I personaggi che animano questa favola sortiscono dalla fantasia, i
luoghi sono reali, una volta pieni di mistero, oggi ubicazione di un
quartiere con meno di cinquant'anni di vita, realizzato in buona parte
con le rimesse degli emigrati in Svizzera, spesso per indicare la zona è
diventato d'uso chiamarlo il quartiere svizzero. Con comodi
appartamenti e qualche spiazzo a verde, il Cozzo è così appellato perchè
trattasi di una piccola collinetta costituita da un banco di
calcarinite compatta, affiorata nel miocene inferiore, ricca di piccoli
fossili, globigerine, rudiste e molti pectin, piccole conchiglie.
Ma perchè rubarvi il tempo? Meglio farvi immergere subito nella storia!Buona lettura!
Mario Scamardo
I Racconti del Borgo
La dama bianca del Cozzo Reginella
Cozzo
Reginella è oggi un quartiere dell’agglomerato urbano di San Cipirello.
Fino a metà degli anni cinquanta era un fondo rustico di calcarinite
ciottolosa affiorata dal fondale marino nel miocene inferiore. Non è
difficile trovare dei piccoli fossili, globigerine[1], rudiste[2] e qualche pectin[3].
Il fondo era servito da un grosso fabbricato composto di parecchi vani
al piano terra e di alcuni ambienti al piano superiore. Sulla stradina
d’accesso un pozzo era protetto da una piccola costruzione in muratura e
da un coperchio in tavole. Tutt’attorno al fabbricato rigogliosi ulivi e
qualche mandorlo.
Cozzo
Reginella apparteneva ad una famiglia di possidenti che abitavano a
Palermo. Fino a metà del secolo scorso era distante dal centro abitato
che di per se, al tramonto, veniva illuminato appena per non perdersi.
Limitrofa al Cozzo, passava una delle tante mulattiere che portavano in
paese, ma al crepuscolo i contadini, al rientro dai campi, evitavano di
attraversarla, in quanto da sempre qualcuno giurava di avere visto un
fantasma in quelle case.
Tramontato
il sole, la casa s’illuminava a giorno, si sentiva una musica
celestiale e veniva fuori una bellissima dama vestita di bianco col viso
coperto da un sottilissimo velo e, danzando, raggiungeva il pozzo che
era di li a poco. Allo scoccare della mezzanotte, una volta al mese,
durante il novilunio, come per incanto, la casa si riempiva di gente e
cominciava una grande festa che finiva col sopraggiungere del primo
raggio di sole.
In
paese, tutte le mamme ammonivano i figli di non recarsi mai nei pressi
del Cozzo per giocare, prima perché poteva esserci pericolo, stante che
c’era nei paraggi il pozzo e poi perché i racconti sul fantasma erano
frequenti. Si parlava di grandi feste, di grandi orchestre, di enormi
banchetti, ma soprattutto della dama vestita di bianco. Qualcuno
raccontava che all’indomani del novilunio, aveva scavalcato la
recinzione in filo spinato ed aveva percorso la stradina che, passando
per il pozzo, raggiungeva la casa. Davanti al pozzo aveva trovato
mucchietti di gusci vuoti di chiocciole e davanti la porta parecchi
carapaci, gusci vuoti di tartarughe. – Cattivo segno! – esclamavano gli
anziani, i gusci vuoti erano ritenuti di cattivo auspicio, specialmente
quelle delle chiocciole, erano sinonimo di epidemia, di morbi
appestanti, di sciagure. La motivazione si legava all’epidemia malarica
che all’inizio del secolo scorso aveva mietuto parecchie vittime nel
circondario.
I
ragazzini, di solito, stavano lontani da Cozzo Reginella, ma la
curiosità era una droga, tra loro ne parlavano e nessuno osava incitare a
varcare quel filo spinato. Nella loro fantasia immaginavano tesori
nascosti, draghi che divoravano lumache e tartarughe e vomitavano gusci
vuoti di lumache e carapaci e, alle prime luci dell’alba si eclissavano
sotto terra, aspettando che si facesse di nuovo buio per venire fuori.
Alessandro
era un ragazzino taciturno, aveva compiuto dieci anni da poco. Di
solito ascoltava e di rado interveniva nei discorsi tra compagni di
scuola. Della dama del Cozzo, qualche volta, si era parlato a casa sua,
ma mentre suo padre sorrideva ai fantastici racconti, sua madre si
impensieriva e gli rinnovava le raccomandazioni di non avvicinarsi alla
zona.
Un
giorno i genitori di Alessandro furono costretti ad emigrare in
Svizzera in cerca di lavoro. Il ragazzo fu affidato alle cure della
nonna che abitava un monovano contiguo alla sua casa, appena dopo cena,
dava un bacio alla sua vecchina e si chiudeva dentro mettendosi a letto.
Al mattino seguente la nonna, che aveva le chiavi di casa, lo
svegliava, gli preparava la colazione e lo mandava a scuola. La finestra
della stanzetta di Alessandro dava in aperta campagna, proprio di
fronte al Cozzo, ed il ragazzino vi si affacciava e stava parecchio
tempo a fissare quella casa e quel pozzo, sperava, in cuor suo, di veder
comparire una sera la dama in bianco, i commensali o i draghi. Non
successe nulla di ciò, ma a luna nuova i suoi occhietti, puntati verso
il Cozzo Reginella, notarono delle strane luci attorno alla casa. Sentì
il suo cuore battere fortemente, socchiuse le ante della finestra e
sbirciò da uno spiraglio, cercando di scoprire gli eventi. Nulla di
chiaro, solo bagliori e qualcosa che si muoveva nel buio fittissimo
della notte. Il sonno stava per coglierlo, si infilò sotto le coperte e
si addormentò. Al mattino seguente, mentre la nonna gli preparava la
colazione, staccò dal muro un calendario e cercò il giorno della
prossima luna nuova, prese dalla sua cartella una matita colorata e lo
segnò.
Per
ventotto giorni Alessandro studiò su come andare a Cozzo Reginella,
bisognava vincere la paura e bisognava eventualmente trovare una facile
via di fuga in caso di pericolo. All’uscita da scuola, dopo il pranzo,
cercò tra gli attrezzi di lavoro del padre una tenaglia, percorse la
mulattiera, guardò attraverso la recinzione in direzione del pozzo e
tagliò i fili, arrotolò il filo spinato e si creò un varco molto
agevole. Appena dopo cena, dopo che la nonna si chiuse in casa,
Alessandro uscì per la strada e si incamminò nuovamente per la
mulattiera. Non ci si vedeva ad un metro, la luce fioca che arrivava
dalle ultime case scemava e, man mano, lo faceva immergere nel buio più
fitto. Sentiva i battiti del suo cuore, ma la sfida riusciva a vincere
la paura. Prima di arrivare al varco che s’era creato, un allocco in
cima ad un cespuglio apriva e chiudeva gli occhi. Alessandro si fermò,
poi scoprì la presenza dell’allocco e continuò verso la recinzione.
Carponi superò il varco, guardò tutt’attorno, e nel buio più fitto non
vide nulla. Quando fu davanti al pozzo si fermò, vi girò attorno, ma
sentì solo il rumore delle frasche che calpestava, trattenne per un
attimo il respiro e si diresse verso la casa. Non c’era un alito di
vento ma, un’anta del piano superiore sbatteva ritmicamente. Chiuse gli
occhi e contò fino a cento, poi li riaprì e si guardò intorno, non c’era
l’orchestra, non c’erano le luci, non c’era la festa e non c’era la
dama in bianco. Che avesse sbagliato a fare i conti sul calendario? Si
sedette sul sedile di pietra accanto alla porta di centro e rimirò il
cielo stellato. Il grande carro, il piccolo carro, l’acquario, il
cancro, c’erano tutte, e più le guardava più diventavano numerose, come
se le stelle si moltiplicassero. Alessandro pensò nella sua testolina
che quanto si raccontava sul Cozzo Reginella era un’invenzione delle
mamme per tenere lontani i bambini dal pericolo del pozzo. Tutto d’un
tratto sentì una voce dolce e suadente di donna che lo chiamò –
Alessandro, Alessandro – il ragazzo scattò in piedi e si girò per ogni
dove, - chi mi chiama, chi sei? – La voce suadente rispose – non aver
paura, sono la dama che tu stai cercando, non ti sarà fatto nulla di
male, vuoi vedermi? – Alessandro ebbe un attimo di esitazione, poi
rispose – si, non ho paura, sono venuto di proposito. – Si illuminò come
per incanto la casa, si aprì la porta e venne fuori con passo felpato
una signora vestita di bianco, con un velo trasparente che le copriva il
volto. – Non temere Alessandro, ripiglia a sedere e fammi posto accanto
a te, mi farai compagnia per questa notte e scoprirai il segreto di
Cozzo Reginella ma, tutto quello che sentirai non rivelarlo mai ad
alcuno, non ti crederebbero, anzi, ti scambierebbero per matto e non
avresti più pace. – Il ragazzo sedette e le fece posto, stranamente non
ebbe più paura, si sentì pervaso da tanta serenità. – Mio caro ragazzo,
sono quattrocento anni che ogni notte di novilunio, quando il buio è
assoluto sulla terra, io mi affaccio a mirar le stelle, proprio come hai
fatto tu stanotte. In questo sito, al tempo c’era un maniero con una
oscura segreta, io ero una bella signorina diciottenne – alzò il braccio
e scostò il velo che le copriva il viso, due occhi neri e profondi, due
gote rosee ed una ciocca di capelli corvini che le copriva un orecchio,
un lungo collo di cigno adornato da una collana priva di monile, era
una donna bellissima. Ricoprì il suo viso e riprese il suo narrare. – I
miei genitori erano due rampolli della nobiltà spagnola, mio padre era
un duca e mia madre una principessa di sangue reale, possedevano questo
feudo e alcuni mesi all’anno vivevano qui tra feste e ricevimenti. Mio
padre amava molto mia madre, la ricopriva di premure e di regali e,
quando era in regime di tenerezze la chiamava “mia reginella”, chissà,
forse questo è il motivo per cui questo luogo viene chiamato Cozzo
Reginella. – Alessandro la guardava in viso estasiato e registrava nella
sua mente tutto quanto proferito dalla dama. La donna poi continuò col
suo narrare - Un giorno tra gli ospiti c’era un giovane ufficiale, nel
salone delle feste che era su al piano nobile, mi invitò a ballare ed io
accettai il suo invito. Era un bel ragazzo dell’alta borghesia
palermitana, aveva due occhi neri e profondi e le sue mani erano grandi e
forti, era galante e cortese, dalle maniere raffinate, ci innamorammo
perdutamente, io staccai il mio medaglione dalla collana e glielo donai,
pregandolo di portarlo sempre con se. Veniva spesso a trovarci, con
qualunque scusa, il suo destriero aveva la bardatura che riportava i
motivi ornamentali della sua divisa. Quando andava via lo seguivo con
gli occhi fino a vederlo scomparire giù nella valle. Mia madre aveva
scoperto il mio segreto e, quando mi chiese quale fosse il rapporto tra
me ed il giovane ufficiale, io le mentii, le dissi che era solo una
sincera amicizia tra ragazzi della stessa età. Passò quasi tutta
l’estate, il mio giovane ufficiale, Vladimiro, mi disse di essere
intenzionato a chiedere la mia mano a mio padre. Gli chiesi di
temporeggiare e di aspettare l’inverno, quando ci saremmo trasferiti a
Palermo. Vladimiro era impaziente ed un mattino, proprio davanti al
pozzo, si avvicinò a mio padre e chiese la mia mano. Mio padre non
rispose, lasciò in asso il mio giovane ufficiale e rientrò rintanandosi
nel suo studio. Poco dopo mia madre entrò nella mia camera, mi venne
accanto e, con voce ferma, mi invitò a raggiungere mio padre. Entrai
nello studio ad occhi bassi, sapevo che Vladimiro non era nobile e non
avrei potuto sposarlo, ma ero decisa a lottare per il mio amore. Mio
padre si alzò dalla sua poltrona e mi apostrofò severamente e mi ammonì
di rivedermi con Vladimiro, lo stesso non sarebbe più stato invitato ad
alcuna festa e non avrebbe più varcato la soglia del nostro maniero.
Uscii da quella stanza a testa bassa, ma sull’uscio gridai a mio padre
che amavo perdutamente il mio giovane ufficiale e non avrei sposato
nessun altro fuor che lui. – E tuo padre? – disse Alessandro – Mio padre
non mi parlò più, diede ordini di ritornare in città. A primavera
nessuno parlò di trasferirsi in campagna, questo posto rimase in balia
dei guardiani e di un minimo di servitù. A estate inoltrata mia madre,
all’uscita della cappella di famiglia, dopo le funzioni, mi chiese se
ero preparata ad incontrare la giovane nobiltà dell’isola, mi parlò di
giovani duchi, giovani conti, tutti desiderosi di farmi la corte ed
attese invano la mia risposta. Io ero innamorata di Vladimiro, per la
mia mente passava solo la sua immagine, impettito nella sua divisa, i
suoi occhi sorridenti e la sua immensa tenerezza. Un
giorno uscii con la mia nutrice che era diventata la mia dama di
compagnia, appena salimmo sulla carrozza mi abbracciò con tutta la sua
tenerezza e mi disse sommessamente che saremmo passati davanti al
comando militare dove prestava il suo servizio Vladimiro. I miei occhi
si riempirono di lacrime e timidamente le chiesi se era possibile
poterlo rivedere. Rosina, la mia nutrice, mi fece cenno di si col capo
ma mi raccomandò di mantenere il segreto, pena la sua vita. Assentii
anch’io col capo e quando la carrozza imboccò la strada delle
casermette, Rosina chiese al cocchiere di fermarsi perché doveva fare
delle commissioni. Scese dalla carrozza e quatta quatta si infilò dentro
una casermetta, dopo un po’ venne fuori seguita da Vladimiro che scostò
le tende della carrozza e mi sorrise con tenerezza, sbottonò appena la
sua giubba gallonata e mi mostrò il medaglione che gli avevo donato.
“Ringrazio il cielo per averti rivista, sei l’unico sogno della mia
vita” mi disse ed io non potei per la gioia proferire parola. Rosina
montò in carrozza ed il cocchiere fece schioccare la frusta. Ripresa la
marcia, la mia nutrice mi consegnò un biglietto, era di Vladimiro, lo
lessi: “Unico grande amore mio, nulla mi convincerà a pensare ad altra
donna, ti amerò tutta la vita, tuo Vladimiro”. Disobbedendo a Rosina che
mi ha suggerito di distruggere il biglietto, lo conservai gelosamente
nel mio seno e arrivata a casa lo nascosi nel mio secretaire. Prima che
finisse l’estate la mia famiglia si preparò per venire qui in campagna,
partimmo coi servitori e, come se nulla fosse accaduto, la vita riprese
come prima. Le feste ripresero e sempre più pompose ed una sera vidi
arrivare tre ufficiali in grande uniforme, uno di loro era Vladimiro. Mi
tremarono le gambe, il mio cuore batteva forte, e non capii nemmeno
perché Vladimiro avesse voluto sfidare mio padre. La sorpresa fu più
grande quando il mio austero genitore volle riceverli personalmente,
riservando loro attenzioni e premure. Non credetti ai miei occhi, pensai
che forse si sarebbe realizzato il mio sogno. – Accarezzò il volto di
Alessandro e gli disse - la notte è ancora lunga, questa è la mia ultima
notte, la tua presenza, ma soprattutto la tua innocenza, rompe
l’incantesimo che mi costringe a ritornare in questo posto ad ogni
novilunio. – Perché l’ultima? – disse Alessandro – Ragazzo mio – riprese
la dama – se l’alba non ci coglierà prima che finisca il racconto,
allora potrò raggiungere Vladimiro nell’aldilà e per l’eternità
coroneremo il nostro sogno. Tu sei il mezzo, la tua curiosità prima ed
il tuo coraggio e la tua innocenza dopo, consentiranno il realizzarsi
del mio unico sogno e mi daranno finalmente la pace interiore. – Allora
continua il tuo narrare – disse Alessandro, poi prese la mano della
dama, la baciò e teneramente le sussurrò – prima che venga l’alba
regalami una carezza, la mia mamma è lontana per lavoro e mi mancano
tanto le sue coccole. – La dama si alzò, prese il capo del ragazzo e lo
strinse al suo seno con tenerezza, poi lo baciò sulla fronte e risedette
accanto a lui riprendendo il racconto. – I miei desideri non avevano
prospettive, mio padre era uno di quei nobili inflessibili che contavano
tanto al tempo, ed aveva un grosso potere decisionale. Durante il
ballo, i due ufficiali che erano in compagnia di Vladimiro, ad un cenno
di mio padre, lo invitarono ad uscire dal salone delle feste con loro e,
per tutta la serata non rientrarono più. Dal grande finestrone notai
l’allontanarsi di tre cavalli, ma uno era senza cavaliere, quello di
Vladimiro. Mia madre aveva trovato il biglietto nascosto nel mio
secretaire, l’aveva dato a mio padre e questi si era vendicato,
attraverso il tradimento dei due ufficiali, ed aveva rinchiuso nelle
segrete Vladimiro. L’indomani la mia famiglia rientrò a Palermo, mio
padre lasciò a guardia delle segrete due sgherri che incatenarono con
lunghissime catene i piedi di Vladimiro per consentirgli di uscire
all’aperto e nutrirsi di quello che la natura gli offriva, chiocciole e
tartarughe. Io seppi della tortura imposta all’uomo che amo e da quel
giorno tentai di lasciarmi morire di fame. Rosina mi stava accanto,
soffriva quanto me, mi aveva nutrito al suo seno e, quando si rese conto
che non era in grado di convincermi a desistere dalle mia volontà, si
rivolse ad un vecchio sapiente che abitava un quartiere popolare della
città. Raccontò la mia storia ed ottenne una pozione, me la propinò
dicendomi che avrei potuto realizzare il mio sogno, a condizione che
avrei potuto raccontare la mia storia in una notte di novilunio ad un
fanciullo coraggioso ed innocente. Tutti mi avrebbero creduta morta, mi
avrebbero seppellito nella cappella di famiglia, ma io ogni notte di
luna nuova sarei resuscitata e mi sarei trovata in questo luogo dove
visse gli ultimi giorni Vladimiro e dove morì di stenti ed incatenato e
si alimentò solo di chiocciole e di tartarughe. – Alessandro tirò un
lungo sospiro, prese ambedue le mani della dama e le disse – il tuo
racconto è finito, ora scopri nuovamente il tuo viso, voglio fissarlo
alla mia mente, tra poco vedremo l’aurora. – La dama bianca si tolse il
velo, lo pose al collo di Alessandro e gli disse – questo è tuo, te lo
regalo, tutte le volte che lo metterai al collo potrai esprimere un
desiderio. – Io ho un grande desiderio, quello che ritornino a casa i
miei genitori e che trovino in Sicilia un lavoro – disse Alessandro. In
cielo comparvero i primi albori, la dama si alzò, carezzò nuovamente in
viso il ragazzo e si avviò verso il pozzo, ebbe ancora un sorriso per il
fanciullo che agitò la mano per salutarla. Dal fondo della stradina
comparve un cavallo bianco riccamente bardato, montato da un giovane
ufficiale, Vladimiro. La dama l’attese, alzò un braccio ed il giovane la
tirò a se in groppa al destriero, staccò dal suo petto il medaglione e
lo riattaccò alla collana della dama, baciò la sua chioma corvina e
spronò il cavallo. Allo spuntare del primo raggio di sole scomparvero
dissolvendosi nel nulla, ora, potevano vivere il loro sogno agognato.
Davanti all’uscio delle vecchie case, tanti carapaci di tartarughe,
accanto al pozzo mucchietti di chiocciole vuote. Alessandro attraversò
il varco nella recinzione e ritornò a casa. A pranzo la nonna gli
consegnò una busta che gli aveva lasciato il postino, l’aprì, dentro
c’era un contratto di lavoro di una grande ditta che offriva una
occupazione al padre. Alessandro richiuse la busta, accarezzò la sua
sciarpa di velo bianco che portava al collo, se la tolse e la depose
piegata nel cassetto del suo comodino. Una settimana dopo rientrarono
dalla Svizzera i suoi genitori.
[1] Genere di foraminiferi.
[2]
molluschi lamellibranchi estinti che, comparsi nel periodo giurassico
dell’era mesozoica, ebbero massima espansione nel Cretaceo.
[3] Bivalvi del Miocene.