AMORI A CONFRONTO
Son stati tutti uguali gli amori che abbiamo vissuti? Domanda curiosa la mia, qualcosa che mi costringe a scavare nel passato, a rivivere momenti, trepidazioni, dolori e gioie, forse a far anche paragoni, ma senza mai giudicare. Lo scrigno che è la mente nasconde tesori e tra essi qualcuno di valore diverso, ma sempre importante, perchè, nel bene o nel male, ha segnato la vita.
Ciao Gelsomina…
Si, lo so, ti facevo arrabbiare quando ti chiamavo così, non
mi andava di chiamarti Paola. Eri minuta, coperta da una gonna molto succinta e
da una camiciola bianca di fine batista, che lasciava intravedere i tuoi
piccoli seni acerbi. Portavi tra le mani i tuoi infradito e assieme
percorrevamo chilometri di spiaggia dalla sabbia che aveva il colore dei tuoi
capelli, appena sciolti sulle spalle, di lunghezza irregolare e sempre al vento,
ed i tuoi occhi si confondevano con l’azzurro del mare. Quanti sassolini
abbiamo raccolto, di tutte le forme e di tutti i colori, ad ognuno abbiamo dato
un nome e abbiamo scritto una data, come a voler marcare il tempo, e al ritorno
ci fermavamo, aspettando che l’onda cancellasse le nostre orme.
La sera ci incontravamo nella piazzetta, quel terrazzo sul mare, pieno di ragazzi seduti sulle panchine, di coppiette che si scambiavano tenerezze negli angoli meno illuminati, e poi scendevamo la scaletta che portava ad un piccolo molo dove, ancorate alle sagole, danzavano le barche al ritmo di una leggera risacca. Si, fu proprio in fondo al molo che timidamente ti presi per la prima volta la mano e tu, con espressione sgomenta mi guardasti negli occhi come ad interrogarmi. Poggiai per la prima volta le mie labbra sul palmo della tua mano e la baciai. Tremante, bisbigliasti qualcosa, poi, mi mollasti un ceffone. Un gesto istintivo, come se volessi difendere la tua innocenza e, due lacrime solcarono le tue gote. Avevi quattordici anni, io due in più, eravamo davvero bambini, ma nel mio cuore non c’era posto per nessuno, solo per te Gelsomina. Quasi a scusarti, mi pigliasti per mano e mogi mogi, senza dire una parola, risalimmo la scaletta, mentre la tua mano, esile, diafana, stringeva sempre di più la mia. Una panchina ci accolse, alle spalle avevamo una enorme macchia di gelsomino, una leggera brezza diffondeva nell’aria il suo profumo e tu, chiudesti gli occhi e mi baciasti sul viso. Non ti chiamai più Paola, tu fosti per me soltanto Gelsomina, e quella panchina diventò la nostra panchina.
La sera ci incontravamo nella piazzetta, quel terrazzo sul mare, pieno di ragazzi seduti sulle panchine, di coppiette che si scambiavano tenerezze negli angoli meno illuminati, e poi scendevamo la scaletta che portava ad un piccolo molo dove, ancorate alle sagole, danzavano le barche al ritmo di una leggera risacca. Si, fu proprio in fondo al molo che timidamente ti presi per la prima volta la mano e tu, con espressione sgomenta mi guardasti negli occhi come ad interrogarmi. Poggiai per la prima volta le mie labbra sul palmo della tua mano e la baciai. Tremante, bisbigliasti qualcosa, poi, mi mollasti un ceffone. Un gesto istintivo, come se volessi difendere la tua innocenza e, due lacrime solcarono le tue gote. Avevi quattordici anni, io due in più, eravamo davvero bambini, ma nel mio cuore non c’era posto per nessuno, solo per te Gelsomina. Quasi a scusarti, mi pigliasti per mano e mogi mogi, senza dire una parola, risalimmo la scaletta, mentre la tua mano, esile, diafana, stringeva sempre di più la mia. Una panchina ci accolse, alle spalle avevamo una enorme macchia di gelsomino, una leggera brezza diffondeva nell’aria il suo profumo e tu, chiudesti gli occhi e mi baciasti sul viso. Non ti chiamai più Paola, tu fosti per me soltanto Gelsomina, e quella panchina diventò la nostra panchina.
Settembre ci
separò, la scuola iniziò il primo giorno di ottobre, e ci rivedemmo pochissime
volte, Natale e Pasqua. Giugno mi sembrò molto lontano, ma arrivò e per noi
ricominciarono le passeggiate sulla battigia a raccogliere sassolini, vetri
colorati smerigliati dalla rena e conchiglie marcate dalle date.
Un mattino, ti
aspettai invano sulla spiaggia, non tornasti, e così l’indomani e ancora per i
giorni a seguire. Un velo grigio coprì il mio volto, il mio sorriso si spense,
sedetti tutte le sere sotto il gelsomino, forse illudendomi che al suo profumo
potesse compiersi il miracolo di rincontrarti…
Seppi del
trasferimento della tua famiglia nel capoluogo pugliese e trovai quasi una
giustificazione per tutto. Mi informai, scorsi l’elenco telefonico di Bari, non
riuscii mai a parlarti, l’unica cosa che mi era rimasta era la fragranza di
quei piccoli fiori bianchi odorosissimi.
Quarant’anni dopo,
all’aeroporto di Tunisi, sentii scandire un nome, il tuo, che ti invitava al
banco della compagnia di bandiera, che era lì, a due passi. Mi alzai di scatto
e mi avvicinai al banco, una fanciulla bionda dagli occhi azzurri, con un
gonnellino rosso ed una camiciola bianca si avvicinò, dietro di lei sua madre,
Paola. Ebbi un tuffo al cuore, si, era lei, sempre più bella, sempre bionda,
sempre con gli occhi azzurri, con le stesse mani diafane, il tempo non l’aveva
segnata. Aspettai che finisse al banco, poi, con voce quasi strozzata la
chiamai: - Gelsomina… Gelsomina… - Si
girò di scatto, e si girò pure la fanciulla, mi fissò per un attimo, poi ci
andammo incontro. Non riuscii a dire una parola e lei, stupita mi sorrise,
strinse le mie mani, sotto lo sguardo della figlia e mi disse: - Lei l’ho
chiamata Gelsomina… - Accarezzai la chioma bionda della fanciulla mentre Paola
sommessamente mi sussurrò: - Scusami… quando avevo la sua età ho sognato con te
il paradiso, poi… - Le poggiai un dito sulle labbra. Salimmo sullo stesso aereo
e ci raccontammo un po’ della nostra vita. A Roma qualcuno l’aspettava,
prelevammo i nostri bagagli, lei aprì il palmo della mano e lasciò che glielo
baciassi, accarezzai con amore la chioma bionda di sua figlia e sull’uscio le
sussurrai: - Ciao Gelsomina…
HO LETTO LA TUA ANIMA
E' successo poche volte!
Ho visto sprizzare la gioia
dai tuoi occhi apposta celati
da occhiali marcati di scuro.
Brillavano come non mai
ed in essi soddisfatto ho letto
le pagine della tua tenerezza.
Eri tu, senza il tuo velo grigio,
con tutta la carica affettiva,
senza alcuna corazza,
ed il fulgore del tuo sguardo
mi ha fatto chiaramente leggere
il pieno della tua anima,
le grandi pagine del tuo cuore,
candide, talvolta immacolate,
piene di spazi vuoti,
non pagine ingiallite
ma nitidi fogli delicati
come i petali del gelsomino.
Profondi e luminosi fanali
incapaci di mentire
che han portato fuori
quella bellezza interiore
tanto somigliante a quella esterna
che ti ostini a celare.
Sai, ora ho davvero capito
quanto la mia istintività
è stata precisa nel tempo.
Io, quanto te son testardo,
ed ora ho avuto ragione,
il bello che tieni nel cuore
è pari al fascino tuo.
Non è stato il tempo capace
di strappare la tua innocenza;
vorrei che i giorni a venire
possano darti momenti migliori.
Ora sei tu padrona del campo,
gli altri, la gente, inezie da nulla,
minuscole menti vaganti nel vuoto,
tu, invece, regina del senno
regali i tuoi pensieri con amore
e fai che ognuno si disseti
alla coraggiosa fonte del tuo sapere.
Brava Lulù, complimenti!
Sai quanti muri hai abbattuto?
Ora sei un'impeto, una forza vera,
eppure, nella tua semplicità,
nella dignità che ti distingue,
sei sempre la stessa,
una passione infinita,
e nulla sai chiedere
perchè hai solo e sempre donato.
Grazie di avermi onorato
or mi posso con orgoglio fregiare
di essere veramente tuo amico.
Che la fortuna assista i tuoi passi
e ti renda quanto dovuto,
Grazie Lulù, ti voglio bene.
Racconto colmo di emozioni. Narrazione piena di dolcezza e delicatezza. Bravo, bravo, bravo!!!!!
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