venerdì 21 novembre 2014

LA MATRIOSCA - Racconto breve - (giallo) 21 Novembre 2014




Mario Scamardo

I RACCONTI DEL BORGO
 

La matriosca
       I tronchetti bruciavano sugli alari del caminetto, don Adelmo, il parroco della chiesa del Carmelo, sorbendo un the che Marianna, la badante, gli aveva servito, intratteneva le quattro sorelle Grassi, tutte nubili, Rosina, Mafalda, Augusta e Delia, la più piccola, più minuta delle altre, gracile, malaticcia, scorbutica, consumatrice di farmaci fino alla paranoia, igienista, fino al punto di indossare i guanti per maneggiare le pillole che ingurgitava e che, di volta in volta, depositava con estrema cura nel cassetto del suo comodino. Tra Augusta e Delia c’era Piercarlo, che abitava in periferia, unico maschio, cinquantenne, che aveva sposato Rosaura, di vent’anni più giovane di lui. Tutti e cinque i fratelli dividevano un cospicuo vitalizio lasciato dai genitori che permetteva ad ognuno di vivere con grandi agi. Marianna ritirò il vassoio e ritornò in cucina, lasciando le quattro zitelle ai loro sfoghi col parroco che sapeva ascoltarle pazientemente, anche a fronte di cospicui oboli che riceveva settimanalmente da Rosina, in nome e per conto dell’intera famiglia. Pochi uomini erano entrati in quel salotto, ad accezione di un vecchio zio, l’elettricista e il commesso della pasticceria del bar difronte, che tre volte la settimana portava un vassoio di dolcini da accompagnare il the che veniva servito puntualmente alle diciassette, salvo qualche ritardo di don Adelmo. Da quando si era sposato Piercarlo accedeva alla sua casa natia il martedì da solo e il venerdì in compagnia di sua moglie, sempre sorridente, cordialissima, ma guardata sempre con sospetto, in quanto tutte e quattro le sorelle pensavano che lei avesse sposato il fratello solo per interesse. La più giovane, Delia, durante la visita, trovava sempre una scusa per appartarsi, e ritornava in compagnia, solo al momento del commiato. Non uscivano mai le sorelle Grassi, e se lo facevano, dovevano essere almeno in due, sempre eleganti, sempre curate, ma sempre guardinghe, a passo sostenuto si recavano alla fermata dei taxi e si facevano portare al centro per i loro acquisti. Il giardinetto che circondava la villetta era sempre ben tenuto, circondato da un’alta cancellata e da una fila di fitti allori ornamentali che non consentivano ad alcuno dei passanti di potere sbirciare dentro e, spesso, d’estate, le sorelle e gli eventuali ospiti, consumavano il rito del the sotto un gazebo nel piccolo prato. Due volte la settimana Rosina, la  maggiore, riuniva nel salotto davanti al camino le sorelle e leggeva loro una novella, un passo del Vangelo, il libretto di un’opera, un canto della Divina Commedia, un articolo del quotidiano, poi, nel rispetto delle idee di ognuna di loro, partiva il commento e il confronto, mentre Marianna, la badante, ascoltava i loro commenti spolverando piatti e ninnoli che facevano bella mostra in un’enorme vetrina liberty in palissandro.
        Si avvicinava il Natale, Rosina e Mafalda si erano recate al centro a comprare i regali per tutta la famiglia, Marianna e don Adelmo compresi. La famiglia era solita riunirsi il tredici dicembre, il giorno di Santa Lucia, per continuare a ricordare con una cena l’onomastico della loro mamma, deceduta da un ventennio. Il grande tavolo ovale della sala da pranzo venne apparecchiato con otto coperti, uno in più dei commensali, a capotavola veniva preparato un coperto ma non veniva messa la sedia, venivano girati sottosopra i piatti e i bicchieri e veniva posto il tovagliolo sul piatto, quello era il posto dove sedeva a tavola la madre, un rito diventato nel tempo una normalità. Bussarono alla porta, Marianna fece accomodare don Adelmo e cinque minuti dopo entrarono Rosaura e Piercarlo. Fu servito un aperitivo in salotto, poi tutti presero posto attorno alla grande tavola e al cenno di Rosina, Marianna servì le portate. Imperava il silenzio che venne rotto da don Adelmo:
-            Piercarlo, quando la tua bella moglie ci allieterà    regalandoci un bel bambino?
Il silenzio ritornò per un attimo sovrano e tutti gli occhi furono puntati su Piercarlo.
-             Don Adelmo, siamo sposati da cinque mesi, Rosaura ci regalerà sicuramente quest’evento importante, appena Dio vorrà.
       -       Non dovete temporeggiare, non c’è più bello di un bambino, la famiglia si completa e le ziette saranno felici di tenerlo fra le braccia. 
        Delia diventò irrequieta, nervosa, con la mano sinistra stropicciò il tovagliolo, si alzò.
        -        Scusate, sono stata distratta, corro in camera mia, ho dimenticato di prendere la mia compressa di valeriana, torno subito.
        Si alzò pure Rosina, imboccò il corridoio e dopo un po’ rientrò dalla cucina assieme alla sorella più piccola. Rosaura aspettò che don Adelmo finisse di servirle del vino:
        - Stai bene Delia?
        - Si cara, a volte dimentico di prendere le mie compresse, ma ora è tutto a posto, vi chiedo ancora scusa.
        - Perché domani non vieni a trovarmi a casa, staremo un poco assieme a raccontarci qualcosa, mi farà piacere, se vuoi verrà Piercarlo a prenderti.
        - Grazie, ci penserò.
        La cena continuò serena tra gli aneddoti di don Adelmo e la faccia sorpresa di Mafalda che ascoltava senza perdere una battuta e si immedesimava nel racconto. Tutti erano ghiotti di panna, tranne Rosaura che aveva un’avversione a tutti i dolci che la contenessero. Rosina aveva ordinato al suo pasticciere una torta guarnita riccamente con riccioli di panna e fragoline, ed il garzone aveva portato un secondo involto con un dolce guarnito di crema pasticciera, proprio per Rosaura. La badante portò i due vassoi e a servire volle essere Augusta, destra nel tagliare la torta e impeccabile nel servirla. Arrivava dalla cucina la fragranza di caffè che Marianna aveva versato in una caffettiera di porcellana cinese, aveva appena finito di consumare il suo dolce Rosaura, quando si alzò di scatto:
        - Scusate, scusate, vado in bagno.
        Mentre Piercarlo continuava a far domande a don Adelmo, le quattro sorelle si guardarono in faccia, ma poi ognuna riprese a finire la torta e a sistemare il tovagliolo sotto lo sguardo di Marianna. Trascorsero venti minuti circa, Rosaura non ritornava dal bagno, solo Marianna ebbe il buon senso di parlare:
        - Scusate signor Piercarlo, la signora non è ritornata dal bagno, mi è sembrata concitata quando si è alzata dalla tavola.
        Don Adelmo si zittì e chiese alle donne:
        - Qualcuna vada a vedere, potrebbe sentirsi poco bene.
        Si alzò Piercarlo e seguito da Marianna imboccò il corridoio, un attimo dopo rientrò la badante sconvolta:
        - Correte, la signora è a terra, la sua bocca è piena di schiuma, padre, vada pure lei.
        Raggiunsero tutti il bagno, Rosaura esalava l’ultimo respiro, qualcuno corse al telefono a chiamare un medico che arrivò di li a poco, constatò la morte della donna e sentenziò:
        - Avvelenata! Stricnina! Dov’è un telefono, chiamo la polizia!
        Le quattro donne si strinsero in un angolo, farfugliarono qualcosa, il marito rimase in ginocchio accanto al corpo esanime e il sacerdote recitò una prece. Il medico fece uscire tutti e li convogliò nel salotto:
        - Nessuno tocchi niente e nessuno si allontani, la polizia sta arrivando!
        Una sirena, poi un’altra e due macchine si fermarono sull’uscio. Il commissario Parelli guardò assieme ad un sergente la scena del crimine, appuntò alcune cose su un taccuino, dopo che un fotografo immortalò la scena, uscì dal bagno e diede ordini ad un agente di informare il giudice. Si rivolse al medico e chiese l’ora del decesso e le sue impressioni.
        - Veleno, commissario! Stricnina! La schiuma alla bocca me ne da conferma, ma piglieremo un campione della saliva per averne certezza assoluta.
        - Fra poco lo farà il medico legale! Nessuno sparecchi, chiudete la cucina, rimanete tutti in salotto fino a quando non avremo finito i rilievi!
        Rosina, Mafalda, Augusta e Delia sedettero davanti al camino, don Adelmo accompagnò Piercarlo ad una poltrona e sedette accanto, Marianna ed il commissario entrarono in sala da pranzo.
        - Signora, da quanto tempo si occupa di questa casa?
        - Da venti anni esatti, da quando è venuta meno la signora Lucia, la mamma delle signorine Grassi e del signor Piercarlo.
        - Lei abita in questa casa?
        - Si, ho la mia stanza in fondo al corridoio, accanto alla camera della signorina Delia.
        - Chi ha avvelenato la signora?
        - Commissario, domanda da un milione di dollari!
        - E’ stata lei?
        - Perché avrei dovuto, lei era l’unica persona che frequentava questa casa e che portava un alito di freschezza, un sorriso, una gentilezza!
        - I domestici di solito sanno tutto di tutti i componenti delle famiglie, asti, incomprensioni, interessi.
        - Tutte nubili, solo Piercarlo si era sposato, direi contro le volontà delle sorelle, anche se non lo hanno mai detto, ma è trapelato dai loro umori. Interessi? Ognuno aveva la sua parte, stabilita di comune accordo.
        - Visite?
        - Tranne il prete e il commesso della pasticceria, mai nessuno. Il vecchio zio Ignazio Grassi, fratello del padre, anch’egli non sposato, che veniva una volta la settimana, è deceduto circa tre mesi addietro.
        - Bene, mi dica quale era la disposizione a tavola.
        Marianna fornì tutte le notizie e quando finì il commissario le chiese:
        - Durante la cena, qualcuno ha lasciato questa stanza?
        - Si, dopo aver servito il risotto, la signorina Delia si è recata nella sua camera per pigliare una compressa di valeriana, lo fa a tutti i pasti, se ne era dimenticata, Rosina si alzò anche lei e imboccò il corridoio, poi tornarono assieme e rientrarono dalla cucina, strano, di solito nessuno passa dalla cucina.
        - Altra gente che ha lasciato la stanza?
        - Nessuno!
        - Bene! Grazie, lei può andare a riposare, durante la notte i miei agenti faranno tutti i rilievi, domani la cucina sarà sua, stasera pentole e stoviglie varie rimarranno imbrattate.
        La badante andò in camera sua e si mise a letto. Il commissario interrogò Piercarlo e don Adelmo, poi mandò a letto le signorine e attese l’arrivo del giudice.
        Il cadavere della bella Rosaura fu portato in obitorio per l’autopsia che accertò l’avvelenamento da stricnina.
        Il commissario Parelli ispezionò tutte le camere, compresa quella della badante, non trovò nulla che gli desse l’idea di un movente, ma nella camera di Delia notò un mobiletto delle medicine, mille scomparti, tante ricette appese e centinaia di scatole di compresse per tutte le malattie, flaconi di pillole di effetto placebo, era di fronte ad una malata immaginaria che aveva la mania di ingurgitare pasticche in tutte le circostanze, solo una mania! Non una pillola che fosse in grado di uccidere una mosca, nessun flacone di stricnina, ed un elenco di specialità medicinali con orari di somministrazione. Stava per uscire quando notò che un quadro appeso ad una parete pendeva da un lato, lo staccò, dietro attaccata con lo scotch una busta gialla. Staccò la busta, la aprì, era il testamento dello zio Ignazio, una ingente somma destinata in parti uguali ai cinque nipoti, poi un’altra somma ingente destinata a Rosaura, solo se le avesse regalato un nipotino maschio che portasse avanti il nome dei Grassi. Nel caso contrario, la somma sarebbe stata ridivisa tra i cinque fratelli. Trovato un movente! Bisognava trovare l’avvelenatrice o le avvelenatrici! Il mattino delle esequie, mentre tutti erano in chiesa, il commissario Parelli, certo dell’estraneità di Marianna, si recò a casa Grassi e la incontrò:
        - Signora, lei sapeva del testamento?
        - No, per nulla!
        - Il movente è forte, ma chi delle quattro ha ucciso Rosaura?
        Parelli si mise a passeggiare in camera da pranzo, poi entrò in salotto. Marianna spolverava i ninnoli della grande vetrina in palissandro, prelevò una matriosca, la smontò, la spolverò e la ricompose, lasciando fuori la bambolina più piccola, la mise accanto alla grande e continuò il suo spolverare. Parelli percorse per lungo e per largo il salotto, si recò in cucina e ritornò ad ammirare la grande vetrina. Strano! Marianna aveva ricomposto la matriosca e aveva lasciato fuori la bambola più piccola. Non disse una parola, La grande Rosina, la piccola Delia, le uniche due che si erano allontanate durante la cena, le due avvelenatrici? Era un messaggio della badante? Andò via il commissario, era stanco, andò a casa e dopo un panino lo colse il sonno. Quando si svegliò erano le sedici e trenta, sentiva freddo, si sciacquò il viso, lavò i denti, indossò cappotto e cappello ed uscì per recarsi in commissariato dove rilesse tutte le carte e tutti gli appunti sul caso Rosaura. La matriosca, la grande e la piccola! Cosa sa o cosa sospetta la badante! Il mattino seguente si recò a casa Grassi, quando arrivò in salotto si accorse subito che mancava la bambola piccola della matriosca, forse Marianna l’aveva rimessa a posto accortasi della dimenticanza. Si recò in cucina e con sua grande meraviglia vide in una scatolina il resto delle bamboline della matriosca, pure la più piccola. Marianna era lì, si asciugò le mani con uno strofinaccio, poi guardò in faccia il commissario:
        - Si, solo la grande!
        - Rosina?
        - Si meraviglia?
        - Mi spieghi come posso dimostrarlo.
        - Semplice! La mania di mettersi i guanti per toccare ogni medicina, e poi la mania di riporre con ordine certosino i guanti di filo bianco dentro il comodino. Mai Delia avrebbe toccato una boccetta contenente farmaci o veleni senza i suoi guanti, ed i suoi, quella stessa sera erano riposti in ordine nel comodino quando la giovane è andata in cucina. Rosina aveva già avvelenato il dolce con la crema pasticciera, senza farsene accorgere da alcuno, poi, quasi a cercarsi un alibi, attese la metodica sorella che era solita riporre l’involucro della pasticca nella pattumiera della cucina e rientrò in sala da pranzo con lei, dando l’idea che si era presa cura di Delia. La signorina Rosina è l’unica che usa il rossetto per labbra, la boccetta del veleno che io ho trovato per caso, spolverando l’acquasantiera posta sotto il suo capezzale, è sporca di rossetto, il suo, forse l’ha baciata come si bacia un amico, prima di aprirla e svuotarla sul dolce, una sostanziosa fetta di eredità, lo zio Ignazio!
        - Marianna, lei è un genio!
        - No, commissario, sono stata fortunata nel ritrovare la boccetta!
        - Mi consegni quella boccetta.
        - Non ce l’ho!... Venga, andiamo in salotto! La signorina Rosina l’ha cercata disperatamente, non poteva chiedermi se l’avessi vista io.
Il commissario seguì la badante che lo portò davanti alla vetrina liberty in palissandro nero, aprì in presenza dei cinque fratelli l’anta, poi additò la matriosca:
        - Commissario, è lei che è depositaria della verità!
Parelli prese la matriosca, l’aprì sotto lo sguardo torvo di Rosina e vi trovò dentro la boccetta unta di rossetto, che conteneva la stricnina. Marianna prese un tronchetto, lo sistemò nel camino, si tolse il grembiule e andò a prendere la valigia in camera sua.
        Rosina fu arrestata e venne condannata a ventisei anni di galera. Non scontò l’intera pena, trapassò solo due anni dopo.




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