venerdì 6 settembre 2013

LA DAMINA DELLA CASA NORMANNA - FAVOLA









Le favole sono indirizzate ai bambini, ma le leggono i grandi. Un fanciullino impara spesso più da una favola, che fissa alla mente, che da altro. Che mamme, papà, nonni, ritornino a raccontare le favole ai bambini, stuzzicheranno la loro fantasia ed il loro immaginario e perderanno più in la nel tempo la loro innocenza.


[Tratta da IL FAVOLIERE (Cucù e le sue storie)
di Mario Scamardo e Sara Riolo
Edizioni ila palma

La damina della casa normanna

     Nella vecchia soffitta della casa normanna bisognava muoversi con accortezza, altrimenti si rischiava di inciampare in una delle centinaia di casse, o ancor peggio, in uno dei tanti scatoloni legati con lacci e cordelle. Alcuni mobili antichi erano accostati alle pareti polverose e su di essi ancora scatoloni. Da chissà quante generazioni, tutto quello che era in disuso veniva portato in soffitta e là si copriva di polvere.


     Un vecchio pupazzo di stoffa aveva perduto le braccia, guardava fisso un cavallo a dondolo senza coda che spuntava sopra un vecchio armadio, ed era là per là per cadere su una cassapanca chiusa con due enormi lucchetti.


     Il vecchio stabile era al di là della strada, immerso nel verde; dal cancello si percorreva una stradina ricoperta di ghiaia che si fermava sotto il piccolo portico. Chissà perché, la chiamavano la casa normanna, forse perché costruita sulle rovine di un vecchio castello di cui si sapeva soltanto che era esistito. Si vedeva poca gente in quella casa, le finestre erano spesso illuminate e il prato tutt’intorno era ben curato; sul comignolo, la sagoma di un galletto in lamiera girava ad ogni alito di vento e faceva sentire un lieve stridore.
     Un giorno sul prato vidi una bambina con due trecce bionde e un vestitino color pesco. Era attratta da un balestruccio che stava costruendo il suo nido sotto una trave del portico. Mi fermai davanti all’ingresso e non capii se la mia curiosità riguardasse l’abilità con cui la rondinella costruiva il suo nido o la presenza della fanciullina nella villa. Avevo un grembiulino azzurro e portavo con me il cestino vuoto della merenda, ero uscito da scuola da poco, andavo in prima elementare.


     La bambina si avvicinò al cancello chiuso, e con la testa tra le sbarre mi disse: <<Io sono Rachele, tu come ti chiami?>>
     Titubai un po’, poi risposi: <<Mario mi chiamo, e sto tornando dalla mia mamma, io ho sei anni e vado a scuola.>>
     <<Anch’io ho sei anni,>> affermò la bimba, <<vado anch’io in prima elementare, ed anche mio nonno si chiamava Mario, ma io non l’ho conosciuto, è morto in guerra, appena dopo che è nata la mia mamma.>>
     Parlava bene Rachele, e chissà quante cose aveva imparato vivendo in una città, mentre io conoscevo solo la campagna dov’ero nato, e la strada, attraverso il giardinetto, che mi portava a scuola, e là, proprio in quella villa, non avevo mai visto nessuno tranne, qualche volta, le finestre illuminate.
     <<Tu ce li hai i nonni?>> mi chiese Rachele e attendendo la risposta sporse la mano attraverso l’inferriata del cancello ed aprì il mio cestino della merenda. <<E’ vuoto>> disse. <<Stai andando a casa da solo? Perché non ritorni più tardi a giocare con me? Su, vieni, lo dirò a nonna e lei ti aprirà il cancello.>>
     Una signora anziana si affacciò ad una delle grandi finestre e chiamò Rachele; la bambina si girò e disse: <<Vengo subito, nonnina, sto salutando il mio amico.>> Poi si rivolse a me, dicendo: <<Devo andare, sarà l’ora di pranzo, è la mia nonna, tu ritorna nel pomeriggio, ti mostrerò i miei giocattoli e ti farò conoscere la nonna, ciao.>>
     Si girò su se stessa, percorse la stradina di ghiaia bianca e scomparve sotto il portico.
     Attraversai il giardinetto al di là della strada e trovai la mia mamma sull’uscio che mi aspettava. <<Sai, mamma?>> dissi. <<Nella casa normanna, ho incontrato una bambina che si chiama Rachele, i suoi genitori l’hanno lasciata dalla sua nonna, perché son partiti; anche lei fa la prima elementare, mi ha invitato a giocare nella villa dopo pranzo.>>
     La mamma mi baciò sulla fronte, mi tolse dalle mani il cestino, mi spogliò del grembiulino e mi accompagnò davanti al bagno. <<Su, lavati le mani, insaponale per bene e poi vieni in cucina.>>
     Finito che ebbi di pranzare, mi piazzai davanti la finestra che guardava verso la casa normanna, cercai di scrutare attraverso le imposte per vedere se c’era qualcuno, notai le solite luci accese alle finestre, ma, come sempre, non vidi nessuno muoversi nella villa. D’un tratto squillò il telefono, mamma alzò la cornetta e dialogò a lungo contenta con la persona al di là del filo. Quando ebbe finito, mi chiamò e disse: <<Mario, ha telefonato la nonna della tua amichetta Rachele, desidera che tu vada a giocare un po’ con lei in giardino, io ho detto di si, ma prima siediti e ascolta.>> Fui preso da una certe frenesia: finalmente qualcuno con cui giocare, e finalmente l’opportunità di entrare nella casa normanna, sempre con gli usci serrati… Chissà quali misteri conteneva… Mi luccicavano gli occhi dalla gioia e fremevo per la curiosità. Gli unici bambini che vedevo li incontravo a scuola, loro abitavano un po’ troppo al di là del giardinetto che separava la villa da casa mia per poterli incontrare anche nel pomeriggio, e poi bisognava fare i compiti e farli vedere a mamma prima di andare a cena.
     Furono tante le raccomandazioni che mia madre mi propinò prima di farmi uscire, soprattutto una, quella di essere ossequioso con l’anziana signora, la mamma la conosceva bene, conosceva bene anche sua figlia, erano state compagne di scuola, ormai non la vedeva da parecchi anni, ancora prima che si sposasse e andasse a vivere in città. Mi diede l’ultima ravviata ai capelli, poi mi accompagnò fuori con un bacio.
     Rachele era sotto il portico con la nonna, il cancello era socchiuso ed io lo scostai pian pianino ed entrai, mi recai anch’io sotto il portico e mi inchinai goffamente davanti all’anziana signora.
     <<Tu sei Mario, ricordo quando sei stato battezzato, anch’io ero in chiesa,>> disse la signora sorridendo, <<assomigli tanto alla tua mamma quand’era bambina, anche lei giocava nel prato con mia figlia, la mamma di Rachele.>> Mi carezzò la guancia, poi disse: <<Giocate senza farvi male e, soprattutto, non uscite fuori dal cancello.>>
     Entrò in casa e chiuse l’uscio. Con Rachele ci raccontammo tutte le nostre vicende scolastiche. Parlammo dei compagni, della immensa città dove lei viveva, degli scoiattoli che attraversavano il giardinetto e delle giostre che vi si piazzavano in estate, quando la gente veniva a villeggiare sulla collina. Tirammo fuori da un grosso cesto tutte le sue bambole e quelle che erano state di sua madre. Il tempo sembrò trascorrere troppo veloce e fu subito buio. La signora ci fece entrare in un grande salone con tanti mobili e tante luci, e incuriosito guardavo ogni angolo per scoprire chissà quali misteri, suonò il campanello e dietro il cancello vidi mia madre che era venuta a prendermi.
     I giorni passavano ed io e Rachele diventavamo sempre più amici, ci si capiva ad un sol cenno. Di quella casa conoscevo ogni angolo, ma non capivo dove conducesse una scala a chiocciola in fondo ad un corridoio. Una mattina di domenica, lo chiesi a Rachele, e scattò in lei la mia stessa curiosità. Salimmo in cima alla scala, su un pianerottolo c’era una porticina, provammo ad aprirla ma era chiusa a chiave. <<Cosa può esserci di così importante per essere fermata a chiave?>> chiesi alla mia amichetta, e lei, senza perdersi d’animo, mi disse: << Lo scopriremo, la nonna fra poco andrà a messa e sul suo comodino c’è un mazzo di chiavi che non tocca quasi mai.>> Ci guardammo negli occhi e sorridemmo, eravamo pronti a commettere la prima marachella. Scendemmo piano piano la scala e nel salone recitammo la parte di chi era interessato a sfogliare i quattro libri di favole che la nonna il giorno prima ci aveva regalato.
     Non fu lunga l’attesa, l’anziana signora calzò guanti e cappello, abbottonò il soprabito e prima di uscire disse: <<Vado a messa, poi passerò dalla mamma di Mario, cercherò di far presto, se qualcuno bussasse al cancello non aprite.>> Dalla grande finestra notammo la nonna sulla strada, ci guardammo negli nocchi ed entrammo nella camera da letto a prelevare le chiavi dal comodino.
     In cima alla scala a chiocciola Rachele, con un filo di voce mi disse: <<Hai paura?>>
<<No>>, risposi.
     Aprimmo la porta della soffitta. Accendemmo la luce e fu tutto uno scrutare attorno. Rachele mi prese una mano e me la strinse. Un po’ di paura l’avevo, ma mi sforzai di non parlarne e mi avvicinai ad una grossa scatola di cartone, tirai il capo della cordicella che la legava e ne sollevai il coperchio. Io e Rachele salimmo sopra uno sgabello e guardammo dentro, ci sembrò che qualcosa luccicasse, era una scatolina con sei facce di vetro colorato. La prendemmo e la posammo sullo sgabello, alzammo il coperchio e, con nostra sorpresa, si sollevò dall’interno una damina che si mise a girare al suono di un carillon. Fu tanta la curiosità che decidemmo di abbandonare la soffitta, portandoci dietro la scatola.
     Giunti che fummo al piano di sotto, poggiammo la scatola su un tavolo e la riaprimmo: la damina risalì e ripartì il suono del carillon. Rimanemmo incantati davanti alla scatola e quando cessò la musica allungai la mano per chiuderla e riaprirla, ma sortì fuori una vocina: << Io sono la dama normanna, mi ha costruito un mago buono e mi ha dato il potere di esaudire tre piccoli desideri che possano rendere felici i bambini. Vi aspettavo, è tanto tempo che sono chiusa in soffitta.>>


     Rachele ed io ci stringemmo le mani e cominciammo a tremare, ma la vocina ci rassicurò: <<Non abbiate paura, io sono stata un giocattolo per le vostre mamme, così come ora lo sono per voi, potevo esaudire tre piccoli desideri, due li ho già esauditi, mi rimane l’ultimo da esaudire e posso farlo una volta ogni trent’anni. La prima volta ho esaudito il desiderio della nonna di Rachele; sessant’anni fa, aveva la vostra età, mi chiese un cesto di monete, e quando gliele feci trovare lei gioì, ma tutte le volte che qualcuno bussava alla porta, anche per chiedere l’elemosina, lei, per paura che gliele rubassero, le nascondeva. Nel tempo diventò avara e quando una bimba a scuola le chiese un soldino per la colazione, glielo negò. Quando arrivò a casa, corse al suo nascondiglio ma non trovò più il cestino con le monete, al suo posto trovò una ciotola piena di scarafaggi. Solo allora capì che quei soldini erano destinati a fare la felicità degli altri bimbi, se donati con amore, e non a far trionfare l’avarizia.>>
     Rachele mi strinse forte il braccio ed io, preso il coraggio a due mani, chiesi alla damina: << E le nostre mamme cosa t’hanno chiesto?>>
     La damina aspettò un poco e poi rispose: <<Le vostre mamme erano due belle bimbe, stavano intere giornate a giocare nel prato, qualcuno pensava che fossero una coppia di gemelle. Vestivano allo stesso modo, portavano due treccine e due fiocchi dello stesso colore del vestito ma, come voi, erano curiose e talvolta disubbidienti. Lassù in soffitta trovarono questa scatola, che la nonna aveva gettato in fondo ad una cassapanca; quando offrii loro l’opportunità di esprimere un desiderio, non stettero a riflettere e chiesero dolci e canditi, tanti dolci. Quella sera dormirono assieme, nello stesso letto dove dorme Rachele; erano rimaste impressionate da una scatola parlante, e fecero grandi sforzi per addormentarsi, aspettando che arrivasse un’interminabile fila di vassoi con tantissimi pasticcini alla crema, ma il sonno le colse. Era notte fonda, si spalancarono tutte le porte della villa e uno stuolo di fate pasticciere posarono enormi vassoi in quella stanza, financo sui pavimenti. Il mattino seguente le vostre mamme, appena sveglie, si diedero un gran da fare per consumare i pasticcini. Quando furono sazie fino alla nausea, nascosero quelli rimasti nei ripiani dell’armadio e dentro i cassetti. Le colse un gran mal di pancia, e ne ebbero per tre giorni a tracannare purghe e medicine…>>
     Io e Rachele ci mettemmo a ridere soddisfatti della punizione che era toccata alle nostre mamme per la loro ghiottoneria, poi dissi alla damina: <<Allora è preferibile che non esprimiamo alcun desiderio…>>
     La mia amichetta mi interruppe: <<No, io ce l’ho un desiderio e voglio che si esaudisca.>>
     La damina la interruppe e disse: <<Rachele, tu non devi volere, devi soltanto desiderare, parla, esprimi il tuo desiderio ed io lo esaudirò. Con questo terzo desiderio esaurirò il compito che il mago mi aveva affidato; dopo, potrò riposare su in soffitta, dentro la mia scatola di cartone. Siate accorti, esprimete un piccolo desiderio, tale che possa rendere felice ogni bambino, e soprattutto non siate egoisti, la felicità degli altri deve rendervi ancora più felici.>>
     Rachele ed io ci guardammo in faccia, pensavamo la stessa cosa. Chiusi gli occhi e chiesi alla damina normanna: <<Desideriamo che tanti balestrucci vengano a fare il nido sotto il portico della villa, e che la nonna faccia entrare nella villa tutti i bambini che passano, per poter vedere gli uccelletti e giocare senza incorrere nei pericoli della strada.>> Aprii gli occhi e vidi la damina che si abbassava dentro la scatola al suono del carillon, mentre il coperchio di vetro lentamente si chiudeva.
     Una vocina uscì fioca: <<Grazie, bambini, grazie>> e la scatola, come d’incanto, scomparve.
     Ci guardammo negli occhi e rimanemmo senza parole, Rachele ed io guardammo le nostre mani e le nostre ginocchia; erano sporche della polvere della soffitta. Uscimmo fuori nel prato e notammo, con tanta soddisfazione, che sotto il portico decine di balestrucci intrecciavano voli, mentre in fondo al viale di ghiaia bianca, la nonna stava rientrando Con lei c’era uno stuolo di bambini che venivano a giocare nella villa.


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