Mario Scamardo
I
RACCONTI DEL BORGO
Il re di denari
Il salone delle feste di Palazzo
Filler dei marchesi Turano, era il più grande e il più fastoso dell’intera
città. La grande volta reale, nelle serate estive, specie se lo scirocco carico
di umidità faceva si che le splendide dame ricorressero sovente ai loro
ventagli di merletto, si apriva in dodici spicchi e lasciava intravedere la
volta stellata, mitigando anche la temperatura all’interno. Non c’erano
lampadari nel salone, ma tutt’attorno alle pareti, come rami che spuntavano tra
i grandi specchi e le altissime consolle, ventiquattro appliques ognuna a
ventiquattro luci. Il dieci di luglio di ogni anno, il marchese Giovanni Turano
dava ordini al suo maggiordomo Guglielmo di preparare il salone per la grande
cena del quindici luglio, compleanno di sua moglie Mafalda dei baroni Scollo.
L’elenco degli invitati da tempo era sempre lo stesso, non era mai andato al
disopra di venticinque e mai sceso al disotto di quindici, a tavola solo
parenti carnali ad eccezione di nuore e generi, il medico di famiglia e
consorte e il vescovo in carica.
Guglielmo diede ordini a cameriere e
valletti di preparare al centro del salone una tavola ovale con ventidue
coperti, la lista dei commensali l’aveva nella sua testa, oltre al marchese
Giovanni, la moglie e la marchesa Lucia sua madre, a tavola c’era la figlia Matilde,
suo marito il conte Barnabei e la loro figliola Giulia; la figlia Rachele, il
barone Nunzio ed il loro figliolo Castrenze; il figlio Giorgio, sua moglie la
dottoressa Adalgisa e i loro figli Dorotea e Augusto; suo cugino il marchese
Spinotti e sua moglie Laura; suo cognato il conte Viarelli e sua sorella Marta;
il medico di famiglia dr. Minotti e signora; sua zia la contessa Barnabei; suo zio il barone Vullo
e S.E. mons. Chiarelli. Ventidue! Né uno in più né uno in meno!
Fu cura di Guglielmo controllare che
nulla mancasse sulla tavola, ordinò dodici piccole corbeilles con fiori di
campo dai colori tenui e fece disporre i candelabri. La cena di quel compleanno
aveva da più di vent’anni lo stesso menù, dove non mancassero mai tra gli
antipasti le cipolle bianche con salsa allo zafferano, gli arancini di riso e
le olive schiacciate condite con aglio e menta. Per primo piatto era d’obbligo
il timballo di maccheroni mentre le carni erano di solito un tris di
cacciagione dove c’era la lepre, le quaglie, l’anatra ed il piccione. Grandi
alzate di frutta di stagione, grandi alzate di cannoli e bignè pieni di
ricotta, alzatine di dolcetti alla mandorla per dar fondo ai vini dolci, ed
infine una grande torta di frutta preparata dal cuoco Raffaele. I vini, rigorosamente
rossi, venivano serviti da undici valletti imparruccati in livrea rigorosamente
in damascato celeste. Non voleva musici il marchese Turano, finita la cena i
commensali si spostavano in una sala attigua, dove la contessa Barnabei si
esibiva in una romanza, accompagnata al piano dal barone Vullo.
Il quattordici luglio di pomeriggio
Giovanni Turano, in compagnia di Guglielmo, controllò che in quel salone tutto
fosse a posto, poi si fece chiamare il cocchiere e montò in carrozza alla volta
del centro città, si fece lasciare davanti ad una gioielleria dove doveva
ritirare una collana e ordinò al cocchiere di riprenderlo al “Circolo dei
nobili” che si trovava nella stessa piazza, a distanza di tre ore.
Il quindici luglio alle sedici, puntuale
come sempre, monsignor Chiarelli si fece lasciare dal suo cocchiere proprio
all’ingresso di Palazzo Filler, Guglielmo gli andrò incontro e lo introdusse in
biblioteca dove c’era già la marchesa Lucia in compagnia di alcuni ospiti.
Quando per ultimo arrivò il dottor Minotti con la signora, tutti furono
invitati a prendere posto in cappella, mentre S.E. si preparava a celebrare la
Santa Messa. Dopo la benedizione il vescovo Chiarelli fece gli auguri di buon
compleanno alla festeggiata e tutti applaudirono, quindi seguirono la marchesa
Mafalda in salotto che offrì agli invitati un aperitivo leggermente alcoolico
al gusto di limone ma con un profumo di gelsomino, apprezzato da tutti,
retaggio della cucina dei monsù, e fece girare vassoietti con mandorle
brustolite, gherigli di noci, pistacchi sgusciati e nocciole. Il sole era quasi
all’orizzonte, la pendola in fondo alla biblioteca battette le venti e
Guglielmo affacciatosi in salotto attese il cenno della marchesa Lucia per dare
gli stimoli a cuochi e servitori. Tutti si accomodarono nel grande salone delle
feste, presero posto attorno alla grande tavola ovale, aspettarono che
l’anziana marchesa Lucia prima e tutte le donne sedessero, quindi presero posto
tutti. La grande volta reale si aprì offrendo lo spettacolo del cielo stellato
che apparve in tutta la sua bellezza. La cena si protrasse fino a quasi
mezzanotte, fu allora che Raffaele il cuoco, come aveva fatto per tanti anni,
seguì due valletti che portavano una enorme torta, decorata con frutta di
stagione, fichi, fragole, albicocche, pesche, lamponi e tanti ribes rossi, e
aspettò. La marchesa Mafalda si alzò in piedi seguita da tutti, attese che i
valletti deponessero il dolce davanti a lei e invitò Raffaele ad avvicinarsi
per congratularsi con lui. Tutti applaudirono e Giovanni Turano tirò dalla
tasca una scatola ricoperta in velluto rosso e la porse a sua moglie:
- Cara la mia mogliettina, spero
tu gradisca questo mio pensiero.
Mafalda aprì la scatola ed i
suoi occhi luccicarono, dentro c’era una collana in oro rosso, molto spessa, da
cui pendeva un grosso cammeo in corallo rosa incorniciato in una fascetta d’oro
satinato, tempestata da brillanti. Una fortuna! La donna non ebbe parole,
mostrò la scatola alla suocera compiaciuta e poi agli astanti, tutti si
complimentarono per la scelta. Giovanni prese la collana, aprì il gancio e
l’attaccò al collo della moglie, invitò
tutti a riempire i calici e a brindare. Anche la torta venne gustata dai
commensali e, dopo una passeggiatina in
giardino, tutti pian pianino fecero rientro alle loro dimore.
Il salotto di casa Turano tutti i
mercoledì ed i venerdì era aperto alle visite, a parte i commensali al
compleanno di Mafalda, pochissima gente entrava in quella casa, per cui tutti
sapevano come muoversi, dove accomodarsi, quale bevanda o quale dolcino
chiedere. Il barone Vullo, zio di Giovanni, rimasto celibe per scelta, aveva
dilapidato quasi interamente il suo patrimonio, donne, regali, viaggi e fiumi
di spumante, per cui gli inviti erano un miracolo del cielo. Anche il conte
Viarelli aveva dato fondo ai suoi beni, rimaneva ancora qualche terreno
ereditato dalla moglie la baronessa Marta e metà del piano nobile di un
palazzetto in periferia, non potevano permettersi servitù, tranne una domestica
a mezzo servizio. Il marchese Spinotti e donna Laura erano considerati i paperoni
della parentela, vivevano in un intero palazzo nel centro storico, avevano
rendite incommensurabili, e donna Laura era anche l’armatrice di due
pescherecci, tanto che tra i nobili della città veniva chiamata “la donna di
denari”. Suo marito tutte le mattine si recava al mercato ittico per
controllare sul pescato, assisteva all’asta del pesce ed intascava la ricevuta
che gli serviva a contabilizzare il sabato, arrivato a casa la consegnava
gelosamente alla moglie. La contessa Barnabei non aspettava i mercoledì e i
venerdì per andare a palazzo Filler, tutti i pomeriggi era là, aspettava la
marchesa Lucia in salotto e poi si recavano nella cappella a dire il rosario,
quindi un dolcino e un sorso di liquore e via per la cena a casa sua assieme alla sua dama di compagnia e della domestica che faceva anche da
cuoca.
Fu
il pomeriggio del primo venerdì d’agosto che il salotto si riempì di tutti i
frequentatori abituali, mancavano solo il dottor Minotti e la sua signora. La
temperatura alle diciotto del pomeriggio era torrida, Mafalda era rientrata da
appena cinque minuti col marito da una visita a casa del figlio Giorgio,
Dorotea, sua figlia, era caduta da cavallo lussandosi una spalla. Entrando
salutò gli astanti, indossava la sua collana col cammeo in corallo rosa, chiese
il permesso di andarsi a cambiare, mentre Guglielmo serviva agli ospiti bibite
fresche. Giovanni si recò in bagno per lavarsi le mani e ritornato si mise in
conversazione. Il marchese Spinotti amava le rose, si avvicinava alle aiuole e
pigliava i boccioli tra le dita, sembrava carezzarli, poi accostava le dita al
naso e annusava, sua moglie sembrava soffrisse di questa sua mania, in quanto
non partecipava alle conversazioni e bisognava cercarlo spesso in qualche
angolo del giardino che visitava, e lei lo aveva fatto già due volte quel
pomeriggio. Rientrò Mafalda e, dopo le
notizie positive su Dorotea, fu tutto un chiacchiericcio, sulla moda estiva,
sulle cabine al mare, sui nuovi costumi da bagno, sulle spiagge riservate,
sulle fortune di molti popolani che si erano arricchiti col commercio e
qualcuno era in cerca di partito titolato per contrarre matrimonio e, quindi,
comprarsi un titolo di nobiltà sposando un nobile o una nobile. Il sole era
quasi all’orizzonte, ma la brezza si fece sentire e Mafalda decise di recarsi
in camera sua a prelevare una sciarpa. Si attardò più del previsto Mafalda e
quando ritornò in giardino era sconvolta, aveva un nodo alla gola, balbettò:
- Manca la mia collana, l’avevo
riposta nella scatola e messa dentro al comodino, la scatola è a terra, la
collana non c’è più.
Tutti, sgomenti, si alzarono in
piedi, fu proprio il barone Vullo, che si era recato all’interno per i corridoi
una decina di volte perché bisognoso di ricorrere al bagno per le continue
minzioni, a dire:
- Scusate signori, nessuno si
offenda, ma nessuno lasci palazzo Filler, la collana è ancora qui dentro,
nessuno è uscito dal palazzo, proprietari, ospiti e servitù. Guglielmo, per
favore, avvertite il commissario Parelli, che venga lui immediatamente, il
commissariato è proprio all’angolo!
Guglielmo aspettò che Giovanni
Turano gli desse il permesso, poi
scomparì di corsa ad onta della sua età. Tornò di li a poco in compagnia del
commissario e di due agenti. In trentacinque anni di servizio, Guglielmo se
avesse voluto, avrebbe potuto rubare indisturbato, a piccole dosi, non destando
mai il sospetto. Il commissario Parelli, salutò gli astanti, ascoltò la
marchesa Mafalda, poi volle fare un sopralluogo con Guglielmo nella stanza
della donna, guardò attentamente se la finestra fosse stata aperta, se fosse
stato forzato il cassetto del comodino, guardò sotto il letto, agli angoli
della stanza, tutto gli sembrò a posto oltre alla scatola vuota e al cassetto
aperto. Guglielmo, come era solito fare, percorrendo i corridoi o entrando
nelle stanze, se trovava un foglio stropicciato a terra, un ritaglio di carta,
una foglia o un petalo caduto da un vaso, si abbassava, lo raccattava, lo
metteva in tasca e poi si recava in cucina e metteva tutto nella pattumiera.
- Guglielmo, chi è il più
squattrinato degli ospiti?
- Commissario, squattrinati sono
il barone Vullo, il conte Vaiarelli e la baronessa Marta, gli altri sono
agiati.
- Del personale che mi dite?
- Oggi, dal rientro dei marchesi
dalla visita alla nipote, al momento della scoperta del furto, di personale nel
palazzo c’ero soltanto io, tutti gli altri sono stati esentati dal venire
perché i marchesi stasera vanno a cena in un ristorante al mare, invitati dal
dottor Minotti e dalla di lui signora, lui è in servizio in ospedale fino alle
venti.
- Bene, caro Guglielmo, l’unica
cosa certa è che la collana è ancora nel palazzo, qualcuno l’ha presa, l’avrà
nascosta, conosce bene questa casa, addosso sarebbe un azzardo se ci costringessero
a perquisirli!
- Tutti conoscono bene questa
casa, sono frequentatori da sempre!
Il commissario Parelli interrogò
tutti in salotto, il marito, la suocera, tutti, proprio tutti, buio totale, non
un piccolo tradimento, non un’incertezza, non un indizio. Volle ritornare nella
camera della marchesa, c’era stato un’oretta prima, entrando notò proprio sul
comodino una carta siciliana, la donna di denari, messa lì in bellavista, e
prima non c’era! Cosa voleva dire quella carta, chi ce l’aveva messa? Parelli
intascò la carta, si recò nel salotto, nessuno si era mosso da lì, l’unico che
aveva libertà di movimento era Guglielmo, che voleva dirgli? Si rivolse al
barone Vullo.
- Barone, voi giocate a scopa o
a briscola?
- A Briscola?
- Si, con le carte siciliane!
- Non gioco più da tanto tempo.
Tirò fuori la carta trovata sul
comodino, la mostrò al barone, lo fissò negli occhi, poi seguì il suo sguardo
che puntò donna Laura Spinotti. Parelli non capì nulla, si sentì ancora più
confuso, non volle chiedere a Guglielmo, aspettò gli eventi. Tutti in salotto sembravano
sereni, aspettavano gli eventi, anche se su ognuno di loro gravava il sospetto
del furto. Per la verità donna Laura Spinotti era un po’ irrequieta, contava e
ricontava dei piccoli foglietti di carta posti in una piccola borsetta che
teneva aperta, li rimetteva dentro e poi li ricacciava fuori per ricontarli,
poi si guardava attorno, come se gliene fosse volato via qualcuno. Dopo avere
interrogato l’anziana marchesa Lucia, che fece la radiografia di ogni presente,
il commissario Parelli volle recarsi nuovamente nella camera della marchesa
Mafalda, proprio in sua compagnia, entrando, ebbe la seconda sorpresa, sul
comodino un’altra carta siciliana, il re di denari! Senza farsene accorgere
intascò anche questa carta e si fece raccontare dalla marchesa la scoperta del
furto, poi diede ancora uno sguardo in giro e riaccompagnò la donna in salotto.
Guglielmo era lì con un vassoio pieno di bicchieri e una brocca d’acqua fresca,
c’era tanta afa e la tensione rendeva la serata ancora più calda. Parelli si
avvicinò a Guglielmo, lo prese sottobraccio e uscirono assieme dal salotto.
- Guglielmo, tu giochi a scopa?
- Qualche volta commissario.
- Chi ha messo le carte sul
comodino, e quante ancora ne devo trovare?
Guglielmo infilò la mano in
tasca tirò un mazzo di carte siciliane e le diede in mano al commissario.
- Tenga commissario, sono
trentotto, ne mancano solo due, quelle che lei ha in tasca. Chiami il marchese
Giovanni, chieda chi è la donna di denari poi, forse, andremo a prendere la
collana.
- Che enigma è il tuo?
- La prego commissario, faccia
come le ho detto, poi le darò la prova.
Il commissario entrò in salotto
e riuscì in compagnia del marchese. Tirò dalla tasca la donna di denari e
gliela mostrò.
- Marchese, chi è “la donna di
denari”?
Il marchese imbarazzato:
- Donna Laura Spinotti è detta “la
donna di denari”.
Guglielmo sorrise:
- Andiamo a cercare la collana,
deve essere in giardino proprio sotto una pianta di rose. La più lontana dalla
vista è in fondo al giardino.
Guglielmo tirò dalla tasca una
torcia, accese tutte le luci del giardino, poi si diresse verso l’ultima pianta
di rose, proprio dove donna Laura aveva raggiunto il marito per invitarlo a riavvicinarsi
al gruppo e in quell’istante, proprio mentre il marito odorava le proprie dita
che avevano sfiorato i petali delle rose chiudendo gli occhi, lei lasciava
cadere la collana che avrebbe ripreso solo prima di andar via, se non fosse
stato scoperto il furto. Guglielmo si chinò, raccolse la collana e la consegnò
al commissario.
- Come hai fatto a capire?
- Quando ho notato
l’irrequietezza di donna Laura che contava i bigliettini riposti nella sua
borsetta, ho percepito che ne avesse perso qualcuno. Io avevo raccolto da terra,
quando sono entrato assieme a lei signor commissario, nella camera della
marchesa un pezzetto di carta, l’ho messo in tasca e poi l’ho buttato nella
pattumiera credendolo un ritaglio di busta o un appunto non importante. Ho
rovistato nel secchio e ritrovandolo mi sono accorto che era una ricevuta del
mercato ittico, proprio quello che le era caduto dalla borsetta quando vi ha
nascosto la collana. Come potevo indirizzarvi commissario, se non dandovi il
nome della ladra, “la donna di denari”!
- Ottimo, Guglielmo!
Il marchese trasecolato guardò
in faccia sia il commissario che Guglielmo, chiese al commissario:
- E’ tutto finito?
- No, signor Marchese, ancora c’è
un arcano da scoprire.
- Donna Laura aveva un complice?
- Ce lo svelerà Guglielmo!
Il maggiordomo:
- Si commissario, lei vuol
sapere perché le ho offerto anche l’altra carta, “il re di denari”. Vede,
volevo essere sicuro che la collana non varcasse il portone del palazzo, volevo
che nessun innocente venisse incolpato, allora ho indicato il marito, il marchese
Spinotti, perché se non avessimo trovato la collana sotto la pianta di rosa,
l’avremmo trovata nella tasca del soprabito del marito, a sua insaputa donna
Laura lì l’avrebbe riposta, per cui, caro commissario, lei può rimettere “il re
di denari” nel mazzo, ora le carte rimaste sono trentanove, il marchese
Spinotti è solo un galantuomo, sua moglie un pescecane! La prego ora di
riconsegnare alla dolce baronessa Scollo, marchesa Turano il suo gioiello;
della “donna di denari” non mi importa nulla, mi dispiace solo per quel
galantuomo del marito, ma poi, sarà veramente dispiaciuto dopo che saprà la
verità?
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Grazie!