domenica 5 gennaio 2014

IL BARDOTTO 06.01.2014








Mario Scamardo

da
I Racconti del Borgo

Il bardotto



            Orazio non era alto, per la verità non superava il metro e cinquanta e tutti lo chiamavano “il bardotto”, sia per la statura che per la sua forza e la sua ostinazione nel lavoro del suo campo. Figlio unico, aveva perduto il padre quando era in seconda elementare, la mamma appena ricevuta la cartolina per sottoporsi a visita di leva. Al Distretto militare tutti i suoi coetanei lo derisero ma Orazio era abituato ai pettegolezzi sulla sua statura e, come se avesse le orecchie turate, abbozzava un sorriso ed esclamava: - << I tempi erano tristi, la farina era poca e pure il lievito, non son cresciuto!>> Il medico che lo fece pesare e misurare stilò un piccolo verbale e gli consegnò una copia dopo avere apposto una serie di timbri: - <<Riformato per statura insufficiente!>> Il ragazzo piegò quel foglio, lo intascò, salutò e sgattaiolò fuori dall’enorme palazzone.


            Il campo di Orazio era vasto, una decina di ettari con al centro la sua casa, immensa per un uomo solo ed un cane. Anche il letto era basso e sedie e tavolo della cucina erano un po’ più bassini della norma, chissà se aveva segato lui stesso i piedi o lo avevano fatto i suoi genitori. Il bardotto coltivava di tutto, il grano, il mais, la frutta, le piante officinali e gli ortaggi. Tutte le mattine si recava al mercato col suo furgoncino e scaricava i suoi prodotti. In un angolo accanto al fienile un pezzo di terra non era mai stato coltivato, appena cinque are dove affiorava l’unico grande sasso del circondario, una roccia viva rossastra con piccoli cristalli che di notte, quando c’era la luna sembravano uno sciame di lucciole. Suo padre non lo aveva mai coltivato quel fazzoletto di terra, e sua madre l’aveva ammonito di lasciarlo così incolto.



            Quando arrivò l’estate ed il grano aspettava di essere segato e poi battuto, dalla strada partì un fuoco ed il campo in un baleno andò per metà distrutto. Orazio, stanco per la fatica dello spegnimento si avvicinò al sasso e sedette poggiando le spalle, quasi a rendersi conto dell’entità del danno. Le ombre si allungavano e le prime luci si accendevano nei casolari vicini; la luna era all’orizzonte e si levava lentamente, il silenzio regnava tutt’attorno, rotto solo dai guaiti del bastardino che s’era accucciato accanto al bardotto.



 D’un tratto, come per incanto, i cristalli di gesso si misero a brillare e una vocina lo chiamò per nome: - <<Orazio, Orazio… non spaventarti, per favore alzati e lasciami uscire>>. Il cuore del bardotto battè forte e gli tremarono i polsi, il cagnetto guaì dimenando la coda, si alzò e fissò il sasso con le sue mille luci. Da una fenditura uscì un esserino piccolo e buffo, non più alto di una spanna, con un costumino da sceicco, una barbetta a punta ed una piccola lanterna in mano: - << Salve ragazzone, nessuno mai si era seduto ostruendomi l’uscio! Tuo padre e tuo nonno sedevano di fronte sul secchio capovolto della mungitura, poi accendevano la pipa e finivamo di dialogare solo dopo che avevano bisogno di andare a letto, ma non tutte le sere, solo quattro giorni ogni plenilunio, e mentre loro ritornavano a casa io giravo per le campagne qui attorno a far visita ai miei fratelli.>> Orazio era attonito a guardare l’esserino, stava per aprire bocca ma, carezzandosi la barba l’esserino lo anticipò: - <<Non mi sono presentato, sono Gallio, sono uno gnomo che abito in questo sasso da più di mille anni; chi sei tu lo so, quando sei nato ci fu una grande festa, poi sei andato a scuola, ma non sei cresciuto tanto, sei rimasto piccino, un mezzo uomo, non ti sei mai adirato quando gli altri ti sfottevano ed hai accettato il nomignolo di bardotto, ma hai mantenuto fede di non coltivare questo fazzoletto di terra!>>  - <<Me lo hanno chiesto sia mio padre quando ero bambino che mia madre fino alla fine dei suoi giorni, non ho mai disubbidito e non lo avrei mai fatto!>>. Lo gnomo salì in cima al sasso, guardò attorno, notò il campo semibruciato: - <<Vedi, il tuo lavoro di tanti mesi andato in fumo in pochi minuti, una grande perdita per un contadino, doppia per un alacre lavoratore come te. Vai a riposare ora, tornatene a casa, oggi è l’ultimo dei quattro giorni di questo plenilunio, all’imbrunire fra 25 giorni torna, porta con te uno sgabello, siediti davanti questa fenditura e quando i cristalli cominceranno a brillare io sortirò fuori, ci siederemo e ripiglieremo il nostro dialogare. Non parlare di questo nostro incontro, nessuno ti capirebbe, è un piccolo segreto tra noi due!>> Fece un piccolo balzo e scomparve tra le frasche. Orazio si girò attorno ma vide solo il suo cane che scodinzolava, riposizionò il suo cappello sul capo e mogio mogio si avviò a casa.

             Il mattino seguente, in molti andarono a trovare Orazio, ognuno gli chiese dell’incendio, ma stranamente nessuno se ne era accorto il pomeriggio prima, eppure quando c’era stato un bisogno la gente era accorsa immediatamente, si era prestata per aiutare, così come aveva sempre fatto il bardotto. Strano, davvero strano che nessuno avesse visto le fiamme. Orazio appena dopo avere pranzato, mise in moto il suo trattore, montò l’aratro e cominciò a tirare solchi nella parte bruciata del campo, ma ad ogni giro, rallentava davanti al sasso e sbirciava nella speranza di vedere Gallio, e quasi quasi si convinceva di avere sognato durante quel sonno profondo che la fatica dello spegnimento gli aveva procurato. Quando ebbe finito scese dal trattore, si recò al sasso e poggiò l’orecchio sulla roccia ma non sentì nulla. Il mattino seguente tirò i solchi e fece scorrere dentro di essi l’acqua, il giorno successivo trapiantò delle piantine di cavolo e ridiede l’acqua. Era instancabile Orazio, non si fermava mai, il contatto con gli altri sempre cordiale ma sporadico.

            I giorni passavano, la luna era diventata una piccola falce, fino a quando fu novilunio. Orazio si era attardato ad andare a letto, il sonno non sopraggiungeva ed il bastardino gli poggiava la testa sulle gambe per chiedergli di essere accarezzato. Un allocco sul noce di fronte alla casa, apriva e chiudeva ritmicamente gli occhi ed ogni tanto lanciava un richiamo. Toc, toc, toc, qualcuno bussò alla porta, Orazio si alzò ed aprì, non c’era anima viva, uscì sull’aia e guardò tutt’intorno, era veramente buio, tra i cavoli piantati da pochi giorni qualcosa si muoveva, un coniglio in cerca di foglie tenere o un gatto in cerca di un topo campagnolo, rincasò e quando stava per risedersi ed appoggiare i gomiti sul tavolo notò un biglietto, lo prese tra le mani e lo lesse: “Ancora quattordici giorni al plenilunio, Gallio.” Il cane continuava a scodinzolare, l’allocco lanciava i suoi richiami, Orazio si adagiò su una poltrona e si addormentò profondamente. Sognò il bardotto, Gallio era con lui in un grande città, i due camminavano percorrendo un lungo viale alberato che portava in una fantastica dimora dalle porte dorate i cui pavimenti erano ricoperti in tappeti di seta e tutto era illuminato da torce portate da miriadi di folletti. In fondo ad un grande salone un trono dove stava seduta Adalgisa, la regina degli gnomi. Gallio si fermò a due metri dal trono e si inchinò, si fermò pure Orazio: - <<Mia regina, dopo un lungo viaggiare col mio amico siamo arrivati alla tua reggia, affinché tu con i tuoi poteri possa compiere il prodigio di far crescere di trenta centimetri il mio amico. Lui non lo ha chiesto, ma è il regalo che attraverso il tuo tramite desidero fargli io. Orazio è un buono, così come lo è stato suo nonno e suo padre, con i quali io ho sempre dialogato in un rapporto leale e sincero. Lui, come suo padre e suo nonno, è stato il custode della mia dimora.>>. - <<Gallio, hai dimenticato che sono la tua regina, io so quanto leali sono stati suo padre e suo nonno e so quanto leale è lui, Orazio, il bardotto. Esaudirò il tuo desiderio, ma solo all’ultimo dei quattro giorni del plenilunio. Ora sarete rifocillati, e andando a letto vi addormenterete svegliandovi ognuno nella propria dimora.>> Gallio ed Orazio si accomiatarono, furono rifocillati e si addormentarono. Quando Orazio si svegliò il sole era già alto e la prima cosa che fece fu quella di guardare se i pantaloni del suo pigiama fossero a mezza gamba, nulla di tutto ciò, non era cresciuto di un solo millimetro, si vestì, fece colazione e ritornò ad irrigare cavoli seguito dal suo cane.

            I giorni passarono in fretta e all’imbrunire del quattordicesimo giorno il bardotto prelevò uno sgabello dalla cucina, calcò il cappello e si avviò al sasso. Con le prime ombre i cristalli di gesso luccicarono e posto lo sgabello davanti alla fenditura attese. Solo pochi minuti per dare uno sguardo tutt’intorno e sortì fuori Gallio con in mano un libro foderato di rosso scarlatto con impresse in oro l’alfa e l’omega, lo aprì e lesse: - << Aiutare i bisognosi, promuovere l’amore per il prossimo è un’opera che trascende il tempo!>> Sedette poi lo gnomo, lisciò i suoi piccoli baffi e la sua barba e disse: - <<Questo posto, questa roccia, non contengono tesori, nella piccola fenditura dove io vivo, le pareti sono segnate da simboli, ma i simboli non sono necessariamente memorie, a volte sono sogni. I veri tesori sono racchiusi in questo libro che tengo tra le mani, esso è un compendio di verità è profezie. Esso tratta dell’uomo, specialmente in rapporto con la scelta e il criterio di giudizio nei confronti dei due concetti di bene e di male.>> Sfogliò e lesse: - << La giustizia è la virtù rappresentata dalla volontà di riconoscere il diritto di ognuno, mediante l’attribuzione di quanto è dovuto, secondo la ragione e la legge. La libertà, stato di autonomia, essenzialmente sentito come diritto e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico. L’uguaglianza fa sì che l’uomo sia considerato alla stessa stregua degli altri membri della collettività relativamente a determinati diritti o valori, prescindendo dalla razza, dal colore della pelle e dal credo religioso. La fratellanza, vincolo spirituale che esiste tra fratelli naturali o tra componenti di una società costituita per fini umanitari, che non è di mutuo soccorso, ma sentita in quanto legata da quella malta che è l’amore. La tolleranza, che consente agli uomini di buona volontà, pur non condividendo idee e pensieri, di rispettare chi questi pensieri e queste idee coltiva.>> Lo gnomo si fermò. La luna era allo zenith, non c’erano ombre, d’un tratto scomparve Gallio, svanì, e mentre attonito Orazio raccattava il suo sgabello, lo gnomo ricomparve e gli disse: - << Per due giorni non uscirai di casa, rifletterai su quanto hai sentito, il quarto giorno aspetterai che il tuo cane abbai tre volte alla luna, poi verrai col tuo sgabello e ti siederai aspettando in silenzio.>> Si infilò nella piccola fenditura Gallio, mentre la luna continuava il suo cammino.

            Orazio ritornò a casa, chiuse le imposte e preparò la cena per lui e per il cane, poi sedette a tavola e, consumando il suo pasto cominciò a riflettere sul contenuto di quel libro rosso con impresse l’alfa e l’omega. Molte cose le capì subito, per altre dovette sforzarsi un pochino, e sul fatto che i simboli non fossero memorie impiegò un giorno intero per capire. Il quarto giorno di plenilunio si svegliò tardi il bardotto, forse sognò ma non ricordava nulla, la sua mente era sgombra, aveva solo voglia di vedere se i suoi cavoli avessero bisogno di acqua, ma resistette all’impulso di andare, bisognava aspettare che la luna fosse alta nel cielo e che il suo cane abbaiasse tre volte. Dopo pranzo lo colse il sonno e si assopì fino a quando il suo cane non abbaiò, si alzò di scatto, poi il cane abbaiò ancora e, quando aperse l’uscio il cane puntò il suo muso verso l’astro argenteo ed abbaiò a lungo per la terza volta. Orazio prese il suo sgabello e si avviò verso il sasso, ammirò i cristalli di gesso brillare e sedette davanti il piccolo anfratto. La luna giunta allo zenith sembrò fermarsi e dall’anfratto uscirono Gallio ed Adalgisa, la sua regina, quella del sogno.



Il giovane si alzò in piedi, si tolse il cappello e Gallio: - << Stattene seduto, ascolta soltanto quanto ti dirà sua maestà la regina.>> Adalgisa fece un passo avanti, guardò la luna, allungò un braccio quasi a voler cogliere un raggio, poi: - <<Orazio, la vita non ti ha regalato molto, solo una modesta esistenza frutto del tuo lavoro e tu, non hai mai avuto nulla da ridire accettando la fatica. Gli stolti cercano l’opulenza ad ogni costo, non sono le ricchezze che fanno la felicità dell’uomo, si può essere felici con poco. Io non posso darti ricchezze, noi gnomi non ne possediamo, possediamo solo gli insegnamenti che sono contenuti nel libro che Gallio ti ha letto. Segui gli insegnamenti, troverai lo stesso amore che saprai dare agli altri. Non posso andar via senza farti un regalo, ora chiuderai gli occhi e li riaprirai solo dopo che il tuo cane abbaierà ancora tre volte alla luna. Chiudi gli occhi e porta le tue mani sulle tue ginocchia.>> Orazio chiuse gli occhi, pose le mani sulle ginocchia ed aspettò. Scomparve la regina ed il cane abbaiò la prima volta, poi scomparve lo gnomo ed il cane abbaiò per la seconda volta e quando la luna superò di poco il sasso il cane abbaiò per la terza volta. Orazio aprì gli occhi, si alzò in piedi e, quando si abbassò per raccattare lo sgabello, si accorse che i suoi pantaloni gli arrivavano al polpaccio, era diventato alto, alto in più di una spanna! Corse verso casa Orazio, andò a guardarsi nell’unico specchio che aveva, ma notò che riflessi c’erano con lui Gallio e la regina. Il bardotto era diventato un omone alto ed aitante.





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2 commenti:

  1. Il racconto si snoda già dall'inizio in un'atmosfera lenta e serena che induce continuare la lettura. Anche se la descrizione psicologica di Bardotto è solo accennata, se ne comprende la pulizia e l'onestà morale, la sua capacità di osservare e accettare - anche con dolore - gli avvenimenti. Molto bella e suggestiva la descrizione del primo incontro con lo gnomo Gallio: lo scintillio intorno, la luna nel cielo,il mistero che si fa presente agli occhi stupiti di Bardotto. Insomma, ho colto un che di poetico e un rasserenante messaggio di vita.
    Letizia Ognibene

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  2. Ottimo messaggio di moralità. Complimenti!!!

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