Mario Scamardo
I
Racconti del Borgo
Quel mercoledì
pomeriggio…
Era di
passaggio Anna nella vita di Rodolfo? Una espressione crucciata , mogia mogia
era scesa dal traghetto, trascinando un trolley di colore rosso. Rodolfo l’aveva
aspettata una settimana prima alla stazione centrale, due ore d’attesa per un treno in ritardo, nel
mentre partivano ed arrivavano altri treni, e gli occhi puntati a tutti i
finestrini, poi la delusione di non vedere scendere nessuno, solo a sera sulla
segreteria telefonica:
- Scusami Rodolfo,
sono stata una sbadata, ho fatto tardi, tanto traffico in città, ho perso il
treno, arriverò a Messina col traghetto delle 17,30 di venerdì prossimo, se non
ci sei non importa, verrò con un taxi, mi farò accompagnare allo studio.
Scusami ancora, ottima serata.
Nubile, quarant’anni
suonati, bella e piena di fascino, pantalone di velluto blu a costine, camicia
bianca e giubbino in ciniglia azzurro chiuso davanti con cerniera lampo.
Rodolfo si avvicinò, la baciò sulla guancia notando il velo grigio che
ricopriva il suo volto:
- Come stai? Come sei arrivata da Napoli a Villa San
Giovanni?
- Mi ha dato un passaggio mia sorella Adele che è andata a
Reggio Calabria con i due figli, passerà un po’ di giorni dai suoceri.
- Bene, dammi il tuo trolley, vuoi un caffè, una bibita…
- Si grazie, un caffè, poi posso venire con te allo studio.
- Per nulla, andiamo a casa tua, oggi ho delegato il lavoro
di studio, tu ti metti in libertà, fai una doccia, io ti aspetto guardando la
tv e poi ti invito a cena in un localino a Ganzirri.
Salirono in
macchina Anna e Rodolfo e, districandosi nel traffico, raggiunsero la casa di
lei.
Anna era
nata ed era cresciuta fino al conseguimento della maturità scientifica a
Napoli, poi si era iscritta alla facoltà di Veterinaria dell’Ateneo messinese,
si era laureata ed aveva trovato lavoro proprio a Messina presso un ufficio del
Ministero della Sanità. Aveva da poco festeggiato con i colleghi il suo
quarantunesimo compleanno e si trovava nubile, con al passato solo una storia
con un collega, durata solo pochi mesi.
Rodolfo era
cinquantenne, si era laureato in architettura e lavorava come libero
professionista, con uno studio al centro, nei pressi del Duomo. Celibe, con
tante piccole storielle senza storia, capaci di durare meno di un mese.
Anna e
Rodolfo avevano la stessa passione, il teatro e, ambedue, avevano un
abbonamento al Teatro Vittorio Emanuele II. E’ lì che si sono incontrati una
sera, nel foyer, mentre ambedue, contemporaneamente, chiedevano un caffè. Lei
bella e affascinante lo era, l’acconciatura ed il trucco avevano accentuato
l’essere altera e la luminosità dello sguardo, Rodolfo fece un cenno al
cameriere che servì prima la ragazza poi, rivolgendosi ad Anna:
- Signorina, posso avere l’onore di offrirle io il caffè?
Anna
sorrise:
- Mai negare l’opportunità ad un siciliano di pagare un
caffè, una pizza o una cena, si offenderebbe, la considererebbe un’onta!
Rodolfo
sorrise:
- Lei non è siciliana?
- Vivo in questa città da ventidue anni, da quando mi sono
iscritta a Veterinaria, ma sono nata a Napoli dove ho vissuto la mia infanzia e
la mia giovinezza.
- Dottoressa…
- No, no! Nessuna dottoressa! Sono veterinario, ma preferisco
farmi chiamare per nome, Anna , Anna Esposito e…. preferisco che mi si dia del
tu, perché io ogni tanto, presa dalla distrazione, do del tu a tutti.
Un piccolo
vulcano Anna! Rodolfo ebbe un attimo di esitazione, ma quella donna, con quel
suo fare sbarazzino, con quegli occhi pieni di luce, lo incuriosiva:
- Meglio così, tutto d’un colpo! Io sono Rodolfo Lugaro,
architetto, ho compiuto cinquant’anni pochi giorni fa e sono un uomo libero
come l’aria, anch’io sono nato a Napoli, sono stato adottato quando avevo
quattro anni, da due genitori splendidi che hanno vissuto sempre a Messina,
fino a quando non perdettero la vita in un disastro aereo, proprio quando
festeggiavano il loro quarantesimo anniversario di matrimonio. Non ho ricordi
della mia infanzia, tranne il rumore di un arcolaio e la carezza di una mano
particolare.
Suonò la
campanella che avvertiva l’inizio del II atto. Rodolfo sorrise ad Anna, poi:
- Ci chiamano, sono impertinente se alla fine del II atto ti attendo
in questo stesso punto? Scusa, non ti ho chiesto se sei sola.
Anna
sorrise, poi lo prese sottobraccio:
- Accompagnami, io ho un palco di seconda fila centrale, sono
sola, ti ospito e tu non dovrai attendermi al foyer.
La serata
ebbe fine in un ristorante accanto al teatro, e Rodolfo a cena finita
l’accompagnò davanti l’uscio di casa. Fu così che ebbe inizio una amicizia, che
rimase tale e non si incrinò mai, solo perché nessuno aveva attraversato lo
steccato che va oltre l’amicizia stessa.
L’attesa
delusa prima in stazione, poi ancora l’altra sul molo aspettando che si
abbassasse il ponte del ferry-boat, l’espressione crucciata di Anna e quel velo
di grigiore che le copriva il volto, lasciarono il segno in Rodolfo, lo
incuriosirono. Prima di partire per Napoli tutto questo non c’era e, se fosse
stata la stanchezza del viaggio, dopo due giorni tutto sarebbe ritornato come
prima. Cos’era successo ad Anna in quella settimana in Campania? Rodolfo senti
per la prima volta, in maniera seria, di star male perché la sua amica stava
male, divenne insofferente e le telefonò di continuo, nella speranza che Anna
si confidasse con lui del suo cruccio. Passaggio da casa sua alle otto del
mattino con la scusa del caffè, passaggio nel primo pomeriggio ancora per un
tè, la sera, con una scusa la caricava in macchina per una pizza o,
addirittura, si invitava a cena.
Pur
adombrata da un velo di tristezza, Anna era sempre bellissima, e Rodolfo la
guardava intensamente e l’accarezzava con gli occhi. Lei aveva percepito quelle
sue attenzioni, era contenta di ciò, e quando lo ritenne il momento giusto, in
salotto a bere un tè, quasi con gli occhi pieni di lacrime:
- Rodolfo, so che vuoi chiedermi qualcosa, hai sicuramente
notato che mi affligge un pizzico di tristezza, per tua delicatezza non mi hai
chiesto nulla. Sono ritornata a Napoli circa un mese addietro, sono mancata una
decina di giorni, sono stata a far visita all’unica nonna che ho conosciuta, la
madre di mio padre. E’ con lei che ho trascorso la mia infanzia, è lei che mi
ha accompagnato il mio primo giorno di scuola, è da lei che ho ricevuto il mio
primo giocattolo, una bambolina di stoffa con il capino in cartapesta. Non mi
ha quasi riconosciuta, in tre mesi tutto era cambiato. Capii,
il morbo di Alzheimer, patologia degenerativa del cervello, ha colpito la
nonna. I medici mi hanno spiegato che la malattia è caratterizzata anche da
gravi deficit dei neurotrasmettitori cerebrali, colpendo le aree della
corteccia cerebrale associate al linguaggio e alla capacità di ideazione; i
gangli della base e l’ippocampo, coinvolti con la memoria e l’apprendimento. Un
bel guaio! Esami radiologici, e in modo particolare la tomografia computerizzata
e la risonanza magnetica nucleare, hanno confermato le tesi dei sanitari. Un
lungo pianto è stato il mio sfogo, sto cominciando ora ad elaborare il lutto.
Una lacrima le solcò il volto, fissò
Rodolfo ed accennò, quasi imponendoselo, un sorriso. Soffiò il naso e:
- La
memoria recente è andata, e i suoi movimenti non sono più coordinati. Ha bisogno di assistenza continua. Ho trovato una badante, mia madre si è
spostata a casa sua, ma anche lei non ha più vent’anni!
- Hai
ragione di essere triste, queste scadenze che la vita offre bisogna accettarle,
ma è nelle cose che gli anziani si ammalino e perdono l’autonomia.
Non disse altro Rodolfo, ma in cuor
suo fu contento che Anna non fosse triste per qualcosa di più grave.
- Ti
accompagnerò ogni quindici giorni, in macchina andremo a Napoli, così potrai
vederla e potrai goderti, nel fine settimana, anche la tua mamma.
Non l’aveva mai fatto Anna, si
avvicinò a Rodolfo, lo abbracciò e lo baciò sulla guancia ripetutamente:
- Ti
voglio bene!
L’uomo rimase imbambolato, ma i suoi
occhi brillarono. Cosa stava cambiando nel loro rapporto? Perché quella donna
bellissima non era mai diventata il suo chiodo fisso? Perché mai lei si
innamorò di lui, ma gli volle bene? Spesso Anna lo fissava, quasi a cercare nel
suo sguardo qualcosa che nemmeno lei sapeva, poi corrugava la fronte e tirava
fuori uno dei suoi fantastici sorrisi.
Rodolfo continuava ad accarezzarla con gli occhi e così trascorreva il
tempo che appagava ambedue.
Un pomeriggio in riva al mare, a
piedi nudi sulla spiaggia di Giardini Naxos, lo baciò sul naso:
-
Mercoledì pomeriggio passa da casa mia, ci trasformeremo da amici in amanti,
ora ritorniamo in città, voglio comprarmi un paio di sandali.
Non disse una parola Rodolfo,
incassò la promessa e si rese conto che era giovedì, ancora sei giorni, quasi
sei secoli! Il lunedì successivo Anna chiese a Rodolfo se fosse disponibile ad
accompagnarla dalla sua mamma, l’uomo disse di si e alle due del mattino
successivo salirono in macchina sul ferry-boat che li portava a Villa San
Giovanni in Calabria. Rodolfo che aveva atteso con ansia il mercoledì, vide
svanire il sogno.
-
Anna, saltato questo mercoledì, mi dirai tu stessa quando lo recupereremo.
Anna sorrise.
-
Scusami, non temere, la promessa è un debito!
A Napoli, alle nove del mattino i
due si fermarono davanti ad un portone nel Rione Luzzatti. Anna prese il suo trolley, attese che Rodolfo
chiudesse la macchina e lo invitò ad entrare.
- Non
ti aspettare un appartamento di lusso, ora è stato ristrutturato, ma quando ero
bambina i calcinacci si staccavano da soli dalle pareti. Vedi, tutti gli
appartamenti hanno l’accesso dall’atrio, tranne i bassi dove si accede
dall’esterno, dai vicoli che circondano il palazzo. Io non ricordo mio padre, è
venuto meno quando sono venuta al mondo, mi hanno raccontato che lavorava in un
deposito di pesce congelato a bordo, lui triturava dieci ore al giorno il
ghiaccio, poi i suoi polmoni di sono ammalati. Di lui mi è rimasta soltanto una
foto, di spalle a torso nudo mentre teneva in braccio, sulla spiaggia, mia
sorella Adele di tre anni più grande di me. Alla sua dipartita fu mia nonna,
sua madre a sostentarci, poi, da napoletana verace, sognò mio padre in barca con un mare in burrasca mentre
pescava un capitone, ma poi affogava. Barca 17, burrasca 63, capitone 77,
affogare 2, preghiera a San Gennaro, visita alla Cappella Sansevero e dialogo
con lo spirito di Raimondo Sangro, “o principe”, quindi corsa al botteghino di
Via Mezzocannone e quaterna secca sulla ruota di Napoli! Il venerdì sera mia
nonna è andata al Duomo a ringraziare San Gennaro, alla Cappella Sansevero a
ringraziare “o principe”, una fortuna! Centoventimila volte la posta,
centoventimila volte 1000 lire, 120 milioni di lire, quarant’anni fa erano una
fortuna, con questi soldi ha fatto studiare me e mia sorella.
-
Perché mi racconti tutto questo.
- Non
lo so, ma mi va di farlo. Vuoi dormire qua o se preferisci che ti accompagno in
un albergo qui vicino, decidi tu.
- Tu
dove dormirai?
-
Capito, rimani qua con me, ti preparo il letto in quella che fu la mia
cameretta, io dormirò nel lettone di mia madre. Andremo da mia nonna a piedi,
appena dieci minuti di strada.
Disfatti i trolley, dopo una
rinfrescata, fuori per i vicoli e in pochi minuti bussarono alla porta della nonna.
Anna abbracciò sua madre e la vecchietta, presentò Rodolfo e seduti in salotto
consumarono un caffè alla napoletana preparato dalla badante rumena. La mamma di Anna chiese scusa, poi pregò sua
figlia di seguirla in camera da letto, mancarono solo cinque minuti e al
ritorno la ragazza, dopo avere sbaciucchiato la nonnina, pregò Rodolfo di
accompagnarla a far spesa per sua madre.
Dopo un pranzo fugace in una
trattoria dei vicoli, Anna accompagnò Rodolfo a casa, pregandolo di riposarsi
per avere guidato la notte, lei sarebbe ritornata da sua madre e si sarebbero
incontrati, intorno alle ore venti, davanti al Duomo per andare a cena.
Anna tornò da sua madre, trovò lì
sua sorella e, mentre la badante rumena accudiva la nonna, le tre donne si
chiusero in salotto. La madre scoppiò in un pianto dirotto che mise in
apprensione le figlie, poi singhiozzando:
- Adele
e Anna, non solo per la nonna, che difficilmente potrà confermarvi quanto sto
per dirvi, ma anche per me il tempo si accorcia ogni giorno di più. Non voglio
portarmi nella tomba il mio segreto, non è giusto, io e vostra nonna lo abbiamo mantenuto fino ad oggi. Figlie mie,
voi non siete sole, prima che nascesse Adele, io e vostro padre abbiamo avuto
due figli maschi. Eravamo in miseria, non avevamo un lavoro, non eravamo in
grado di procurargli il cibo e, consigliati dal parroco, abbiamo portato il
primo figliolo, il giorno che compiva tre anni e sei mesi, presso la Ruota
degli Esposti, il brefotrofio interno all’Ospedale dell’Annunziata Maggiore a
Forcella. Lo aveva battezzato lo stesso parroco e gli avevamo dato il nome di
Ciro, era nato il 13 maggio del 1960, il giorno della Madonna di Fatima. Diciotto
mesi dopo nacque Albertino, vostro padre aveva riperso il lavoro, il padrone
del peschereccio dove lavorava aveva perduto un figlio a mare e aveva venduto
la barca a un armatore mazarese. Ancora miseria, ancora fame e ancora l’idea
della Ruota degli Esposti, ma i rigori dell’inverno in una casa umida e fredda,
ci costrinsero a battezzare Albertino con urgenza, due giorni dopo spirò tra le
braccia della nonna. Lo seppellimmo sotto un tumulo nella nuda terra e, undici
mesi dopo, il giorno dei morti, ci recammo con tuo padre e la nonna al Cimitero
di Poggioreale per portargli un fiore, ma non trovammo più il tumulo né la
piccola croce in ferro col suo nome di battesimo.
Il silenzio calò in quella stanza,
solo gelo e piccoli sguardi. Adele, prese la mano di Anna, tremava, la loro
mamma aspettava una loro reazione; che dire prima di smaltire l’impatto che la
rivelazione aveva suscitato?
-
Quindi, non siamo sole, abbiamo un fratello e non sappiamo dove cercarlo, ed
anche lui, saprà di essere solo, senza alcuna voglia di cercare qualcuno.
- Si
Adele, per cinquant’anni io e la nonna abbiamo mantenuto questo segreto, lei
non potrà più rivelarlo, la senilità ha provveduto a farglielo dimenticare, io
non ho resistito, e ho ritenuto giusto liberarmene. Non so se ho fatto bene,
sarete voi due a giudicarmi. Ho ancora davanti agli occhi Ciro, somigliava
tanto a vostro padre, stessi occhi, ma soprattutto tre nei sulla natica
sinistra, identici, come fossero il marchio di famiglia. Dopo il colpo di
fortuna della nonna, che ci ha permesso di non patire la fame e soprattutto di
mandarvi a scuola, siamo ritornati presso il brefotrofio, con date e
certificati di nascita, ma ci è stato imposto di non cercare, in quanto il
bambino era stato adottato, e che non era opportuno turbare la sua
tranquillità. Da quel momento abbiamo solo cercato di dimenticare. Tu Anna,
perché non parli?
-
Mamma, non trovo le parole, lasciami riprendere dallo shock, grazie per
avercelo detto, ritorniamo ora alla normalità, avremo tempo per tornarci su. Se
hai delle carte, dei documenti, preparale e me le dai, chissà, un giorno
potrebbero tornare utili.
Guardò l’orologio Anna, tra mezzora
doveva incontrare Rodolfo al Duomo, sciacquò il viso, riavviò i capelli, baciò
mamma, la sorella e la nonna e, a piedi, si avviò verso il Duomo.
Rodolfo era lì, davanti ad una
vetrina, Anna poggiò la mano sulla sua spalla:
-
Ciao, non ti ho fatto attendere, sono stata puntualissima!
- Non sarebbe stato un problema se fossi arrivata in ritardo, ho girato alcuni vicoli, ho
visitato il Duomo, davvero bello!
Rodolfo notò che sul volto di Anna,
improvvisamente era ritornato quel velo di grigio che ne testimoniava il
turbamento. Non disse nulla, la prese sottobraccio:
- Ho
visto poco fa un ristorantino carinissimo, dove servono le alici impanate e le
zucchine alla scapece, non so se ti piacciono.
-
Certo che mi piacciono, su andiamo, dopo cena ci diamo una rinfrescata e
andiamo a prendere un gelato alla Galleria Umberto I.
Il mattino seguente Anna scoprì che
Rodolfo aveva lasciato socchiuso l’uscio ed era andato a passeggiare nel patio
dell’antico palazzo. Piccoli passi felpati, come se volesse origliare dietro
gli usci. Cosa cercava? Cosa ascoltava, ma soprattutto cosa voleva sentire. Non
lo disturbò, ritornò a letto e si riaddormentò. A pomeriggio inoltrato, dopo
essere ritornata dalla nonna, la ragazza ricompose il suo trolley e assieme a
Rodolfo, in macchina si diressero alla volta di Villa San Giovanni.
Il velo di grigio sul volto di Anna
persisteva, Rodolfo cercava ogni occasione per farla svagare; il teatro, un
concerto, uno spettacolo di cabaret, la presentazione di un libro, una cena con
amici comuni. Una sera, di ritorno da un concerto, la ragazza, prima di
scendere dalla macchina davanti l’uscio di casa, stampò un bacio sul volto
dell’uomo, lo fissò intensamente, poi:
- Non
ho dimenticato un nostro impegno per un mercoledì pomeriggio, oggi è domenica,
non me ne dimenticherò di certo! Mercoledì mattina te lo ricorderò, tu non
pigliare impegni per il pomeriggio!
Non disse una parola Rodolfo, di
quei mercoledì che si concludevano con un nulla di fatto ne aveva vissuti una diecina,
ma sperò che il prossimo potesse essere diverso. Lunedì e martedì furono due
giorni lunghissimi, finalmente alle 11.00 trillò il telefono dello studio, era
Anna che confermava l’appuntamento per le 15.00 a casa sua.
Arrivò puntuale
Rodolfo, nove rose scarlatte e una scatola di torroncini. Anna lo accolse con
un abbraccio, poi sedettero in salotto e bevvero un caffè fumante.
-
Rodolfo, voglio farti una domanda, tu potrai rispondermi o tacere. Quando
eravamo a casa mia a Napoli, ti ho visto passeggiare di buon mattino nel patio,
come se cercassi qualcosa, un suono, una voce.
- Si,
cercavo un suono, che le mattine precedenti avevo sentito, ma che da bambino
avevo sentito, quello di un arcolaio che girava sempre con lo stesso ritmo.
- Un
arcolaio?... quasi tutte le donne ne possedevano uno, molte di esse lavoravano
con la lana grezza, pure mia nonna ne aveva uno, anche dopo l’evento fortunato
ha continuato a lavorare con la lana grezza. Su, diamoci una smossa,
annulliamoci in qualcosa che ambedue abbiamo desiderato!
Prese per una mano Rodolfo e lo portò
in camera sua. Lasciò cadere la sua vestaglia, sedette sulla sponda del letto
ed attese che cadesse a terra lo slip dell’uomo. Fu allora che notò i tre nei
sulla natica sinistra, come sua madre aveva descritto quelli del padre, si
abbassò, raccolse la vestaglia, si coprì e chiamò l’uomo:
-
Ciro!
Confuso l’uomo rispose:
- Si,
perché mi chiami Ciro?
- E’ o
è stato il tuo nome?
- Un
vago ricordo, come il rumore dell’arcolaio. Scusa ma tu come facevi a sapere che mi chiamavo Ciro?
-
Niente, rivestiti, poi ti spiego!
- E il nostro mercoledì pomeriggio?
- Non ci saranno più mercoledì pomeriggio!
Corse ad aprire un cassetto Anna, quello
con le carte che aveva avute da sua madre, lo tirò fuori e lesse la data di
nascita ad alta voce:
- Nato a Napoli il 13 maggio 1960.
- Quella è la mia data di nascita!
- Si, quella di Ciro, il bambino che mia madre, per potergli dare una
vita migliore, anziché una di stenti, portò alla Ruota degli Esposti. Era mia
nonna, la nostra nonna, che lavorava all’arcolaio tutto il giorno, ogni tanto
ci avvicinavamo per vedere girare il fuso e lei ci propinava una carezza.
- Con la mano sinistra, dove aveva solo quattro dita.
- Si, il pollice se lo era tranciato lavorando da giovane alla
ferriera.
Si ricomposero i due, ritornarono
in salotto e rimasero abbracciati inondando l’una la spalla dell’altro e
viceversa di lacrime.
- Non dire niente a nessuno, domattina partiamo per Napoli, faremo a
tutti una sorpresa e, visto che io sono il fratello maggiore, ti obbligo a
prepararti perché stasera per festeggiare, andiamo a cena nel più raffinato ristorante
di Messina e ci ubriacheremo con lo champagne.
Anna tremava e, non potendo
contenere la gioia, aprì le finestre e gridò a squarciagola, come se la sua
voce potesse varcare lo Stretto di Messina e potesse arrivare nei vicoli di
Forcella:
- Madonna ro Carmino, Rodolfo mi è fratello a meeeeeeee!!!!!
Vi è piaciuta?.... no!..... lasciate un commento se vi va!
Bellissimo racconto , molto scorrevole e piacevole da leggere . Una storia vera , perchè tante sono le nonne che si ammalano e molti i ragazzi adottati che poi ritrovano i loro genitori.
RispondiEliminaIntensa ed emotiva! Sul cuore la triste realtà del tempo, che da sempre accompagna il nostro cammino. Quante storie e racconti di povertà, scritti o immaginati? Complimenti Mario! Non di circostanza, ma di stima, sia come lettore, sia come viaggiatore consapevole del trascorso vissuto. Storie che raccontano, noi attenti a realizzarle, perché appartengono a ognuno delle "stesse, nostre famiglie".
RispondiEliminaScorrevole, tenero e commovente: mi ha fatto piangere
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