Mario Scamardo
L’attrazione fatale
Enrico
Capuana sin da ragazzo era stato un tipo sereno, senza tanti grilli per la
testa. Il padre, ferroviere, dopo due femmine, aveva festeggiato con spumante
l’arrivo del maschio, sembrava avesse raggiunto tutti gli scopi, e col passare
del tempo, si era reso conto che il Creatore lo aveva premiato donandogli
Enrico. Maturità scientifica a diciotto anni, laurea in fisica a ventitré, lavoro
presso una industria di elettrodomestici e, finalmente una utilitaria che non
aveva mai voluto che la famiglia gliela regalasse, proprio per non gravare
ancora economicamente su di essa, che tanto aveva già fatto.
Enrico era
un buono, ma arrivò ai vertici dell’azienda in cui era impiegato, perché sempre
aggiornato, infaticabile e dotato di lealtà ed onestà. Rappresentava l’azienda
ai convegni, il suo nome era legato ai nuovi modelli, alle tecnologie
innovative, alla commercializzazione. Più giorni al mese era fuori, in Italia e
all’estero.
All’Expò
dell’Elettronica di Busto Arsizio, in un fine di settembre, ad una conferenza,
seguì attentamente una relazione sulle innovazioni ai piccoli elettrodomestici,
tenuta da Emanuela Gazzi, una ragazza che lo sbalordì per la preparazione, per
l’uso appropriato dei termini, per la capacità di illustrare senza annoiare. La incontrò a fine conferenza,
dialogò con lei, una tarantina laureata in architettura, che aveva cominciato
col disegnare modelli di piccoli elettrodomestici, per finire in breve tempo,
anch’essa ai vertici di una prestigiosa azienda. Tra i due nacque del tenero, sei
mesi dopo la presentò alla sua famiglia e l’anno successivo la sposò. Enrico ed
Emanuela erano una coppia perfetta, comprarono casa a Milano e dopo due anni la
famiglia si completò con la nascita di una bambina, Emma.
Gli esseri
umani sono sempre razionali? Quasi impossibile rispondere! Nella vita, almeno
una volta accade! Cammini per la tua strada, sei magari distratto dal tran tran
della gente, dallo sferragliare di un tram, da una ambulanza a sirene spiegate,
dal pianto di un bimbo, poi, come d’improvviso, incroci lo sguardo di una
sconosciuta, senti vibrare la tua schiena e ti accorgi che lei, come te, è
colta da una irresistibile attrazione, di quelle che rendono ambedue incapaci
di razionalizzare, di quelle che ti potrebbero far fare qualunque follia. Così
fu, Enrico ed Annalisa Ferroni si
ritrovarono di li a poco a vivere momenti d’estasi ed il fisico, diventò
prigioniero di una passione che non aveva mai vissuto. Quanto durò quella
storia? Solo un paio d’ore. Chi era Annalisa? Una affascinante quarantenne nel
pieno del suo splendore. Due ore di passione, una cena in un locale alla moda
della Milano bene, cinquanta passi mano nella mano per arrivare all’auto di
lei, un saluto, poi null’altro, solo un dolce ricordo e nulla più! Non si
spiegò mai perché prima di mettere in moto la sua auto Annalisa volle
sussurrargli all’orecchio una frase che gli sembrò senza senso: “dimenticheremo
tutto amico mio, proprio tutto, e non ci renderemo conto di quanto è accaduto”.
Enrico era
ritornato alla sua vita di sempre, famiglia, azienda, figliola che gli dava
tante soddisfazioni a scuola. Si sentiva in colpa? Per nulla! Era stato
impotente davanti alla follia di un attimo. Annalisa? Un ricordo che si
sbiadiva ogni giorno di più, un sogno durato poche ore e poi svanito, che non
lasciava traccia.
Un mattino
in ufficio arrivarono i carabinieri, gli consegnarono un invito a comparire in
caserma il mattino seguente, non gli diedero nessuna spiegazione. La sera ne
parlò con la moglie, a volte capitava che le forze dell’ordine si informassero
su clienti, depositanti, trasportatori. Il mattino seguente Enrico fece
duecento metri a piedi da casa sua e andò dai carabinieri. Sedette davanti la
scrivania di un giovane capitano, poi si vide porre sotto gli occhi la
fotografia di Annalisa Ferroni.
-
Dottor
Capuana, lei conosce questa donna?
Enrico prese la foto tra le mani, la ridiede al suo
interlocutore:
-
Si,
l’ho vista una sola volta, circa due anni orsono, è Annalisa Ferroni.
-
Ricorda
quando l’ha vista l’ultima volta?
- -
Capitano,
non c’è un’ultima volta, io l’ho vista una volta soltanto, siamo stati assieme
due o tre ore.
- Ci
rifletta, lei ha cenato in un locale molto alla moda con lei, difficile da
credere che l’abbia vista una volta sola!
-
Le
ripeto che non ci sono stati incontri né prima né dopo quella volta!
Il giovane capitano tirò fuori una seconda foto che ritraeva
i due mano nella mano in prossimità dell’auto della donna, gliela porse:
-
Vede
perché diventa difficile crederle, è un atteggiamento da amanti.
-
Si,
usciti dal ristorante, mano nella mano, abbiamo raggiunto la sua automobile, le
ho accostato lo sportello ed è andata via, nulla oltre a quello che le sto
dicendo.
-
Non
l’ha mai più risentita, incontrata, non una telefonata.
-
Proprio
nulla! Posso chiederle perché mi sta ponendo queste domande?
-
Certo,
Annalisa Ferroni, moglie di un integerrimo idustrialotto di profilati metallici
del varesotto viveva una doppia vita. Moglie e madre esemplare a casa e
trafficante di droga fuori. Il marito era all’oscuro di tutto, lei ad ogni consegna,
stranamente si accompagnava ad un uomo diverso. Professionisti di indubbia
moralità, tutti incensurati, tutti al di sopra di ogni sospetto, tranne uno. La
seguivamo da un po’, la sera che lei l’ha accompagnata all’auto all’uscita del
ristorante, è stata fermata e nel portabagagli era nascosto sotto la ruota di
scorta un carico di cocaina che avrebbe dovuto consegnare a qualcuno che è
stato trovato impiccato ad un pilone dell’autostrada.
Enrico ascoltava, come inebetito
pensava a quelle due o tre ore trascorse con Annalisa, il tutto avvenuto così
per caso, per un’attrazione fatale, per una storia che è durata al massimo tre
ore e che non aveva lasciato alcun segno nella sua vita.
-
Capitano,
cosa c’entro io con tutta questa storia?
-
L’uomo
impiccato è stato il primo, ma è stato colui con cui si è accompagnata alla sua
prima consegna, diventato in seguito trafficante come lei. Mi capisce ora?
-
Per
nulla! Io non fumo neppure, e che fosse trafficante non lo portava scritto in
fronte. Non so se le è mai capitato, l’incontro casuale, l’incrociarsi degli
sguardi, la voglia matta di consumare una passione e poi nulla più, due o tre
ore!
-
Dottor
Capuana, di lei sappiamo tutto, ma la legge deve fare il suo corso, devo
comunicarle che lei è indagato. Abbiamo la certezza della sua estraneità, ma
quelle foto ci metteranno un po’ di tempo a dissuadere il magistrato.
-
E
questa donna dov’è?
-
E’
stata fermata quella stessa sera, è in carcere.
-
Santo
Iddio, come farò a spiegare tutto a casa mia!
Ebbe un gesto di stizza Enrico, si
portò la mano davanti agli occhi, come per volere cercare una soluzione. Firmò
il verbale dell’interrogatorio, si alzò, strinse la mano al giovane ufficiale e
imboccò l’uscita della caserma.
Aspettò
tre giorni prima di parlarne alla moglie, era una mattina piovosa, accompagnò
la figlia a scuola avvertendo la moglie che sarebbe ritornato subito per
parlare con lei. Si accomodarono in cucina, Enrico cominciò il suo racconto
dall’incontro fatale, senza omettere nulla, finì con l’interrogatorio. Emanuela
seguì senza che il suo volto mostrasse il ben che minimo segno di turbamento.
Conosceva bene suo marito, chiuse gli occhi solo per cercare le parole giuste
che non arrivavano. Lui:
-
Emanuela,
penso di non avere tralasciato nulla, tu decidi sul da farsi, io eseguirò passo
passo, dovessi lasciare questa casa anche subito!
-
Non
ti addosso nessuna colpa Enrico, il colpo di fulmine? L’attrazione fatale?
Nella vita una volta può capitare, allora ci si comporta come i pazzi, e i
pazzi non vanno puniti ma curati. La tua pazzia è durata poche ore, poi sei
guarito, subito, ed una moglie si accorge di tutto, tu non devi essere curato
ma non puoi essere punito. Tutto deve rimanere così com’è, nostra figlia anche
se studentessa ginnasiale non deve percepire nulla. Affronteremo assieme il
problema, lo risolveremo!
Enrico allungò una mano e le fece una
carezza, lei sorrise e andò a prepararsi per recarsi al lavoro. L’uomo si sentì
sollevato, non disse nulla ma non se la sentì di recarsi in azienda, telefonò
accusando un malessere passeggero. Che grande donna Emanuela!
Non
si era mai preoccupato di leggere sul quotidiano la cronaca nera Enrico, da
quel giorno la lesse tutti i giorni, capì cosa era successo nella vita di
Annalisa Ferroni. Come era possibile che a questa donna, quello che era stato
per lui un fenomeno sporadico, l’attrazione fatale, succedeva regolarmente ad
ogni consegna di droga, cosa possedevano i suoi occhi? Cosa c’era di
inspiegabile? La sua doppia vita, il marito che non si era accorto mai di
nulla, la travolgente passione e poi? Il nulla! Contattò un avvocato, lo nominò
e attese gli eventi. In un’aula di tribunale gremita, Enrico in compagnia del
suo avvocato fu invitato alla sbarra. Nulla di diverso dall’interrogatorio
subito in caserma dal giovane capitano, e come lui, una sfilza di uomini della
migliore borghesia alla sbarra. Stesse domande, fotografie simili scattate
dalla polizia, incontri di mezza giornata al massimo e poi l’obblio, nessuno
aveva più visto quella donna. Lei là, sul banco degli imputati, altera, ben
vestita, bella, con occhi grandi e lucenti, una pantera pronta a scattare sulla
preda. Enrico la fissò, i loro sguardi si incontrarono, ma non accadde nulla.
Il processo si protrasse per mesi, udienze su udienze. I giornali scrissero di
tutto, buttando sospetti su tutti, la vita a casa era diventata difficile.
Arrivò
il momento in cui alla sbarra si presentò Annalisa, chiese di fare una premessa
e le fu concesso. Indicò additandoli tutti gli uomini che si erano accompagnati
con lei, vittime di un’attrazione fatale:
-
Signori
della corte, tutti questi uomini sono stati oggetto di ipnosi che io ho operato
su di loro, li sceglievo tra i professionisti di questa città, studiavo i loro
spostamenti, le loro abitudini, mi piazzavo sui loro percorsi in occasione
delle consegne di droga, approfittavo di loro, del loro essere noti ed
incensurati, li ipnotizzavo, facevo vivere loro una grande passione, poi mi
facevo accompagnare all’auto e li salutavo, sussurrando all’orecchio alcune
parole che facevano dimenticare l’accaduto. Di uno, l’unico che era cosciente
del mio operato, me ne ero innamorata, lo avevo trasformato in un trafficante
di droga, poi ha tentato di soffiarmi alcune partite, allora l’ho ipnotizzato,
l’ho indotto ad una notte di passione, poi l’ho costretto al suicidio. Le forze
dell’ordine l’hanno trovato impiccato ad un pilone dell’autostrada. Sono io la
sua assassina!
Si zittì Annalisa, l’aula andò in
subbuglio, i lampi di magnesio si consumarono. Il tribunale nominò alcuni
luminari per verificare il racconto della donna che in seguito fu sottoposta ad
indagini scientifiche. Toccò anche ad Enrico di sottoporsi ad indagine e a
tutti gli altri. In aula, dopo qualche mese un docente universitario, a capo
dell’equipe nominata dalla corte, relazionò che Annalisa era in grado di usare l’ipnosi così
come aveva testimoniato, e che tutti i soggetti in ipnosi erano stati indotti a modificare la percezione
del mondo esterno; tutti avevano percepito stimoli che in realtà non c’erano,
distorcendo percezioni di stimoli effettivamente esistenti, modificando il
vissuto sensoriale. Requisitoria dell’accusa e arringhe delle varie difese,
durarono parecchi giorni. La corte sentenziò l’assoluzione di tutti, tranne
quella di Annalisa che venne condannata per traffico di droga e per induzione
al suicidio. Una sentenza che toglieva ogni dubbio, ma che non faceva ritornare
indietro nel tempo. Due anni e passa di processo, Manuela ed Enrico non erano
la stessa coppia felice di prima, mentre la figliola si apprestava a finire il
liceo. Sul lavoro il fisico non fu della stessa diligenza e solerzia, il
processo l’aveva distolto e la sua carriera anziché progredire si era fermata.
La stampa era stata un rullo compressore, aveva schiacciato tutti, aveva pesato
anche sul morale di Manuela, ed anche lei pagava un prezzo in azienda. La
famigliola si rinchiuse nel silenzio, non più rapporti sociali, non più cene
con gli amici, e quando la figlia chiese di andare per le ferie a trovare i
nonni in Puglia e in Sicilia, le fu proposto di andare da sola. Era finita
quella famiglia? Bisognava che qualcuno si decidesse all’inversione di rotta.
Col senso pratico che si ritrovano le donne e che manca agli uomini, Emanuela
prese in mano il timone e virò di bordo, cominciò ad invitare gli amici a cena,
acquistò tre abbonamenti a teatro, cambiò disposizione dei mobili, poi sedette
davanti ad Enrico:
-
Da
oggi ricominciamo ad essere quelli che eravamo, dimentichiamo la vicenda e
facciamo si che nostra figlia non abbia a soffrire per qualcosa che non
conosce!
Si alzò, abbracciò Enrico e lo baciò,
aspettarono il rientro della figlia e si recarono in una pizzeria in aperta
campagna, e risero per lo stupore della ragazza, abituata a frequentare
ristoranti rinomati.
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