMI ASSASSINI - (Racconto breve) 12 Ottobre 2014




Mario Scamardo


I Racconti del Borgo



I FANTASMI ASSASSINI



Villa Grosso era disabitata da almeno un trentennio, situata al centro di un immenso giardino sempre curatissimo e sempre fiorito, era recintata da muri e cancellate. Vi avevano accesso soltanto Anselmo il giardiniere e Adelina, la di lui moglie. La coppia abitava da sempre l’appartamentino a piano terra sul retro della villa e accedeva dall’uscita secondaria, diametralmente opposta al cancello principale.

Anselmo e Adelina erano persone riservate, uscivano, uno alla volta, per fare la spesa, le commissioni, andare a messa e poi passavano la loro giornata a curare li giardino, sempre fiorito, sempre in ordine. Nessuno mai era entrato da trent’anni circa e i proprietari, che abitavano in altro quartiere al lato opposto della città, ricevevano ogni primo giorno del mese la visita di Anselmo.



Una notte di novilunio i vicini si affacciarono dalle finestre e dai balconi, perché si sentì un assordante frastuono e tutti notarono che la villa era illuminata, poi un vocio che man mano si attenuò e, quindi, il silenzio e l’affievolirsi delle luci fino allo spegnersi. Che succedeva nella villa? Mistero! Il mattino seguente Anselmo era lì, nel giardino come al solito, potava, sistemava aiuole, e Adelina tagliava i fiori appassiti. I vicini curiosavano e, passando davanti al cancello principale, si soffermavano, sbirciavano, cercavano di cogliere qualcosa di insolito. Sembrava che i due ospiti della villa non si fossero accorti di nulla, strano, molto strano, il frastuono era stato tanto da fare affacciare tutta la gente del circondario, e poi quelle luci accese che non s’erano viste da un trentennio.



 All’ angolo della strada piccoli capannelli di persone commentavano sotto i grandi platani stracolmi di storni, a rischio di essere ricoperti dalle loro deiezioni; poi lo stridere dei freni del tram che portava tutti via. Una mattina Anselmo infilò la chiave nel lucchetto del cancello principale, diede l’olio ai cardini e, prova e riprova, riuscì ad aprirlo, ramazzò e con l’aiuto di sua moglie pulì lo scarrozzo, lo liberò dalle erbacce, dalla foglie secche e raschiò con una paletta il muschio di trent’anni. La gente dei dintorni si meravigliò, il ricordo del cancello aperto era per pochi, mentre i più giovani l’avevano visto sempre chiuso ed una anziana signora che si apprestava a prendere il tram chiese ad Anselmo:

-         Ritornano a vivere qua i proprietari?

-         Non so signora, io ho avuto ordine di aprire solo il cancello e di pulire lo scarrozzo.

-         Mi ricordo di donna Laura, bellissima, elegantissima e tanto perbene, ha la mia stessa età, sessantadue anni, frequentavamo la stessa classe alle elementari, suo padre, la buonanima di don Castrenze veniva tutti i giorni ad accompagnarla a scuola con una Balilla di colore nero, poi ritornava a riprenderla all’uscita, mandava via il suo autista e a piedi la riportava a casa. Poi, dopo il matrimonio di Laura, la brutta notizia, don Castrenze e la buonanima di sua moglie, donna Lucrezia, trovati in una pozza di sangue su, in soffitta. Donna Laura, straziata dal dolore andò via con il marito da questa casa. Non è più ritornata, eppure, io ho sempre immaginato che qualcuno, oltre a lei e a sua moglie, ha abitato questa villa che io guardo sempre, il vento scosta le tende? Luci ed ombre dietro le vetrate saranno i giochi di qualche raggio di sole? Chissà, ma io ogni tanto fantastico!

-         Trent’anni addietro, dopo i funerali di don Castrenze e donna Lucrezia, la villa si è serrata, anche il cancello non è stato più aperto, io e mia moglie entriamo dal retro e, non abbiamo mai visto nessuno né sentito nulla.

La signora anziana abbozzò un sorriso, fece un cenno di saluto con la mano e si diresse alla fermata del tram che era all’angolo.

La voce circolò nel quartiere e dalle finestre, a turno, qualcuno si affacciava per vedere se persone varcavano quel cancello. Nessuno fino a sera si introdusse nella villa, il cancello venne richiuso e il mattino seguente venne riaperto da Adelina che spazzò il vialetto ed il marciapiedi, poi, alla spicciolata, arrivarono una diecina di donne, in seguito un furgoncino con scope e secchi e l’idraulico. Per due giorni fu un crearsi di capannelli alla fermata del tram e uno sbirciare continuo tra le sbarre dell’inferriata, qualcuno andava alla fermata anche senza avere la necessità di spostarsi, solo per potere ascoltare i commenti o per fare domande ad altri curiosi. La domenica Adelina e Anselmo si recarono assieme a messa, al ritorno, panno, una crema e olio di gomito,  lucidarono gli ottoni alla porta, quelli al cancello e fecero diventare lucida la piccola campana in bronzo attaccata all’ingresso della villa, cambiarono la cordicella e, dopo tanto tempo, il piccolo batacchio dondolò ridandole voce. All’imbrunire il cancello venne richiuso e la villa si illuminò a giorno, tutte le finestre rimasero illuminate e, dietro le tende, qualcuno giurò di avere visto sagome umane muoversi per tutta la notte. Alle otto del mattino seguente Anselmo riaprì il cancello ed una vettura scura lo attraversò, l’architetto Vittorio Balsamo e donna Laura Grosso anch’essa architetto,  scesero dall’auto mentre Adelina e il marito si occuparono dei bagagli. Un giro per il giardino e poi sottobraccio varcarono il portone.  Donna Laura, ad onta della sua età, era una bellissima donna dal portamento elegante che dimostrava almeno due lustri in meno, sempre in ordine e di pochissime parole. Il marito, due anni in più di lei, era un signore distinto, molto noto per la sua professione era sempre in attività, ambedue si erano occupati da anni di arredamento e moda. La soffitta era stata trasformata in studio dove i due trascorrevano buona parte del tempo. Automobili, furgoni, attraversavano parecchie volte il cancello e talvolta vi sostavano fino a tarda ora. Un sabato pomeriggio donna Laura e il marito si misero in macchina ed uscirono dalla villa, forse una cena fuori. I curiosi stavano sempre a sbirciare dalle finestre, la villa rimase tutta illuminata e qualcuno notò sagome umane, tante sagome, e i più anziani pensarono subito ai fantasmi dei genitori di donna Laura che si diceva si fossero suicidati contemporaneamente proprio in quella soffitta; se la storia del suicidio fosse stata vera i giornali dell’epoca l’avrebbero riportato, tutto passava di bocca in bocca per sentito dire. La voce sui fantasmi circolò di pianerottolo in pianerottolo e le imposte d’intorno si illuminarono e tutti puntarono gli occhi sulla villa, e tutti notarono che Anselmo e Adelina erano sulla porta della loro abitazione a godersi il fresco di una sera d’estate. Tutti restarono attaccati a finestre e balconi, fino a tarda notte, aspettarono il rientro dei proprietari, e la scena dietro le tende della soffitta si animò, due o tre sagome si spostarono, e qualcuno giurò che una delle sagome era quella di donna Lucrezia, stessa andatura di quando era viva, stesse movenze, che abbracciava un uomo e a quest’ultimo cadeva la testa rotolando per terra. Poi il buio in soffitta, mentre rimasero accese solo le luci del giardino.

La fermata del tram si trasformò il mattino seguente in un enorme salotto dove qualcuno testimoniava movimenti strani, vocii e cicalecci, decapitazioni e, man mano che i commenti montavano, scorreva il sangue a fiumi sui pavimenti ed esseri sgraziati avevano movenze demoniache. Anche quando il tram si fermava, in pochi salivano e qualcuno che passando vedeva la folla e chiedeva chi scioperasse e con quali rivendicazioni, veniva trattenuto ed informato sui fantasmi della villa. Si formò un comitato di pensionati col compito di controllare i movimenti della villa, giorno e notte e, soprattutto, se qualcuno portava fuori i cadaveri, e come nelle migliori storie dell’horror, i sospetti caddero sui custodi della villa Anselmo e Adelina. Tutti li guardarono torvi e tutti fecero scongiuri passando davanti al cancello. La voce arrivò a don Rosario, il curato della parrocchia del quartiere, che ascoltò attento i parrocchiani per più giorni e, dopo aver recitato con tutti un rituale che scaccia i demoni, si preoccupò di informare il suo vescovo. Tutti parlavano di fantasmi assassini, tranne i quattro che abitavano la villa. Il vescovo consigliò al curato di fare una visitina alla villa, con la scusa delle benedizioni delle case, e constatare di persona su eventuali sviluppi.

Il mattino seguente don Rosario indossò cotta e stola, calzò il suo tricorno, prese l’aspersorio e si recò alla villa. Anselmo e Adelina erano assidui fedeli e quando lo videro arrivare corsero a baciargli la mano.

-         Cristo regni don Rosario.

-         Sempre! Anselmo.

-         Qual buon vento vi porta da queste parti?

-         Sto passando per tutte le case del quartiere a benedirle e sono passato anche da voi, i signori sono in casa?

-         Certo! Vi faccio annunciare. Adelina, per favore, avverti donna Laura che c’è il signor curato.

Adelina si recò al grande portone e di li a poco ritornò:

-         Don Rosario, accomodatevi, la signora vi aspetta in salotto.

-         Grazie, poi benedirò anche la vostra casa ed il giardino.

Adelina lo accompagnò al portone e invitò ad entrare il curato. Donna Laura gli andò incontro, lo salutò e lo fece accomodare su una poltrona. Non si tolse il tricorno don Rosario, ma nessuno ci fece caso.

-         Reverendo, Adelina mi ha detto che benedite le case, sono davvero contenta, non entrava un sacerdote in questa villa da tanto tempo, trent’anni o giù di lì, chiamo Adelina per farci preparare un caffè, consentitemi poi di chiamare mio marito che è nello studio, su in soffitta.

Donna Laura ritornò di li a poco in compagnia del marito, don Rosario si ricordò di togliersi il tricorno e dopo le presentazioni arrivò Adelina con un vassoio,  una caffettiera fumante e le tazzine. Donna Laura si informò sull’orario delle messe e, se ancora fosse in uso la processione di Santa Cecilia, protettrice dei musicisti del ventidue novembre.

-         Lei è devota di Santa Cecilia?

-         Mia madre lo era, lei suonava il piano, il ventidue novembre di ogni anno osservava il digiuno e si recava alla processione.

-         Santa donna, Dio l’abbia in gloria. E’ da molto che riabitate la villa, architetto?

-         Reverendo, sono appena una diecina di giorni, di solito noi andiamo alla messa vespertina, ma se abbiamo la domenica impegnata, allora in chiesa ci rechiamo il sabato.

-         Bene, vi aspetto allora, consentitemi di compiere il mio ufficio, benedico un po’ di case al giorno.

-         Prego reverendo, mia moglie vi accompagna per la villa, ora scusatemi, io ritorno nel mio studio, purtroppo ho urgenza di tagliare due colli e di rifilare quattro braccia. A presto.

La signora si avvicinò ad un mobile, aprì un cassetto, prelevò due grosse banconote e le consegnò al  sacerdote:

-         Sono per i bisognosi.

-         Grazie signora, Dio gliene renda merito!

Vittorio fece un inchino e imboccò le scale che lo portavano in soffitta. Il curato fece un’espressione da terrorizzato, calzò il suo tricorno, baciò la sua stola e tirò fuori dalla tasca della tunica l’aspersorio, aprì il breviario e seguendo donna Laura asperse ogni angolo della casa, poi guardò la scala che portava in soffitta, recitò una lunga preghiera, si segnò e si fece accompagnare all’uscita dove lo attendevano Adelina e suo marito.



Non disse una parola quando uscì dalla villa don Rosario, raggiunse la sua chiesa e si gettò in ginocchio davanti all’altare maggiore a pregare. L’architetto andava a tagliare due colli e a rifilare quattro braccia. Pensò che la sua soffitta fosse un mattatoio, ma ebbe il dubbio che Vittorio Balsamo, informato delle dicerie sui fantasmi, si fosse burlato di lui. La signora gli era sembrata una buona devota e poi, l’impegno a recarsi a messa tutte le domeniche, la sua offerta generosa e la devozione della madre per Santa Cecilia. Si segnò e si preparò per la funzione, mentre i fedeli cominciavano ad occupare i banchi. Andò a letto dopo cena don Rosario, il sonno non lo colse e rivestitosi percorse in bicicletta i cinquecento metri che lo separavano dalla villa, poggiò la bicicletta all’inferriata e puntò gli occhi alle finestre illuminate della soffitta. Sagome umane, tante, due senza testa, tante senza braccia, poi qualcuna di loro si mosse, si avvicinò ad un’altra e staccò la sua testa deponendola su un tavolo. Un uomo con in mano un paio di grosse forbici girava attorno al tavolo, forse per tagliuzzare in parti minute lingua, viscere…. Quella casa era infestata di fantasmi pensò, fantasmi assassini! Demoni!... E l’architetto? Convivere coi fantasmi è diabolico! I suoi fedeli avevano visto giusto! Fantasmi assassini! E le vittime? Si, le vittime!... La testa del religioso andò in pallone e l’unica cosa che gli venne in mente fu quella di passare il mattino seguente dal commissariato di polizia. Lo stridere improvviso dei freni del tram lo fece sobbalzare e sperò che a quella fermata scendesse qualcuno, ma il tranviere richiuse la bussola e ripartì vuoto per il suo cammino. Montò in sella e ritornò in canonica per mettersi a letto. Alle sette del mattino seguente, dopo la prima messa, si recò al commissariato di zona e raccontò sulla villa, sulla sua visita, sulle decapitazioni e le amputazioni. Il commissario lo ascoltò pazientemente, appuntò tutto in un foglietto e rassicurò il religioso che avrebbe indagato e gli avrebbe fatto sapere. Due agenti sorvegliarono la villa e di sera notarono due sagome di corpi deposti su due tavoli che venivano ricoperti con teli da due figure una maschile ed una femminile. Furono fermati per un controllo di routine due furgoni che al mattino seguente uscivano dalla villa, ma erano vuoti, avevano scaricato soltanto stoffe e carte per modelli. Nessuna denuncia, nessuna scomparsa, nulla di nulla, ma il mistero continuava ad avvolgere la villa. Una settimana dopo comparve sul giornale un annuncio, una nota casa di moda esponeva a Villa Grosso le sue nuove creazioni sotto la direzione artistica degli architetti Laura Grosso e Vittorio Balsamo. Furono diramati gli inviti compresi quelli per il commissario di PS di zona e per il parroco. Non mancarono fotografi e giornalisti e non mancò qualche vicino. Fu allestito un grande buffet nel giardino e quando tutto fu pronto, Anselmo tirò la cordicella della piccola campana e venne spalancato il grande portone. Oltre cento manichini sparsi per tutto il piano terra ed altri ancora, proprio accanto alle finestre dello studio in soffitta, per potere sfruttare gli effetti della luce che veniva dall’esterno. I coniugi Balsamo avevano realizzato i modelli, e avevano vestito più di centocinquanta manichini, sostituendo teste, braccia, gambe, parrucche, affinché i modelli da loro creati potessero avere la giusta collocazione. Commissario e curato si guardarono in viso, e scoppiarono in una interminabile risata.


-         Commissario, i fantasmi assassini erano nelle nostre teste, e in quella di quanti con la fantasia hanno fatto lievitare un fenomeno che non è mai esistito, e siccome un sacerdote non può mentire, non le nascondo che non ho dormito sonni tranquilli!

-         Don Rosario, ritorniamo in giardino e, in barba ai fantasmi, andiamo a prenderci un paio di Martini!






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