Mario Scamardo
da
I Racconti del Borgo
Il bardotto
Orazio non
era alto, per la verità non superava il metro e cinquanta e tutti lo chiamavano
“il bardotto”, sia per la statura che per la sua forza e la sua ostinazione nel
lavoro del suo campo. Figlio unico, aveva perduto il padre quando era in
seconda elementare, la mamma appena ricevuta la cartolina per sottoporsi a
visita di leva. Al Distretto militare tutti i suoi coetanei lo derisero ma
Orazio era abituato ai pettegolezzi sulla sua statura e, come se avesse le
orecchie turate, abbozzava un sorriso ed esclamava: - << I tempi erano
tristi, la farina era poca e pure il lievito, non son cresciuto!>> Il
medico che lo fece pesare e misurare stilò un piccolo verbale e gli consegnò
una copia dopo avere apposto una serie di timbri: - <<Riformato per
statura insufficiente!>> Il ragazzo piegò quel foglio, lo intascò, salutò
e sgattaiolò fuori dall’enorme palazzone.
Il campo di
Orazio era vasto, una decina di ettari con al centro la sua casa, immensa per
un uomo solo ed un cane. Anche il letto era basso e sedie e tavolo della cucina
erano un po’ più bassini della norma, chissà se aveva segato lui stesso i piedi
o lo avevano fatto i suoi genitori. Il bardotto coltivava di tutto, il grano,
il mais, la frutta, le piante officinali e gli ortaggi. Tutte le mattine si
recava al mercato col suo furgoncino e scaricava i suoi prodotti. In un angolo
accanto al fienile un pezzo di terra non era mai stato coltivato, appena cinque
are dove affiorava l’unico grande sasso del circondario, una roccia viva
rossastra con piccoli cristalli che di notte, quando c’era la luna sembravano
uno sciame di lucciole. Suo padre non lo aveva mai coltivato quel fazzoletto di
terra, e sua madre l’aveva ammonito di lasciarlo così incolto.
Quando
arrivò l’estate ed il grano aspettava di essere segato e poi battuto, dalla
strada partì un fuoco ed il campo in un baleno andò per metà distrutto. Orazio,
stanco per la fatica dello spegnimento si avvicinò al sasso e sedette poggiando
le spalle, quasi a rendersi conto dell’entità del danno. Le ombre si
allungavano e le prime luci si accendevano nei casolari vicini; la luna era all’orizzonte
e si levava lentamente, il silenzio regnava tutt’attorno, rotto solo dai guaiti
del bastardino che s’era accucciato accanto al bardotto.
D’un tratto, come per
incanto, i cristalli di gesso si misero a brillare e una vocina lo chiamò per
nome: - <<Orazio, Orazio… non spaventarti, per favore alzati e lasciami
uscire>>. Il cuore del bardotto battè forte e gli tremarono i polsi, il
cagnetto guaì dimenando la coda, si alzò e fissò il sasso con le sue mille
luci. Da una fenditura uscì un esserino piccolo e buffo, non più alto di una
spanna, con un costumino da sceicco, una barbetta a punta ed una piccola
lanterna in mano: - << Salve ragazzone, nessuno mai si era seduto
ostruendomi l’uscio! Tuo padre e tuo nonno sedevano di fronte sul secchio
capovolto della mungitura, poi accendevano la pipa e finivamo di dialogare solo
dopo che avevano bisogno di andare a letto, ma non tutte le sere, solo quattro
giorni ogni plenilunio, e mentre loro ritornavano a casa io giravo per le
campagne qui attorno a far visita ai miei fratelli.>> Orazio era attonito
a guardare l’esserino, stava per aprire bocca ma, carezzandosi la barba l’esserino
lo anticipò: - <<Non mi sono presentato, sono Gallio, sono uno gnomo che
abito in questo sasso da più di mille anni; chi sei tu lo so, quando sei nato
ci fu una grande festa, poi sei andato a scuola, ma non sei cresciuto tanto,
sei rimasto piccino, un mezzo uomo, non ti sei mai adirato quando gli altri ti
sfottevano ed hai accettato il nomignolo di bardotto, ma hai mantenuto fede di
non coltivare questo fazzoletto di terra!>> - <<Me lo hanno chiesto sia mio padre
quando ero bambino che mia madre fino alla fine dei suoi giorni, non ho mai
disubbidito e non lo avrei mai fatto!>>. Lo gnomo salì in cima al sasso,
guardò attorno, notò il campo semibruciato: - <<Vedi, il tuo lavoro di
tanti mesi andato in fumo in pochi minuti, una grande perdita per un contadino,
doppia per un alacre lavoratore come te. Vai a riposare ora, tornatene a casa,
oggi è l’ultimo dei quattro giorni di questo plenilunio, all’imbrunire fra 25
giorni torna, porta con te uno sgabello, siediti davanti questa fenditura e
quando i cristalli cominceranno a brillare io sortirò fuori, ci siederemo e
ripiglieremo il nostro dialogare. Non parlare di questo nostro incontro,
nessuno ti capirebbe, è un piccolo segreto tra noi due!>> Fece un piccolo
balzo e scomparve tra le frasche. Orazio si girò attorno ma vide solo il suo
cane che scodinzolava, riposizionò il suo cappello sul capo e mogio mogio si
avviò a casa.
Il mattino seguente, in molti andarono a
trovare Orazio, ognuno gli chiese dell’incendio, ma stranamente nessuno se ne
era accorto il pomeriggio prima, eppure quando c’era stato un bisogno la gente
era accorsa immediatamente, si era prestata per aiutare, così come aveva sempre
fatto il bardotto. Strano, davvero strano che nessuno avesse visto le fiamme.
Orazio appena dopo avere pranzato, mise in moto il suo trattore, montò l’aratro
e cominciò a tirare solchi nella parte bruciata del campo, ma ad ogni giro,
rallentava davanti al sasso e sbirciava nella speranza di vedere Gallio, e
quasi quasi si convinceva di avere sognato durante quel sonno profondo che la
fatica dello spegnimento gli aveva procurato. Quando ebbe finito scese dal
trattore, si recò al sasso e poggiò l’orecchio sulla roccia ma non sentì nulla.
Il mattino seguente tirò i solchi e fece scorrere dentro di essi l’acqua, il
giorno successivo trapiantò delle piantine di cavolo e ridiede l’acqua. Era
instancabile Orazio, non si fermava mai, il contatto con gli altri sempre
cordiale ma sporadico.
I giorni
passavano, la luna era diventata una piccola falce, fino a quando fu novilunio.
Orazio si era attardato ad andare a letto, il sonno non sopraggiungeva ed il
bastardino gli poggiava la testa sulle gambe per chiedergli di essere
accarezzato. Un allocco sul noce di fronte alla casa, apriva e chiudeva
ritmicamente gli occhi ed ogni tanto lanciava un richiamo. Toc, toc, toc,
qualcuno bussò alla porta, Orazio si alzò ed aprì, non c’era anima viva, uscì sull’aia
e guardò tutt’intorno, era veramente buio, tra i cavoli piantati da pochi
giorni qualcosa si muoveva, un coniglio in cerca di foglie tenere o un gatto in
cerca di un topo campagnolo, rincasò e quando stava per risedersi ed appoggiare
i gomiti sul tavolo notò un biglietto, lo prese tra le mani e lo lesse: “Ancora
quattordici giorni al plenilunio, Gallio.” Il cane continuava a scodinzolare, l’allocco
lanciava i suoi richiami, Orazio si adagiò su una poltrona e si addormentò
profondamente. Sognò il bardotto, Gallio era con lui in un grande città, i due
camminavano percorrendo un lungo viale alberato che portava in una fantastica
dimora dalle porte dorate i cui pavimenti erano ricoperti in tappeti di seta e
tutto era illuminato da torce portate da miriadi di folletti. In fondo ad un
grande salone un trono dove stava seduta Adalgisa, la regina degli gnomi.
Gallio si fermò a due metri dal trono e si inchinò, si fermò pure Orazio: -
<<Mia regina, dopo un lungo viaggiare col mio amico siamo arrivati alla
tua reggia, affinché tu con i tuoi poteri possa compiere il prodigio di far
crescere di trenta centimetri il mio amico. Lui non lo ha chiesto, ma è il regalo
che attraverso il tuo tramite desidero fargli io. Orazio è un buono, così come
lo è stato suo nonno e suo padre, con i quali io ho sempre dialogato in un
rapporto leale e sincero. Lui, come suo padre e suo nonno, è stato il custode
della mia dimora.>>. - <<Gallio, hai dimenticato che sono la tua
regina, io so quanto leali sono stati suo padre e suo nonno e so quanto leale è
lui, Orazio, il bardotto. Esaudirò il tuo desiderio, ma solo all’ultimo dei
quattro giorni del plenilunio. Ora sarete rifocillati, e andando a letto vi
addormenterete svegliandovi ognuno nella propria dimora.>> Gallio ed
Orazio si accomiatarono, furono rifocillati e si addormentarono. Quando Orazio
si svegliò il sole era già alto e la prima cosa che fece fu quella di guardare
se i pantaloni del suo pigiama fossero a mezza gamba, nulla di tutto ciò, non
era cresciuto di un solo millimetro, si vestì, fece colazione e ritornò ad
irrigare cavoli seguito dal suo cane.
I giorni
passarono in fretta e all’imbrunire del quattordicesimo giorno il bardotto
prelevò uno sgabello dalla cucina, calcò il cappello e si avviò al sasso. Con
le prime ombre i cristalli di gesso luccicarono e posto lo sgabello davanti
alla fenditura attese. Solo pochi minuti per dare uno sguardo tutt’intorno e
sortì fuori Gallio con in mano un libro foderato di rosso scarlatto con
impresse in oro l’alfa e l’omega, lo aprì e lesse: - << Aiutare i
bisognosi, promuovere l’amore per il prossimo è un’opera che trascende il
tempo!>> Sedette poi lo gnomo, lisciò i suoi piccoli baffi e la sua barba
e disse: - <<Questo posto, questa roccia, non contengono tesori, nella
piccola fenditura dove io vivo, le pareti sono segnate da simboli, ma i simboli
non sono necessariamente memorie, a volte sono sogni. I veri tesori sono
racchiusi in questo libro che tengo tra le mani, esso è un compendio di verità
è profezie. Esso tratta dell’uomo, specialmente in rapporto con la scelta e il
criterio di giudizio nei confronti dei due concetti di bene e di male.>>
Sfogliò e lesse: - << La giustizia è la virtù rappresentata dalla volontà
di riconoscere il diritto di ognuno, mediante l’attribuzione di quanto è
dovuto, secondo la ragione e la legge. La libertà, stato di autonomia, essenzialmente
sentito come diritto e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza
di ordine morale, sociale, politico. L’uguaglianza fa sì che l’uomo sia considerato
alla stessa stregua degli altri membri della collettività relativamente a
determinati diritti o valori, prescindendo dalla razza, dal colore della pelle
e dal credo religioso. La fratellanza, vincolo spirituale che esiste tra
fratelli naturali o tra componenti di una società costituita per fini
umanitari, che non è di mutuo soccorso, ma sentita in quanto legata da quella
malta che è l’amore. La tolleranza, che consente agli uomini di buona volontà,
pur non condividendo idee e pensieri, di rispettare chi questi pensieri e
queste idee coltiva.>> Lo gnomo si fermò. La luna era allo zenith, non c’erano
ombre, d’un tratto scomparve Gallio, svanì, e mentre attonito Orazio raccattava
il suo sgabello, lo gnomo ricomparve e gli disse: - << Per due giorni non
uscirai di casa, rifletterai su quanto hai sentito, il quarto giorno aspetterai
che il tuo cane abbai tre volte alla luna, poi verrai col tuo sgabello e ti
siederai aspettando in silenzio.>> Si infilò nella piccola fenditura
Gallio, mentre la luna continuava il suo cammino.
Orazio ritornò
a casa, chiuse le imposte e preparò la cena per lui e per il cane, poi sedette
a tavola e, consumando il suo pasto cominciò a riflettere sul contenuto di quel
libro rosso con impresse l’alfa e l’omega. Molte cose le capì subito, per altre
dovette sforzarsi un pochino, e sul fatto che i simboli non fossero memorie
impiegò un giorno intero per capire. Il quarto giorno di plenilunio si svegliò
tardi il bardotto, forse sognò ma non ricordava nulla, la sua mente era
sgombra, aveva solo voglia di vedere se i suoi cavoli avessero bisogno di
acqua, ma resistette all’impulso di andare, bisognava aspettare che la luna
fosse alta nel cielo e che il suo cane abbaiasse tre volte. Dopo pranzo lo colse
il sonno e si assopì fino a quando il suo cane non abbaiò, si alzò di scatto,
poi il cane abbaiò ancora e, quando aperse l’uscio il cane puntò il suo muso
verso l’astro argenteo ed abbaiò a lungo per la terza volta. Orazio prese il
suo sgabello e si avviò verso il sasso, ammirò i cristalli di gesso brillare e
sedette davanti il piccolo anfratto. La luna giunta allo zenith sembrò fermarsi
e dall’anfratto uscirono Gallio ed Adalgisa, la sua regina, quella del sogno.
Il giovane si alzò in piedi, si tolse il cappello e Gallio: - << Stattene seduto, ascolta soltanto quanto ti dirà sua maestà la regina.>> Adalgisa fece un passo avanti, guardò la luna, allungò un braccio quasi a voler cogliere un raggio, poi: - <<Orazio, la vita non ti ha regalato molto, solo una modesta esistenza frutto del tuo lavoro e tu, non hai mai avuto nulla da ridire accettando la fatica. Gli stolti cercano l’opulenza ad ogni costo, non sono le ricchezze che fanno la felicità dell’uomo, si può essere felici con poco. Io non posso darti ricchezze, noi gnomi non ne possediamo, possediamo solo gli insegnamenti che sono contenuti nel libro che Gallio ti ha letto. Segui gli insegnamenti, troverai lo stesso amore che saprai dare agli altri. Non posso andar via senza farti un regalo, ora chiuderai gli occhi e li riaprirai solo dopo che il tuo cane abbaierà ancora tre volte alla luna. Chiudi gli occhi e porta le tue mani sulle tue ginocchia.>> Orazio chiuse gli occhi, pose le mani sulle ginocchia ed aspettò. Scomparve la regina ed il cane abbaiò la prima volta, poi scomparve lo gnomo ed il cane abbaiò per la seconda volta e quando la luna superò di poco il sasso il cane abbaiò per la terza volta. Orazio aprì gli occhi, si alzò in piedi e, quando si abbassò per raccattare lo sgabello, si accorse che i suoi pantaloni gli arrivavano al polpaccio, era diventato alto, alto in più di una spanna! Corse verso casa Orazio, andò a guardarsi nell’unico specchio che aveva, ma notò che riflessi c’erano con lui Gallio e la regina. Il bardotto era diventato un omone alto ed aitante.
Il giovane si alzò in piedi, si tolse il cappello e Gallio: - << Stattene seduto, ascolta soltanto quanto ti dirà sua maestà la regina.>> Adalgisa fece un passo avanti, guardò la luna, allungò un braccio quasi a voler cogliere un raggio, poi: - <<Orazio, la vita non ti ha regalato molto, solo una modesta esistenza frutto del tuo lavoro e tu, non hai mai avuto nulla da ridire accettando la fatica. Gli stolti cercano l’opulenza ad ogni costo, non sono le ricchezze che fanno la felicità dell’uomo, si può essere felici con poco. Io non posso darti ricchezze, noi gnomi non ne possediamo, possediamo solo gli insegnamenti che sono contenuti nel libro che Gallio ti ha letto. Segui gli insegnamenti, troverai lo stesso amore che saprai dare agli altri. Non posso andar via senza farti un regalo, ora chiuderai gli occhi e li riaprirai solo dopo che il tuo cane abbaierà ancora tre volte alla luna. Chiudi gli occhi e porta le tue mani sulle tue ginocchia.>> Orazio chiuse gli occhi, pose le mani sulle ginocchia ed aspettò. Scomparve la regina ed il cane abbaiò la prima volta, poi scomparve lo gnomo ed il cane abbaiò per la seconda volta e quando la luna superò di poco il sasso il cane abbaiò per la terza volta. Orazio aprì gli occhi, si alzò in piedi e, quando si abbassò per raccattare lo sgabello, si accorse che i suoi pantaloni gli arrivavano al polpaccio, era diventato alto, alto in più di una spanna! Corse verso casa Orazio, andò a guardarsi nell’unico specchio che aveva, ma notò che riflessi c’erano con lui Gallio e la regina. Il bardotto era diventato un omone alto ed aitante.
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Grazie!
Il racconto si snoda già dall'inizio in un'atmosfera lenta e serena che induce continuare la lettura. Anche se la descrizione psicologica di Bardotto è solo accennata, se ne comprende la pulizia e l'onestà morale, la sua capacità di osservare e accettare - anche con dolore - gli avvenimenti. Molto bella e suggestiva la descrizione del primo incontro con lo gnomo Gallio: lo scintillio intorno, la luna nel cielo,il mistero che si fa presente agli occhi stupiti di Bardotto. Insomma, ho colto un che di poetico e un rasserenante messaggio di vita.
RispondiEliminaLetizia Ognibene
Ottimo messaggio di moralità. Complimenti!!!
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