giovedì 13 marzo 2014

IL CASTAGNETO DEGLI GNOMI - (Favola) - 13/marzo/2014
















 Non c’è economia capace di sostituirsi alla morale, quella morale, che pretende che i figli abbiano come precettori i genitori, i nonni, e molto più ampiamente i grandi e i sapienti.




Tratto da Il Favoliere – Cucù e le sue storie
di Mario Scamardo e Sara Riolo

Il castagneto degli gnomi


         Dopo le prime piogge, tutti andavano con grossi cesti a raccogliere funghi nel bosco di Pian delle Castagne, e appena i ricci cominciavano ad aprirsi, lasciando cadere a terra i frutti, stuoli di ragazzi, arrivati in bicicletta o con qualunque altro mezzo, si sparpagliavano tra i grossi tronchi e ne raccoglievano a sacchi.





         Appena addentrati nel castagneto, una radura si apriva ai raggi del sole per mettere in luce i resti di un bouleterion: una ex sala del consiglio di una antica città greca, i cui resti erano seppelliti sotto le radici del castagneto. Il bouleterion, in confronto con altri siti archeologici, non era una piccola cosa, poteva contenere, in cinque ordini di gradini rimasti a testimonianza, un centinaio di persone, per cui, facendo le dovute proporzioni con i reperti greci dello stesso periodo, la città doveva ospitare all’incirca trentamila abitanti, quindi tra cinque e seimila famiglie.




         Accanto alla radura passava un ruscello su terreno pianeggiante, formando un piccolo acquaio ricco di vita e cosparso di tanti sassi affioranti, tanti da dare l’impressione che fossero stati collocati lì apposta per farvi saltellare i ranocchi e far sì che alcune tartarughe potessero crogiolarsi al sole. Lo stagno era meta di tutta la fauna del bosco per l’abbeverata, e a tutte le ore si poteva assistere all’arrivo impettito di grosse papere seguite da nidiate di paperini goffi che in acqua, come d’incanto, diventavano eleganti e armoniosi. Tutt’attorno leprotti, merli, ricci, conigli, tortore, volpi in agguato tra i giunchi, e sui rami di noce selvatico due allocchi facevano l’occhietto aspettando il calar delle ombre, per ghermire i topini campagnoli in cerca di semi sotto un pallido raggio di luna piena.




         I tronchi cavi dei castagni secolari sembravano essere stati messi lì apposta per consentire di ripararsi in caso di pioggia o di grandine, così come spesso si verificava all’avvento dell’autunno, proprio quando castagne e funghi erano pronti ad essere raccolti.

         I ragazzi del paese vicino avevano scelto il castagneto come luogo per i propri giochi. Nelle giornate d’estate si riunivano proprio nella radura, e avevano di che passare il loro tempo tra la pesca nello stagno, il rincorrersi tra i filari di olmi che ne segnavano la viabilità e l’infilarsi dentro i mille tronchi cavi, ripetendo il vecchio rito del nascondersi e ritrovarsi.

         Un giorno i ragazzi, circa una quindicina, presero posto sui gradini del bouleterion e, come avveniva tremila anni prima, decisero di eleggere tra loro un capo e di usare, tutte le volte che c’era da discutere qualcosa, quella antica sala del consiglio che se ne stava proprio nel bel mezzo della radura a testimoniare antichi splendori e antiche sapienze. Da quel giorno, tutti i pomeriggi, le gradinate del bouleterion furono occupate dai ragazzi.

         Era un gioco anche quello di imitare i grandi nelle discussioni importanti e nelle eventuali decisioni, tutto veniva stabilito a maggioranza, applicando le più avanzate regole della democrazia! I ragazzi scelsero un posto tra gli spalti del bouleterion e lo contrassegnarono con sassi dalle forme particolari e talvolta colorati.




         Una mattina arrivarono tutti assieme, posarono le loro biciclette e fecero per sedersi, ma tutti restarono stupiti: sotto il sasso segnaposto di ognuno c’era una pezzuola di disegno e colore diverso. Chi era stato? Mah… Non vennero a capo di nulla, mentre tutt’intorno si cominciarono a sentire risatine di scherno, scricchiolii, rumori, e i rami più bassi degli alberi cominciarono insolitamente a muoversi. I ragazzi ammutolirono, si guardarono negli occhi ed ebbero un’intesa tra loro, quella di non aver paura. Giorgio, un ragazzo quindicenne che era stato eletto a capo della comitiva, fece segno a tutti di  sedere e disse: <<Nessuno abbia paura, in questo bosco non ci sono animali feroci, non ci sono serpenti velenosi. Non è abitato da nessuno.>> Ad onor del vero, si vedevano circolare solo le guardie forestali e gli addetti a prevenire gli incendi; quindi, ricordando che nessun genitore aveva mai proibito l’accesso al bosco, bisognava starsene tranquilli.

         D’un tratto le biciclette appoggiate ai grossi tronchi cominciarono a cadere, una dopo l’altra, e si sentì un suono di campanelli, prima rado, poi intenso… Poi il silenzio più assoluto.

         Francesca, la ragazza dai capelli rossicci ondulati, portava un paio di occhiali con vetri molto spessi. Mentre ascoltava, Giorgio, che lamentava la scarsa attenzione che il padre prestava al suo bisogno di dialogo, sentì sfiorarsi i capelli e vide sulla sua gonna cadere una pezzuola, uguale a quella trovata sotto il suo sasso segnaposto. Non disse nulla Francesca, trattenne quasi il respiro quando un esserino dalle sembianze umane, non più alto di due spanne, con una barbetta che gli avvolgeva il mento, si materializzò accanto a lei. Portava un giubbino proprio in morbido panno amaranto con due piccoli strappi di stoffa mancante, un paio di scarpine a punta con i campanellini, un pantalone rosso di panno e un cappello a cono dello stesso colore del pantalone, in cima ad esso in vistoso <<bon bon>> di lana gialla. Il colletto era come una corolla di un enorme fiore, in punta ad ogni petalo un campanellino d’argento tintinnava ad ogni movimento dell’esserino. Francesca sorrise ed il piccolo essere dalle sembianze umane sorrise a sua volta e batté le manine allegramente.

         Quando la ragazza si portò in fondo alla radura, anche l’esserino si spostò con lei. Strano, nessun altro ragazzo si era accorto di nulla, nessuno aveva visto l’esserino. Quando furono fuori dalla vista dei ragazzi, Francesca gli chiese: <<Chi sei?>>

         L’omino dai campanellini rispose: <<Non aver paura, io sono Lilio, sono lo gnomo anziano del posto, sono quasi tremila anni che mi trovo in queste vicinanze, vivo in questo castagneto con altri gnomi. Da sempre ho assistito allo scetticismo di quanti, sentendo parlare della nostra esistenza, si sono burlati di chi l’ha sostenuta. Davanti allo scetticismo, nessuno può imporsi, e i secoli scorsi hanno tutto mitizzato e tutto dissacrato, per cui noi gnomi abbiamo preferito allontanarci dagli uomini, isolandoci in questa città fatta di tronchi cavi e di silenzio. Ogni uomo dovrebbe avere uno gnomo accanto, che nasce con lui e può scegliere di morire con lui, ma può anche scegliere di non morire e di farlo solo quando, non contento del mondo in cui si evolve il bene, decide di cessare la sua esistenza facendo tre dispetti consecutivi alla fata che gli è più cara. Essa intuisce la volontà dello gnomo, se lo pone tra le braccia e come un bimbo l’addormenta cullandolo, lo deposita, a sua volta, nel nido vuoto di una cicogna su uno dei comignoli di una baita di montagna.>>

         Francesca non batté ciglio, ascoltò lo gnomo affascinata e mentre stava per chiedergli qualcos’altro lo vide indietreggiare verso un vecchio tronco e sparire come d’incanto. La ragazza tornò sugli spalti del bouleterion, come se niente fosse accaduto, e aspettò che tutti i suoi compagni fossero pronti a sollevare le biciclette da terra e a ritornare in paese.

         Tornata che fu a casa sua, la ragazza miope dagli occhiali spessi, e dai capelli rossicci ondulati, si rinchiuse nella sua stanzetta e tentò di far mente locale su quanto aveva vissuto nella radura del castagneto, cercando di capire se lo gnomo Lilio, con il giubbino color amaranto con due piccoli strappi, fosse sortito dalla sua fantasia o se davvero Pian delle Castagne, con i suoi tronchi cavi, fosse la città degli gnomi. Infilò la mano nella tasca della gonna e tirò fuori la pezzuola di panno amaranto che lo gnomo le aveva fatto cadere sulle ginocchia.

          Quando Francesca maturò il proposito di parlare con i suoi genitori e fece per alzarsi dal letto su cui era seduta, sentì un campanellino dal suono argentino e vide muovere la sua vecchia bambola, che aveva trovato posto da tempo sulla scrivania; Lilio le apparì proprio accanto allo zainetto dei libri sistemato in un angolo e ridacchiò. Francesca, sorpresa, gli chiese perché era svanito nel bosco e perché si trovava ora nella sua stanza.



         Lilio si fece serio, la invitò ad ascoltarlo, poi saltò sulla sedia di fronte al lettino, si aggiustò il cappello e disse:<<Bambina mia, tra tutti i tuoi amici, tu sei quella che meno si impressiona vedendo che c’è un mondo parallelo di gnomi, non sei tanto scettica e la tua semplicità e la tua tenerezza mi hanno convinto a palesarmi e a tentare di riprendere il dialogo con gli uomini. Il consiglio degli gnomi, che occupa gli stessi posti di voi ragazzi là nella radura, tanto che anche noi li abbiamo contrassegnati con brandelli dei nostri corpetti, ha deciso che attraverso voi ragazzi possiamo arrivare al cuore di tutti gli uomini volenterosi. Tu domani ti alzerai in consiglio e piglierai la parola, parlerai del nostro incontro e del nostro dialogo, e siccome tutti hanno grande stima di te, ti ascolteranno con interesse e vorranno incontrarsi con gli gnomi. Non parlarne, al momento, con i tuoi genitori, non ti capirebbero e potrebbero vietarti di salire su nel castagneto. I genitori non sono più quelli di una volta, in una società ormai del tutto figlia dei mezzi di comunicazione di massa, non c’è più tempo per le fiabe, e voi ragazzi, che siete l’unico terreno fertile affinché le fiabe rivivano, dovete diventare, nel rispetto dei ruoli, i rieducatori dei vostri genitori>>.

         Francesca alle parole dello gnomo assentiva, sul suo viso era chiaro il segno che aveva capito.

         Lo gnomo continuò:<<Domani, dopo che avrai parlato, io mi farò vedere accanto a te e chiamerò tutti gli altri gnomi, essi si siederanno accanto ai tuoi amici proprio dove hanno depositato il loro segnaposto con un brandello di stoffa. Poi, tutti assieme affronteremo il discorso sul modo di far ritornare i genitori così come erano una volta, capaci di inventarsi una fiaba al momento giusto.>> Lilio scese dalla sedia, fece tintinnare i suoi campanellini, strizzò l’occhio e scomparve.

         Il mattino seguente, quando i ragazzi si ritrovarono nel castagneto, dopo aver preso posto sugli spalti, ognuno nel posto contrassegnato dal proprio sassolino, Francesca chiese di parlare e raccontò del suo incontro con lo gnomo, notando che tutti la guardavano incuriositi. Finito il racconto, Giorgio, il giovane capo, chiese a Francesca:<< Perché da noi non si sono fatti vedere?>> La ragazza non rispose, si guardò attorno e cercò con gli occhi il suo gnomo Lilio, lo scorse accanto alle biciclette e sentì i campanellini, poi lo gnomo le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio qualcosa.

         Francesca si alzò e disse:<< Amici miei, chiudete gli occhi, e quando li riaprirete non abbiate nessun timore.>>

         I ragazzi si alzarono anch’essi, chiudendo gli occhi, e quando Francesca batté le mani li riaprirono e notarono, con somma meraviglia, che accanto ad ognuno c’era uno gnomo, col cappello rosso a forma di cono e in cima un campanellino; le scarpette nere con le stringhe rosse portavano in punta due campanellini, ed il giubbino era dello stesso colore della pezzuola segnaposto, con un lembo mancante. Gli gnomi se ne stettero muti fino a quando Francesca chiese di parlare.

         Così spiegò all’intero gruppo la titubanza degli gnomi a farsi vedere, dovuto allo scetticismo che gli uomini hanno nei confronti dell’esistenza dei meravigliosi esserini carichi di saggezza e buona volontà, poi disse a Giorgio che Lilio, il capo degli gnomi, aveva scelto il posto accanto a lei, perché per prima aveva desiderato che queste esistenze parallele potessero essere palesi, ed ogni essere umano potesse avere l’opportunità di valersi del loro aiuto.

         Lilio parlò dal suo posto in cui si trovava: << Ragazzi, la vostra amica Francesca è stata abbastanza chiara, il problema che affligge voi ragazzi è il dialogo sempre più carente con i genitori. Nessuno vi ha raccontato una fiaba, papà e mamma ritornano stanchi dal lavoro, i nonni sono sempre più destinati a non assolvere al ruolo più bello, quello di dedicarsi ai nipotini, portarli a spasso, raccontare le favole e dare loro, oltre all’amore, la saggezza frutto di esperienza. Certamente tutto ciò non è possibile farlo dalle case di riposo in cui la società moderna li ha relegati, trasformando il loro ultimo tempo, anziché nella gioia di rivivere attraverso le nuove generazioni, in una rinunzia alla vita, che porta via con se pezzi di cultura e di sapienza che non si trovano quasi mai sui libri. Fra i pellirossa d’America, quando chiudeva la vita un vecchio capo per le tribù era come se si fosse incendiata una biblioteca. Noi gnomi e voi ragazzi abbiamo ora un compito: far si che tutti ritornino al loro vero ruolo. Non sempre i grandi hanno ragione: dimenticano che la vita senza sogni non è degli uomini, perché il sogno è speranza e fantasia e non si può fare a meno né dell’una né dell’altra.>>

         Gli gnomi batterono le piccole mani per applaudire Lilio; di tutti i campanellini, se ne sentì il tintinnio; anche i ragazzi applaudirono e, quando fu silenzio, lo gnomo barbuto riprese: << Ogni domenica, ognuno di voi avrà il compito di far raccontare una fiaba ai propri genitori. Il vostro gnomo personale sarà invisibile al vostro fianco, ad ispirarvi tutti: Il bouleterion sarà il vostro punto di incontro, per ascoltare le fiabe più belle dell’infanzia.>>

         La domenica mattina la radura si andò popolando di ragazzi e genitori con i loro cestini della colazione e tutti cominciarono a prender posto sugli spalti.

         Si sentiva il gracidare delle rane nello stagno e i fischiettare dei merli, mentre l’allocco, sul vecchio ramo di noce selvatico, faceva a scatti l’occhietto a qualcosa che si muoveva sul prato.

         Quando tutti furono seduti, Francesca e Giorgio chiesero ai genitori di raccontare la favola che meglio ricordavano della loro infanzia.

         La mamma di Francesca cominciò così: << C’era una volta una fata bellissima seduta in riva a un ruscello, da tre giorni cullava un piccolo gnomo, e poi, e poi… >>

         La mamma di Francesca non ricordava più, non poté continuare, ma si sentì una vocina accompagnata dal tintinnio dei campanelli che disse: << … e dopo tre giorni il piccolo gnomo non si addormentò, perché la fata, distratta, l’aveva preso in braccio appena dopo il secondo dispetto …>> e accanto a Giorgio si materializzò lo gnomo Lilio, e poi, ad uno ad uno, tutti gli altri.

         Lilio proseguì la narrazione: << Quindi, il piccolo gnomo non poteva morire, la fata capì che non era stata attenta a seguire i dispetti del piccolo gnomo, era troppo intenta a pensare di abbellire la sua dimora e ad arricchire la sua dispensa per ospitare a tavola altre fate e maghi, quindi, senza possibilità di ripensamenti, stava per far morire lo gnomo innanzitempo. Le fate sovrintendono alla vita degli gnomi ed alla loro incolumità e formazione, così come i genitori nei confronti dei figli. Nulla può distrarre un genitore da quelle che sono le regole del gioco, non devono esistere interessi più grandi. Nessun genitore deve mettere in braccio il proprio figlio quando non è arrivato il tempo, le negligenze creano incomprensioni, mancanza di dialogo, arresto della crescita intellettuale e dei sentimenti. Non c’è economia capace di sostituirsi alla morale, quella morale, che pretende che i figli abbiano come precettori i genitori, i nonni, e molto più ampiamente i grandi e i sapienti. Questi ragazzi oggi ci stanno dando, nel rispetto dei ruoli, una grande lezione, stanno rigenerando la salute della famiglia. La salute è una fortuna che permette il lusso della malattia che può e deve essere curata, come sono riusciti a farlo i nostri ragazzi.>>

         Allora gli gnomi applaudirono, anche i genitori applaudirono e tenendosi tutti per mano formarono una grande catena attorno al bouleterion.



         Dal bosco gli uccelli e le rane, come una grande orchestra, intonarono una musica, e un gioioso girotondo di gnomi, di bambini e genitori, cominciò a girare sempre più svelto, tra le grida festose di tutti.




Grazie per averla letta, spero vi sia piaciuta, se volete, lasciate un commento. 
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