lunedì 23 giugno 2014

L E C O R N A ! Racconto breve - (25 giugno 2014)





Mario Scamardo


Le corna!

            Carlo Federico era l’unico figlio maschio della famiglia, l’ultimo di Margherita Helis e Alessandro dei Perciata dopo quattro femmine. Assicurata la discendenza, l’eredità e il nome della nobile famiglia erano salve, i parti di donna Margherita, se non fosse nato Carlo Federico, si sarebbero ripetuti fino a quando la nobildonna sarebbe stata in grado di procreare. 


            Don Alessandro non si accontentava solo di ingravidare sua moglie, ma visitava tutte, o quasi, le abitazioni del feudo e lo faceva di mattina, proprio quando gli uomini erano nei campi a lavorare alacremente. Le sue erano visite di cortesia, e per la verità, siccome non andava mai a mani vuote, anche le donne del feudo gradivano le sue improvvisate. Donna Margherita era a conoscenza delle scappatelle del marito, ma stanca di portare in giro il suo ventre sempre pronunciato, faceva finta di non sapere nulla, nella speranza di avere un po’ di pace.
            Quando Carlo Federico venne alla luce, in quel sontuoso palazzo in mezzo al verde, fu festa per un mese intero, pure i cani festeggiarono in quanto gli avanzi furono tanti fino a sprecarsi. Un banchetto ogni giorno e una giovenca al giorno venne macellata, la cantina si svuotò e si consumarono migliaia di candele. Il trentesimo giorno, coniugi Perciata in testa, tutto il feudo partecipò alla cerimonia di ringraziamento nella cappella del palazzo, e si snodò una processione che attraversò le campagne fino alla cappella dei santi Cosma e Damiano che era stata eretta in epoca remota su una collinetta al confine. 


            Donna Margherita era una donna bellissima, aveva compiuto ventotto anni tre mesi dopo il suo ultimo parto, e pur avendo allattato tutti i figli il suo fisico era perfetto come quello di una ventenne nubile. Il marito, sembrava avere perso la sua focosità e pur passando sempre con meno frequenza dalle case dei contadini, cominciò a disertare anche i doveri coniugali. La nascita del maschio aveva lenito le voglie del marito che aveva trovato una serenità, come se non avesse più interessi per nulla. La donna non fece mai domande, ed anche lei si sentì tranquilla, non castigava più la sua gelosia con qualche singhiozzo strozzato e qualche lacrima e riprese a leggere come faceva da nubile a casa sua, a villa Helis.
            Quando Carlo Federico fu svezzato e di lui si curò una nutrice, Donna Margherita manifestò il desiderio di fare un viaggio, Parigi, un sogno che da nubile non aveva potuto coronare. Don Alessandro si mostrò turbato, ma amava quella donna e dopo tutte le raccomandazioni che le fece, ordinò che preparassero una carrozza che l’accompagnasse alla stazione di Palermo dove aveva prenotato in vagone letto per lei e la sua dama di compagnia Lucia, trentenne, educata, colta e bella quanto la sua padrona.
            Don Alessandro l’accompagnò alla partenza, si preoccupò di far caricare i bagagli, affidò i biglietti al capotreno ed attese che la locomotiva cominciasse a sbuffare per poi togliersi il cappello e salutare.



            Tutto regolare fino al suo ritorno a casa, ma la sera, nel grande salone, provò  la solitudine e quando passeggiò con le mani dietro la schiena per lungo e largo per oltre un’ora, chiamò il suo stalliere e lo inchiodò ad una gragnola di domande sui cavalli, sulle selle, sui calessi e sui finimenti, poi lo licenziò e si mise a dormire. Due giorni dopo ricominciò il suo peregrinare per le case dei contadini. Tra tutte solo  una, Gilda, la moglie del massaro, non gli diede mai l’occasione di sfiorarla con un dito. Per don Alessandro era diventata un chiodo fisso, era formosa e giovane, trentadue denti di pasta d’avorio e le sue gote erano due pesche. Forse i suoi regali erano insufficienti, forse l’approccio non era tra i più ortodossi, eppure lui era un bell’uomo, quarant’anni appena compiuti ed un fisico atletico. Don Alessandro non si diede pace e un mattino anziché passare da casa sua, mandò il cocchiere a prelevarla e la ospitò nel grande salone. Gilda era furba, vestita con gli abiti della festa si sedette sul divano di fronte a lui e quasi ad anticiparlo gli disse:
-        - Don Alessandro, voi siete un uomo interessante, io so perché sono qua, voi desiderate giacere con me come fate con quasi tutte le contadine giovani, io non vi ho dato modo di sfiorarmi, ma anch’io ho desiderato giacere con voi.
L’uomo stranamente diventò rosso in viso, non si aspettava che Gilda osasse tanto, non ebbe la forza di alzarsi:
-        - Gilda, tu mi hai fatto soffrire tanto tempo.
-       -  Signore, non dite nulla, io ho bisogno di maturare dentro di me questa vicenda, dovete darmi un po’ di tempo.
-        - Tutto quello che vuoi.
-        - Vi ringrazio, siete comprensivo, sarò io stessa a darvi il segnale, ma prima che vado via da qua, datemi qualcosa di vostro, non denaro o un gioiello, qualcosa che vi appartenga, affinché io mi abitui a sentirvi vicino.
Gilda aveva notato un fazzoletto posto sul bracciolo di una poltrona con le iniziali  M H ricamate in gotico, erano le iniziali di donna Margherita Helis.
-         Chiedimi quello che vuoi, i miei guanti, la mia sciarpa, la mia catenina del panciotto.
Gilda si avvicinò alla poltrona, prese il fazzoletto, lo strinse nel pugno e gli si avvicinò.
-       -  No signore, mi basterà questo, mi farà sentire vicino a voi. Chiamate il vostro cocchiere e mi fate accompagnare a casa.
Avviandosi verso l’uscita Gilda guardò maliziosamente gli occhi di don Alessandro e gli sorrise, poi affrettò il passo e guadagnò l’esterno non prima di infilarsi il fazzoletto nel seno. Da quel giorno don Alessandro sperò e per non suscitare alcuna gelosia nella donna, non frequentò più le contadine, diventò sereno e tranquillo e pensò solo a curarsi nella persona.
A Parigi Margherita e Lucia vissero giorni spensierati, si accompagnarono per musei, teatri e luoghi di divertimento, incontrarono tutte le amicizie della famiglia Helis ed anche alcune cugine che vivevano nei fasti della capitale francese. Una domenica mattina le due donne si recarono a Notre Dame, si inginocchiarono e pregarono. All’uscita, sul sagrato, Margherita si mise al braccio di Lucia:
-       -  Mia cara, abbiamo passato due settimane splendide, Parigi mi ha davvero riposato e divertito, spero che anche tu ti sia divertita.
-       -  Ma certo, mi avete regalato due settimane favolose. Scusatemi signora, perdonatemi per ciò che vi dirò, ma a fronte della spensieratezza che questa città vi ha offerto, in voi rimane un velo di tristezza. Ho ascoltato la vostra preghiera che avete recitato sottovoce, voi amate vostro marito, ma non siete una donna felice, anche se non fate trapelare mai la vostra gelosia.
-       -  Lucia, io sono stata soltanto una fattrice, ho sfornato figli fino alla nascita di Carlo Federico, una volta avuto ciò che agognava, mio marito non mi ha degnato dell’attenzione che meritavo e ha continuato a giacere con tutte le mogli dei contadini e lo fa tuttora. Sono io una donna brutta? Ho modi poco urbani, puzzo di stalla o di fienile?
-       -  No signora, voi siete stata splendida, compita, profumata, ottima madre ed ottima moglie. Non tutte le contadine giovani hanno giaciuto con vostro marito, una, forse la più bella, la più formosa gli ha resistito, non accettando mai i suoi regali, è Gilda la moglie del fattore. Sa, tra la servitù le notizie circolano, tutti fanno finta di non vedere e sentire, ma tutti sanno tutto. Gilda ha di voi una grande stima e non giacerebbe mai con vostro marito.
-      -   Lucia, amavo mio marito, vorrei potermi rinnamorare di lui, ma dentro di me c’è qualcosa che me lo impedisce. Egli mi è quasi diventato indifferente, mentre prima spasimavo per vederlo soltanto. Quattro femmine ed un maschietto in un lasso di tempo breve, andrei via dai miei, ma amo troppo i miei figli e rimango a soffrire. Non ho mai odiato nessuno, ma se vederlo mi fa soffrire, allora io odio Alessandro, lo odio al punto che lo vorrei veder soffrire.
Lucia abbassò lo sguardo, non disse una parola, prese per mano Margherita e si incamminò con lei fino alla prima carrozza da nolo.
Il giorno in cui Margherita ritornò a Perciata, era un giorno assolato e le sue bambine l’attesero nel patio, il maschietto era in braccio alla nutrice. Li abbracciò tutti, li baciò tutti ripetutamente, poi volse lo sguardo verso l’ingresso di casa e notò il marito vestito da damerino, incipriato come un cicisbeo, si avvicinò a lui e lo salutò dandogli un bacio sulla guancia. Non una parola, non una domanda, solo un piccolo apprezzamento per un cappello a falde larghe che lei portava con eleganza sulle ventitrè.
Il mattino seguente, dopo colazione, Lucia l’avvertì che Gilda, la moglie del fattore, desiderava essere ricevuta. Margherita finì il suo caffellatte, si recò alla toilette e appena uscita si recò nel grande salone. Gilda si inchinò e la salutò, poi:
-        - Signora, perdonatemi per quello che sto per dirvi, voi siete una santa donna, so di darvi un dolore, ma non riesco a tenermi dentro nulla.
-        - Parlate liberamente, non abbiate timore, io sono una donna forte e non c’è nulla che non riuscirei a sopportare.
-      -   Signora, io sono stata oggetto delle attenzioni di vostro marito, tantissime volte, e tutte le volte ho aggirato l’ostacolo con mille scuse. Ancora egli tenta insistentemente di avermi, fino al punto di invitarmi a casa vostra. Io sono stata al gioco ed ho preso tempo, gli ho chiesto un suo oggetto in pegno affinché imparassi a sentirlo più vicino. Voleva darmi la sua catenina, i suoi guanti, ma io ho notato un fazzoletto con le vostre iniziali sul bracciolo di una poltrona, l’ho preso e ho detto che mi sarebbe bastato.

Tirò dal seno il fazzoletto e lo porse a Margherita.
-        - Tenete, è vostro!
-       -  No, tenetelo ancora voi, forse ci servirà. So che siete una donna onesta, so che non mi avete tradito e che mai lo avreste fatto. Lucia mi ha informato di tutto. Mio marito vi desidera, siete davvero una bella donna, voi state al gioco, dite che stasera al buio lo aspetterete a casa vostra, a mezzanotte in punto, vi farete trovare sul letto e sarà impedito a lui di vedervi, prima dell’alba dovrà andar via. Io piglierò il vostro posto, voi e vostro marito partirete in calesse, andrete a divertivi per due giorni in città.
Si avvicinò Margherita ad uno scrittoio, tirò dal cassetto alcune banconote e le porse a Gilda:
-        - Tenete, andate a divertirvi, io mi divertirò alla mia maniera.
Gilda uscì, percorse a piedi tutto il patio, sortì sulla strada e si incamminò verso casa nella certezza di incrociare don Alessandro. Quando lo vide tirò fuori il fazzoletto fece finta di annusarlo e aspetto che l’uomo si avvicinasse:
-        - Don Alessandro, questo fazzoletto che tengo sempre nel petto è come se mi avesse parlato. Stasera mio marito va in città per affari, tornerà domani a sole alto, vi lascio la porta aperta, a mezzanotte entrate, ma non ci sarà né un lume né una candela, io vi aspetterò sul mio letto. Un’ora prima dell’alba andrete via, vi prego, un’ora prima dell’alba!
-       - Capisco il vostro pudore, siete riservata, difficile, selvaggia, che importa se sarà buio, a mezzanotte ci sarò!
Spronò il suo cavallo e si avviò verso casa.
Dopo cena, dopo aver messo a letto tutti e cinque i bambini, dopo che don Alessandro fece finta di prepararsi per una battuta di caccia notturna, Margherita e Lucia, travestiti con abiti maschili, si avviarono verso la casa di Gilda, Lucia si nascose nel fienile e Margherita si spogliò e si adagiò sul letto. Era quasi mezzanotte e fuori si sentirono dei passi felpati, poi il cigolio della porta, lei tossì e lui la raggiuse. Non una parola da parte di lei, solo qualche gemito ed una lunga notte di passione. Quando Lucia dal fienile fece rumore, Margherita con voce contraffatta esclamò:
-     -    E’ quasi l’alba!
Don Alessandro si vestì alla svelta, si chinò sul letto, baciò la fronte della donna che giaceva, staccò la sua catenina d’oro dal panciotto, gliela mise in mano e disse:
-        - A quando?
-      -   E’ quasi l’alba!
L’uomo uscì di corsa e raggiunse il viottolo che lo portò sulla strada. Margherita e Lucia rientrarono quatte quatte e andarono a dormire.
Il pomeriggio del giorno dopo Lucia e Margherita ridevano nel patio, la burla-vendetta era riuscita, ma Margherita sentiva il peso del tradimento del marito come un macigno sulle spalle, tutte quelle corna non riusciva a digerirle proprio. Cosa fare? Lucia suggerì di rendere pan per focaccia, lo stalliere, un aitante giovane trentenne le aveva fatto delle avances, lei lo aveva sempre respinto, ma se Margherita avesse voluto, con lo stesso stratagemma del buio di mezzanotte lei si sarebbe prestata al gioco. Titubò Margherita, ma la sua mappa ormonale e il desiderio di vendetta ebbero il sopravvento sulla razionalità. Tutte le notti lo stalliere, convinto di giacere con Lucia, consumò la sua passione con Margherita. Il gioco era fatto! Corna ricambiate! Bisognava ora mortificare il marito in pubblico!
Un pomeriggio i contadini con le loro mogli furono tutti invitati nel grande patio per festeggiare il compleanno di don Alessandro. Dopo il brindisi, Margherita chiese silenzio e parlò:
-        - Oggi è giorno di grande festa, il padrone compie gli anni, tutti avete portato un dono, anch’io ho portato un dono, anzi due, uno gli sarà consegnato da Gilda, il fazzoletto con le mie iniziali.

Gilda fece due passi avanti, tirò da sotto il corpetto il fazzoletto lavato ed inamidato e lo consegnò a don Alessandro, cereo, tremante. Margherita fece un passo avanti e tirò dal suo seno la catenina d’oro del panciotto, la porse al marito:
-        - Questa me la sono guadagnata in una sera buia, da mezzanotte ad un’ora prima dell’alba! Buon compleanno Alessandro, da domani sarò io ad occuparmi dei cavalli.

Nessuno degli astanti capì nulla, tranne Lucia, Gilda ed Alessandro stesso, che ebbe un gesto istintivo, si portò la mano alla fronte, forse cercava di trovarvi le corna ramificate!





Se vi va lasciate un commento, grazie!

2 commenti:

  1. bellissimo racconto , quando si dice rendere pan per focaccia .,.,.,.,.,.,

    RispondiElimina
  2. le donne ne sanno una più del diavolo, bel racconto Mario

    RispondiElimina