Tratto da IL FAVOLIERE Cucù e le sue storie - ediz. ila palma
di Sara Riolo e Mario Scamardo
IL FRATE DELLA KUMETA
L'autunno ingialliva le foglie e il vento le trasportava per ogni dove.
Sulla vetta del monte Kumeta, l'eremita frate Anselmo, si affrettava ad
accatastare dentro la sua grotta quanta più legna poteva. L'inverno era
prematuro e rigido, spesso la neve ghiacciava e l'anfratto,dove era
sistemato il monaco, per porta aveva solo un telaio di vecchie assi,
ricoperto di canne intrecciate coi giunchi che crescevano lungo il
torrentello che scorreva a valle.
Gli unici compagni dell'eremita erano due capre e un cane da pastore
che lo seguiva ormai da tempo. Frate Anselmo da circa vent'anni non
scendeva dalla montagna, ma la gente lo andava a trovare sovente,
soprattutto in compagnia dei bambini, e parlava con lui, si confidava,
chiedeva consigli e preghiere, distogliendolo dal suo meditare, e gli
portava in dono alimenti, frutti della terra e capi di vestiario. Quando
era prossimo il Natale, la grotta si riempiva di doni che il frate
destinava agli orfanelli che venivano ospitati nel convento di
Muffoletto ad opera di alcuni frati questuanti, e che ogni anno, in
prossimità della Natività, venivano accompagnati sulla Kumeta per
visitare il presepe che il frate allestiva con le figurine ricavate da
tronchetti in legno scolpito o in cartapesta e in argilla lasciata
cuocere accanto al fuoco.
Il presepe era suggestivo, la semplicità del frate si coglieva dalla
semplicità dei suoi personaggi e dall'amore con cui veniva curato
l'allestimento; i fanciulli estasiati ascoltavano la sua parola che li
immergeva nell'atmosfera mistica dell'avvento del Salvatore.
Non ci voleva molto per arrivare in cima, meno di un'ora, andando su
per uno stretto sentiero da dove si coglie il panorama stupendo delle
valli attorno, e si ha ragione della laboriosità degli abitanti dei
luoghi; i campi tutti arati, i vigneti rigogliosi, i giardini
stracarichi di frutta e i prati colorati rosso scarlatto dai papaveri.
Il silenzio avvolgeva la cima della montagna; dentro la grotta
regnava un'ordine certosino: un pagliericcio, due pietre affumicate con
sopra un vecchio paiolo di rame, un paio di scodelle in metallo, due
brocche d'argilla cotta piene dell'acqua che sgorgava appena fuori
dall'anfratto, una panca tirata da un vecchio ceppo, e in un angolo un
grande Crocefisso in rame con sotto una lucerna ad olio accesa. Su due
panche, all'interno, erano sistemati una ventina di volumi; su di essi
una Bibbia aperta sul Vangelo di Giovanni e, sopra, un rosario
realizzato con i noccioli di olivo. In fondo all'anfratto entrava la
luce da un crepaccio, e quando frate Anselmo bruciava la legna per
riscaldarsi o per prepararsi una minestra, vi usciva fumo copioso, tanto
da far sembrare la cima della Kumeta il cratere di un vulcano.
L'inverno incalzava rigido, mancava poco al Natale. La neve venne
più copiosa a ricoprire la valle. Il sentiero che porta alla grotta fu
ricoperto anch'esso, e il frate non potè più uscire all'aperto.
Era una notte di plenilunio, gli ultimi fiocchi di neve erano
planati dolcemente sullo strato formatosi durante il giorno, il vento
aveva smesso di soffiare e frate Anselmo, al lume di una stearica, aveva
smesso di leggere il breviario, aveva dato uno sguardo alla valle e
segnandosi, si era disteso sul pagliericcio, mentre si consumavano gli
ultimi ceppi tra le due pietre affumicate.
Un sonno profondo lo colse e sognò di scendere giù per il costone,
portando con se un pò di provviste e una brocca colma di latte di capra,
fino al santuario arroccato sul fianco del monte Jato. Il monte
nell'antichità si chiamava monte San Cosmano, proprio per la presenza
del romitaggio dedicato ai due dottori della chiesa, i santi Cosma e
Damiano. Giunto sul posto, poggiò sulla soglia della chiesetta la brocca
col latte e le provviste, ed entrò.
La cappella era tutta illuminata. I ceri brillavano e si coglieva
un'intenso profumo d'incenso. Frate Anselmo si girò attorno per scrutare
se ci fosse qualcuno, ma oltre all'icona raffigurante l'Annunciazione
della Vergine ed il grande Cristo deposto in cartapesta, non c'era anima
viva. Sentì solamente un canto soave di fanciulli. Qualcuno dunque
doveva esserci, non era possibile che la cappella fosse deserta. Che ne
era stato dei frati? E tutti quei ceri da chi erano stati accesi? Si
inginocchiò davanti all'altare e si mise a pregare, pregò tanto
intensamente da non avvertire più il crepitio dei ceri accesi, e non
sentì più il canto, si segnò alzandosi, ma quando fu sull'uscio, notò un
uomo disteso a terra che si contorceva dal dolore, e sanguinava dalle
mani. Andò verso di lui ma non riuscì a raggiungerlo, più gli andava
incontro e più l'uomo era lontano. Tornò mesto sulla soglia della
piccola chiesa per ripigliare la brocca col latte ed il suo tascapane
con le provviste, ma li trovò vuoti. Qualcuno aveva preso il contenuto,
forse l'uomo ferito del sagrato, o chissà chi, ma frate Anselmo ne fu
contento, sorrise e si destò dal sonno. Una delle sue caprette lo aveva
svegliato strofinandogli la barba sul viso.
I primi raggi di un sole fioco entrarono nell'anfratto e il monaco,
scoscate le coperte, si alzò, tirò a se il vecchio telaio ricoperto di
canne intrecciate e ringraziò Iddio per avergli concesso di vedere un
nuovo giorno. Fuori era freddo e bisognava accendere il fuoco, mungere
le capre, dar da mangiare al cane e sistemare sulla volta della grotta
qualche canna che portasse all'esterno le gocce d'acqua che si
infiltravano.
Frate Anselmo si diede un gran da fare per realizzare il suo
programma giornaliero, ma ogni tanto si fermava e rifletteva sul suo
sogno fantasioso, poi si affacciò e guardò in direzione del santuario
dei santi Cosma e Damiano. Non si muoveva anima viva, la coltre bianca
aveva ricoperto tutto e il silenzio che vi imperava era turbato soltanto
da qualche rapace che sulla neve rastrellava la sua colazione: un
topolino, un coniglietto, un fringuello infreddolito, una bacca. Dio era
così grande che provvedeva anche ai rapaci stanziati sul monte Kumeta.
Il frate godeva di quest'ordine perfetto e ringraziava il Creatore anche
per loro.
Era già dicembre inoltrato, pochissima gente era andata a trovarlo
con la neve; e l'inverno vicino sarebbe stato ancora più rigido. Forse i
suoi orfanelli non avrebbero ricevuto alcun dono a Natale... La neve
aveva forse impedito anche alla Provvidenza di scalare il monte, o forse
si era dimenticata di chi aveva bisogno di un'atto d'amore. Corrugò la
fronte, chinò il capo ed ebbe rimorso per quel suo dubbio da peccatore.
Si segnò tre volte, davanti al grande Crocefisso in rame lucido, là,
attaccato alla parete, che sembrava soffrire ancor di più per il suo
dubbio. Poi il frate tirò fuori le figurine del presepe, con cura le
lisciò ad una ad una e le pose sulle panche in attesa di sistemarle in
maniera dovuta, quindi, sedutosi accanto al fuoco, allungò la mano,
prese un libro dalla panca accanto e si immerse nella lettura. Il
vecchio cane da pastore sdraiato ai piedi del pagliericcio, drizzò le
orecchie, si mosse e sortì fuori. Sembrava irrequieto, come attratto da
qualcosa, discese lungo il sentiero in direzione del romitaggio, e
quando fu sul primo pianoro si fermò e si mise ad abbaiare.
Frate Ansemo ripose il libro, si affacciò ma non vide anima viva,
mentre il cane continuava ad abbaiare. Pensò che la presenza di un
coniglio ne avesse destato l'istinto e lo chiamò ripetute volte, ma
senza esito alcuno. Rientrato nella grotta si coprì col mantello
sdrucito, infilò i piedi in un vecchio paio di scarpe e discese per il
sentiero. A un certo punto sentì un lamento e accelerò il passo. Avvolto
da un cencio un pellegrino stava disteso e si lamentava. Ai piedi aveva
sandali. Frate Anselmo si chinò su di lui, si tolse il mantello e lo
coprì, poi cercò di scaldargli le mani e lo sollevò da terra. Lo caricò
sulle spalle e trovò la forza per arrivare alla grotta. Quando fu
dentro, adagiò sul pagliericcio l'uomo, ravvivò il fuoco e lo ristorò.
Passarono i giorni. Era la settimana prima di Natale, e mentre il
frate sistemava le figurine del presepe, il pellegrino, che era stato
zitto fino allora, gli parlò: << Non mi avete chiesto perchè mi
trovo su questa montagna.>> Il frate non rispose e l'uomo lo
incalzò: << Notti fa, io ho bevuto il vostro latte e mangiato le
vostre provviste sul sagrato del romitaggio di san Cosma e Damiano, dopo
mi avete salvato, ospitato e curato, e non avete chiesto chi
sono.>>
Il frate guardò l'uomo, mentre adagiava il Bambinello nel presepe, e
disse: << Tu sei mio fratello, ed io ho ricevuto da Dio Padre la
grazia di poterti amare nel Suo Nome.>>
Frate Anselmo aggiunse legna al fuoco, rabboccò il paiolo d'acqua,
prese le due brocche d'argilla e uscì per riempirle alla sorgente. Dalla
valle uno stuolo di fanciulli, gli orfanelli del convento di
Muffoletto, si accingeva a risalire il monte per visitare il presepe, si
sentiva il loro canto soave che gli ricordava il suo sogno, la stessa
musica, le stesse parole, lo stesso salmodiare, ed un momento prima le
parole dell'uomo: <<Notti fa, io ho bevuto il vostro latte e
mangiato le vostre provviste sul sagrato del romitaggio di san Cosma e
Damiano.>>
Un dubbio atroce tormentò il frate, gli fece paura, forse non aveva per
nulla sognato... La sua mente fu turbata. Cosa gli stava succedendo? Si
riebbe dopo un attimo e, come sempre, si segnò, si apprestò a riempire
le brocche d'acqua, attese la lenta ascesa dei fanciulli e godette della
soavità del loro canto, seduto su un sasso. Cosa donare ai ragazzi?
Anche le ultime castagne che aveva raccattato quà e là nel boschetto, le
aveva aggiunte alla minestra del giorno prima; si interrogò a lungo il
frate, guardò le sue mai, erano vuote, e lo colse la tristezza: dai suoi
occhi sortirono due lacrimoni. Assorto nei pensieri si stropicciò gli
occhi e poggiò il mento sulla mano. Un sassolino rotolato dalla cima lo
colpì sulla spalla, si girò, alzò lo sguardo e vide l'uomo che aveva
ospitato in cima al monte che lo salutava agitando la mano, il frate si
alzò in piedi e capì che l'ospite andava via per sempre, alzò anch'egli
la mano e lo salutò: << Dio ti benedica fratello.>>
Gli orfanelli avevano raggiunto la sommità e frate Anselmo aperse le
braccia come a volerli stringere tutti al suo petto, entrò nella grotta e
ai piedi del presepe trovò, con suo grande stupore, tanti doni quanti
erano gli orfanelli, ognuno portava una scritta: << Dal vostro
fratello Anselmo.>> Il monaco alzò gli occhi al grande Crocefisso
di rame lucido, cadde in ginocchio, si segnò ed esclamò: << Sei
venuto a trovarmi e non ti ho riconosciuto, ma ti amo.>> Un raggio
di sole attraversò l'anfratto e si posò sul presepe. Il frate capì che
l'Uomo della Croce era ancora con lui, in mezzo ai fanciulli.
Buon Natale a voi e ai vostri bambini !
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Bravo Mario,,,bellissimo racconto,,come sempre scritto con semplicità e perfetto per questo nuovo Natale che arriva,,
RispondiEliminaletto dopo un mese,mi piace tantissimo..................bravo come sempre!
RispondiEliminaChe bellissima storia Mario. Lo letta con gli occhi e il cuore della semplicità, dell'infanzia.
RispondiEliminaGRAZIE
Semplice e mirato, con una grande morale.
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