Tratta da
“Il Favoliere – Cucù e le sue storie”
di Mario
Scamardo e Sara Riolo
La
tessitrice di stracci
Anna
non aveva conosciuto sua madre. Sei mesi dopo averla messo al mondo era venuta
a mancare, e quelle tre stanzette ordinate e linde con appena una culletta, un
letto, un tavolo e qualche altro suppellettile, sembravano troppo grandi per
una neonata dagli occhi vispi e il suo genitore. Il padre viveva girando per le
sartorie e i negozi a raccattare ritagli di stoffe che poi riduceva in fettucce
tutte della stessa misura, le legava insieme e le arrotolava in grossi rotoli
variopinti.
La
mamma di Anna, sin da ragazzetta, aveva tessuto ad un telaio di tavole e canne
gli stracci, ottenendone rustiche e pesanti tende che le massaie adoperavano in
funzione delle misure, talvolta come coperte, talvolta come stuoie, talvolta le
stendevano al sole, a terra, per essiccarvi sopra i legumi o il grano appena
lavato, pronto per la macina; qualche altra volta, dopo un lungo logorio,
venivano usate per raccogliere le olive o, quando per l’eccessivo uso non
assolvevano più a quanto erano state destinate, venivano tagliate in quattro o
sei strisce e venivano usate come zerbini.
Il
padre di Anna aveva imparato proprio dalla moglie a tessere gli stracci.
Anna,
morta la madre, ricevette le cure dalle donne del vicinato, in un quartiere
popolare come quello in cui era nata, dove c’erano più bimbi che tegole sui
tetti, e si attaccò a tutti i seni delle vicine fino allo svezzamento.
Il
telaio, posto in un cantuccio accanto al tavolo, si muoveva di sera, il padre
passava a mano con un aspo l’ordito di fettuccia intrecciandolo con la trama di
spaghi, Anna si addormentava con le braccine sul tavolo sulle quali poggiava la
testolina bruna.
Aveva
cinque anni quando suo padre si risposò e la bimba si ritrovò una donna per
casa; siccome tutti gli altri bambini avevano la mamma, pensò che il buon Dio
gliene avesse data una. Chissà, forse assomigliava alla sua vera madre, che lei
non aveva mai visto: in casa non c’era nemmeno un ritratto, ma il babbo le
aveva sempre detto che la sua mamma era stata la più buona e la più bella del
mondo.
Anna
guardava con ammirazione la nuova compagna di papà, ma più passava il tempo,
più provava solo indifferenza e scopriva che non era bella così come il padre
aveva descritto sua madre.
Una
sera, mentre il padre finiva di rassettare attorno al suo telaio, si accostò
alla matrigna, e così come aveva visto fare a tutti i bimbi del vicinato, le
chiese di essere presa in braccio. Desiderava tanto essere stretta tra le
braccia materne, poggiare il suo visino sul suo seno e addormentarsi, ma la
donna non colse il suo desiderio, la prese per la mano, l’aiutò a spogliarsi e
la mise a letto. Anna non batté ciglio ma un velo di tristezza le coprì gli
occhietti inumiditi, tirò le coperte fin sul naso e pianse a lungo in silenzio.
Ogni sera passò dritta davanti a quel tavolo immenso dove era seduta la
matrigna, si infilò nel letto carezzandosi essa stessa il volto, rimboccandosi
le coperte e asciugando di tanto in tanto una lacrimuccia.
Una
sera, nell’angolo buio accanto al suo lettino, notò una piccola luce molto
chiara, Anna la puntò con gli occhietti,
ma la luce di li a poco svanì. La sera successiva, subito dopo di essersi messa
a letto, non ebbe voglia di piangere, guardò fissa l’angolo, come se la luce
che aveva visto la sera prima aspettasse di vederle compiere il rito di
rimboccarsi le coperte per mettersi a brillare, ma non accadde nulla di tutto
ciò. Anna di solito era timorosa, ma l’abitudine di considerarsi da sempre
indipendente le aveva fatto perdere ogni paura.
Era
notte di un inverno pesante e freddo, l’acqua scrosciava sui tetti e il
rimbombo dei tuoni veniva annunciato dai lampi, che, mentre fuori squarciavano
il cielo, illuminavano gli angoli più bui delle case. Il papà era andato a
riposare da poco, la matrigna, con un pesante scialle sulle spalle, si
accingeva a chiudere la porta della cucina, stava dirigendosi verso la camera
da letto, ma all’ennesimo tuono, che sembrò lo scoppio di una bomba, tornò sui
suoi passi, si avvicinò al lettino della bambina, lesse nei suoi occhietti un
pizzico di terrore, le accarezzò la testolina, poi sommessamente le disse:
<<Ora vado a letto, tu non aver paura: lascio la porta della camera
aperta; se vuoi, mi chiami.>> E spense la luce.
La
bimba si rincuorò, volse lo sguardo verso l’angolo e notò la luce che si
muoveva e si posava come una farfalla ai piedi del letto. Anna si sentì
confortata, e non pensò ai lampi e ai tuoni. Pian pianino si addormentò. Da quella
sera, tutte le sere la sua lucina le fece compagnia, e da quel giorno poté cogliere
momenti affettivi da parte della matrigna.
I
giorni si accavallarono ai giorni, i mesi ai mesi e il tempo passò. Anna compì
dieci anni proprio quando finì il ciclo delle elementari. Tra i suoi libri, ben
curati e messi in bell’ordine, un quaderno raccoglieva profili di donna dai
lunghi capelli con gli occhi ridenti, e ad ogni pagina la stessa frase:
<< Mamma, ti voglio bene!>>
Il
padre, il giorno del suo compleanno, lavorò solo la mattina.
Dopo
pranzo, indossò la giacca, ravviò i quattro fili di capelli e uscì di gran
premura. Anna non chiese neppure alla matrigna perché suo padre fosse uscito
così di fretta, ad un’ora insolita, prese le forbici e dalle pezze e dagli
scampoli cominciò a tirare fuori più fettucce che poté. D’un tratto si fermò e
notò, là nello stesso punto dove ogni sera le compariva la sua lucina, una luce
intensa che l’abbagliò, fissando nei suoi occhi l’immagine di una donna bellissima
con lunghi capelli neri sciolti sulle spalle e due occhi d’ebano luminosi.
Anna
restò di ghiaccio, le caddero dalle mani le forbici e l’ultima pezzuola e le
sue labbra tremanti istintivamente si apersero per pronunciare la parola mamma,
tutto svanì in un baleno. Riavutasi da lì a poco, raccattò le forbici e ripose
il lavoro. La Matrigna per tutto il tempo non si era scomposta davanti all’asse
da stiro, non aveva sentito la bambina pronunciare la parola mamma. Strano tutto
ciò e inspiegabile per la bambina, ma una simile emozione non la scosse più di
tanto.
Si
fece quasi buio e rincasò il padre con due involti ben confezionati: in uno c’era
avvolta una bambola di pezza, nell’altro una piccola torta. Anna andò incontro
al padre e l’abbracciò con slancio; gli occhietti le brillarono ed ebbe un
momento di gioia: nessuno mai le aveva fatto un regalo, non aveva mai posseduto
una bambola, ma ne aveva viste cullare tante tra le braccine delle sue compagne
di scuola. Tornò allora alla sua mente il ricordo della visione che l’aveva
colta, voleva parlarne con suo padre ma titubò tanto fino a ritenerlo un
segreto da non rivelare a nessuno.
Venne
preparata la cena e alla fine vennero accese le dieci candeline sulla torta. Anna
allungò lo sguardo verso l’angolo dove aveva avuto la visione, sperando di
riavere la medesima fortuna, ma invano, soffiò sulle candeline e si attaccò al
collo del padre coprendolo di baci, poi aiutò a sparecchiare, alla fine riprese
tra le braccia la bambolina di pezza che aveva riposto accanto al telaio e si
diresse nell’angolo della sua camera da letto.
Dormiva
profondamente quando qualcosa le fece aprire gli occhi, sentì una mano
accarezzarle i capelli e sfiorarle il viso. Anna sorrise: la donna bellissima
dai lunghi capelli neri spioventi sulle spalle era accanto a lei e mentre si
guardavano negli occhi intensamente le parlò con la mente e le suggerì di non
temere la sua presenza. Lei non era mai andata via da quella casa, le era stato
concesso di rimanerle accanto, proteggerla e accompagnarla fino a quando non si
fosse compiuto il tempo, in quella casa aveva guidato suo padre e anche la sua
compagna: Anna recepì il messaggio, ma i suoi occhi continuavano a fissare
quelli di sua madre, fino a quando non svanì e lei riprese a dormire. Mantenne il
segreto e non lo rivelò ad alcuno, tutte le notti si materializzava davanti ai
suoi occhi quella donna e lei godeva di quella visione.
Passarono
gli anni e Anna divenne una bella ragazza dagli occhi profondi; i capelli
corvini e lunghi le coprivano le spalle e assomigliava in maniera
impressionante alla signora delle sue visioni. Aveva finito il liceo e tra i
tanti amici, uno che le era stato più vicino aveva fatto vibrare il suo cuore;
era rimasta ammaliata dalle sue premure, dalla sua tenerezza e dalle tante
attenzioni che nessuno mai aveva avuto per lei. Anna si era innamorata.
Un pomeriggio,
mentre il sole si preparava a tramontare e faceva capolino tra gli alberi,
seduta accanto al suo ragazzo, Anna, che nulla gli nascondeva, confidò le sue
visioni e parlò di sua madre. Il ragazzo non battè ciglio, le fece ultimare la
narrazione e, con dolcezza, le stampò sulla guancia un bacio e le strinse forte
le mani. La ragazza non se l’aspettava e con meraviglia si sentì dire:
<<Io avverto spesso la presenza di qualcuno accanto a me, non mi fa
sentire mai solo e mi fa vincere le paure.>>
Quando
rincasò, cominciava a calare la sera. Suo padre era ancora al telaio a tessere
trame e orditi e la sua compagna trafficava tra i fornelli. Anna ripose la
borsetta ai piedi del lettino, indossò un grembiule e diede il cambio al padre.
Le sue mani erano leste e le dita si muovevano con celerità: il ritmo del
telaio accelerò facendole ricordare gli anni dell’infanzia. La matrigna alzava
ogni tanto gli occhi dai fornelli e la guardava compiaciuta. Dopo cena, si alzò
da tavola e le si avvicinò. Non l’aveva mai fatto: le infilò le dita tra i
capelli e per la prima volta le fece un po’ di coccole, quelle stesse coccole
che le aveva lesinato da bambina, poi si chinò e le baciò la fronte.
Il
padre guardò la scena commosso. Anna provò una sensazione di calore, come aveva
sognato da bambina; chiuse gli occhi e poggiò la testa sul seno della matrigna.
Quando andò a letto, prese un libro tra le mani e aspettò il sonno, che no
tardo ad arrivare. Si addormentò.
La
signora dai lunghi capelli neri non si fece attendere: dopo averla fissata a
lungo, le carezzò i capelli, così come aveva fatto la matrigna. Anna provò la
stessa sensazione, poi, la signora parve sussurrarle: << Ora devo
riprendere il mio cammino, ora che l’amore rifiorisce attorno a te, quello che
tua madre non ha potuto darti. Ho atteso venti anni, sembrano molti su questa
terra, ma sono solo un soffio nell’aldilà. Il tempo non è una misura assoluta;
serve solo agli uomini per rapportarsi con gli altri valori del creato. Un gesto
d’amore compensa tutto ed è quanto avevo chiesto a Chi sta sopra ogni cosa,
questo mi è stato concesso e devo ritornare all’Origine; il mio tempo ora è
compiuto.>>
La
signora allungò la mano, prese dal comodino la bambola di pezza, le carezzò il
capino e la poggiò sul cuscino, poi sorrise e d’incanto svanì.
Anna
capì che non l’avrebbe più rivista, il messaggio le era abbastanza chiaro, si
alzò dal letto, cercò il suo vecchio quaderno con i profili di donna, lo
sfogliò e notò una cosa strana: i profili erano diventati come d’incanto
identici, tutti avevano i capelli lunghi e neri fluenti sulle spalle e un
sorriso si disegnava sulle loro labbra. Un sorriso di sogno.
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Grazie!!!!
Una storia o una favola....bellissima , commovente , dolce e meravigliosa.
RispondiEliminaUn incanto di favola. Commossa.
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