giovedì 6 agosto 2015

QUEL MERCOLEDI' POMERIGGIO.... - Racconto breve -06.08.2015










Mario Scamardo


I Racconti del Borgo

Quel mercoledì pomeriggio…




            Era di passaggio Anna nella vita di Rodolfo? Una espressione crucciata , mogia mogia era scesa dal traghetto, trascinando un trolley di colore rosso. Rodolfo l’aveva aspettata una settimana prima alla stazione centrale, due  ore d’attesa per un treno in ritardo, nel mentre partivano ed arrivavano altri treni, e gli occhi puntati a tutti i finestrini, poi la delusione di non vedere scendere nessuno, solo a sera sulla segreteria telefonica:


 - Scusami Rodolfo, sono stata una sbadata, ho fatto tardi, tanto traffico in città, ho perso il treno, arriverò a Messina col traghetto delle 17,30 di venerdì prossimo, se non ci sei non importa, verrò con un taxi, mi farò accompagnare allo studio. Scusami ancora, ottima serata.


            Nubile, quarant’anni suonati, bella e piena di fascino, pantalone di velluto blu a costine, camicia bianca e giubbino in ciniglia azzurro chiuso davanti con cerniera lampo. Rodolfo si avvicinò, la baciò sulla guancia notando il velo grigio che ricopriva il suo volto:


- Come stai? Come sei arrivata da Napoli a Villa San Giovanni?


- Mi ha dato un passaggio mia sorella Adele che è andata a Reggio Calabria con i due figli, passerà un po’ di giorni dai suoceri.


- Bene, dammi il tuo trolley, vuoi un caffè, una bibita…


- Si grazie, un caffè, poi posso venire con te allo studio.


- Per nulla, andiamo a casa tua, oggi ho delegato il lavoro di studio, tu ti metti in libertà, fai una doccia, io ti aspetto guardando la tv e poi ti invito a cena in un localino a Ganzirri.


            Salirono in macchina Anna e Rodolfo e, districandosi nel traffico, raggiunsero la casa di lei.


            Anna era nata ed era cresciuta fino al conseguimento della maturità scientifica a Napoli, poi si era iscritta alla facoltà di Veterinaria dell’Ateneo messinese, si era laureata ed aveva trovato lavoro proprio a Messina presso un ufficio del Ministero della Sanità. Aveva da poco festeggiato con i colleghi il suo quarantunesimo compleanno e si trovava nubile, con al passato solo una storia con un collega, durata solo pochi mesi.


            Rodolfo era cinquantenne, si era laureato in architettura e lavorava come libero professionista, con uno studio al centro, nei pressi del Duomo. Celibe, con tante piccole storielle senza storia, capaci di durare meno di un mese.


            Anna e Rodolfo avevano la stessa passione, il teatro e, ambedue, avevano un abbonamento al Teatro Vittorio Emanuele II. E’ lì che si sono incontrati una sera, nel foyer, mentre ambedue, contemporaneamente, chiedevano un caffè. Lei bella e affascinante lo era, l’acconciatura ed il trucco avevano accentuato l’essere altera e la luminosità dello sguardo, Rodolfo fece un cenno al cameriere che servì prima la ragazza poi, rivolgendosi ad Anna:


- Signorina, posso avere l’onore di offrirle io il caffè?


            Anna sorrise:


- Mai negare l’opportunità ad un siciliano di pagare un caffè, una pizza o una cena, si offenderebbe, la considererebbe un’onta!


            Rodolfo sorrise:


- Lei non è siciliana?


- Vivo in questa città da ventidue anni, da quando mi sono iscritta a Veterinaria, ma sono nata a Napoli dove ho vissuto la mia infanzia e la mia giovinezza.


- Dottoressa…


- No, no! Nessuna dottoressa! Sono veterinario, ma preferisco farmi chiamare per nome, Anna , Anna Esposito e…. preferisco che mi si dia del tu, perché io ogni tanto, presa dalla distrazione, do del tu a tutti.


            Un piccolo vulcano Anna! Rodolfo ebbe un attimo di esitazione, ma quella donna, con quel suo fare sbarazzino, con quegli occhi pieni di luce, lo incuriosiva:


- Meglio così, tutto d’un colpo! Io sono Rodolfo Lugaro, architetto, ho compiuto cinquant’anni pochi giorni fa e sono un uomo libero come l’aria, anch’io sono nato a Napoli, sono stato adottato quando avevo quattro anni, da due genitori splendidi che hanno vissuto sempre a Messina, fino a quando non perdettero la vita in un disastro aereo, proprio quando festeggiavano il loro quarantesimo anniversario di matrimonio. Non ho ricordi della mia infanzia, tranne il rumore di un arcolaio e la carezza di una mano particolare.


            Suonò la campanella che avvertiva l’inizio del II atto. Rodolfo sorrise ad Anna, poi:


- Ci chiamano, sono impertinente se alla fine del II atto ti attendo in questo stesso punto? Scusa, non ti ho chiesto se sei sola.


            Anna sorrise, poi lo prese sottobraccio:


- Accompagnami, io ho un palco di seconda fila centrale, sono sola, ti ospito e tu non dovrai attendermi al foyer.


            La serata ebbe fine in un ristorante accanto al teatro, e Rodolfo a cena finita l’accompagnò davanti l’uscio di casa. Fu così che ebbe inizio una amicizia, che rimase tale e non si incrinò mai, solo perché nessuno aveva attraversato lo steccato che va oltre l’amicizia stessa.


            L’attesa delusa prima in stazione, poi ancora l’altra sul molo aspettando che si abbassasse il ponte del ferry-boat, l’espressione crucciata di Anna e quel velo di grigiore che le copriva il volto, lasciarono il segno in Rodolfo, lo incuriosirono. Prima di partire per Napoli tutto questo non c’era e, se fosse stata la stanchezza del viaggio, dopo due giorni tutto sarebbe ritornato come prima. Cos’era successo ad Anna in quella settimana in Campania? Rodolfo senti per la prima volta, in maniera seria, di star male perché la sua amica stava male, divenne insofferente e le telefonò di continuo, nella speranza che Anna si confidasse con lui del suo cruccio. Passaggio da casa sua alle otto del mattino con la scusa del caffè, passaggio nel primo pomeriggio ancora per un tè, la sera, con una scusa la caricava in macchina per una pizza o, addirittura, si invitava a cena.


            Pur adombrata da un velo di tristezza, Anna era sempre bellissima, e Rodolfo la guardava intensamente e l’accarezzava con gli occhi. Lei aveva percepito quelle sue attenzioni, era contenta di ciò, e quando lo ritenne il momento giusto, in salotto a bere un tè, quasi con gli occhi pieni di lacrime:


- Rodolfo, so che vuoi chiedermi qualcosa, hai sicuramente notato che mi affligge un pizzico di tristezza, per tua delicatezza non mi hai chiesto nulla. Sono ritornata a Napoli circa un mese addietro, sono mancata una decina di giorni, sono stata a far visita all’unica nonna che ho conosciuta, la madre di mio padre. E’ con lei che ho trascorso la mia infanzia, è lei che mi ha accompagnato il mio primo giorno di scuola, è da lei che ho ricevuto il mio primo giocattolo, una bambolina di stoffa con il capino in cartapesta. Non mi ha quasi riconosciuta, in tre mesi tutto era cambiato. Capii, il morbo di Alzheimer, patologia degenerativa del cervello, ha colpito la nonna. I medici mi hanno spiegato che la malattia è caratterizzata anche da gravi deficit dei neurotrasmettitori cerebrali, colpendo le aree della corteccia cerebrale associate al linguaggio e alla capacità di ideazione; i gangli della base e l’ippocampo, coinvolti con la memoria e l’apprendimento. Un bel guaio! Esami radiologici, e in modo particolare la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica nucleare, hanno confermato le tesi dei sanitari. Un lungo pianto è stato il mio sfogo, sto cominciando ora ad elaborare il lutto.


            Una lacrima le solcò il volto, fissò Rodolfo ed accennò, quasi imponendoselo, un sorriso. Soffiò il naso e:


- La memoria recente è andata, e i suoi movimenti non sono più coordinati.  Ha bisogno di assistenza continua.  Ho trovato una badante, mia madre si è spostata a casa sua, ma anche lei non ha più vent’anni!


- Hai ragione di essere triste, queste scadenze che la vita offre bisogna accettarle, ma è nelle cose che gli anziani si ammalino e perdono l’autonomia.


            Non disse altro Rodolfo, ma in cuor suo fu contento che Anna non fosse triste per qualcosa di più grave.


- Ti accompagnerò ogni quindici giorni, in macchina andremo a Napoli, così potrai vederla e potrai goderti, nel fine settimana, anche la tua mamma.


            Non l’aveva mai fatto Anna, si avvicinò a Rodolfo, lo abbracciò e lo baciò sulla guancia ripetutamente:


- Ti voglio bene!


            L’uomo rimase imbambolato, ma i suoi occhi brillarono. Cosa stava cambiando nel loro rapporto? Perché quella donna bellissima non era mai diventata il suo chiodo fisso? Perché mai lei si innamorò di lui, ma gli volle bene? Spesso Anna lo fissava, quasi a cercare nel suo sguardo qualcosa che nemmeno lei sapeva, poi corrugava la fronte e tirava fuori uno dei suoi fantastici sorrisi.  Rodolfo continuava ad accarezzarla con gli occhi e così trascorreva il tempo che appagava ambedue.


            Un pomeriggio in riva al mare, a piedi nudi sulla spiaggia di Giardini Naxos, lo baciò sul naso:


- Mercoledì pomeriggio passa da casa mia, ci trasformeremo da amici in amanti, ora ritorniamo in città, voglio comprarmi un paio di sandali.


            Non disse una parola Rodolfo, incassò la promessa e si rese conto che era giovedì, ancora sei giorni, quasi sei secoli! Il lunedì successivo Anna chiese a Rodolfo se fosse disponibile ad accompagnarla dalla sua mamma, l’uomo disse di si e alle due del mattino successivo salirono in macchina sul ferry-boat che li portava a Villa San Giovanni in Calabria. Rodolfo che aveva atteso con ansia il mercoledì, vide svanire il sogno.


- Anna, saltato questo mercoledì, mi dirai tu stessa quando lo recupereremo.


            Anna sorrise.


- Scusami, non temere, la promessa è un debito!


            A Napoli, alle nove del mattino i due si fermarono davanti ad un portone nel Rione Luzzatti.  Anna prese il suo trolley, attese che Rodolfo chiudesse la macchina e lo invitò ad entrare.


- Non ti aspettare un appartamento di lusso, ora è stato ristrutturato, ma quando ero bambina i calcinacci si staccavano da soli dalle pareti. Vedi, tutti gli appartamenti hanno l’accesso dall’atrio, tranne i bassi dove si accede dall’esterno, dai vicoli che circondano il palazzo. Io non ricordo mio padre, è venuto meno quando sono venuta al mondo, mi hanno raccontato che lavorava in un deposito di pesce congelato a bordo, lui triturava dieci ore al giorno il ghiaccio, poi i suoi polmoni di sono ammalati. Di lui mi è rimasta soltanto una foto, di spalle a torso nudo mentre teneva in braccio, sulla spiaggia, mia sorella Adele di tre anni più grande di me. Alla sua dipartita fu mia nonna, sua madre a sostentarci, poi, da napoletana verace, sognò mio padre  in barca con un mare in burrasca mentre pescava un capitone, ma poi affogava. Barca 17, burrasca 63, capitone 77, affogare 2, preghiera a San Gennaro, visita alla Cappella Sansevero e dialogo con lo spirito di Raimondo Sangro, “o principe”, quindi corsa al botteghino di Via Mezzocannone e quaterna secca sulla ruota di Napoli! Il venerdì sera mia nonna è andata al Duomo a ringraziare San Gennaro, alla Cappella Sansevero a ringraziare “o principe”, una fortuna! Centoventimila volte la posta, centoventimila volte 1000 lire, 120 milioni di lire, quarant’anni fa erano una fortuna, con questi soldi ha fatto studiare me e mia sorella.


- Perché mi racconti tutto questo.


- Non lo so, ma mi va di farlo. Vuoi dormire qua o se preferisci che ti accompagno in un albergo qui vicino, decidi tu.


- Tu dove dormirai?


- Capito, rimani qua con me, ti preparo il letto in quella che fu la mia cameretta, io dormirò nel lettone di mia madre. Andremo da mia nonna a piedi, appena dieci minuti di strada.


            Disfatti i trolley, dopo una rinfrescata, fuori per i vicoli e in pochi minuti bussarono alla porta della nonna. Anna abbracciò sua madre e la vecchietta, presentò Rodolfo e seduti in salotto consumarono un caffè alla napoletana preparato dalla badante rumena.  La mamma di Anna chiese scusa, poi pregò sua figlia di seguirla in camera da letto, mancarono solo cinque minuti e al ritorno la ragazza, dopo avere sbaciucchiato la nonnina, pregò Rodolfo di accompagnarla a far spesa per sua madre.


            Dopo un pranzo fugace in una trattoria dei vicoli, Anna accompagnò Rodolfo a casa, pregandolo di riposarsi per avere guidato la notte, lei sarebbe ritornata da sua madre e si sarebbero incontrati, intorno alle ore venti, davanti al Duomo per andare a cena.


            Anna tornò da sua madre, trovò lì sua sorella e, mentre la badante rumena accudiva la nonna, le tre donne si chiusero in salotto. La madre scoppiò in un pianto dirotto che mise in apprensione le figlie, poi singhiozzando:


- Adele e Anna, non solo per la nonna, che difficilmente potrà confermarvi quanto sto per dirvi, ma anche per me il tempo si accorcia ogni giorno di più. Non voglio portarmi nella tomba il mio segreto, non è giusto, io e vostra nonna  lo abbiamo mantenuto fino ad oggi. Figlie mie, voi non siete sole, prima che nascesse Adele, io e vostro padre abbiamo avuto due figli maschi. Eravamo in miseria, non avevamo un lavoro, non eravamo in grado di procurargli il cibo e, consigliati dal parroco, abbiamo portato il primo figliolo, il giorno che compiva tre anni e sei mesi, presso la Ruota degli Esposti, il brefotrofio interno all’Ospedale dell’Annunziata Maggiore a Forcella. Lo aveva battezzato lo stesso parroco e gli avevamo dato il nome di Ciro, era nato il 13 maggio del 1960, il giorno della Madonna di Fatima. Diciotto mesi dopo nacque Albertino, vostro padre aveva riperso il lavoro, il padrone del peschereccio dove lavorava aveva perduto un figlio a mare e aveva venduto la barca a un armatore mazarese. Ancora miseria, ancora fame e ancora l’idea della Ruota degli Esposti, ma i rigori dell’inverno in una casa umida e fredda, ci costrinsero a battezzare Albertino con urgenza, due giorni dopo spirò tra le braccia della nonna. Lo seppellimmo sotto un tumulo nella nuda terra e, undici mesi dopo, il giorno dei morti, ci recammo con tuo padre e la nonna al Cimitero di Poggioreale per portargli un fiore, ma non trovammo più il tumulo né la piccola croce in ferro col suo nome di battesimo.


            Il silenzio calò in quella stanza, solo gelo e piccoli sguardi. Adele, prese la mano di Anna, tremava, la loro mamma aspettava una loro reazione; che dire prima di smaltire l’impatto che la rivelazione aveva suscitato?


- Quindi, non siamo sole, abbiamo un fratello e non sappiamo dove cercarlo, ed anche lui, saprà di essere solo, senza alcuna voglia di cercare qualcuno.


- Si Adele, per cinquant’anni io e la nonna abbiamo mantenuto questo segreto, lei non potrà più rivelarlo, la senilità ha provveduto a farglielo dimenticare, io non ho resistito, e ho ritenuto giusto liberarmene. Non so se ho fatto bene, sarete voi due a giudicarmi. Ho ancora davanti agli occhi Ciro, somigliava tanto a vostro padre, stessi occhi, ma soprattutto tre nei sulla natica sinistra, identici, come fossero il marchio di famiglia. Dopo il colpo di fortuna della nonna, che ci ha permesso di non patire la fame e soprattutto di mandarvi a scuola, siamo ritornati presso il brefotrofio, con date e certificati di nascita, ma ci è stato imposto di non cercare, in quanto il bambino era stato adottato, e che non era opportuno turbare la sua tranquillità. Da quel momento abbiamo solo cercato di dimenticare. Tu Anna, perché non parli?


- Mamma, non trovo le parole, lasciami riprendere dallo shock, grazie per avercelo detto, ritorniamo ora alla normalità, avremo tempo per tornarci su. Se hai delle carte, dei documenti, preparale e me le dai, chissà, un giorno potrebbero tornare utili.


            Guardò l’orologio Anna, tra mezzora doveva incontrare Rodolfo al Duomo, sciacquò il viso, riavviò i capelli, baciò mamma, la sorella e la nonna e, a piedi, si avviò verso il Duomo.


            Rodolfo era lì, davanti ad una vetrina, Anna poggiò la mano sulla sua spalla:


- Ciao, non ti ho fatto attendere, sono stata puntualissima!


- Non sarebbe stato un problema se fossi arrivata in ritardo, ho girato alcuni vicoli, ho visitato il Duomo, davvero bello!


            Rodolfo notò che sul volto di Anna, improvvisamente era ritornato quel velo di grigio che ne testimoniava il turbamento. Non disse nulla, la prese sottobraccio:


- Ho visto poco fa un ristorantino carinissimo, dove servono le alici impanate e le zucchine alla scapece, non so se ti piacciono.


- Certo che mi piacciono, su andiamo, dopo cena ci diamo una rinfrescata e andiamo a prendere un gelato alla Galleria Umberto I.


            Il mattino seguente Anna scoprì che Rodolfo aveva lasciato socchiuso l’uscio ed era andato a passeggiare nel patio dell’antico palazzo. Piccoli passi felpati, come se volesse origliare dietro gli usci. Cosa cercava? Cosa ascoltava, ma soprattutto cosa voleva sentire. Non lo disturbò, ritornò a letto e si riaddormentò. A pomeriggio inoltrato, dopo essere ritornata dalla nonna, la ragazza ricompose il suo trolley e assieme a Rodolfo, in macchina si diressero alla volta di Villa San Giovanni.


            Il velo di grigio sul volto di Anna persisteva, Rodolfo cercava ogni occasione per farla svagare; il teatro, un concerto, uno spettacolo di cabaret, la presentazione di un libro, una cena con amici comuni. Una sera, di ritorno da un concerto, la ragazza, prima di scendere dalla macchina davanti l’uscio di casa, stampò un bacio sul volto dell’uomo, lo fissò intensamente, poi:


- Non ho dimenticato un nostro impegno per un mercoledì pomeriggio, oggi è domenica, non me ne dimenticherò di certo! Mercoledì mattina te lo ricorderò, tu non pigliare impegni per il pomeriggio!



            Non disse una parola Rodolfo, di quei mercoledì che si concludevano con un  nulla di fatto ne aveva vissuti una diecina, ma sperò che il prossimo potesse essere diverso. Lunedì e martedì furono due giorni lunghissimi, finalmente alle 11.00 trillò il telefono dello studio, era Anna che confermava l’appuntamento per le 15.00 a casa sua. 

Arrivò puntuale Rodolfo, nove rose scarlatte e una scatola di torroncini. Anna lo accolse con un abbraccio, poi sedettero in salotto e bevvero un caffè fumante.


- Rodolfo, voglio farti una domanda, tu potrai rispondermi o tacere. Quando eravamo a casa mia a Napoli, ti ho visto passeggiare di buon mattino nel patio, come se cercassi qualcosa, un suono, una voce.


- Si, cercavo un suono, che le mattine precedenti avevo sentito, ma che da bambino avevo sentito, quello di un arcolaio che girava sempre con lo stesso ritmo.


- Un arcolaio?... quasi tutte le donne ne possedevano uno, molte di esse lavoravano con la lana grezza, pure mia nonna ne aveva uno, anche dopo l’evento fortunato ha continuato a lavorare con la lana grezza. Su, diamoci una smossa, annulliamoci in qualcosa che ambedue abbiamo desiderato!


            Prese per una mano Rodolfo e lo portò in camera sua. Lasciò cadere la sua vestaglia, sedette sulla sponda del letto ed attese che cadesse a terra lo slip dell’uomo. Fu allora che notò i tre nei sulla natica sinistra, come sua madre aveva descritto quelli del padre, si abbassò, raccolse la vestaglia, si coprì e chiamò l’uomo:


- Ciro!


            Confuso l’uomo rispose:


- Si, perché mi chiami Ciro?


- E’ o è stato il tuo nome?


- Un vago ricordo, come il rumore dell’arcolaio. Scusa ma tu come facevi a sapere  che mi chiamavo Ciro?


- Niente, rivestiti, poi ti spiego!


- E il nostro mercoledì pomeriggio?


- Non ci saranno più mercoledì pomeriggio!


     Corse ad aprire un cassetto Anna, quello con le carte che aveva avute da sua madre, lo tirò fuori e lesse la data di nascita ad alta voce:


- Nato a Napoli il 13 maggio 1960.


- Quella è la mia data di nascita!


- Si, quella di Ciro, il bambino che mia madre, per potergli dare una vita migliore, anziché una di stenti, portò alla Ruota degli Esposti. Era mia nonna, la nostra nonna, che lavorava all’arcolaio tutto il giorno, ogni tanto ci avvicinavamo per vedere girare il fuso e lei ci propinava una carezza.


- Con la mano sinistra, dove aveva solo quattro dita.


- Si, il pollice se lo era tranciato lavorando da giovane alla ferriera.


Si ricomposero i due, ritornarono in salotto e rimasero abbracciati inondando l’una la spalla dell’altro e viceversa di lacrime.


- Non dire niente a nessuno, domattina partiamo per Napoli, faremo a tutti una sorpresa e, visto che io sono il fratello maggiore, ti obbligo a prepararti perché stasera per festeggiare, andiamo a cena nel più raffinato ristorante di Messina e ci ubriacheremo con lo champagne.


Anna  tremava e, non potendo contenere la gioia, aprì le finestre e gridò a squarciagola, come se la sua voce potesse varcare lo Stretto di Messina e potesse arrivare nei vicoli di Forcella:


- Madonna ro Carmino,   Rodolfo mi è fratello a meeeeeeee!!!!!


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