Mario Scamardo
I
Racconti del Borgo
I
FANTASMI ASSASSINI
Villa Grosso era
disabitata da almeno un trentennio, situata al centro di un immenso giardino
sempre curatissimo e sempre fiorito, era recintata da muri e cancellate. Vi
avevano accesso soltanto Anselmo il giardiniere e Adelina, la di lui moglie. La
coppia abitava da sempre l’appartamentino a piano terra sul retro della villa e
accedeva dall’uscita secondaria, diametralmente opposta al cancello principale.
Anselmo e Adelina erano
persone riservate, uscivano, uno alla volta, per fare la spesa, le commissioni,
andare a messa e poi passavano la loro giornata a curare li giardino, sempre
fiorito, sempre in ordine. Nessuno mai era entrato da trent’anni circa e i proprietari,
che abitavano in altro quartiere al lato opposto della città, ricevevano ogni
primo giorno del mese la visita di Anselmo.
Una notte di novilunio
i vicini si affacciarono dalle finestre e dai balconi, perché si sentì un
assordante frastuono e tutti notarono che la villa era illuminata, poi un vocio
che man mano si attenuò e, quindi, il silenzio e l’affievolirsi delle luci fino
allo spegnersi. Che succedeva nella villa? Mistero! Il mattino seguente Anselmo
era lì, nel giardino come al solito, potava, sistemava aiuole, e Adelina
tagliava i fiori appassiti. I vicini curiosavano e, passando davanti al
cancello principale, si soffermavano, sbirciavano, cercavano di cogliere
qualcosa di insolito. Sembrava che i due ospiti della villa non si fossero
accorti di nulla, strano, molto strano, il frastuono era stato tanto da fare
affacciare tutta la gente del circondario, e poi quelle luci accese che non
s’erano viste da un trentennio.
All’ angolo della strada piccoli capannelli di persone commentavano sotto i grandi platani stracolmi di storni, a rischio di essere ricoperti dalle loro deiezioni; poi lo stridere dei freni del tram che portava tutti via. Una mattina Anselmo infilò la chiave nel lucchetto del cancello principale, diede l’olio ai cardini e, prova e riprova, riuscì ad aprirlo, ramazzò e con l’aiuto di sua moglie pulì lo scarrozzo, lo liberò dalle erbacce, dalla foglie secche e raschiò con una paletta il muschio di trent’anni. La gente dei dintorni si meravigliò, il ricordo del cancello aperto era per pochi, mentre i più giovani l’avevano visto sempre chiuso ed una anziana signora che si apprestava a prendere il tram chiese ad Anselmo:
All’ angolo della strada piccoli capannelli di persone commentavano sotto i grandi platani stracolmi di storni, a rischio di essere ricoperti dalle loro deiezioni; poi lo stridere dei freni del tram che portava tutti via. Una mattina Anselmo infilò la chiave nel lucchetto del cancello principale, diede l’olio ai cardini e, prova e riprova, riuscì ad aprirlo, ramazzò e con l’aiuto di sua moglie pulì lo scarrozzo, lo liberò dalle erbacce, dalla foglie secche e raschiò con una paletta il muschio di trent’anni. La gente dei dintorni si meravigliò, il ricordo del cancello aperto era per pochi, mentre i più giovani l’avevano visto sempre chiuso ed una anziana signora che si apprestava a prendere il tram chiese ad Anselmo:
-
Ritornano
a vivere qua i proprietari?
-
Non
so signora, io ho avuto ordine di aprire solo il cancello e di pulire lo
scarrozzo.
-
Mi
ricordo di donna Laura, bellissima, elegantissima e tanto perbene, ha la mia
stessa età, sessantadue anni, frequentavamo la stessa classe alle elementari,
suo padre, la buonanima di don Castrenze veniva tutti i giorni ad accompagnarla
a scuola con una Balilla di colore nero, poi ritornava a riprenderla
all’uscita, mandava via il suo autista e a piedi la riportava a casa. Poi, dopo
il matrimonio di Laura, la brutta notizia, don Castrenze e la buonanima di sua
moglie, donna Lucrezia, trovati in una pozza di sangue su, in soffitta. Donna
Laura, straziata dal dolore andò via con il marito da questa casa. Non è più
ritornata, eppure, io ho sempre immaginato che qualcuno, oltre a lei e a sua
moglie, ha abitato questa villa che io guardo sempre, il vento scosta le tende?
Luci ed ombre dietro le vetrate saranno i giochi di qualche raggio di sole?
Chissà, ma io ogni tanto fantastico!
-
Trent’anni
addietro, dopo i funerali di don Castrenze e donna Lucrezia, la villa si è
serrata, anche il cancello non è stato più aperto, io e mia moglie entriamo dal
retro e, non abbiamo mai visto nessuno né sentito nulla.
La signora anziana
abbozzò un sorriso, fece un cenno di saluto con la mano e si diresse alla
fermata del tram che era all’angolo.
La voce circolò nel
quartiere e dalle finestre, a turno, qualcuno si affacciava per vedere se
persone varcavano quel cancello. Nessuno fino a sera si introdusse nella villa,
il cancello venne richiuso e il mattino seguente venne riaperto da Adelina che
spazzò il vialetto ed il marciapiedi, poi, alla spicciolata, arrivarono una
diecina di donne, in seguito un furgoncino con scope e secchi e l’idraulico.
Per due giorni fu un crearsi di capannelli alla fermata del tram e uno
sbirciare continuo tra le sbarre dell’inferriata, qualcuno andava alla fermata
anche senza avere la necessità di spostarsi, solo per potere ascoltare i
commenti o per fare domande ad altri curiosi. La domenica Adelina e Anselmo si
recarono assieme a messa, al ritorno, panno, una crema e olio di gomito, lucidarono gli ottoni alla porta, quelli al
cancello e fecero diventare lucida la piccola campana in bronzo attaccata all’ingresso
della villa, cambiarono la cordicella e, dopo tanto tempo, il piccolo batacchio
dondolò ridandole voce. All’imbrunire il cancello venne richiuso e la villa si
illuminò a giorno, tutte le finestre rimasero illuminate e, dietro le tende,
qualcuno giurò di avere visto sagome umane muoversi per tutta la notte. Alle
otto del mattino seguente Anselmo riaprì il cancello ed una vettura scura lo
attraversò, l’architetto Vittorio Balsamo e donna Laura Grosso anch’essa
architetto, scesero dall’auto mentre
Adelina e il marito si occuparono dei bagagli. Un giro per il giardino e poi
sottobraccio varcarono il portone. Donna
Laura, ad onta della sua età, era una bellissima donna dal portamento elegante
che dimostrava almeno due lustri in meno, sempre in ordine e di pochissime
parole. Il marito, due anni in più di lei, era un signore distinto, molto noto
per la sua professione era sempre in attività, ambedue si erano occupati da
anni di arredamento e moda. La soffitta era stata trasformata in studio dove i
due trascorrevano buona parte del tempo. Automobili, furgoni, attraversavano
parecchie volte il cancello e talvolta vi sostavano fino a tarda ora. Un sabato
pomeriggio donna Laura e il marito si misero in macchina ed uscirono dalla
villa, forse una cena fuori. I curiosi stavano sempre a sbirciare dalle
finestre, la villa rimase tutta illuminata e qualcuno notò sagome umane, tante
sagome, e i più anziani pensarono subito ai fantasmi dei genitori di donna
Laura che si diceva si fossero suicidati contemporaneamente proprio in quella
soffitta; se la storia del suicidio fosse stata vera i giornali dell’epoca l’avrebbero
riportato, tutto passava di bocca in bocca per sentito dire. La voce sui
fantasmi circolò di pianerottolo in pianerottolo e le imposte d’intorno si
illuminarono e tutti puntarono gli occhi sulla villa, e tutti notarono che
Anselmo e Adelina erano sulla porta della loro abitazione a godersi il fresco
di una sera d’estate. Tutti restarono attaccati a finestre e balconi, fino a
tarda notte, aspettarono il rientro dei proprietari, e la scena dietro le tende
della soffitta si animò, due o tre sagome si spostarono, e qualcuno giurò che
una delle sagome era quella di donna Lucrezia, stessa andatura di quando era
viva, stesse movenze, che abbracciava un uomo e a quest’ultimo cadeva la testa
rotolando per terra. Poi il buio in soffitta, mentre rimasero accese solo le
luci del giardino.
La fermata del tram si
trasformò il mattino seguente in un enorme salotto dove qualcuno testimoniava
movimenti strani, vocii e cicalecci, decapitazioni e, man mano che i commenti
montavano, scorreva il sangue a fiumi sui pavimenti ed esseri sgraziati avevano
movenze demoniache. Anche quando il tram si fermava, in pochi salivano e
qualcuno che passando vedeva la folla e chiedeva chi scioperasse e con quali
rivendicazioni, veniva trattenuto ed informato sui fantasmi della villa. Si
formò un comitato di pensionati col compito di controllare i movimenti della
villa, giorno e notte e, soprattutto, se qualcuno portava fuori i cadaveri, e
come nelle migliori storie dell’horror, i sospetti caddero sui custodi della
villa Anselmo e Adelina. Tutti li guardarono torvi e tutti fecero scongiuri
passando davanti al cancello. La voce arrivò a don Rosario, il curato della
parrocchia del quartiere, che ascoltò attento i parrocchiani per più giorni e,
dopo aver recitato con tutti un rituale che scaccia i demoni, si preoccupò di
informare il suo vescovo. Tutti parlavano di fantasmi assassini, tranne i
quattro che abitavano la villa. Il vescovo consigliò al curato di fare una
visitina alla villa, con la scusa delle benedizioni delle case, e constatare di
persona su eventuali sviluppi.
Il mattino seguente don
Rosario indossò cotta e stola, calzò il suo tricorno, prese l’aspersorio e si
recò alla villa. Anselmo e Adelina erano assidui fedeli e quando lo videro
arrivare corsero a baciargli la mano.
-
Cristo
regni don Rosario.
-
Sempre!
Anselmo.
-
Qual
buon vento vi porta da queste parti?
-
Sto
passando per tutte le case del quartiere a benedirle e sono passato anche da
voi, i signori sono in casa?
-
Certo!
Vi faccio annunciare. Adelina, per favore, avverti donna Laura che c’è il
signor curato.
Adelina si recò al
grande portone e di li a poco ritornò:
-
Don
Rosario, accomodatevi, la signora vi aspetta in salotto.
-
Grazie,
poi benedirò anche la vostra casa ed il giardino.
Adelina lo accompagnò
al portone e invitò ad entrare il curato. Donna Laura gli andò incontro, lo
salutò e lo fece accomodare su una poltrona. Non si tolse il tricorno don
Rosario, ma nessuno ci fece caso.
-
Reverendo,
Adelina mi ha detto che benedite le case, sono davvero contenta, non entrava un
sacerdote in questa villa da tanto tempo, trent’anni o giù di lì, chiamo
Adelina per farci preparare un caffè, consentitemi poi di chiamare mio marito
che è nello studio, su in soffitta.
Donna Laura ritornò di
li a poco in compagnia del marito, don Rosario si ricordò di togliersi il
tricorno e dopo le presentazioni arrivò Adelina con un vassoio, una caffettiera fumante e le tazzine. Donna
Laura si informò sull’orario delle messe e, se ancora fosse in uso la
processione di Santa Cecilia, protettrice dei musicisti del ventidue novembre.
-
Lei
è devota di Santa Cecilia?
-
Mia
madre lo era, lei suonava il piano, il ventidue novembre di ogni anno osservava
il digiuno e si recava alla processione.
-
Santa
donna, Dio l’abbia in gloria. E’ da molto che riabitate la villa, architetto?
-
Reverendo,
sono appena una diecina di giorni, di solito noi andiamo alla messa vespertina,
ma se abbiamo la domenica impegnata, allora in chiesa ci rechiamo il sabato.
-
Bene,
vi aspetto allora, consentitemi di compiere il mio ufficio, benedico un po’ di
case al giorno.
-
Prego
reverendo, mia moglie vi accompagna per la villa, ora scusatemi, io ritorno nel
mio studio, purtroppo ho urgenza di tagliare due colli e di rifilare quattro
braccia. A presto.
La signora si avvicinò
ad un mobile, aprì un cassetto, prelevò due grosse banconote e le consegnò
al sacerdote:
-
Sono
per i bisognosi.
-
Grazie
signora, Dio gliene renda merito!
Vittorio fece un
inchino e imboccò le scale che lo portavano in soffitta. Il curato fece
un’espressione da terrorizzato, calzò il suo tricorno, baciò la sua stola e
tirò fuori dalla tasca della tunica l’aspersorio, aprì il breviario e seguendo
donna Laura asperse ogni angolo della casa, poi guardò la scala che portava in
soffitta, recitò una lunga preghiera, si segnò e si fece accompagnare
all’uscita dove lo attendevano Adelina e suo marito.
Non disse una parola
quando uscì dalla villa don Rosario, raggiunse la sua chiesa e si gettò in
ginocchio davanti all’altare maggiore a pregare. L’architetto andava a tagliare
due colli e a rifilare quattro braccia. Pensò che la sua soffitta fosse un
mattatoio, ma ebbe il dubbio che Vittorio Balsamo, informato delle dicerie sui
fantasmi, si fosse burlato di lui. La signora gli era sembrata una buona devota
e poi, l’impegno a recarsi a messa tutte le domeniche, la sua offerta generosa
e la devozione della madre per Santa Cecilia. Si segnò e si preparò per la
funzione, mentre i fedeli cominciavano ad occupare i banchi. Andò a letto dopo
cena don Rosario, il sonno non lo colse e rivestitosi percorse in bicicletta i
cinquecento metri che lo separavano dalla villa, poggiò la bicicletta
all’inferriata e puntò gli occhi alle finestre illuminate della soffitta.
Sagome umane, tante, due senza testa, tante senza braccia, poi qualcuna di loro
si mosse, si avvicinò ad un’altra e staccò la sua testa deponendola su un
tavolo. Un uomo con in mano un paio di grosse forbici girava attorno al tavolo,
forse per tagliuzzare in parti minute lingua, viscere…. Quella casa era
infestata di fantasmi pensò, fantasmi assassini! Demoni!... E l’architetto?
Convivere coi fantasmi è diabolico! I suoi fedeli avevano visto giusto!
Fantasmi assassini! E le vittime? Si, le vittime!... La testa del religioso
andò in pallone e l’unica cosa che gli venne in mente fu quella di passare il
mattino seguente dal commissariato di polizia. Lo stridere improvviso dei freni
del tram lo fece sobbalzare e sperò che a quella fermata scendesse qualcuno, ma
il tranviere richiuse la bussola e ripartì vuoto per il suo cammino. Montò in
sella e ritornò in canonica per mettersi a letto. Alle sette del mattino
seguente, dopo la prima messa, si recò al commissariato di zona e raccontò
sulla villa, sulla sua visita, sulle decapitazioni e le amputazioni. Il
commissario lo ascoltò pazientemente, appuntò tutto in un foglietto e rassicurò
il religioso che avrebbe indagato e gli avrebbe fatto sapere. Due agenti
sorvegliarono la villa e di sera notarono due sagome di corpi deposti su due
tavoli che venivano ricoperti con teli da due figure una maschile ed una
femminile. Furono fermati per un controllo di routine due furgoni che al
mattino seguente uscivano dalla villa, ma erano vuoti, avevano scaricato
soltanto stoffe e carte per modelli. Nessuna denuncia, nessuna scomparsa, nulla
di nulla, ma il mistero continuava ad avvolgere la villa. Una settimana dopo
comparve sul giornale un annuncio, una nota casa di moda esponeva a Villa
Grosso le sue nuove creazioni sotto la direzione artistica degli architetti
Laura Grosso e Vittorio Balsamo. Furono diramati gli inviti compresi quelli per
il commissario di PS di zona e per il parroco. Non mancarono fotografi e
giornalisti e non mancò qualche vicino. Fu allestito un grande buffet nel
giardino e quando tutto fu pronto, Anselmo tirò la cordicella della piccola
campana e venne spalancato il grande portone. Oltre cento manichini sparsi per
tutto il piano terra ed altri ancora, proprio accanto alle finestre dello
studio in soffitta, per potere sfruttare gli effetti della luce che veniva
dall’esterno. I coniugi Balsamo avevano realizzato i modelli, e avevano vestito
più di centocinquanta manichini, sostituendo teste, braccia, gambe, parrucche,
affinché i modelli da loro creati potessero avere la giusta collocazione.
Commissario e curato si guardarono in viso, e scoppiarono in una interminabile
risata.
-
Commissario,
i fantasmi assassini erano nelle nostre teste, e in quella di quanti con la
fantasia hanno fatto lievitare un fenomeno che non è mai esistito, e siccome un
sacerdote non può mentire, non le nascondo che non ho dormito sonni tranquilli!
-
Don
Rosario, ritorniamo in giardino e, in barba ai fantasmi, andiamo a prenderci un
paio di Martini!
Se viè piaciuta, lasciate un messaggio.
Grazie!
Fantastica storia piena di fascino!
RispondiEliminaComplimentissimi!!!