Il colpo di fulmine
Tratto dal romanzo "Il fascino delle mutazioni" di Mario Scamardo
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E’
un mattino sereno, l’aria è cristallina, una brezza leggera ha spazzato ogni
cosa, Rosetta spalanca la finestra della sua camera, che si affaccia sul golfo
di Mondello, e viene investita dai raggi di un caldissimo sole che le
attraversano la finissima camiciola di seta, dando risalto ai contorni del suo
corpo perfetto. I capelli, alla luce immensa, sembrano più biondi, le sue
palpebre socchiuse danno la sensazione del piacere che la pervade e della
serenità in cui si trova immersa.
L’albergo
è il migliore della città, sonnecchia immerso da un lato in un immenso verde
protetto dai colli e dall’altro su un mare verde smeraldo. Grandi saloni
illuminati da enormi lampadari liberty, sono ricoperti da tappeti di seta; una
passatoia di velluto rosso si spiega lungo i corridoi smisurati che
accompagnano tutti al grande scalone centrale che porta al primo piano.
Camerieri in livrea e guanti bianchi si spostano celermente per i piani. In uno
dei salotti Ducrot, una signora ingioiellata se ne sta adagiata con in braccio
due yorkshire dai collari di pietre dure, quasi a perpetuare un rito che la
nobiltà isolana, salottiera, celebra e ripete accedendo dai tempi della
realizzazione di questo Grand Hotel.
Rosetta,
in tailleur rosso e i capelli sciolti, cadenti a grandi onde sulle spalle, esce
dall’ascensore centrale, lascia la chiave alla ricezione, infila la porta
girevole e, dopo avere dato il primo sguardo attorno, fa cenno al primo taxi e
si fa accompagnare al centro della città, nei pressi della facoltà di giurisprudenza.
La
visione d’insieme della scenografica Fontana Pretoria lascia Rosetta a bocca
aperta. Lei, architetto, ha occhi soltanto per il complesso statuario della
fontana, col suo fantastico paradiso mitologico di figure umane e di animali
esotici, che esprime il ciclo della natura e della vita secondo uno schema
quaternario che si ricollega alla “Croce cosmica” e al teatro “cosmologico” di
Piazza Villena, o, come i palermitani la chiamano, “I quattro canti di città”.
Al tema quaternario dell’ottangolo
espresso dalle quattro stagioni, dai quattro sovrani spagnoli e dalle quattro
vergini protettrici di Palermo, fanno riscontro le quattro scalinate della
Fontana Pretoria con le allegorie di quattro fiumi e con quattro coppie di
Termini, disposti tutti agli antipodi di vaghe ellissi concentriche. Il rumore
dell’acqua che fuoriesce dai cento zampilli, come sirena ammaliatrice, la
chiama tra le sue mille statue la cui nudità pudica invita a liberarsi sia
dalle pastoie delle convenzioni che dagli abiti. Rosetta, tra le statue diventa
un Termine, un Tritone, una nereide, il fiume Maredolce, Diana, Pomona, il
Genio dell’acqua; ogni statua è la sintesi di una bellezza, Rosetta, come
Venere, le sintetizza tutte.
Ancora
uno sguardo a Palazzo delle Aquile ed alla loggia barocca che sovrasta la
chiesa di San Giuseppe dei Teatini, poi, varca la soglia dell’ateneo. Si
sofferma un attimo al centro del grande porticato, apre la borsetta e tira
fuori un foglietto piegato in quattro, lo spiega per leggervi dentro qualcosa.
Ad un bidello impettito nella sua divisa fiammante e gallonata chiede: -
perdonate, sapreste dirmi dove trovare il professor Renato Brunelli? – Il
bidello, folgorato dalla sua grazia: - scusate, volete ripetere?… - Dove posso
trovare il professor Brunelli… - il titolare di Diritto Canonico? – Si. – E’
nell’aula A, alle vostre spalle, se volete v’accompagno… - no, grazie,
aspetterò che finisca la lezione e quando uscirà lo fermerò -.
Rosetta
lesse tutti gli avvisi alle bacheche, tutti i calendari d’esame, ma gli occhi
erano sempre puntati verso l’uscio dell’aula A. Sortirono decine di studenti,
quasi tutti ventenni, il professore forse si attardava. Rilesse la targa alla
porta: Aula A, entrò ma all’interno non c’era anima viva, che vi fosse un’altra
uscita? Ritornò al centro del porticato invaso da centinaia di giovani, si
guardò attorno quasi smarrita, chi sa chi fosse il professor Brunelli, poteva
averlo visto non uscire dall’aula? Ma lei non lo conosceva , le avevano dato il
suo nome a Roma, doveva incontrarlo perché amico di amici comuni. Il bidello
impettito ripassò, si soffermò e interrogò la donna scoprendo che non conosceva
quel ragazzino ventisettenne che si confondeva con gli altri ragazzi, ma che
era titolare della cattedra di Diritto Canonico. – Scusate signora, ma voi
conoscete il professor Brunelli?… E’ uscito un attimo fa, con quattro o cinque
allievi… se volete trovarlo è qui di fronte, al bar sotto il Teatro Bellini. -
Rosetta ringraziò con un cenno del capo e, muovendosi verso l’uscita, ebbe il
tempo di reindossare quegli abiti che il bidello le aveva con gli occhi
strappato di dosso.
Renato
Brunelli, figlio di un alto funzionario del Vaticano, approdato a soli ventisei
anni all’Ateneo palermitano chissà per quali meriti, era sotto l’aspetto fisico
una figura insignificante. Due lenti spesse da miope su una montatura metallica
e due orecchie a sventola lo rendevano solamente buffo, seduto su una falsa
sedia viennese, sorbiva spaparanzato una coppa di granita di limone,
accompagnandola con una brioche a forma di minuscolo panino tondo, che solo a
Palermo i fornai riescono a creare. Uno degli alunni, quando Rosetta stava per
avvicinarsi al tavolo, stava per emettere uno di quei fischi sibilanti, che
servono solo ad esprimere meraviglia, ma lei lo battè sul tempo e chiese
all’uomo buffo, che aveva capito essere il Brunelli: - Scusate se disturbo,
professor Renato Brunelli?… - L’omino con gli occhiali dalle lenti spesse leccò
in maniera sgraziata la palettina colma di granita e ricomponendosi sulla
sedia: - in cosa posso esservi utile… - mentre uno dei tre goliardi al tavolo
del docente, notò la grande villania del Brunelli che non fu capace di alzarsi e rendere
omaggio a tanta grazia, notò pure come l’avvenente donna non volle dar peso
alla enorme scortesia del cattedratico.
Fu quando Rosetta si presentò che
venne invitata a sedere al tavolo e Mario, il perspicace goliardo, le porse
subito la sua sedia sistemandogliela all’atto di accomodarsi e approfittando
per pigliare posto accanto a lei. Gli amici che l’avevano indirizzata da
Brunelli non avevano tenuto in considerazione la differenza di stile che
correva tra i due, mentre, l’aveva colta Mario che non sapeva toglierle gli
occhi di dosso e, per quanto breve fosse stato il dialogo tra loro, aveva colto
in lei un velo di sdegno malcelato dalla voglia eccessiva di interrompere il
dialogo e andare via.
Mario chiese a Rosetta se le servisse
un’auto e, togliendole la sedia di sotto, con un ulteriore gesto di cavalleria,
le cedette il passo verso il posteggio dei taxi. Nessun turbamento sembrò
sortire dall’espressione della donna ma Mario, con garbo: - vuole che
l’accompagni al prossimo posteggio, quello vicino la cattedrale? … forse due
passi le consentiranno di scaricare un pochino di tensione e, se poi sono tanto
fortunato, potrò farle da Cicerone. – Rosetta stava quasi per chiedere al
tassista se fosse libero, ma guardò Mario e si accorse che i suoi occhi neri
chiedevano una risposta positiva ai suoi desideri, poi, quasi per giustificare
la decisione, guardò l’orologio, forse non vide manco l’ora: - si, lei è una
persona simpatica, forse è bene che scarichi, purtroppo le titolarità
all’università non conferiscono le doti per diventare galantuomini. Signori si
nasce, farò volentieri due passi con lei, ma non ho voglia di visitare la
cattedrale, magari domani, voglio pigliare un aperitivo a condizione che sia io
a pagare, voi siciliani, tutti uguali, ve la pigliate se una donna ha il
piacere di pagare il conto al ristorante o al bar. A mio padre sono occorsi
trent’anni per imparare, anche lui è siciliano, è nato qui a Palermo, permette?
… - e pigliandolo sottobraccio: - mi accompagni lei. –
Mario
è un giovanotto bruno di media statura, due occhi grandi, i capelli con la riga
di lato, due mani grandi ma curatissime. Dai tratti del volto spagnoleggiante
si intravede la sua origine contadina, trabocca da tutte le parti il suo essere
distinto, educato ma soprattutto cavaliere, senza mai eccedere nel cerimonioso
o trascendere nel banale. La sua educazione è quasi perfetta, non v’è un gesto,
una postura, un atteggiamento, una parola che trasgredisce alle regole dettate
da Monsignor della Casa.
Sembrano
una coppia perfetta, non si nota la differenza d’età, pur avendo lui vent’anni,
quindici meno di lei. Imboccano Via Maqueda e passeggiando si ritrovano davanti
al Teatro Massimo. Rosetta si sofferma davanti lo scalone di accesso al teatro
dove sulla sinistra si trova una scultura bronzea che rappresenta una donna che
simboleggia la “Lirica”, mentre suona uno strumento a fiato, adagiata su un
leone. – Lo sa che questa opera è di Mario Rutelli? – dice il giovane alla
donna, e lei con un sorriso: - ho origini anch’io palermitane, e poi, come
architetto potrei anche offendermi di fronte al suo dubbio, anzi, le dico che l’altra
scultura, quella sulla destra, quella donna che stringe al suo seno, adagiata
sull’altro leone, rappresenta la “Tragedia”, ed è stata realizzata nel 1899 da
Benedetto Civiletti. – Anche Mario sorride e guardandola negli occhi le chiede:
- non mi faccia sentire vecchio, la prego, mi dia del tu, e poi… mi fa sentire
più vicino… -
Rosetta non rispose, ma capì di aver
trovato un posto nel cuore di Mario e, senza che se ne fosse accorta, visitò il
suo e scoprì che il giovane era già entrato dentro di se con grande turbolenza;
riprese Mario sottobraccio e tutti e due si avviarono verso il grande bar a
fianco della Banca d’Italia. Seduti ad un tavolinetto consumarono lei un
analcolico e lui un caffè. Rosetta non volle dare la sensazione di quanto le
stava succedendo dentro ed incollò Mario con una bordata di domande sui suoi
studi, sulla sua scelta universitaria, sulle materie date e su quelle in fase
di preparazione e, quando ebbe tutte le risposte, erano già le tredici.
A
piazza Castelnuovo, accanto al teatro Politeama-Garibaldi, un attimo prima di
avvicinarsi ai taxi, Mario propose a Rosetta di pranzare assieme e, al rifiuto
garbato di lei le propose una cena in un locale tipico del centro storico, ma
la donna trovò il modo di declinare l’invito col garbo e la gentilezza che la
contraddistinguevano. Mario credette per un attimo che la sua fiamma improvvisa
stesse per spegnersi troppo repentinamente, ed i suoi occhi neri e profondi
diventarono immediatamente tristi. Rosetta chiamò un taxi, Mario le aprì lo sportello
e lei, prima di salire, con immensa tenerezza: - domani voglio visitare la
cattedrale, ho bisogno di un Cicerone, alle dieci in punto sarò davanti
all’ingresso, approfitterò della tua disponibilità. – Sorrise ancora e
sedendosi in macchina diede istruzioni all’autista. Gli occhi del giovane brillarono,
gli aveva dato del tu e, lei dal finestrino, colse la gioia del ragazzo.
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