Mario Scamardo
I Racconti del Borgo
L’allergia
Il
giovane maestro Luca Lofonte si innamorò l’anno in cui prese servizio alla
Scuola Elementare “Vittorino da Feltre” della sua giovanissima collega Lucia
Latteri. Il fidanzamento fu breve e due anni dopo, appena il tempo di riattare
il vecchio appartamento di don Gabriele il papà di Luca, deceduto troppo
giovane assieme a mamma Rosa, convolò a nozze. Strana combinazione, le loro
iniziali erano quattro “L”, un grattacapo che li faceva sorridere tutte le
volte che il giovane maestro provvedeva da solo a prepararsi la biancheria
intima da indossare dopo la doccia, pronto per vestirsi, si ritrovava tra le
mani le culottes della moglie con ricamate sopra due “L” o la sua canottiera,
magari a righine bianche e azzurre o addirittura a fiorellini. Uscivano assieme
il mattino Lucia e Luca, si attendevano all’uscita dalle rispettive aule a fine
lezione e, mano nella mano, ritornavano a casa a piedi, appena duecento metri.
Per tre anni non ebbero figli, poi, a distanza di diciotto mesi l’una
dall’altra, nacquero nell’ordine Luigina, Leda, Lidia e Laura, quattro bambine
con un nome di battesimo che rigorosamente cominciava per elle. Sane come
pesci, le bambine divennero fanciulle, ragazze, donne; solo una di loro un
giorno accusò un leggero malessere, una intolleranza alimentare, una lieve
allergia alla soia, ma che la ragazza era riuscita, con l’esercizio
dell’olfatto, a riconoscere nei cibi. Diventate adulte le quattro ragazze, la
famiglia Lofonte ebbe la necessità di cambiare casa, una villetta in periferia
con un grande salone, una enorme cucina, una camera da pranzo, tre bagni,
cinque camere da letto ed un enorme giardino con un prato suddiviso da aiuole
con fiori di ogni sorta e dotato di comode panchine. Tutte si erano laureate,
tutte avevano trovato occupazione, due in banca e due in Comune, nessuna si era
sposata e, dopo la morte dei genitori, assunsero una badante-governante
leggermente più giovane di Laura che era la più piccola, ma che aveva compiuto
quarantotto anni, Lidia ne aveva quarantanove e sei mesi, Leda cinquantuno e
Luigina cinquantadue e sei mesi. Nessuna di loro guidava, si spostavano in taxi
o a piedi e quando cominciava la stagione allo stabile della città, tutte e
quattro occupavano un palco centrale di II fila, proprio accanto al palco
centrale di rappresentanza. Spesso le quattro signorine organizzavano delle
feste in quell’enorme salone che avevano, invitando ognuna i colleghi di lavoro
e gli amici. Nessuna delle quattro aveva mai avuto una storia d’amore, eppure
erano delle donne belle e cordiali, tutte e quattro more con occhi scuri e
profondi; Laura la più giovane era la più appariscente, abiti alla moda,
parrucchiere tutte le settimane e spesso tagli diversi, era l’unica a forzare
un po’ di più delle altre con il trucco, ombretti a tinte forti, rossetti rosso
vermiglio, unghie curatissime e laccate dello stesso colore delle labbra. Laura
lavorava in banca, le piaceva il contatto col pubblico, amava conversare e le
pubbliche relazioni erano l’occupazione perfetta! Recita un vecchio detto
siciliano: “Tantu va a quartara all’acqua o si rumpi o si ciacca!” (Tanto va la
brocca allo fonte che rischia col tempo di rompersi o quantomeno di
incrinarsi!). Fino a quasi cinquant’anni l’unico amore che aveva percepito era
stato quello dei suoi familiari, prima i suoi genitori, poi le proprie sorelle
ma, qualcosa di strano le stava succedendo. Tutte le volte che entrava nel suo
ufficio il Cavaliere Guido Tortomasi, a Laura sorridevano gli occhi, sfoggiava
un fantastico sorriso, si alzava e anziché farlo sedere difronte alla
scrivania, lo faceva accomodare nel salottino e, dopo i convenevoli, lo
ascoltava pazientemente. Guido Tortomasi, cavaliere del lavoro, amministrava la
sua fabbrichetta dove si confezionavano le più belle camicie da uomo della
città. Laureato in Economia e Commercio, abilitato all’esercizio della
professione, insegnava Tecnica Bancaria in un Istituto Tecnico Commerciale,
cinquantacinque anni, un bel fisico, occhi azzurri e tempie brizzolate; sempre
vestito con gusto ed eleganza, aveva in teatro un palco di proscenio di II fila
ed era sempre solo, davvero uno scapolone d’oro! Si, la brocca col tempo si era
incrinata! I rapporti tra Laura e Guido divennero frequenti e la funzionaria di
banca accettò, per la prima volta, di entrare in una tea room a gustare una
fetta di torta e un tè alla cannella. Luigina, Leda e Lidia notarono i
cambiamenti della sorella, si accorsero che i sabato pomeriggio Guido prelevava
in auto Laura proprio davanti al cancello e tornava a riportarla a ora di cena.
Non dissero mai una parola, come se tanto non le riguardasse e, quando Bettina
la badante, chiese una sera se dovesse apparecchiare per tre, quattro o cinque,
severamente Lidia l’apostrofò:
-
Sempre per quattro, mai per cinque!... eventualmente per tre!
-
Mi scusi signorina Lidia...
-
Scusata! ...e passate le venti togli un coperto, vuol dire che mia sorella
Laura non ha fame!
Luigina e Leda si guardarono
negli occhi con un sorrisino d’intesa, poi Leda:
-
E’ un po’ che Laura ha voglia di saltare la cena, vorrà dimagrire?
Bettina non era stupida, aveva
conseguito la maturità commerciale, per necessità aveva dovuto ripiegare a far
da badante in casa Lofonte, era stata allieva alle elementari della maestra Lucia
Latteri, la mamma delle signorine, e delle quattro sorelle l’unica che stimava
ed ammirava era proprio Laura. Da quel momento, dentro di se, stabilì che se ce
ne fosse stato di bisogno, sarebbe stata pure disposta a fare da paraninfo. Il
Cav. Tortomasi le faceva simpatia, perché era un bell’uomo, un gran signore ed
era stato suo insegnante quando ancora era un bel giovanotto e lei una
ragazzina.
Un
venerdì dopo cena, mentre Bettina sparecchiava e si accingeva a fare i lavori
di pulizia in cucina, le quattro sorelle si chiusero nel grande salone e la
voce tonante di Luigina sovrastò quella di tutte:
-
Ora state un pochino zitte e lasciatemi parlare!
Fu silenzio assoluto, le altre
tre sedettero e Luigina rivolta a Laura:
-
Nessuno di noi può impedire a chiunque di innamorarsi, nessuno può impedire a
chiunque di avere amici particolari, cara Laura, nessuno ce l’ha con te, solo
che unite siamo state sempre una forza, oggi, che qualcosa ha turbato la pace
che regnava in questa casa, non siamo più una forza, tendiamo a litigare,
tendiamo a spezzare la catena umana che siamo state. Né Leda né Lidia, né io
impediremo che tu possa vivere una vita felice legata ad un uomo, quindi non
ritorneremo più sull’argomento, nessuno può cambiare il percorso del destino!
Si
conoscevano molto bene le sorelle? Certamente si, ma quella catena umana che
sembrava d’acciaio, aveva ben quattro maglie fragili, le uniche maglie con cui
era fatta e, bastava poco per spezzarle! Che la lettera “L” che le legava nel
cognome e nei nomi, scelti da un padre come a volerle tutte identiche, portasse
iella al loro sodalizio? Laura si alzò, fissò negli occhi le sorelle, poi si
rivolse ad ognuna di loro:
-
Luigina, sei la più grande, sei forse la più assennata, sei ancora una bella
donna, anche se ti ostini a non curarti gran che nella persona, in ufficio in
tanti ti hanno fatto la corte, non credo che non ce ne sia uno che non ti
garbi! Lidia, tu sei la più timida, la più semplice, io so di tanti uomini che
ti hanno ronzato attorno, ti hanno corteggiato, basta che tu lo voglia e di
uomini in ginocchio davanti a te puoi farne una collezione, così pure tu Leda.
Io ho resistito un bel po’, proprio per tenere fede al nostro sodalizio, poi
non sono stata più in grado di farlo, ho ceduto ad un sentimento.
Bussò
alla porta Bettina col vassoio del caffè, Laura aprì la porta e fece accomodare
la badante, che posato il vassoio stava per uscire, ma Laura la fermò:
-
Bettina, domani apparecchia per cinque, il professor Guido Tortomasi è invitato
a pranzo, è mio ospite, sistema lui a destra di mia sorella Luigina, io sarò a
sinistra, a destra di Guido sistemerai Leda, alla mia sinistra Lidia.
Le
tre sorelle non dissero una parola, non si guardarono neppure negli occhi,
riempirono le tazzine di caffè e ne diedero una a Laura, lo bevvero e riposero
le tazzine sul vassoio che porsero a Bettina che uscendo ascoltò l’ordine
perentorio di Lidia:
-
Domani doppie posate d’argento e la cristalleria migliore!
Le
quattro donne sedettero davanti al televisore senza dire una parola, scorrevano
le immagini di un capolavoro del cinema di tutti i tempi, “Via col vento”.
Il
mattino seguente Bettina si diede un gran da fare, e mentre tutte e quattro le
signorine, libere dagli impegni di lavoro, si preparavano per uscire a far
spese, apparecchiò in sala da pranzo e si premurò di recidere in giardino
alcuni fiori per confezionare una piccola corbeille da porre a centro tavola,
quindi si mise ai fornelli. Laura, prima di uscire assieme alle sorelle, si
recò in cucina e disse a Bettina:
-
Noi stiamo per uscire, il garzone della pasticceria all’angolo porterà una
crostata verso le undici, se telefonasse il professor Tortomasi, per qualunque
motivo, digli che rientreremo per mezzodì.
Bettina
assentì col capo, mentre triturava un ciuffo di prezzemolo, e sfoderò uno dei
suoi sorrisi che elargiva soltanto a Laura.
Alle
dodici e quaranta, preceduto da un fascio di rose scarlatte, si presentò alla
villa il cavaliere Guido, elegantissimo in un doppiopetto blu elettrico e pantalone
beige. Laura lo accolse nel salone, poi, una alla volta entrarono le sorelle,
si conoscevano da tempo, coetaneo di Luigina era stato allievo di suo padre
alla “Vittorino da Feltre”. Tanti convenevoli e tante domande sulle sue camicie
e sui premi che l’azienda riceveva, poi entrò Bettina con un vassoio di
stuzzichini e salutò sfoggiando un sorriso:
-
Buongiorno professor Tortomasi.
Guido,
meravigliato della presenza di Bettina in quella casa nelle vesti di domestica:
-
Buongiorno signorina, quante sorprese quest’oggi, sono davvero contento, che
piacere rivederla.
Bettina
si commiatò con un inchino ed uscì, per ritornare di lì a poco con un vassoio
di bicchieri, attese un segno da Laura, sturò una bottiglia di spumante, riempì
i flute e li porse agli astanti iniziando dall’ospite, quindi ritornò in cucina
a ricontrollare che tutto fosse a puntino. Sia Laura che le sorelle
apprezzarono i modi eleganti della badante, ma soprattutto ne colsero la
soddisfazione. A pranzo finito Luigina invitò l’ospite in giardino e avvertì
Bettina di portare loro il caffè. Guido, come ai vecchi tempi, chiese a Luigina
la mano della sorella più piccola. Un momento di silenzio, piccole occhiate
d’intesa fra le sorelle, poi:
-
Caro Guido, ci conosciamo tutti da quasi mezzo secolo, i desideri e le volontà
di Laura sono i nostri desideri e le nostre volontà; una donna a cinquant’anni
avrà ponderato di certo le sue scelte, si sarà interrogata tante volte su cosa
farà da grande.
-
Se Laura lo vorrà, solo sei mesi per rinfrescare l’appartamento dove abito da
solo e possiamo fissare la data del matrimonio.
Era
scontato che Bettina, seguisse dalla finestra della cucina i loro discorsi e,
quando il cavaliere Tortomasi si commiatò, ringraziando per la loro ospitalità,
non resistette a congratularsi e ad esprimere la sua gioia con Laura che era
andata a trovarla in cucina.
Una
o due volte al mese Guido era a cena o a pranzo in casa Lofonte, tutti erano loquaci,
i sorrisi si sprecavano. Ognuna interloquiva a turno con Guido che, a proposito
di gusti, confessò una sera che non resisteva alla vista di un panzerotto alla
crema di pistacchio, mentre Lidia confessava che spesso, nella notte, si alzava
per gustarsi un toast imburrato con due fettine di salame d’asino. Tutto
sembrava filare liscio come l’olio, Laura sembrava ringiovanita di due lustri,
spesso cenava fuori, avvertendo in tempo Bettina di apparecchiare per tre! Quando
si festeggiò il compleanno di Laura, vennero invitati a cena anche il preside
dell’ITC dove insegnava Guido, il professor Antonio Merlo e don Raffaele, il
parroco della chiesa frequentata dalle sorelle Lofonte. Fiori per ogni dove,
aperitivo in giardino e cena nel grande salone. Il menù lo ordinò Leda per
telefono presso una azienda di catering che fornì anche due camerieri. Alle
sedici del pomeriggio le quattro sorelle uscirono di casa pigliando quattro
direzioni diverse, ognuna si affidò una commissione. Alle diciannove e trenta
varcò il cancello della villa don Raffaele, seguito dal preside Merlo e da
Guido, entrò con loro il furgone del catering e alle venti in punto il garzone
del pasticciere consegnò a una delle sorelle la torta ed un vassoio di dolci. A
turno le quattro sorelle si recarono il cucina a controllare dall’aperitivo al
dessert. Bettina impartì gli ordini ai due camerieri e, come un navigato
maestro di casa controllò che ogni cosa fosse al posto giusto. Servito
l’aperitivo, tutti si spostarono nel grande salone e le tre grandi pendole,
poste in tre angoli, batterono all’unisono il tocco delle 20.45. Don Raffaele e
il preside Merlo, compagni di classe dalle elementari al ginnasio, tirarono
fuori i loro ricordi infantili fino alla decisione di entrare in seminario, poi
le loro strade furono diverse. La cena si protrasse fino alle 22,30, poi tutti
di nuovo in giardino per la torta. Spente le candeline Laura ringraziò i due
invitati e i camerieri continuarono a servire e a mescere spumante. Una delle
sorelle si recò in cucina a prelevare il vassoio con i dolci, tra tanti
pasticcini di ogni foggia c’erano due panzerotti con la crema di pistacchio, si
fermò davanti a Guido, alzò il vassoio ed odorò, posò il vassoio sul
tavolinetto e invitò Guido a pigliare un panzerotto, contemporaneamente lei
prelevò l’altro e lo portò alla bocca. Tutti presero un dolcetto e poi l’ultimo
sorso di spumante. Quando Bettina si recò in cucina a prendere la caffettiera e
le tazzine, in giardino cominciò il subbuglio, Guido si contorceva a terra ,
come se avesse crampi allo stomaco e, quando cominciò a non controllarsi più e
a gridare, don Raffaele chiamò un’ambulanza che lo portò al pronto soccorso.
Nel tragitto la stricnina aveva fatto il suo effetto e il medico di guardia
constatò l’avvenuta morte di Guido per avvelenamento da stricnina. Sopraggiunta
la notizia don Raffaele chiamò il commissario Parelli, in quella villa c’era un
avvelenatore, un assassino. Chiusi i cancelli, Parelli in compagnia di due
ispettori al suo seguito, visitarono tutta la casa, presero campioni di cibo,
rilevarono con fotografie i luoghi e a turno interrogarono tutti. Il preside,
don Raffaele e i due camerieri vennero autorizzati ad andar via ma a tenersi
comunque disponibili, il commissario Parelli ricominciò gli interrogatori
proprio con Bettina che, con gli occhi pieni di lacrime, non si dava pace per
la morte di un uomo che aveva sempre stimato.
-
Signorina Bettina, da quanto tempo siete impegnata nel lavoro di badante, o
governante.
-
Quattro anni proprio ieri, l’indomani che mi hanno assunta la signorina Laura
festeggiava il suo compleanno.
-
Lei conosceva il cavaliere Tortomasi?
-
Sono stata sua allieva all’ITC, un gran galantuomo, e quando ho capito che
avrebbe frequentato questa casa sposando la signorina Laura, ho provato grande
soddisfazione.
-
Domattina sapremo quale cibo l’ha avvelenato, forse avremo meno ombre. Tutte le
portate sono state depositate in cucina, chi è entrato oltre a lei e ai
camerieri in cucina?
-
Tutti tranne il cavaliere e il preside.
-
E don Raffaele?
-
Anche lui è entrato in cucina, appena arrivato mi ha chiesto un bicchiere
d’acqua per deglutire una compressa, io volevo portargli il bicchiere, ma lui è
voluto entrare in cucina, ha bevuto l’acqua ed è uscito.
-
L’avete perso di vista?
-
Neppure un istante!
-
Avrebbe potuto avvelenare del cibo?
-
No! Ma che domande mi fate commissario, è rimasto sulla soglia della cucina, ha
prelevato la compressa dalla tasca della tunica e l’ha deglutita davanti a me,
mi ha reso il bicchiere ed io l’ho accompagnato di nuovo in giardino.
-
Chi è entrato in cucina?
-
Tutte e quattro le sorelle, è casa loro, entravano ed uscivano una alla volta,
talvolta a due a due.
-
Una di loro ha avvelenato il cavaliere e si è disfatta della boccetta della stricnina.
-
Commissario, saranno antipatiche, ma che motivo avrebbero avuto di assassinare
quel galantuomo!
-
Tutte negano, domani al lume dei risultati dell’autopsia e degli esami sul cibo
rimasto sapremo qualcosa di più. Voi potete farmi una cortesia, quella di
raccontarmi cosa avverrà dal momento in cui io uscirò da questa villa a domani
quando ritornerò.
-
Commissario, posso rassettare ogni cosa e fare le pulizie?
-
Certo che potete farlo, anzi, dovete riprendere il normale lavoro che facevate
prima. Io vado via, due agenti rimarranno in giardino, a sorvegliare, che
nessuno esca al di la del cancello. Serena notte!
Il commissario Parelli impartì
gli ordini ai due agenti in giardino e andò via. Bettina chiese ad ognuna delle
signorine se avessero bisogno di qualcosa, alla risposta negativa ritornò in
cucina e si mise a lavorare. Dalla finestra che dava in giardino la governante
notò i due agenti che passeggiavano, non sentì altro rumore e, anziché andare a
letto, si accomodò in una sdraio e passò in sonno veglia tutta la notte. Ai
primi rumori preparò il caffè per i poliziotti e la colazione per le signorine.
Man mano che entrarono in cucina chiese loro come stavano e tutte erano
sconvolte per quanto accaduto. Laura prese solo un caffè e ritornò in camera
sua con gli occhi pieni di pianto. Tutta la notte aveva cercato nella sua mente
un particolare, un gesto, un atteggiamento, un rifiuto di qualche portata da
parte di qualcuno, nulla, proprio nulla che la potesse far sospettare di
qualcosa. Bettina era curiosa, in quel giardino era stata sin dal primo giorno
attratta da un alberello, una mimosa sensitiva, bastava accarezzarle le foglie
che le stesse si chiudevano, quasi a difendersi dall’azione nefasta che la mano
avrebbe potuto compire, tutte le volte che passava l’accarezzava ed assisteva
alla reazione della pianta. Quella mattina, magari per sviare i cattivi
pensieri, si asciugò le mani nel suo grembiule e si recò in giardino a
carezzare le foglie della mimosa sotto gli occhi increduli dei due poliziotti.
Mentre stava per rincasare notò che uno dei mattoni che delimitavano l’aiuola
era stato mosso, forse un piede maldestro dei camerieri o di un’ospite, si
abbassò e lo sollevò, sotto il mattone una boccetta di vetro col contagocce. Le
tremarono le labbra e provò una sensazione di freddo, e se fosse il contenitore
della stricnina? Lasciò lì la boccetta e vi rimise sopra il mattone, rincasò
e poggiò i gomiti proprio sullo stipite
della finestra che guardava verso la mimosa. Nessuno si mosse fino alla mezzora
dopo le undici, quando Bettina bussò alla porta della camera di Luigina.
-
Scusi signorina, posso preparare per pranzo?
-
Grazie, certamente, se puoi prepara una pastina e una frutta, siamo tutte
sconvolte, Laura è attaccata al telefono con don Raffaele, non si da pace
poverina.
-
Chiamo un po’ prima di mettere in tavola.
-
Vuoi che ti aiuti?... anche tu mi sei sembrata sconvolta.
-
No grazie signorina, conforti la signorina Laura, io faccio da sola.
Il campanello suonò e il
commissario Parelli entrando si informò sulla notte con i due poliziotti, poi
chiese permesso ed entrò direttamente in cucina.
-
Buongiorno signorina, passata serena la notte?
-
Beh, un po’ sconvolta, non ho dormito tanto. Scusi commissario, com’è morto il
cavaliere Tortomasi?
-
Avvelenato dalla stricnina messa in un panzerotto alla crema di pistacchio!
-
Venga commissario, venga con me in giardino.
Bettina si fermò davanti alla
mimosa sensitiva, accarezzò le sue foglie che si chiusero, poi puntò il dito
sul mattone sollevato. Il commissario Parelli alzò il mattone e prese tra le
dita la boccetta, la guardò controluce e rimise il mattone a posto.
-
Chi ce l’ha messa?
-
Con me e i due camerieri eravamo in dieci, uno di noi, perché qui non entra mai
anima viva. Se escludiamo il cavaliere allora eravamo in nove!
-
Escludiamo il preside e don Raffaele, i due camerieri e voi, rimangono solo le
signorine Lofonte, una di loro è l’avvelenatrice, anche perché è l’unica che
conosceva l’esistenza di un mattone mobile dell’aiuola, ma quale movente
avrebbe spinto una di loro ad avvelenare il futuro marito o il futuro cognato.
-
Me lo sono chiesta anch’io, perché avvelenarlo, per quale motivo?
-
Bettina, avvertite tutte e quattro le signorine che io devo reinterrogarle.
Mostrerò loro la boccetta e osserverò le loro reazioni.
Chiuso
nel salone, una alla volta, Parelli reinterrogò le donne mostrando loro la
boccetta. Tutte cadute dalle nuvole, tutte senza movente, tutte affrante per
l’accaduto, tutte accettano di essere entrate più volte in cucina e tutte
asseriscono che anche Lidia ha mangiato un panzerotto alla crema di pistacchio
senza aver subito alcun nocumento. Parelli non ha uno straccio di prova né un
movente, ma è certo che una di loro è una mentitrice, come risolvere l’arcano?
Il commissario si commiatò non escludendo di ritornare per ulteriori
chiarimenti.
Bettina
mise assieme il ritrovamento della boccetta e il panzerotto alla crema di
pistacchio, le tornò alla mente quel vassoio colmo di pasticcini poggiato sul
tavolo della cucina con solo due panzerotti al pistacchio, si, solo due! La
signorina Lidia ne aveva preso uno, quello che non aveva preso Guido, quindi
poteva essere proprio Lidia la vittima designata! Quando le quattro sorelle,
dopo pranzo, si misero a dialogare nel salone, Bettina chiese se poteva rifare
le loro camere. Rassettò prima quella di Leda, poi quella di Luigina e di
Laura, infine quella di Lidia. Sotto il passamano dello scrittoio una foto in
bianco e nero ritraeva due ragazzi in atteggiamento tenero, la stava riponendo
dove l’aveva trovato quando nel volto di quel giovanotto forse appena ventenne
riconobbe Guido Tortomasi e lei? Ma si, era proprio Lidia di trent’anni più
giovane. Ripose con cura la foto dove l’aveva trovata, chiuse la porta e
ritornò nella sua camera, fece una doccia si vesti e si recò a trovare una sua
compagna d’istituto, più grande di lei, che abitava proprio accanto alla vecchia
casa dei maestri Lofonte. Chiese su Lidia e sui suoi amori da ragazzina, ebbe
conferma che Guido e Lidia erano stati trentacinque anni prima fidanzatini, ma
lui si spostò per motivi di studio in un’altra città e quello che sembrava un
grande amore s’era sciolto in breve tempo come neve al sole. Bettina passò dal
commissariato di polizia e pregò Parelli di passare da villa Lofonte per
mostrargli la foto trovata in camera di Lidia. Il commissario diede alla
ragazza il tempo di rientrare, poi con calma si avviò verso la villa. In
presenza delle quattro sorelle si recò con una scusa in camera di Lidia, aprì
un po’ di cassetti, diede una sbirciata, poi alzò il passamano sullo scrittoio
e prese in mano la foto, fece finta di riporla dov’era, ma con sguardo
incuriosito l’ammiccò come un miope, poi la girò verso Luigina:
-
Chi è di voi?
-
Non sono io, è mia sorella studentessa di ginnasio o di prima liceo.
-
Scusi, sua sorella chi?
-
E’ Lidia!
-
E il giovanotto?
-
Non saprei, non ricordo, forse un compagno di scuola.
Ripose la foto sotto lo
scrittoio e invitò le quattro sorelle a recarsi nel salone pregandole di rimanere
sedute. Chiamò Bettina dopo avere fatto una telefonata:
-
Signorina, la prego, disponga su un vassoio dei biscottini, io piglierò posto
accanto alla signorina Laura, lei porti il vassoietto, ripeteremo la scena.
Bettina
rientrò con un vassoietto con cinque biscotti, lo poggiò sul tavolinetto mentre
il commissario invitò le ragazze a pigliarne uno ciascuno e mangiarlo, tutte lo
fecero tranne Lidia.
-
Signorina Lidia, lei non piglia il biscotto?
-
Mi dispiace, non posso!
-
Capito! Le comparirebbe un’altra macchia rosso rubino sulle labbra come quella
che aveva fino ad ieri, lei è allergica alla soia, è così allergica che per
evitare di assaggiare qualcosa che la contenga si è allenata per tanto tempo
fino a riconoscerne l’odore a distanza!
Non
fece una grinza il volto di Lidia, ma dentro di se si chiese come faceva a
sapere della sua allergia alla soia.
-
Commissario, lei non può obbligarmi a mangiare qualcosa che per cui io sono
allergica.
-
Giusto!
Qualcuno bussò alla porta, la
governante andò ad aprire, era don Raffaele.
-
Grazie don Raffaele di essere venuto, lei porta con se la ciliegina da mettere
sulla torta, si accomodi. Lei Bettina, si rechi nella camera della signorina
Lidia, sotto il passamano dello scrittoio c’è una foto, per favore la porti e
la consegni a don Raffaele.
Il
sacerdote prese la foto tra le mani ed esclamò:
-
Quanto eravamo giovani!... Guido e Lidia, un amore svanito nel nulla!
Il
commissario Parelli tirò dalla tasca la boccetta che conteneva ancora tracce di
stricnina, la mostrò agli astanti:
-
Grazie don Raffaele, grazie signorina Bettina, ora non manca nulla, la gelosia
è il movente, l’arma del delitto è il contenuto che stava in questa boccetta,
l’assassina è allergica alla soia! Il caso è chiuso!
A prescindere se vi sia piaciuto o meno, se vi va, lasciate un commento!
Grazie!