Mario Scamardo
I RACCONTI DEL BORGO
Guido Gattoni aveva lavorato per
trentacinque anni presso un ministero economico. Pensionato a cinquantanove
anni, si era trasferito con la moglie Jolanda nella vecchia villa del padre in
una borgata collinare delle Madonie. La villa, con una pertinenza di circa
cinquemila metri quadri, recintata, era circondata da noccioleti, castagneti e
uliveti. All’interno una grande peschiera e accanto ad essa, abbarbicata ad un
graticciato, una enorme macchia di rosa gallica, la “Duchesse de Berry”, curatissima, con fiori a grappolo con quattro
petali. Jolanda, quasi ogni mattina si recava alla peschiera in compagnia di
Sofia, la cameriera, e recideva un po’ di grappoli che sistemava metodicamente
nei vasi del salotto e nei due vasi della stanza da pranzo.
Guido, immerso nella
pace della sua villetta, si era messo a scrivere romanzi gialli, li pubblicava,
curava la pubblicità, partecipava ai concorsi letterari, anche per avere modo
di portar fuori la moglie, stante che la loro vita sociale era stata più che
dimezzata, perchè la città era ad un’ora e mezza d’auto. Un abbonamento a
teatro portava la coppia in città, turno pomeridiano, per far si di ritornare a
casa non nel cuore della notte.
Guido
partecipò con un suo romanzo al prestigioso premio letterario “La vela gialla”
ed un telegramma lo avvertì di recarsi a Palermo per essere premiato come
vincitore. Jolanda fu presa da frenesia, si sentì importante, era molto
orgogliosa del marito e volle andare in città per acquistare un capo nuovo, adatto
alla cerimonia di premiazione che si sarebbe celebrata in un grande albergo di
lusso della città, che sonnecchia immerso da un lato in un immenso verde protetto
dai colli e dall’altro su un mare verde smeraldo. Grandi saloni illuminati da
enormi lampadari liberty, ricoperti da tappeti di seta; passatoie di velluto
rosso che si spiegano lungo i corridoi smisurati e che accompagnano tutti al
grande scalone centrale che porta al piano superiore. Camerieri in livrea e
guanti bianchi si spostano celermente per i piani. In uno dei salotti
Ducrot, signore ingioiellate se ne stanno
adagiate con in braccio bassotti e yorkshire dai collari di pietre dure, quasi
a perpetuare un rito che la nobiltà isolana, salottiera, celebra e ripete
accedendo dai tempi della realizzazione del Grand Hotel.
La sera della premiazione i
coniugi Gattoni incontrarono giornalisti, altri scrittori, politici, prelati, e
nel grande salone, al loro ingresso, un lungo applauso li accompagnò in prima
fila dove erano riservate due poltrone. La cerimonia fu magnifica, tanti gli
interventi, tanti i complimenti e le felicitazioni. Guido ritirò la sua barca
in argento sormontata da due vele triangolari in cristallo ed in cima ad una,
un piccolo pugnale appuntito in rilievo, anch’esso in cristallo, opera della
nota scultrice Aida Meli. Margherita Poli, poetessa, vecchia amica sin dai
tempi della giovinezza di Guido, a fine cerimonia, avvicinò la coppia, si
congratulò con lo scrittore di gialli lo abbracciò e lo baciò ripetutamente;
Jolanda accanto al marito fu ignorata dalla Poli, che non la salutò neppure,
attese che si allontanasse e chiese al marito:
- Chi è questa signora che ti
ha salutato.
- E’ Margherita Poli, non hai
mai letto le sue poesie?
- No, da quando la conosci?
- Direi da sempre,
frequentavamo lo stesso liceo, parte della nostra giovinezza la abbiamo passata
insieme, poi ho conosciuto te all’università.
Jolanda non fece più domande,
ma la sua attenzione fu rivolta a quella donna che l’aveva ignorata, non la
perse di vista un solo istante fino all’uscita dall’albergo. Proprio davanti
all’ingresso, Margherita riavvicinò Guido, lo prese sottobraccio e gli parlò in
disparte mentre Jolanda si intratteneva con uno dei giurati. Tre o quattro
minuti che alla moglie di Guido son sembrati secoli poi, si mise in macchina
con Guido e si incamminarono, attraversando tutta la città, per raggiungere la
loro villa immersa nel bosco.
Il giorno seguente il telefono
trillò continuamente fino a sera, complimenti, congratulazioni, felicitazioni.
Poi una telefonata, proprio Margherita Poli, Guido dialogò sorridente per un
po’, poi si fermò ed ascoltò a lungo, quindi salutò, ringraziò e posò la
cornetta. Jolanda non aveva parenti, figlia unica, aveva visto morire a
distanza di sei mesi sia il papà che la mamma, Guido aveva solo una sorella
emigrata in Canada venti anni prima, i due non avevano avuto figli e, quando
avevano deciso di adottarne uno, si sono sentiti rispondere che avevano
superato i limiti di età per l’adozione.
Un pomeriggio, previo appuntamento,
i giornalisti Adamo Rezzola e Matilde Colla, di due differenti testate isolane,
ambedue amici di Guido, lo andarono a trovare per una intervista, Jolanda fu
un’ottima padrona di casa, finita quasi l’intervista, in giardino fece servire
da Sofia un the e, considerato che l’intervista si protrasse per un bel po’ e
furono scattate delle fotografie, trofeo compreso, che faceva bella mostra
sulla consolle del salotto, consigliò al marito di invitare a cena i due. Adamo
e Matilde reclinarono l’invito, ma si impegnarono a presenziare alla festa che
Guido avrebbe programmato nella propria villa sulla collina madonita.
Decisa la data, Guido pensò
agli inviti, stilò un elenco, porgendolo alla moglie: il giudice Ugo Pinotti,
la scultrice Aida Meli, il pittore Illuminato Fusco, Elisa e Franco Coco
gioiellieri, i giornalisti Matilde Colla e Adamo Rezzola.
- Sette persone, più noi due.
- Vuoi aggiungere qualcuno?
- No, non mi viene in mente
nessuno. Penseremo ad un catering, ma dobbiamo preparare il menù, Sofia dovrà
solo servire.
- Lo faremo nel pomeriggio,
ordineremo il tutto in quel ristorante sulla statale per Palermo, quello sempre
illuminato, loro forniscono il catering perché sono attrezzati, hanno anche il
furgone col cassone termico, e sono anche bravi!
- Guido, perché non hai
invitato quella tua amica poetessa?
- Chi Margherita?
- Si la tua amica d’infanzia.
- Margherita non guida, chi la
piglia a Palermo?
- Non so, uno degli invitati.
- Ma si, il giudice Pinotti
abita nella stessa strada, loro si conoscono bene, gli chiederò di darle un
passaggio, stasera telefonerò ad ambedue.
Jolanda da quella sera della
premiazione era diventata sospettosa, spesso si isolava e non dispensava più
tanti sorrisi, il marito non ci aveva fatto caso, ma Sofia la cameriera lo
aveva notato e quando il marito era in casa, lei lo seguiva pur quando andava
in cucina per un bicchiere d’acqua. Sofia era una bella donna, ma mai sospettò
che la signora Gattoni potesse essere diventata gelosa, non aveva dato mai
segni in tal senso.
Il sabato pomeriggio, assolato,
nel prato fu allestito un tavolo per gli aperitivi, in sala da pranzo fu
apparecchiato per dieci persone. Arrivò
per primo il giudice Pinotti in compagnia di Margherita, li accolsero Guido e
Jolanda, li fecero accomodare in casa e la poetessa chiese dove deporre la sua
immensa borsa in fibra di cocco e la sua sciarpa di seta. Jolanda indicò la
cassapanca dell’ingresso, sormontata da un attaccapanni poi, accomodatisi in
salotto aspettarono che la domestica portasse il caffè. Arrivarono il
gioielliere e la sua signora, Elisa Coco, che conosceva bene Jolanda perché sua
cliente ed amica, si complimentò con lei per l’anello in oro bianco sormontato
da un grosso smeraldo e gli orecchini anch’essi di smeraldo che la donna aveva
acquistato in Olanda, poi arrivarono tutti gli altri. Dopo che Sofia fece
uscire dal cancello il furgone col catering, avvisò Jolanda che gli aperitivi e
gli stuzzichini erano pronti all’esterno. Tutti si servirono e Margherita Poli
si complimentò con la padrona di casa, sembrava che l’atto di scortesia, per
non averla degnata di un saluto il giorno della premiazione, non fosse mai
avvenuto; ebbe parole stupende per la tenuta del parco, per la peschiera
illuminata e per i suoi fiori. Al cenno della domestica Jolanda invitò tutti in
sala da pranzo, una cena luculliana che si protrasse per tutta la serata.
Nessuno si alzò dalla tavola, tranne la padrona di casa che ogni tanto si
recava in cucina per dare una mano a Sofia.
Tutti dialogarono a tavola, tutti
chiesero a Guido sul nuovo libro, tutti commentarono sulle motivazioni della
giuria, poi arrivò il dessert, una montagna di profiteroles al cioccolato e una
torta chantilly, amari, distillati vari e caffè erano pronti fuori nel prato. Uscirono
tutti e tutti, tranne Guido e Jolanda, accesero delle sigarette. Il giudice
Pinotti si complimentò con Aida Meli che aveva realizzato la scultura in
argento e cristallo, con la quale era stato premiato Guido e chiese di
illustrare la tecnica con cui aveva realizzato sia la barca che le vele e come
le aveva assemblate, ma soprattutto a cosa si era ispirata. Tutti seguirono
interessati, anche perché la scultrice era una artista di fama internazionale,
scriveva in riviste d’arte e insegnava all’Accademia delle belle Arti del
capoluogo siciliano. Franco ed Elisa Coco, i gioiellieri, chiesero di poter
vedere l’opera d’arte, loro non erano andati alla premiazione perché la loro
gioielleria, nel salotto buono della città, non poteva essere chiusa. Jolanda
invitò tutti in salotto, si fermò sulla soglia e aspettò che tutti fossero
dentro, poi si avviò verso la consolle e la indicò, ma su quella consolle non
c’era nulla. Guido, sorpreso, guardò la moglie che chiamò la domestica.
- Desidera signora?
- Sofia, hai spostato tu il
trofeo?
Sorpresa Sofia, guardò tutti
negli occhi, quasi balbettando:
- No signora, c’era fino a
quando ho spolverato dopo pranzo.
- E il ragazzo del catering?
- Mi dispiace signora, è
appena sceso dal furgone, ha aperto il portellone, mi ha consegnato i vassoi
sull’uscio della cucina, poi è risalito sul furgone ed è andato via.
Gli astanti si guardarono in
viso sgomenti, la faccia di Guido diventò crucciata, guardò all’interno della
vetrina liberty posta di fronte alla consolle, poi alla moglie:
- Non è entrato nessuno oltre
al garzone del catering?
- Nessuno! Proprio nessuno!
Il giudice imbarazzato, che
era stato in salotto al suo arrivo con Margherita ed aveva ammirato l’opera
d’arte:
- Scusate, alle diciassette
io, la dottoressa Poli, Guido e Jolanda eravamo in salotto e il premio era lì,
se non è entrato nessuno e se il garzone non ha varcato la soglia di casa,
qualcuno l’avrà preso, spostato, oppure rubato.
Tutti si guardarono e tutti
fecero gesti di disappunto. Ma il vecchio giudice:
- Scusate signori, nessuno si
crucci, io come voi, potrei essere stato colui che l’ha rubato. Due sono le
cose, o qualcuno di noi, cameriera compresa, ha voluto burlarsi degli altri e
fra un minuto torna a rimettere a posto il premio, oppure, se ciò non
accadesse, inviterò tutti voi a sedervi e ad aspettare la polizia che chiamerò
subito. Nessuno disse una parola, mezzora dopo arrivò il commissario Parelli e
tre poliziotti. Chiusi i cancelli della villa, interrogata la signora Jolanda,
Parelli ordinò agli agenti di perlustrare il parco con le torce, siepi,
fioriere, peschiera, furono passate al setaccio, nulla di nulla! Il commissario
invitò i proprietari delle quattro auto parcheggiate all’interno a consegnare
le chiavi, le perquisì alzando anche i cofani dei motori. Erano le due del
mattino, le signore strofinavano le mani sulle braccia, ad onta della bella
stagione, in collina l’umidità si faceva sentire. Tutti entrarono in casa e
Margherita Poli andò verso la cassapanca, dove aveva depositato la sua borsa in
fibra di cocco con adagiata sopra la sua sciarpa di seta, la prelevò per
mettersela sulle spalle e tutti notarono che dalla sua enorme borsa fuoriusciva
la vela in cristallo del premio. Tutti si guardarono negli occhi, l’unica che
rimase di ghiaccio fu Jolanda, non disse una parola e poggiò la testa sulla
spalla del marito. Il commissario Parelli si avvicinò alla cassapanca, prese la
borsa, tirò fuori il premio e chiese a Margherita:
- E’ sua questa borsa?
- Si commissario, è mia, ma io
non ho preso quel trofeo, qualcuno ha voluto nasconderlo nella mia borsa.
Il giudice Pinotti, che era
stato tutta la serata accanto a lei:
- Scusi commissario, la
dottoressa Poli non si è allontanata mai dal mio fianco.
- Signor giudice, uno scherzo
di cattivo gusto o la volontà di rubarlo? Io devo trovare chi ha tentato la
sottrazione.
Guido Gattoni era imbambolato,
mortificato, imbarazzato per l’accaduto, incredulo, non si spiegava perché
Margherita avrebbe tentato di portarglielo via, lei che di trofei, di premi,
aveva le bacheche delle sue vetrine piene. Uno scherzo di cattivo gusto, e
perché se è durato tanto da fare intervenire la polizia? Il commissario
interrogò tutti, ad uno ad uno, sui loro rapporti attuali e del passato, sugli
orari di arrivo alla villa, sulle loro relazioni, poi mandò tutti a casa,
appuntò su un taccuino quanto gli serviva e promise di ritornare la mattinata
seguente.
Guido e Jolanda rimisero al
proprio posto la barca d’argento con le vele in cristallo e andarono a dormire.
Sofia sparecchiò, rimise a posto ogni cosa e andò a letto pure lei.
Il mattino seguente sembrava
che nulla fosse successo la sera prima. Sofia preparò il caffè, lo portò in
camera ai signori Gattoni e poi, come di consueto, iniziò le pulizie di
routine. Davanti alla consolle il trofeo al suo posto, col piumino lo spolverò
e in controluce notò proprio in cima alla vela, sul minuscolo pugnale in
cristallo, un riflesso rossastro, strinse le palpebre e notò una impercettibile
macchiolina di sangue. Aggiustò due tazze in porcellana cinese coricate sui
rispettivi piattini e portò via i vasi con le rose per pulirli e riempirli
d’acqua, pronti a ricevere le rose fresche che la signora Jolanda avrebbe, come
era solita, raccolto nel suo roseto.
Intorno alle undici bussò il
commissario Parelli, Sofia lo fece accomodare.
- I signori sono in casa?
- I signori sono in casa?
- Si, commissario, li faccio
scendere in salotto.
- Solo una domanda, prima. Da
quanto tempo la poetessa Poli frequenta questa casa?
- Ieri sera è stata la prima
volta.
- Ha notato atteggiamenti
strani da parte dei signori Gattoni in questi ultimi tempi?
- Nulla fuori dall’ordinario,
qua viene poca gente, loro escono quasi sempre assieme, per andare a teatro,
qualche volta a cinema, qualche cena da amici, ma succede solo di rado e poi,
lei in giardino tra le aiuole o a leggere un libro e lui alla macchina da
scrivere, non usa il computer, è legato al ticchettio dei tasti. Però…
- Però?...
- Si commissario, da un po’ di
giorni la signora non ha lo stesso umore, segue il marito anche quando viene in
cucina per un bicchiere d’acqua, per un caffè, è un pizzico scontrosa, non
dispensa più tutti i sorrisi di prima, spesso si isola in salotto e pur tenendo
un libro in mano fissa il soffitto, una finestra, un quadro.
- Che fosse gelosa?
- No! Lui non gliene ha dato
mai l’occasione, è un galantuomo!
- Eppure c’è qualcosa che non
mi convince. Chi commette qualcosa deve avere un movente, dagli interrogatori,
l’unico movente a cui ho pensato è la gelosia, qualcuno uccide, qualche altro
si accontenta solo di un giudizio negativo, di mettere in cattiva luce il
“nemico” o l’avversario.
Sofia si accigliò come se
volesse far mente locale, aprì un’anta dei pensili della cucina e cercò
qualcosa che non trovò, richiuse.
- Commissario, vuole che
avverta i signori?
- Si, grazie, li faccia
accomodare in salotto, poi mi chiami, io darò un’occhiata in giro.
Quando la domestica uscì dalla
cucina, Parelli riaprì l’anta del pensile, dentro una scatola col bicarbonato
di sodio, una scatola di sale iodato, una scatola con bendine di garza sterile
e null’altro. Richiuse e aspettò nel disimpegno l’arrivo di Guido e della
moglie, si accomodò in salotto anch’egli e salutò i due, li pregò di sedere, si
recò davanti alla consolle, lucidissima, in ordine quasi certosino ma notò alla
base del trofeo una scatola di cerotti, i salvelox, semiaperta. Strano, che
Sofia l’abbia dimenticata proprio su quella consolle? Riparlò della serata
precedente e cercando di ricostruire ogni movimento nella casa, guardò negli
occhi i due coniugi, nulla, proprio nulla di nulla! I due vasi erano pieni
d’acqua ma senza alcun fiore, riappuntò qualcosa su quel suo minuscolo taccuino
e si commiatò promettendo di ritornare. Quando diede la mano alla signora notò
il cerotto al pollice della mano sinistra della donna:
- Un piccolo incidente in
cucina?
- No, commissario, le mie
rose, una spina!
Andò via il commissario,
sull’uscio, alla cameriera disse:
- Ritornerò nel pomeriggio,
non disturberemo i signori, voglio solo visitare il giardino.
- Quando vuole, io sarò libera
da stasera dopo cena a domani pomeriggio, una volta la settimana vado a trovare
mia madre.
Parelli ritornò nel pomeriggio
e pregò Sofia di accompagnarlo in giardino, ispezionò le aiuole di gerani,
quelle dei ranuncoli, poi la peschiera e accanto ad essa l’enorme macchia di
rose a grappoli. Con sua grande sorpresa notò che al gambo di un grappolo di
roselline a quattro petali era attaccato un cerotto, proprio come quello della
scatola alla base del trofeo. Cosa la domestica o chi per lei voleva dirgli?
Guardò negli occhi Sofia.
- Il movente, commissario?
- Qual è?
- La gelosia! Si, la gelosia!
Le bastava solo metterla in cattiva luce! Quando oggi lei è andato via, la
signora disse al marito: << Vedi quella tua amichetta del cuore che poco
di buono è! Mentre noi festeggiavamo il tuo premio, lei rovinava la nostra
festa! Uno scherzo da prete? No, lei è una ladra!>> Il marito non
rispose, si alzò e andò a battere sui tasti logori della sua Olivetti 22.
- E i cerotti?
- Commissario, io le ho dato
stamattina un suggerimento, ho messo la scatola ai piedi del trofeo, ma lei non
ha colto.
- Cosa avrei dovuto cogliere?
- Quest’altro cerotto, proprio
sul gambo delle rose!
- Lei mi fa impazzire!
- Commissario, questa pianta
di rose è una varietà gallica, la “Duchesse de Berry”, le poche che non hanno
spine! Costati lei, non c’è una sola spina, quindi, dove si è punta la signora?
In cima alla vela della barca in argento, c’è un piccolo pugnale anch’esso in
cristallo, spolverandolo, controluce ho notato dei riflessi rossastri, ho ammiccato,
era sangue, di chi? L’unica che si è punta con una rosa senza spine è la
signora Jolanda!
Dopo averla letto, se vi va, lasciate un commento!
Grazie!
Nessun commento:
Posta un commento