venerdì 20 maggio 2016

IL MONACO GUERRIERO DI JATO - FAVOLA - 20. maggio. 2016





Mario Scamardo

I Racconti del Borgo


Il monaco guerriero di Jato

         Nel 1246, dopo che Federico II, rase al suolo Jato, ultimo baluardo arabo in Sicilia, e deportò le genti del luogo in Puglia, a Lucera, del vecchio caravanserraglio di Cozzo Reginella rimasero solo fatiscenti  murate e qualche locale che nel tempo era servito a riparare le cavalcature, asini, cavalli e muli, dalle intemperie. I monaci della Misericordia, con le vecchie pietre, edificarono un piccolo convento e l’odierna Chiesa delle Anime Sante, essi si occupavano delle inumazioni dei cadaveri, talvolta delle mummificazioni con i metodi del tempo e della cura del luogo sacro dove i cadaveri riposavano per i tempi a venire. Considerato che il caravanserraglio era stato costruito dagli arabi intorno all’anno 1000 e che le Crociate hanno avuto inizio nel 1095 con la prima, mentre la nona fu nel 1268, come è possibile che sopra il portale della chiesa vi fosse scolpita una “croce spinata” inscritta in un cerchio, inequivocabile segno della frequentazione del monastero da parte dei monaci guerrieri? Semplice, un caravanserraglio di quella portata, secondo Edrisi, invitato dal re Ruggero II di Sicilia a Palermo, doveva servire a tanti mercanti, ma doveva essere posto in un grande crocevia. Anche Ibn Zafar, politologo arabo del periodo normanno, accennando ad Jato parlò della grande viabilità che si snodava ai piedi del monte San Cosmano (oggi Monte Jato), per cui è possibile, anzi certo che monaci guerrieri sostarono per tempi ragguardevoli nel sito e, di conseguenza, lasciarono il segno della loro presenza. Riscrivere tutto sulle Crociate? No, ma proprio da Jato passavano le diramazioni della via Valeria e della via Mazarie. Partirono mai navi cariche di Crociati da Sciacca e da Mazara per raggiungere quello che chiamiamo oggi Magreb?
         Tommaso Fazello, storico e teorico, nato a Sciacca, descrivendo alcuni aspetti della Magna divisa Jati, accenna al toponimo “sacerdos cum gladio  et galea” (sacerdote in elmo e spada) ancora oggi ricordato come “Cozzo del monaco guerriero”, proprio il Cozzo Reginella dove c’era l’antico fondaco. Fino agli anni cinquanta del secolo scorso i nonni raccontavano la leggenda di un monaco in armi che dall’imbrunire all’alba stava a guardia della chiesa, sul sagrato e, nelle notti di novilunio combatteva contro un demone che voleva abbattere il grande portone in legno della chiesa.



         Ogni leggenda ha il suo fondo di verità, e Raffaele, undici anni, passato l’anno prima a comunione, che abitava a meno di cento passi dalla cappella, s’informò con mastro Nino, il ciabattino che abitava sotto casa sua, cosa fosse il novilunio e quando ne ebbe contezza, capì che ogni ventotto giorni era novilunio, cioè non si vedeva la luna nel cielo e che la notte era del tutto buia e per le strade non vi erano ombre. Quando mastro Nino lo informò che quella sera era invece plenilunio e la notte era illuminata dall’intero satellite, Raffaele calcolò che la notte completamente buia cadeva esattamente tra quattordici giorni. L’attesa fu lunga, ed ogni notte il ragazzo sortì fuori di nascosto a sbirciare sul sagrato nell’attesa che venisse fuori il monaco in armi pronto a brandire una enorme spada di foggia medioevale. Era piena estate e faceva buio tardi, considerato che non era periodo scolastico ma di vacanza, Raffaele si attardava senza aver timore di doversi alzare presto al mattino. La sera del novilunio, Il ragazzo cenò, poi guardò un po’ il televisore, si lavò i denti, indossò il pigiama e, con la finestra socchiusa si mise a letto. Abitava al piano terra Raffaele e, quando ebbe certezza che i suoi genitori si fossero addormentati, sgattaiolò dalla finestra e camminando con passo felpato addossato al muro, sbucò in un angolo del sagrato e attese gli eventi. Era veramente buio, in cielo si avvertiva il tremolio delle stelle e si vedevano le costellazioni dell’Orsa maggiore, di Cassiopea, Auriga, Castore e Polluce, Orsa minore. La maestra di quinta elementare lo aveva reso edotto sulla volta celeste, al buio lo spettacolo era davvero affascinante. Si sentì l’orologio del campanile della Chiesa Madre battere la mezzanotte, poi il silenzio seguito dal guaito di un cane che attraversava il sagrato, nessun demone e nessun monaco ma, tutto d’un tratto si sentì battere violentemente sull’enorme portone in quercia della chiesa, poi ancora il silenzio seguito da un fischio e ancora il battere con violenza seguito ancora dal silenzio. Raffaele quasi si appiattì sul muro, cominciò ad avere un pizzico di paura e sperò che la leggenda fosse solo leggenda ma, si sentì per la terza volta il battere violento e fu allora che il portone si spalancò e venne fuori un monaco con un saio bianco, non aveva l’elmo ma una chioma fluente bianca come il latte, con in mano una grossa spada di foggia medioevale. Il monaco alzò gli occhi al cielo, poi si segnò e segnò con la spada una enorme croce sul sagrato, si sentì allora un grande sibilo e l’aria puzzò di zolfo. Il monaco richiuse le due grandi ante del portone e si avvicinò a Raffaele che, fortemente impaurito e con gli occhi fuori dalle orbite tremava come foglia al vento.
- Non aver paura figliolo, sono circa ottocento anni che, approfittando delle tenebre, un demone cattivo vuole tentare quanti in questa cappella vengono a pregare. Io regolarmente impedisco al demone di entrare, segnando il sagrato con questa spada. Smettila di tremare, tu sei uno dei pochi bambini che hanno assistito a questo rito, ciò vuol dire che tu hai un cuore puro ed hai avuto tanto coraggio da affrontare la notte di novilunio. Io sono frate Eligio, sono ritornato dall’isola di Cipro, per difendere con questa spada datami dal Papa Gregorio X, proprio questo luogo che da sempre ha visto guerre, sangue, eccidi, soprusi.
         Timidamente Raffaele, si scostò pian pianino dal muro e chiese:
- Ma scusate, quanti anni avete voi, e perché vi hanno visto così in pochi?
-                Non ricordo quanti anni ho, la difesa dei grandi valori non ha età, io sono soltanto un simbolo ed i simboli sono eterni, come eterni sono l’amore, il bene, la tolleranza, la speranza, il credo, la fede. Tutti possiamo essere frate Eligio, basta credere nei grandi valori. Fra poco il campanile batterà un solo colpo, esso segnerà la prima ora del nuovo giorno, io andrò a riporre ai piedi dell’altare la mia spada e riprenderò il sonno che si interromperà nuovamente fra ventotto giorni col cadere del prossimo novilunio. Ritorna ancora una volta, il tuo cuore batterà meno velocemente, non avrai bisogno di attaccarti al muro per farti coraggio, scacciato il demone, entrerai con me in chiesa e ti mostrerò molti dei simboli che in essa sono stati posti dai miei fratelli monaci della misericordia che l’hanno costruita con le vecchie pietre del caravanserraglio.
Entrò in chiesa il monaco in armi, si chiuse il portone e si risentirono i trilli dei grilli e il frinire delle cicale. Raffaele scavalcò la finestra e si mise a dormire.
Il mattino seguente la mamma, ignara dell’avventura del figliolo, come sempre,  lo svegliò che erano le dieci e lo ricoprì di baci e di carezze.
- Su, poltrone, alzati, infilati in bagno, doccia, denti e pettinati, io ti preparo la colazione, poi di corsa in chiesa, oggi è domenica, hai un’ora e mezza prima che cominci la Santa Messa.
Raffaele si aggrappò al collo della madre, era un coccolone, la sbaciucchiò e chiese di suo padre:
-                Dov’è papà?
-           E’ andato dai nonni, li porterà in chiesa, poi tutti qua, pranzeremo     assieme. Su, di corsa, ti ho preparato cosa metterti,  metto tutto sul lettino.
Raffaele si catapultò in bagno, poi fece colazione e si vestì per recarsi in chiesa. Quando fu sul sagrato si fermò, guardò il grande portone di quercia aperto a metà, chiuse gli occhi cercando di ricordare anche i minimi particolari di quanto aveva visto la notte. Entrò, c’era ancora poca gente tra i banchi, il ragazzo andò verso l’altare dell’unica navata e cercò con gli occhi la spada che frate Eligio gli aveva detto di deporre proprio lì. La spada c’era, ma era soltanto raffigurata nella pietra, proprio ai piedi di quell’altare, ma dov’era il frate, dove riposava? E se il suo fosse stato soltanto un sogno? Dubitò Raffaele, guardò in giro per cercare quei simboli di cui il frate gli aveva accennato. L’arrivo del padre con i nonni lo distolse, andò incontro a loro, li baciò e sedette in un banco aspettando l’inizio della Santa Messa.
A fine pranzo Raffaele andò in veranda col nonno e gli chiese della leggenda del monaco guerriero. Il nonno precisò che si trattava solo di un racconto tramandato a voce che, nel tempo, si era arricchito di particolari, in quanto ogni narratore, facendo suo il personaggio, arricchiva il racconto con la propria fantasia. Quando gli descrisse il monaco, dicendo che si chiamava Eligio, che aveva una chioma bianca come il latte e fluente e che indossava un saio bianco, Raffaele precisò al nonno:
-         E non portava nessun elmo!
-         Vero, non portava elmo, ma tu come lo sai?
-         Così, l’ho immaginato, magari ogni tanto non lo indossava.
Il nonno si fermò, guardò negli occhi il ragazzo e gli chiese:
-         Tu l’hai visto?
-         Si, e tu?
-         L’ho visto anch’io, avevo la tua età, mi alzai di notte nel novilunio e assistetti al duello tra il monaco e un demone, il bene ebbe il sopravvento, ma scoprii col tempo che se si vuole sempre avere il sopravvento sul male, bisogna amare con tutte le forze il prossimo che ci sta attorno.
-         Nonno, dove stanno e cosa sono i simboli di cui il monaco ha parlato?
-         Stanno dentro di noi, nella cattedrale che pian piano ogni giorno costruiamo nel nostro petto, essa rimarrà incompiuta come il Tempio di Salomone, non avrà tetto, non basta una vita a realizzarlo per intero, ciò ci consente di vedere le stelle, anche quando attorno a noi è tutto buio, proprio nel novilunio. E’ ancora presto perché io ti spieghi alcuni simboli, ognuno di essi esprime un grande concetto, il tempo ti aiuterà a capire, ma tu non pensare mai di avere ultimato il tuo apprendimento, esso non finisce mai, pure io che son vecchio continuo incessantemente ad apprendere. Il monaco guerriero combatte da secoli il male e, quando lo riterrà opportuno saprà incontrarti per svelarti i suoi segreti e per rivelarti il significato dei simboli.
Raffaele non parlò mai con nessun’altro del suo accaduto, tutti i noviluni scavalcò la finestra ed attese che frate Eligio tracciasse con la spada una grande croce sul sagrato, nell’attesa che il monaco lo invitasse ad entrare con lui per indicargli i simboli e per spiegarglieli, ma il frate non lo invitò mai ad entrare. Pian piano la voglia di sapere gli venne meno e, ormai giovanottone quasi dimenticò del monaco del sagrato.
Una notte, nel pieno del sonno, Raffaele si svegliò e senza saperselo spiegare si ritrovò, come quando era bambino, addossato al muro all’angolo del sagrato, mentre frate Eligio, spada in mano ed elmo calzato, menava colpi contro un essere dalle forme mutevoli, una volta maiale, poi caprone, ancora lupo famelico e poi ancora caprone, l’odore di zolfo invadeva la piazza e quando la grande spada roteò a mulinello, cadde la testa del caprone sul selciato e cadde anche il corpo che si trasformò in un mucchietto di cenere spazzata via da una folata di vento. Frate  Eligio si tolse l’elmo, e cadde sulle sue spalle la nivea chioma, si segnò tre volte, poi segnò ancora una grande croce sul sagrato e postosi davanti al portone spalancato disse a Raffaele:
- Figliolo, c’è un tempo per tutte le cose, ora sei un uomo, sei passato attraverso l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, ti appresti ad affrontare la vita con tutte le cose che potrà riservarti, ora io ti spiegherò cos’è la libertà, la morale, la virtù, il vizio, avrai tempo per penetrarne i significati, tutto il tempo che ti occorrerà. Ti ho visto tutti i noviluni sulla piazza ad aspettare, poi ti sei stancato, non hai avuto pazienza, ma i concetti che ti sto accennando vanno penetrati dagli uomini affinché si migliorino, i ragazzi non li capirebbero, attratti come sono dai giochi e dal tanto futile di cui sono circondati. Ora ti darò la mia spada, ti segnerai e segnerai sul sagrato una grande croce, così come faccio io, poi entreremo in chiesa e ti spiegherò il principio dell’amore.
Raffaele prese la spada, la impugnò, si segnò e tracciò a terra una grande croce, poi varcò la soglia della chiesa e, chiuso il portone frate Eligio gli spiegò il concetto che guida l’uomo nel suo cammino di rettitudine:
- Raffaele, la più grande forza che natura ci ha dato è l’amore, capace pure di far muovere le montagne, per attuarlo e metterlo in pratica devi saper rispettare il pensiero degli altri, anche se non lo condividi affatto, e morirai pur di far si che la persona di cui non condividi il pensiero, possa sempre esprimerlo liberamente. Questa si chiama tolleranza, da non confondere mai con la sopportazione che è soltanto un concetto che non ti appartiene. Riponi la spada ai piedi dell’altare, io ho bisogno di riprendere il mio sonno. Fa che il frate guerriero rimanga leggenda, nessuno ti crederebbe, fai come ha fatto tuo nonno, conservami nel tuo cuore, io sono stato solo un briciolo della volontà di Colui che tutto può, un umile servitore!
         La spada ritornò per incanto ad essere raffigurata sulla pietra ai piedi dell’altare, frate Eligio si dissolvette e la fiamma del cero acceso davanti all’altare tremolò e si allungò, quasi a testimoniare il saluto del monaco che andava via. Il grande portone si aprì appena per fare uscire Raffaele e le stelle in cielo brillarono fino all’aurora.






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