INTRODUZIONE
Quella di Mario Scamardo è un eccellente narrativa che coinvolge il lettore, lo fa diventare subito protagonista, lo trascina al centro della scena e lo fa vivere assieme agli altri personaggi, come in una catarsi che lo riscatta dalla quotidianità e lo immerge in una purificazione rigenerante. In poche pagine l’autore riesce a condensare grandi vissuti coinvolgenti, al punto da costringere il lettore a divorar tutto d’un fiato il testo, quasi a voler veder se stesso al culminare degli eventi. Coniugare storia, costume, tradizioni, vissuti e quant’altro non è un narrare comune. In “I sette giorni della trasgressione” vengono raccontate le passioni, il coraggio, l’ironia, gli orgogli di una bambina che si fa donna, talvolta schiacciata dagli eventi, ma, sempre pronta a lottare, a combattere, a razionalizzare, a sorridere delle proprie sfortune, a maturare insegnamenti, ad offrire agli altri le proprie conclusioni, a reagire positivamente davanti alla sorte ria.
In questo narrato, attraverso i vissuti, viene dimostrato dall’autore che il tempo, per personalità come quella della protagonista, non è un parametro. E’ evidente la consapevolezza che c’è un tempo per tutte le cose, un tempo per nascere, uno per crescere, per giocare e per imparare, poi c’è un tempo per discernere ed uno per insegnare e, quando tutto è compiuto, c’è anche un tempo per morire.
Gli uomini, in una delle fasi più delicate, quella dell’apprendimento e della ricerca della conoscenza, marciano con tempi diversi l’uno dall’altro, ciascuno ha i propri! L’autore ha piena consapevolezza di tutto ciò, mettendolo in evidenza attraverso il vissuto della protagonista.
Giulia, sa soltanto donare incondizionatamente, pur essendo lei più bisognosa degli altri. La sua storia è come tante altre storie, la sua caparbietà è senza limiti, pari alla sua bontà ed alla sua educazione. Il suo essere in condizioni non ottimali di salute, potrebbe sembrare la sua debolezza, invece, le procura una grande forza e le fa superare ostacoli sempre più impegnativi. Al suo impercettibile claudicare, al suo essere soggetto da tenere sempre sotto osservazione medica, Giulia contrappone un sorriso, e sui suoi non indifferenti malanni ironizza. “Eironéia” dal greco significa “dissimulazione” e Giulia è solita dire sorridendo: “Corro come una lepre!”, o, alludendo alla sua precarietà di salute: “Sono sana come un pesce!”. Sembra assistere alle commedie di Alan Bennet, dove l’auto ironia la fa da padrone. Questa è la sua forza, che la fa razionalizzare sempre di più, e la coinvolge a mettere a nudo la sua vita privata, pur di potere regalare agli altri le sue esperienze. Giulia non si vergogna di un solo attimo del suo passato, lo ha vissuto con pienezza di sentimenti, ed ha saputo trarne gli insegnamenti più belli.
L’autore racconta Giulia, la sua infanzia, il suo diventare donna, le sue storie ed i suoi vissuti, i suoi sentimenti più nobili e le sue passioni più infuocate, quelle che la protagonista stessa chiama le sue “trasgressioni”. Mario Scamardo non trascende mai nel banale delle morbosità, stuzzicando così la fantasia del lettore.
Il rapporto tra Giulia e la sorella, i grandi sentimenti che le legano, sono messi in risalto e, spesso, trascinano alla commozione.
La storia d’amore vissuta dalla protagonista col giovane prete, mette in risalto quanto è all’ordine del giorno, la necessità di rivedere, da parte della chiesa cattolica, lo spinoso problema del celibato dei sacerdoti. L’autore ha voluto marcare la grandezza e la bellezza dei sentimenti che hanno legato i due, inserendoli nel contesto di quel grande capolavoro che è “Il piccolo principe”di Antoine de Saint-Exupéry.
Il rapporto tra Giulia e la madre di Rocco, inverosimile sulle prime, risulta essere lo spaccato di una società tormentata. Mamma di un prete e genitrice di un uomo che è capace di amare una donna ma è legato ad un vincolo che, il più delle volte, lo obbliga a rispettare le forme più che la sostanza. Ci si interroga: quanto il tormento, talvolta, non diventa il padrone dell’uomo, che perde il senno e non risponde più bene al dovere a cui è chiamato? La vita, ogni giorno risponde inesorabilmente ai nostri interrogativi!
L’autore, attraverso la protagonista vuole lanciare un messaggio: “La vita è il dono più grande e merita di essere vissuta, con essa vanno vissute tutte le esperienze. E’ meglio portarsi dietro una valigia di rimpianti, anziché un solo rimorso!”
(Enza Sanzone)
[Tratto dal mio romanzo "I SETTE GIORNI DELLA TRASGRESSIONE"]
[... Prima di riporre il libro nella sua borsetta la ragazza compiva un rito, lo chiudeva e rileggeva la frase riportata in fondo, nel retro della copertina: “Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano.”
Dentro il bar, al centro di Piazza Indipendenza a Palermo, avvenne l’incontro con i dirigenti nazionali del naturalismo giovanile per il grande raduno. Giulia era andata in compagnia di altre due amiche, alle presentazioni, tra i tanti, strinse la mano a don Rocco, pantaloni grigio chiaro e camicia a righine con le maniche corte e sentì stringere la sua come in una morsa d’acciaio. Dopo un espresso, corto e cremoso, che solo a Palermo sanno fare, sedettero ai tavoli posti all’esterno, per definire le modalità per il mattino seguente. Don Rocco sorrise a tutti ma ebbe particolare attenzione per Giulia, tanta, da far si che una delle amiche, in maniera alquanto ironica, sottovoce le disse: - Sembri aver fatto colpo sul pretino, ha solo occhi per te. – La ragazza sorridendo: - Non è certo un bell’uomo, in compenso sorride sempre, ma poi, cosa ti passa per la testa, lui è fatto così, sembra avere attenzioni per tutte. – Concluso l’incontro, tutti si salutarono dandosi appuntamento a Ficuzza per le sette del mattino del giorno seguente. Al commiato, don Rocco strinse la mano a tutti e si riservò l’ultimo saluto per Giulia, la stretta fu meno poderosa ma prolungata e calorosa e gli occhi del giovane sacerdote fissarono insistentemente quelli della ragazza.
Ficuzza, quattro case ad un tiro di schioppo da Palermo e da Piana degli Albanesi, immersa tra gli alberi dell’omonimo bosco di quattromila ettari. Due conformazioni di rocce calcaree e calcareomarnose, Rocca Ramusa e Rocca Busambra, delimitano il bosco che si ricongiunge dall’altro lato con il Bosco di Godrano, altro piccolo centro agricolo dell’entroterra palermitano. Questa riserva è la più importante della Sicilia, sia dal punto di vista scientifico che per la sua estensione. Di grande interesse botanico sono le forme arbustive di leccio, la Viola di Tineo, la Centaurea della Busambra, la camomilla di Cupane, il Cipollaccio, il Cavolo rupestre, la Vulneraria e la Piantaggine di Gussone. Dal punto di vista idrogeologico il territorio offre caratteristiche torrentizie. Forre e valloni sono caratterizzati dalla presenza di salici, frassini, olmi, querce da sughero e pioppi. Ricca è la fauna, presenti sono il falco pellegrino, il gufo, il grillaio, il merlo, la cinciallegra, il rampichino, lo scricciolo, il colombaccio, il picchio, lo storno e la coturnice. Nel sottobosco esiste la martora, la volpe, l’istrice, il ghiro, la donnola ed il gatto selvatico. Tra le frasche si muovono ramarri, lucertole, colubri e vipere.
Al centro della piazza campeggia lo storico Casino di Caccia di Ferdinando di Borbone, realizzato all’inizio dell’800, dall’architettura semplice, che presenta nel suo interno alcuni passaggi segreti. In un’ala della palazzina, una cappella assolve alle necessità spirituali dei pochi abitanti, ma anche a quelli dei tanti visitatori. In una dipendenza del Casino di Caccia è ospitato il Centro Regionale per il recupero della fauna selvatica. Il posto, per il grande raduno dei giovani naturalisti, non poteva essere scelto con maggiore oculatezza.
Alle sette del mattino il pullman con i ragazzi di Piana degli Albanesi arrivò in perfetto orario, Giulia e i suoi colleghi riunirono tutti davanti alla cappella ed attesero gli altri gruppi. Dall’ultimo dei pullmans sopraggiunti scese don Rocco, dopo i saluti e le strette di mano, la cappella si riempì e venne celebrata la Santa Messa.
Finita la cerimonia, la piazza antistante la Regia Palazzina di caccia si riempì di giovani, forse mai quel grande slargo aveva visto tante presenze. Ogni coordinatore cercò di riunire il proprio gruppo per procedere verso la radura in mezzo al bosco per cominciare a montare il campo. Don Rocco si fece spazio tra la gente e raggiunse Giulia. – Grazie per essere presente – disse e le strinse con calore ambedue le mani. La ragazza non capì quell’eccesso di calore, e non capì del ringraziamento. – Dovevo esserci, questi ragazzi vanno coordinati, avremo modo di rincontrarci – lo salutò con un sorriso e si commiatò.
Mentre si improntava il campo, Giulia si rese conto che, tutte le volte che incrociava lo sguardo col giovane sacerdote, questi sorrideva. Tanto la turbò, in quanto non ne capiva il nesso, anche perché non si erano conosciuti prima, quello era il loro primo incontro. Il comportamento di don Rocco veniva osservato dalla ragazza, ma anche dalle altre coordinatrici e, pur distribuendo sorrisi a tutte, per Giulia i sorrisi erano diversi, sapevano di maggiore tenerezza, sapevano di affettuosità particolare. Un atteggiamento ed una attenzione particolare, misero la ragazza di fronte alla possibilità di un eventuale malinteso. Tra sé e sè pensò che quel pretino non stava bene con la testa, o, l’aria del bosco, la natura d’intorno, avevano innescato nella sua mente idee non consoni al suo ministero. Allontanò detti pensieri e si diede da fare aiutando la sua squadra a finire il lavoro.
A disposizione dei convenuti era stata messa una vecchia costruzione, proprio li, in mezzo al bosco, con parecchi ambienti, forse un antico monastero, forse soltanto un vecchio magazzino riattato negli anni, con alcune camerette ed un grande salone coperto di enormi travi annerite dal tempo. Tutti i dirigenti avevano avuto assegnata una stanza, tranne Giulia e poche altre ragazze. La ragazza, all’invito di fruire di una di quelle stanze, aveva preferito la tenda, al fine di gustarsi di più l’emozione del campo e vivere l’esperienza come i suoi ragazzi. Nella sua tenda c’era solo un lume a gas, il sacco a pelo e la cassetta di pronto soccorso che ogni squadra portava a corredo. Nel pomeriggio, quando l’afa si fece sentire un po’ di più e la stanchezza fece diventare le sue gambe pesanti, manifestò alle sue colleghe il desiderio, quasi la necessità, di rilassarsi un paio d’ore su un letto vero. Giulia non era abituata a quei ritmi e, quegli acciacchi che si portava dalla nascita, ma sui quali lei aveva sempre ironizzato, le tracciavano sul volto ancora di più i segni della stanchezza. Don Rocco infilò la mano nella tasca dei suoi pantaloncini, tirò fuori una chiave e la offrì a Giulia. – Tieni – disse – è quella della mia stanzetta, vatti a distendere, io continuo a seguire l’allestimento del campo, bisognerà pur fare funzionare le cucine. – La ragazza prese la chiave e don Rocco aggiunse: - è la prima stanza a destra entrando dal grande portone, attaccato alla maniglia troverai il mio cappellino, non puoi sbagliare. – La ragazza chiese scusa alle colleghe, ringraziò il giovane prete e si avviò per un viottolo alla grande casa che era di li a poco. Aprì la porta, depose il cappellino su una sedia, tolse un borsone dal letto e si sdraiò. Quel tetto di tavole e travi le fece tornare alla mente la vecchia stalla, sotto il “ponte”, dove suo padre rinchiudeva al tramonto il suo gregge. Anche là i ragni tessevano insidiose tele e i tarli rodevano, lasciando cadere i loro escrementi. Le tornò alla mente il fratello, introverso, taciturno, abbrutito dalla fatica, lontano mille miglia dalla realtà, costretto ad una vita di sacrifici e di solitudine come il padre. Si girò di fianco e fissò il davanzale dell’unica finestra, una calendula selvatica aveva trovato in un angolo il suo habitat naturale ed aveva partorito l’unico fiore con i petali di colore arancio. Alcune paglie stavano attaccate ad uno stipite, forse, la cinciallegra costruiva il suo nido. Il sonno la ghermì per una buona mezz’ora, poi, nel sonnoveglia si rimise a mirare il tetto da dove penzolava un vecchio filo intrecciato, coperto da miriadi di escrementi di mosche, al quale era attaccata una lampada annerita dal tempo. Stridettero i cardini della vecchia porta che Giulia non aveva chiuso a chiave, due o tre passi felpati, era don Rocco che si fermò a guardarla. La ragazza si meravigliò di quella presenza, scese le gambe dal letto, rimanendo seduta, e chiese con grande imbarazzo della presenza di lui: - Ho dormito forse troppo? – No – rispose il prete – forse, non sarei dovuto entrare, ti chiedo scusa, è stato più forte di me. – Le sue gote divennero paonazze e la sua voce tremò un poco. La ragazza lo guardò fisso e gli chiese: - Sei entrato forse per essere addomesticato. - Don Rocco, incoraggiato da quella frase, rispose a tono: - Vuoi che io sia il principe e tu la volpe? – La ragazza sorrise e capì che anche il giovane prete conosceva il suo libro più caro, lo fissò e le prese per un attimo la voglia di capire se le attenzioni di quell’uomo fossero solo per lei e non per tutte le altre ragazze e prontamente rispose: - L’uno può addomesticare l’altro e viceversa, scegli tu il ruolo.- Rocco sedette accanto a lei sul letto, la cinse con un braccio, la trasse dolcemente a se, poggiò le sue labbra su quelle di lei e fu un lungo bacio pieno di grande passione. Giulia rimase ad occhi chiusi e ciò consentì che si susseguissero una serie interminabile di baci. La ragazza guardò l’orologio e ciò indusse Rocco ad alzarsi, farle una carezza ed uscire speditamente dalla stanza. Seduta ancora sul letto, la ragazza meditò ancora per un po’, quell’uomo le stava entrando nel sangue, senza pensare minimamente ai vincoli che lo legavano al suo ministero. Sistemò la sua maglietta, ravviò i capelli, si portò due dita alle labbra e poi le annusò, tentando di ricordare il profumo delle labbra di lui.
Fuori, nel bosco, Rocco si diede da fare tra le tende e tra le due cucine da campo, ogni tanto si girava a guardare il sentiero per scrutare se Giulia arrivasse. Il giovane prete sembrava preso da frenesia, passava di tenda in tenda, controllava che tutto andava per il meglio, ma la sua testa era altrove, il richiamo di quella donna era tanto forte, la sua semplicità l’aveva stregato, aveva voglia di addomesticarla come il piccolo principe e di essere addomesticato come la volpe.
Si fece ora di cena, i fornelli erano accesi e il profumo di una buona minestra invadeva il bosco. I giovani, in fila indiana, prelevavano le razioni, Giulia guidava la propria squadra e, quando tutti furono serviti, Rocco riservò accanto a se, a tavola, un posto per la ragazza. Fu un dialogo che si protrasse a lungo, Rocco volle sapere tutto di lei, ogni particolare, sui suoi studi, sulle sue letture, sulla sua famiglia, sulle sue esperienze sentimentali, e lei rispose a tutto, senza togliere una virgola alla verità, senza celare nulla, senza commentare, come davanti ad un inquisitore. Lei non chiese nulla oltre a notizie sulla famiglia di lui. Rocco le parlò di sua madre, del suo rapporto morboso ma al tempo stesso condizionante con lei, delle libertà e delle privazioni, dell’amore-odio che aveva condizionato le sue scelte. Il volto di Rocco, rabbuiato per quanto aveva confessato alla ragazza, trovò un sorriso quando si staccò da essa per andare nel suo alloggio a prelevare un indumento pesante per la sera.
Il sole tramontò e calarono le ombre sul bosco, vennero accesi i fuochi e i gruppi si prepararono ai canti, accordando i loro strumenti musicali. Le cicale iniziarono il loro frinire, i grilli ritmarono i fruscii degli alberi e le rane nel pantano intrecciarono, gracidando, i loro canti d’amore. Giulia era appoggiata ad un grosso castagno, godeva della frescura della sera, quando Rocco le si avvicinò – Cosa guardi così intensamente? – La ragazza si girò verso di lui e rispose: - Tutto e nulla, pensavo alle mutazioni dell’uomo, si, basta un nulla per cambiarti la vita, in bene o in male, basta un attimo a farti compiere una metamorfosi che può portarti agli antipodi di quanto hai sempre sognato... – si zittì e guardò il cielo. Rocco la prese teneramente per un braccio – Vieni – le disse – facciamo una passeggiata per il bosco. – I due giovani si incamminarono verso lo stagno e sedettero sull’erba. In maniera discreta, le stelle iniziarono a brillare in un cielo, dove una quasi impercettibile falce di luna sembrava ballare sulle foglie tremolanti di un noce.
Non proferirono più parole, solo una serie interminabile di baci fino a quando il freddo, la stanchezza ed il sonno non si fecero sentire. Giulia chiese di andare a riposare e Rocco l’accompagnò fino alla tenda e ascoltò quanto gli disse: - Tutto quello che tra noi sta succedendo è meraviglioso, ma mi convinco che per te è solo una parentesi, dettata da chissà che, forse una crisi spirituale, forse una voglia di trasgressione dai canoni ferrei della tua scelta di vita, starò a capire, cercando di non farmi illusioni. – Stette un attimo zitta e poi continuò: - Le mie titubanze, le mie riflessioni, i miei rigori morali, non sono riusciti a farmi desistere dalla voglia di stare con te, di vivere questa nostra storia... – Rocco stava per parlare ma lei, dolcemente, le pose un dito sulle labbra: - Non dire nulla, potresti spezzare il dolce incantesimo di cui siamo prigionieri, la notte porterà consiglio, addormentati con questo soave ricordo. – Rocco la guardò negli occhi, dove si specchiavano i fuochi del campo, carezzò il suo viso e le disse: - Buonanotte volpe, ti sto addomesticando, imparerai ad amare il rumore del vento che attraversa il grano, imparerai a conoscere i miei passi e non avrai più paura, non ti nasconderai, buona notte volpe! – e andò via verso il vecchio casale.
Gli incontri si susseguirono agli incontri e, ogni giorno, crebbe il desiderio di stare più vicini. Bisognava fare tutto di nascosto, trovare scuse, procurare bisogni per allontanarsi, per consentire di garantire, quantomeno a lui, di salvare le apparenze. Tutto andò bene, nessuno sospettò di nulla, ai canti ed ai balli parteciparono assieme incoraggiando le partecipazioni di tutti gli altri.
All’ultimo giorno del grande raduno cominciò la tristezza. Giulia si appartò nella sua tenda, fuori cominciavano a calare le ombre, i fuochi si riaccendevano e la radura sembrava una grande piazza illuminata. La ragazza sortì dalla sua tenda e si recò al centro, tra i fuochi. Aveva indossato la sua ‘ncilona, il suo abito più bello. Da tanto tempo non lo indossava; di colore rosso, stracarico di ricami in oro luccicava alla luce dei fuochi, e luccicava la sua croce battipetto che adornava e rendeva più bello il suo decolleté mettendo in risalto ancora di più le sue grazie. Rocco la vide e rimase perplesso, abbagliato da tanta bellezza, quella dell’abito e quella soverchiante di Giulia. L’aveva indossato per lui e per nessun altro e questo il giovane prete l’aveva capito. Rocco doveva ripartire, stava per preparare il suo borsone, Giulia varcò l’uscio della sua stanza. Rocco trovò le parole e sommessamente le disse: - Mi dispiace partire, il tempo è volato – la ragazza stava per aprire bocca ma lui non le diede il tempo – Chiedimi di lasciare l’associazione dei naturalisti, chiedimi di lasciare la chiesa, il sacerdozio, le mie scelte di vita... in me si è aperto un grande conflitto, ma voglio anche te... chiedi volpe!.. ti prego, chiedi! – Giulia non disse una parola, lo abbracciò e lo baciò, Rocco la strinse a se e pianse. Davanti alla palazzina di caccia al borgo di Ficuzza, al commiato, Giulia e Rocco non si curarono della presenza degli altri, si baciarono sulle guance e si abbracciarono, nei due c’era la consapevolezza di doversi rincontrare. La ragazza si accostò all’orecchio di lui e gli sussurrò: - tutte le volte che vedrò un campo di grano, il biondo delle sue spighe, mi ricorderà te...]
Spero di avervi regalato un attimo di emozioni, buona lettura.
Spero di avervi regalato un attimo di emozioni, buona lettura.
una bella rivisitazione dell'addomesticamento ...Fra lecci e campi di grano una ventata di freschezza e libertà ---
RispondiEliminaCaro Mario in tempi non remoti nel nostro paese si sentiva vociferare una storia simile, a quanto hanno vissuto il giovane prete e la giovane ragazza, in questo racconto, ricordo che fu proprio triste la fine che fece il giovane prete, che morì dentro la vasca da bagno della canonica... perché non riusci a liberarsi dei voti presi, e di quella consapevolezza di quell'amore che vissuto con molta intensità di nascosto non ebbe mai la forza di spiccare il volo come giustamente meritavano entrambi di viversi... il tutto fu scoperto, e per salvaguardare lei, lui sacrifico la sua vita.. morendo, per la paura che lo scandalo avrebbe creato ai propri ambienti famigliari... comunque il racconto mi a preso molto e l'ho vissuto come se rispecchiasse ciò che mi è tornato alla memoria. di quando ero in giovane età e cominciavo a frequentare la dottrina più direttamente...Storie che accadono tutt'ora, e che pochi hanno una lieta fine..
RispondiEliminaciao Mario e veramente grande il tuo dire, e il tuo scrivere , e con molta ansia aspetto tutti i lunedì per poterti leggere, spesso cerco di immedesimarmi in ciò che tu scrivi e vivere più direttamente i tuoi vari personaggi che nei tuoi racconti sai ben far risaltare mettendo a proprio aggio noi che ti continuiamo a leggerti e a stimarti...sempre più per quello che riesci a donarci con molta semplicità... ps: io non sempre riesco a comprendere il tuo raccontare in dialetto e se posso vorrei che a fianco a ciò che tu scrivi in dialetto di tanto in tanto potresti fare una traduzione,sai per voi che lo parlate spesso il dialetto e facile capire ma uno che come me e via dalla propria terra da ben 50 anni non e facile comprendere tutto anche se cerco di sforzarmi non riesco a capirlo il tutto.grazie e scusa se mi sono permesso di fatti questa piccola nota. ciao e buona serata.
RispondiEliminaè sempre bello leggerti Mario, con le tue storie intriganti e piene di sfumature. Grazie per l'emozione. Ti aspetto sempre. Baci, Silvia Denti
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