venerdì 14 febbraio 2014

I SEGRETI - Racconto breve (14 febbraio 2014)





















 I Racconti del Borgo


Mario Scamardo


I segreti




Elisabetta scartò il suo ultimo cioccolatino, lesse il tenero messaggio che conteneva: “Per amare non occorre esser saggi, ma saper donare senza mai nulla chiedere”. Aprì a caso la sua agenda e lo sistemò tra due fogli, richiuse l’agenda, piegò la scatola che li conteneva e la gettò nel cestino posto sotto la sua scrivania.






La sua tesi di laurea era lì sotto i suoi occhi, sulla scrivania pile di foglietti con appunti ma Elisabetta non riusciva a concentrarsi, non riusciva a dare ordine a tutto quello che aveva scritto, la sua testa sembrava essere altrove, ed ogni tanto le si inumidivano le palpebre e le scappava un singhiozzo.


 Che cosa l’affliggeva non poteva raccontarlo ad alcuno, da sei mesi si era isolata a casa dei genitori, in un paesino dell’interland palermitano per prepararsi agli ultimi due esami e per stilare la sua tesi. Amiche? Poche, ma solo in città. Al suo ultimo esame, superato brillantemente, dopo una cena in un ristorantino del centro storico Alfredo, il suo ragazzo, era stato freddo, taciturno, di poche parole, con quella enorme scatola di cioccolatini l’aveva accompagnata davanti al portone di casa appena dopo cena, e da quel giorno solo qualche breve telefonata, prima tutti i giorni, poi con scadenze sempre più lunghe, fino ad eclissarsi. Cos’era successo? Elisabetta non sapeva darsi spiegazioni, il loro era stato un grande amore pieno di passione, mai una rinuncia, mai un dissidio, mai un turbamento, fino al punto che lei ne aveva parlato ai suoi genitori con la felicità che le sprizzava da tutti i pori. Alfredo si era laureato due anni prima in ingegneria, si era abilitato, aveva messo su uno studio in città con due colleghi.

Un pomeriggio sua madre entrando nella sua camera per portarle un tè, notò gli occhi di Elisabetta arrossati di pianto, adagiò il vassoio sulla scrivania, la cinse da dietro le spalle e dolcemente le chiese:

-         Perché piangi, cosa ti succede?

-         Nulla, mamma, sarà forse la stanchezza, lo stress, non riesco ad applicarmi, sono distratta da mille cose, non riesco a mettere ordine a questa benedetta tesi, ma non preoccuparti, ci metterò tutto l’impegno per ultimarla e, poi, quando sarà pronta, tutto sarà passato in un baleno.

La madre le diede un bacio, capì che la tesi non era il motivo dei suoi turbamenti, ma stette al gioco:

-         Vedrai che domani, a mente serena, ritroverai la voglia di ripigliare il tuo lavoro, se ti va andiamo in giro per negozi, aspetteremo tuo padre davanti al suo studio ed andremo a mangiare una pizza tutti e tre, da un po’ non lo facciamo.

Elisabetta si alzò, abbracciò la madre e ruppe in un pianto dirotto, singhiozzando:

-         Si, mamma, forse è meglio così, usciamo!

Quella serata con i genitori produsse un effetto positivo. La ragazza si sentì vicina a qualcuno che l’amava, ma di un amore diverso, di quelli che non traballano, che non danno patemi, che non fanno soffrire e si sentì forte. In meno di una settimana finì la sua tesi sugli arredi urbani della sua città e quando si recò alla facoltà di Architettura per farla visionare dal docente che gliela aveva assegnata, incontrò le sue colleghe e due delle tre amiche con le quali divideva un appartamento in città, Francesca e Giuliana. Chiese di Adalgisa ma, quasi contemporaneamente le due le risposero che aveva abbandonato l’appartamento ed era andata ad abitare altrove, e da allora l’avevano intravista pochissime volte.  Fu una mattinata splendida, uscì dall’Ateneo in compagnia delle ragazze per recarsi con loro a pranzo nella solita trattoria frequentata per lo più da studenti. Sedute a tavola, dopo i primi stuzzichini, Elisabetta ritornò a chiedere di Adalgisa, ma le due amiche, elusero la domanda e la tempestarono loro su come fosse stato il periodo passato in paese, da dove avesse attinto le notizie sulla tesi, su quale fosse la bibliografia, sui testi più astrusi che aveva consultato. Nessuno le chiese di Alfredo o se avesse nel frattempo un amico particolare.

        Tre mesi dopo fu il giorno della sua laurea. Elisabetta si alzò alle sei del mattino, indossò l’abito più bello, attese che i suoi genitori fossero pronti e messisi in macchina parcheggiarono nel piazzale davanti ad Architettura. L’aula magna della facoltà era semivuota, lei prese tra le mani la sua tesi, diede ancora una sbirciata alla prefazione, poi la consegnò a suo padre ed aspettò che arrivassero i suoi colleghi con i quali si salutò cordialmente e dialogò fino a quando la commissione esaminatrice non aperse la sessione. Lei, seconda in elenco, attese che un suo collega finisse di illustrare la propria tesi e, quando la commissione rientrò dopo avere deliberato sul primo esaminando, prese posto seduta compostamente davanti al grande tavolo.  Con scioltezza e padronanza di linguaggio ringraziò i suoi docenti per quanto le avevano insegnato, ed i suoi genitori per i sacrifici che avevano fatto, dedicando a loro la sua laurea. Chiuse la sua illustrazione e attese che qualcuno le ponesse delle domande. Rispose anche a quelle e con l’assentire degli esaminatori, si alzò in piedi ed attese che il preside della facoltà la dichiarasse dottore in Architettura col massimo dei voti e la lode. Quando si girò verso i genitori, in cima all’emiciclo vide Alfredo che stava per sortire dall’aula. Le sue gambe si bloccarono, il cuore le diventò aritmico, come in preda ad un capogiro si appoggiò alla poltrona sulla quale un momento prima era seduta, non lo vedeva e non lo sentiva da nove mesi, un attimo di smarrimento e poi lo slancio verso sua madre. Francesca e Giuliana, pure loro avevano visto Alfredo e, parlando tra loro sottovoce, dissero che Adalgisa non aveva trovato il coraggio per entrare, era rimasta in macchina.



        Elisabetta con i genitori e le due amiche guadagnarono l’uscita, si recarono in un bar del centro e brindarono alla laurea. Elisabetta non volle che si facesse una festa, volle invitare le due amiche a cena a casa sua tre giorni dopo. Dopo le congratulazioni dei parenti e di qualche vicino di casa, senza cenare, volle andare a letto, non erano nemmeno le ventidue, fece una doccia e cadde in un profondo sonno. Il mattino seguente si svegliò alle dieci, ma a fronte del lungo riposare, i suoi occhi erano coperti da un velo di tristezza.

        Francesca e Giuliana telefonarono nel primo pomeriggio annunciandole una visita, mezzora dopo erano a casa sua. Dopo i convenevoli con la sua mamma, caricarono Elisabetta in macchina e si recarono in riva al lago che era a pochi chilometri. Passeggiando, raccontarono alla ragazza quanto sapevano di Alfredo, e fu Giuliana a cominciare:

-         Cara amica mia, non abbiamo avuto mai il coraggio di informarti della relazione tra Alfredo e Adalgisa, anche quando stavamo tutte e quattro assieme e tu eri legata a lui, forse abbiamo sbagliato. E’ stato il nostro segreto! Tu eri innamoratissima, ed anche lui sembrava esserlo, ma un giorno abbiamo sorpreso Adalgisa a letto con Alfredo, mentre tu eri a lezione, ed abbiamo appurato che la storia era già vecchia. Non volevamo darti un dolore, ma abbiamo costretto Adalgisa ad andare via dalla casa in cui anche tu abitavi. Abbiamo pregato quell’uomo che ti aveva rubato il senno a non incontrarti più, a non cercarti più, usando anche qualche piccolo ricatto. Dopo un po’ ci siamo riuscite, aiutate dal fatto che tu eri andata ad abitare a casa tua con i genitori. Non è stato facile, abbiamo sofferto nel dubbio che questo nostro comportamento potesse essere frainteso dall’unica amica sincera che abbiamo. Abbiamo fatto bene o male, sarai tu a giudicare, a chiederci eventualmente di allontanarci da te.

             Elisabetta, rimasta immobile ad ascoltare, non battette ciglio, imbambolata guardava l’incresparsi dell’acqua del lago alla leggera brezza che si faceva strada tra le colline e il suo volto diventava di cera. Francesca timidamente le prese le mani:

-         Questi due ci hanno rubato la serenità, ma abbiamo avuto la forza di aspettare che tu affrontassi con serenità l’esame di laurea, che non ti fermassi, che non sapessi del loro marciume. Ricordi Elisabetta? Abbiamo festeggiato tutte e quattro quando Alfredo ti ha dichiarato il suo amore, non abbiamo dormito la notte, abbiamo visto comparire l’alba parlando di voi poi, appena poche settimane dopo, il primo sospetto e poi la certezza che Giuliana ti ha già raccontato.

-         Amiche mie, non sentitevi nessuna colpa, io ho imparato a dimenticarlo, Adalgisa? Le ho voluto bene come ne ho voluto a voi, oggi non provo neppure sdegno. Ieri, ignara di quanto mi avete detto, quando alzando lo sguardo in cima all’emiciclo dell’aula magna, vidi Alfredo che aveva assistito al mio esame, ebbi un piccolo mancamento, nove mesi che non lo vedevo, che non lo sentivo, ho sperato nel miracolo, poi l’ho visto scomparire, eclissandosi, ed ebbi voglia di parlargli. Uscita dall’aula lo cercai con gli occhi, ma niente! Francesca, non mi è crollato il mondo addosso, ho tirato un lungo sospiro ed ho inghiottito ancora un rospo.

-         C’era pure Adalgisa, è rimasta in macchina ad aspettare, per fortuna ha trovato il buon senso di non farsi vedere. Amica mia, è difficile dirlo, ma qualora tu non avessi ancora tolto dalla tua mente quell’uomo, ti confesso con dolore, che un pomeriggio di poco tempo fa ha bussato alla porta, l’ho fatto entrare e dopo un caffè mi ha chiesto se ero disposta ad intraprendere una relazione anomala con lui. Capirai che mi sembrarono mille anni quei tre minuti che mi servirono per accompagnarlo alla porta in maniera sgraziata. Poi fu un pianto che non riuscii a contenere per almeno un’ora.

      Elisabetta prese per mano le due amiche, in silenzio passeggiò con loro in riva al lago per un lungo tratto, poi si indirizzarono verso l’automobile e prima di salire:

-         Grazie ragazze, non avete nulla di cui rimproverarvi, abbiamo bisogno tutte e tre di dimenticare, non sarà difficile, anzi, mi avete aiutato ad elaborare il lutto in pochissimi momenti, queste persone sono già uscite dalla mia mente, spero che ciò avvenga pure per voi. Su, andiamo, stasera si festeggia, vi invito in pizzeria, qui in paese non ci sono ristoratori, solo un paio di bettole. Poi andremo in un pub fuori paese e, se ne avremo il coraggio, alzeremo un po’ il gomito.

      Salirono in macchina le ragazze e andarono a casa di Elisabetta per prepararsi alla serata.

      Elisabetta affrontò gli esami di abilitazione all’esercizio della professione e cominciò a frequentare uno studio di architettura per fare praticantato, due anni dopo venne chiamata da una grande e rinomata società che si occupava di progettazioni e messa in opera di arredi urbani, la Urbis. Ci volle poco per la ragazza ad arrivare in cima nella struttura in cui operava, era molto preparata e si aggiornava continuamente intervenendo in tutti i convegni. Un mattino qualcuno la chiamò e le affidò la direzione generale della società. Il suo nome girava per tutti gli studi professionali, per tutte le imprese e in tutti gli uffici pubblici, trattavano con lei i tecnici, gli amministratori pubblici, gli ordini professionali. Un giorno arrivò sul suo tavolo una richiesta d’impiego corredata di curriculum, attaccato al carteggio un foglietto a firma del suo presidente dove stava scritto e sottolineato: L’architetto è amica di famiglia!!!  Elisabetta prese tra le mani la carpetta, trasse il curriculum, era quello di Adalgisa, laureata da due anni, nubile, con un’esperienza di lavoro presso lo studio di Alfredo. Stranamente sorrise, richiuse la carpetta, vi riattaccò sopra il biglietto e continuò a lavorare al suo computer. Tre giorni dopo il presidente, in compagnia del presidente dell’Ordine degli architetti varcò la soglia del suo ufficio, Elisabetta li fece accomodare e i due le parlarono dell’arredo urbano di una cittadina della provincia, la ragazza chiese di visionare il progetto e si impegnò ad esitarlo in due giorni. Prima di accomiatarsi il Presidente della Urbis le chiese dell’istanza di Adalgisa che giaceva sul suo tavolo, proprio sotto i suoi occhi, lei riprese tra le mani la carpetta:

-         Presidente, l’ho visionata, intendevo parlarne con lei.

-         Ci sono difficoltà?

-         Per nulla, visto il suo appunto, volevo chiederle su come procedere, se verificare realmente la sua predisposizione e preparazione, o assumerla affidandola allo studio tecnico affinché possa farsi le ossa, ma se desidera che le affidiamo subito un settore, è presto fatto!

-         No, signorina, il fatto che sia amica di mia figlia non è un lasciapassare, se vuole verificare lei, mi fa piacere, altrimenti questo compito lo affideremo proprio all’ufficio tecnico.

-         Come desidera, io le rimando la carpetta, meglio che siano i tecnici ad occuparsene.

-         Io amo la scrupolosità, la carpetta la porto via io.

      Elisabetta si sentì sollevata, erano passati tanti anni, aveva quasi dimenticato, ora si interrogava se fosse in grado di perdonare o no.

      Un pomeriggio, all’uscita dall’ufficio, mentre stava per mettersi in auto, un uomo l’avvicinò, era Alfredo che a testa bassa la salutò:

-         Ciao Elisabetta.

-         Oh, ciao, che fai da queste parti?

-         Scusami, son qua che aspetto da un’ora, desidero parlarti.

La ragazza accostò la portiera dell’auto

-         Dimmi, ti ascolto.

-         Scusami, forse non avrei dovuto, ma le ho fatto tanto male e vorrei quantomeno non esserle più d’impedimento.

-         Di chi parli?

-         Di Adalgisa, l’ho licenziata dal mio studio dopo un anno che ci siamo lasciati, non era più possibile che lei rimanesse a lavorare con me.

-         Ti sei fatto sorprendere con una nuova amante!

-         Proprio così, sono un incorreggibile!

-         E lei?

-         Ha subito, ma sento dentro di me il peso del male che le ho fatto.

-         Non è stata la prima lei e non sarà l’ultima! Dimmi cosa posso fare per te.

-         Per me nulla, so che Adalgisa ha chiesto un impiego alla Urbis, tu puoi decidere se darle un lavoro o lasciarla in balia di uno studio professionale che la sfrutterebbe sottopagandola. Lei non sa che sei tu a decidere del suo destino, forse se l’avesse saputo non avrebbe neppure presentato il suo curriculum. Sono stato tremendo con lei, ho carpito la sua buona fede, l’ho fatta innamorare, sono la causa dell’enorme ritardo dei suoi studi, le ho fatto intravedere una vita insieme e poi…

-         L’hai tradita per la prima gonnella che ti è passata davanti. Alfredo, io ho dimenticato il male che mi avete fatto, ho dimenticato il tradimento di Adalgisa, non so portare rancore. Per evitare di poter pesare sulle decisioni dell’Urbis ho rimandato la pratica al presidente. Sarà accettata? Non so dirtelo, sarà l’ufficio tecnico a decidere se assumerla o no.

-         Non so se posso meritare per un solo attimo la tua fiducia, ma ti garantisco che Adalgisa è tecnicamente all’altezza del compito che l’Urbis potrà affidarle.

      Elisabetta corrugò per un attimo la fronte, poi porse la mano ad Alfredo:

-         Ciao Alfredo, analizzerò questo barlume di rimorso che ti porti dietro, ciao.

      Riaprì lo sportello della macchina, mise in moto ed andò via.

      Per tutta la serata ripensò al discorso avuto con Alfredo, quell’incontro non le aveva dato nessuna emozione, lungi da lei il sentimento della vendetta, non c’era collera in lei, non aveva provato imbarazzo, solo commiserazione per la meschinità. Il rimorso? Certo, non doveva essere bello conviverci! Dopo cena uscì di casa, andò sul lungomare e passeggiò da sola guardando soffermandosi ogni tanto a mirare la risacca sotto la luce dei lampioni. Piccoli gozzi, legati a sottili sagole, si dondolavano sulle onde come guidati da un coreografo che ne seguiva compiaciuto i movimenti. Il mattino seguente si recò al lavoro, nel parcheggio trovò il presidente che prelevava la sua borsa dall’auto, lo salutò ed assieme entrarono al bar dove presero un caffè, appena usciti:

-         Presidente, ho fatto mente locale su quella pratica di assunzione, è preferibile che non le dia disturbo, salendo la esamino io, stamattina ho un po’ meno carico di lavoro, sempre che lei gradisca.

-         Ma certo signorina, sono contento che la esamini lei, se ha bisogno di incontrare l’architetto la facciamo chiamare per un colloquio. Salendo trova la pratica sul mio tavolo, io mi attardo un po’ nell’androne ad attendere il presidente dell’Ordine degli architetti, fra un’oretta la faro chiamare per i progetti che lei vuole visionare.

-         Non si dia pensiero presidente, penso a tutto io, stia tranquillo.



Salì in ascensore, entrò nello studio del presidente, prelevò la carpetta e sedette al suo tavolo. Si impose un segreto, non avrebbe mai rivelato ad Adalgisa il rimorso di Alfredo ed il loro incontro, non sapremo mai se il suo segreto serviva a punire ambedue o se fosse solo un atto di pietà nei confronti dell’ex amica, poi scrisse sulla facciata della carpetta “Si assume per area tecnica”, ci pose sotto la sua firma, si recò all’ufficio del personale e chiese che immediatamente si desse corso all’assunzione. Ripresa la sua borsa, discese le scale, e si recò nel grande bar di fronte all’Urbis, dopo un bicchiere d’acqua bevve ancora un caffè e chiese una scatola di cioccolatini, una confezione enorme, pagò alla cassa e ritornò al suo lavoro. Ogni volta che scartò un cioccolatino si impose di non leggere il messaggio che conteneva, riservandosi di leggerli tutti assieme dopo avere scartato l’ultimo. Per un errore di confezionamento, in quella scatola erano finiti trentasei messaggi uguali: “L’amore è uno scrigno che contiene piccoli e grandi segreti”. 







Vi è piaciuta? ............... Lasciate un messaggio.
Non vi è piaciuta?.......... Lasciate un messaggio.

Grazie!

Nessun commento:

Posta un commento