sabato 30 dicembre 2017

IL TUONO DELLE QUATTRO E MEZZO - Racconto breve - 31.dicembre.2017










I Racconti del Borgo

Mario Scamardo

IL TUONO DELLE QUATTRO E MEZZO



Un tuono e il rumore della grandine sulle imposte svegliarono Annalisa, che dormiva profondamente raggomitolata tra le coperte. Non c’era anima viva oltre a lei in quella casa, i genitori erano in Germania a lavorare e il fratello, sposato con una sua ex compagna d’asilo, padre di un bambino, abitava a 12 chilometri da casa sua, ubicata nel centro storico di Poggioducale, lei insegnava alle elementari del luogo.  La stanza era buia e non entrava un filo di luce da nessuna fessura e, quando provò ad accendere l’abat- jour, si rese conto che anche la corrente elettrica era andata via. Mise i piedi a terra, calzò le ciabatte e, a tentoni, raggiunse la cucina, accese uno zolfanello e lo accostò ad un mozzicone di candela allocato in una bugia di terracotta. La pendola batté quattro colpi gravi seguiti da due un po’ più argentini, Annalisa ebbe conto che erano le quattro e mezzo del mattino, tornò nella sua cameretta, aprì un’anta degli scuri per guardare fuori. Uno dietro l’altro quattro spari, poi un attimo di silenzio ed ancora due spari e nessun altro rumore; la ragazza richiuse l’anta e andò verso il letto,  fece posto sul comodino per posarvi la bugia e la scatola dei fiammiferi, soffiò e spense la candela e si rimise a dormire.


 Ancora un rumore forte la svegliò, il battente in ghisa del portoncino di casa. Annalisa si alzò, indossò la sua vestaglia, guardò la sveglia sul comò che avrebbe dovuto suonare  mezzora dopo, erano appena le sette del mattino,  sbirciò dallo spioncino e, vedendo che era il maresciallo dei carabinieri a bussare alla sua porta, apri e attese che il sottufficiale le dicesse qualcosa.


-         Buongiorno signorina Caccamo, scusi se la disturbiamo ad un orario insolito, dovrei rivolgerle assieme al brigadiere Anzalone qualche domanda.

-         La prego, si accomodi,… prego accomodatevi e scusate del disordine, ieri sera non sono riuscita a rassettare, troppi compiti da correggere e i registri da compilare mi hanno rubato la serata.

Sedette il maresciallo sul divano, mentre la ragazza si accomodò su una poltrona.

-         Signorina, lei sa cosa è successo stanotte davanti al suo garage?

-         No… ma scusi, cosa è successo?

-         Abbiamo trovato una grossa macchia di sangue, poi delle gocce sull’asfalto fin davanti al suo ingresso, e proprio qui si sono interrotte. In questa strada abitate solo quattro famiglie, lei che è sola, la mamma di frate Andrea il cappuccino, la signora Rosa Accardi, anch’essa sola, i tre fratelli Greco, Marco, Vittorio e Rosario, pensionati e semisordi e don Ciccio Farina il sacrista, tutte distanti una dall’altra almeno cinquanta metri.

Inebetita, Annalisa guardava in faccia i due sottufficiali in divisa, come se cercasse di capire dall’espressione dei loro volti cosa fosse successo al di la del suo uscio.

-         Scusi maresciallo, c’è un cadavere?

-         No signorina, nessun cadavere, ma tanto sangue da far pensare che la vittima, qualora la trovassimo, dovrebbe essere almeno ferita in maniera grave!

-         Cosa posso fare io….

-         Intanto la smetta di tremare, se la scia di sangue non si fosse fermata davanti al suo portone, non l’avremmo neppure disturbata.

-         Volete controllare a casa mia, nel mio garage, su in soffitta?

-         Non occorre, nessuno è entrato dentro casa, occorre però che lei ci apra il garage, perché la macchia di sangue tocca la saracinesca.

Annalisa si alzò, prelevò una chiave appesa dietro il portone, la porse al maresciallo:

-         Da dentro non c’è accesso, questa è la chiave del garage, io ho bisogno di prepararmi per andare a scuola, lasci la saracinesca aperta, la chiave la deponga sul sedile.

Il sottufficiale prese la chiave, la consegnò al suo subalterno, poi alla ragazza:

-         Grazie, potremmo avere bisogno di lei in seguito, o a scuola o a casa la contatteremo.

Uscì il maresciallo, Annalisa chiuse la porta e si preoccupò solo di fare in fretta per non arrivare tardi a scuola. Caffè, una merendina veloce veloce, le pulizie della persona e, dopo avere indossato il soprabito, chiuse la porta dietro di se. Cercò di scansare le macchie di sangue sull’asfalto, quella davanti il garage era davvero immensa, tanto sangue. Capannelli di curiosi assistevano all’operato degli agenti che prelevavano campioni sul selciato. Il maresciallo le si avvicinò e le disse:

-         Purtroppo fino a quando non sarà completato il rilevamento, lei non potrà uscire la macchina dal garage. Provvederà il brigadiere ad accompagnarla a scuola poi, a fine servizio, si arrangerà per tornare a casa, le chiavi gliele riporto personalmente a casa nel pomeriggio.

A scuola, i colleghi e le colleghe la tempestarono di domande ma Annalisa, più confusa che persuasa, non seppe rispondere, anche perché l’unica realtà era quella chiazza enorme di sangue che i carabinieri sospettavano essere umano. Quell’evento le aveva annebbiato il cervello tanto da farle dimenticare dei sei colpi di arma da fuoco sentiti nella notte, immediatamente susseguenti al tuono che l’aveva svegliata. Durante l’intervallo che consentiva agli alunni di fare ricreazione il bidello, pettegolo come una comare da cortile, che era solito informare delle novità del paese con dovizia di particolari in quanto informato dalle mamme che accompagnavano gli  alunni a scuola, interpellato dalle insegnanti non seppe dare alcuna notizia, però affermò che in paese si parlava soltanto della enorme macchia di sangue che, a parere dei carabinieri del luogo, era sicuramente sangue umano e si attendeva il responso del laboratorio di analisi per averne conferma.

         Suonò la campana alle tredici e trenta e Annalisa volle ritornare a piedi a casa sua. Non c’era il sole, ma non pioveva già dal mattino. Attraversò tutto il paese, si fermò dal panettiere per prendere due rosette e fu li dentro che incontrò don Ciccio Farina il sacrista che, appena sull’uscio, le chiese se i carabinieri l’avessero interrogata sulla macchia di sangue, visto che era copiosa davanti al suo garage.

-         Nessun interrogatorio, don Ciccio, sono entrati per chiedermi di aprire il garage, ho dato loro la chiave e dovrebbero ridarmela dopo pranzo. Ancora nessuno sa cosa è successo stanotte.

-         Volevo chiederlo a lei, sa perché, perché ero sveglio quando si è messo a piovere, una serie interminabili di tuoni, non c’era la corrente elettrica, ho guardato fuori e per un attimo mi è sembrato di avere visto tremolare la fiamma di una candela dietro la sua finestra.

-         Per nulla! Io sono stata svegliata dai colpi del battente sul portone di casa, ed era il maresciallo dei carabinieri. Forse lei avrà visto una luce riflessa sulla mia imposta che proveniva da qualche altra parte. Scusi don Ciccio, io devo ancora preparare per pranzo e rassettare quanto non ho potuto fare stamattina, se lei ha notizie nella giornata me le fa sapere. Buona giornata!

-         Buon giorno signorina.

Don Ciccio gli sembrò sollevato e rassicurato da quel dialogo, ma mise nella testa di Annalisa  il tarlo di un sospetto, anche se su qualcosa che nessuno conosceva. Come faceva don Ciccio, da casa sua, che era a circa cento metri, e sullo stesso lato della strada, a notare il tremolio della fiamma di una candela durato si e no venti secondi? Vero che da sacrista era un esperto di fiammelle di candela, ma doveva essere proprio sotto la finestra per accorgersene! Perché il sacrista asseriva che i tuoni erano stati una serie interminabile, mentre lei aveva sentito solo quello che l’ha svegliata e d’un colpo nessun altro tuono! A cento metri, nella notte, i colpi di arma da fuoco è difficile non sentirli per uno che è sveglio, perché il sacrista non ne ha parlato, li aveva dimenticati momentaneamente come era successo a lei? Prima di rincasare diede uno sguardo al garage, le macchie di sangue erano state lavate e pure gli schizzi davanti casa. Mentre cucinava i suoi spaghetti, appuntò con meticolosità in un foglietto quanto le era accaduto e quanto ricordava.

Nel pomeriggio il brigadiere dei carabinieri, bussò alla porta e consegnò la chiave del garage ad Annalisa:

-         Signorina, il maresciallo si scusa per il disturbo, questa è la sua chiave.

-         Perdoni, io ancora non ho capito cosa sia successo stanotte.

-         Brancoliamo nel buio anche noi. Nessuno manca, nessuno ha fatto denunce, nei nosocomi vicini nessuno è stato ricoverato per ferite gravi, il campione di sangue è all’esame della scientifica per capire di che sangue si tratta, se umano o animale. Abbiamo rastrellato le campagne del circondario, non abbiamo trovato né un corpo, né una carcassa di animale, fino ad ora il mistero più fitto! Ancora ossequi signorina, buon pomeriggio.

-         Grazie, buon pomeriggio.

Quando la ragazza uscì all’imbrunire per andare in cartoleria, notò che tutti e tre i fratelli Greco erano sull’uscio di casa loro a dialogare animatamente con il sacrista. Di solito erano scontrosi tutti e tre, difficilmente si intrattenevano con la gente e, appena videro apparire sull’uscio di casa sua la madre del frate cappuccino, come se avessero visto il demonio in persona, entrarono in casa trascinandosi dietro il sacrista e sbarrarono la porta. Rosa Accardi, la mamma di frate Andrea, buona donna,  ogni tanto si affacciava nella speranza di veder comparire il figliuolo che l’andasse a trovare e le portasse un minimo di provviste; la sera, prima di andare a letto, arrivava accanto al garage di Annalisa a riporre  nell’apposito contenitore il sacchetto della spazzatura. A quell’ora frate Andrea non sarebbe più passato, lei sprangava la porta e cominciava le sue preghiere per la notte.

Al rientro dalla cartoleria, dove si era intrattenuta almeno un’ora con il proprietario che era anche suo collega a parlare del più e del meno, Annalisa notò che stranamente le finestre dei fratelli Greco erano tutte chiuse, e che stava per uscire di lì il sacrista con un contenitore che sembrava una grossa pentola. Fu facile per la ragazza attardarsi e far finta di cercare nella borsa le chiavi di casa, ma una volta che l’uomo varcò la soglia di casa sua, entrò e richiuse la porta dietro di se sbattendola come se ci fosse stato il vento. Corse a luci spente verso la finestra, sbirciò sulla strada e notò che il sacrista tornava guardingo dai Greco e consegnava ad uno di loro un paio di bottiglie, per poi ritornare sui suoi passi.

Prima di andare a letto Annalisa lasciò un’anta degli scuri socchiusa in maniera da poter guardare sulla strada, temendo un nuovo black- out poggiò la bugia e la scatola degli zolfanelli sul comodino e si mise a dormire. Nessun rumore nella notte, solo l’abbaiare di qualche randagio, talvolta lontano, tal’altra vicino, i cani spesso inseguivano i tanti gatti del quartiere e così fu per almeno dieci notti successive.

Una sera Annalisa andò in pizzeria con colleghi ed amici, al ritorno pioveva a dirotto, si bagnò i capelli ed il soprabito quando scese per aprire il garage e quando, dopo averlo chiuso, percorse i pochi metri che la separavano dal portone, e fu mentre stava per richiudere il portone che, con la coda dell’occhio notò qualcosa che correva come fosse inseguita, forse un cane da un altro cane, ma non sentì abbaiare o latrare. Sulla strada non c’era anima viva e, non era transitata da automobili perché, a sinistra del suo garage, la stessa diventava una erta gradinata con piccole alzate e grandi pedate. Andò a letto la maestrina, ma verso le tre del mattino, mentre la pioggia veniva giù a catinelle, sentì ancora dei colpi d’arma da fuoco, poi il silenzio più assoluto. Si alzò, andò a quella finestra con lo scuro accostato e notò quattro figure umane avvolte in lunghi mantelli cerati coi cappucci che si muovevano animatamente sotto l’acqua scrosciante, poi un lampo ed un tuono e i lampioni in strada si spensero per una interruzione dell’energia elettrica.

 Fulmine dopo fulmine e tuono dopo tuono non fecero riaddormentare Annalisa che ogni tanto si accostava alla finestra a sbirciare, ma anche quando si fece giorno, pur non tuonando più, l’acqua era così copiosa che non si vedeva a due metri. Si preparò per andare a scuola e quando fu fuori di casa ispezionò il tragitto fino al garage. Tutto pulito, non una pagliuzza o un sassolino, l’acqua aveva eventualmente spazzato e ripulito ogni cosa. Andare dai carabinieri e raccontare l’accaduto? Fu tentata, ma non c’era una sola prova degli spari, non aveva visto nessuno in faccia, tranne tre o quattro sagome sotto dei mantelli cerati. Quel sospetto, che don Ciccio Farina avesse mani in pasta in una vicenda che aveva a che fare con la macchia di sangue , persisteva nella sua mente, ma bisognava altro per fare una denuncia. Passarono un paio di settimane, l’inverno era alle porte, si avvicinavano le feste di fine anno, Annalisa si fermò davanti al bar della piazza, entrò per un caffè. Ad un tavolinetto con gli occhi rivolti ad un televisore  posto in un angolo c’erano il sacrista e Rosario, il più giovane dei fratelli Greco; la ragazza entrando salutò e i due risposero al saluto, poi il sacrista si alzò e le chiese se poteva avere il piacere di offrirle un caffè, la ragazza accettò e si avvicinò al bancone. Mentre il sacrista si era avvicinato alla cassa per pagare, il banconista servì il caffè e avvertì interessato:

-         Don Ciccio, sta per iniziare il meteo, non basta leggerlo sul giornale, in tv è più affidabile.

Don Ciccio risedette al tavolino con Rosario e non perse una parola sulle previsioni che promettevano diluvi, poi si accorse che Annalisa aveva ascoltato pure lei le notizie ed esclamò:

-         Anche lei interessata al meteo?

-         Si, stasera mi vengono a prendere per andare a casa di mio fratello, domani è festivo e non c’è scuola, passerò la giornata con loro, poi, nel pomeriggio, mi verranno a lasciare.

-         Beata lei, va a godersi il nipotino, e poi sarà un giorno di riposo.

-         Grazie per il caffè, buona giornata a tutti.

Non doveva andare da nessuna parte Annalisa, ma sentito il meteo che prometteva tempesta, stante che gli spari e il sangue erano accaduti in nottate piovose  e temporalesche; considerato che Rosa Accardi, la madre del cappuccino, una volta a letto non l’avrebbe smossa nessun tuono e nessun temporale; considerato altresì che, secondo il suo sospetto, i fratelli Greco erano in combutta col sacrestano e considerato anche che al bar aveva assicurato per quella notte la sua assenza, cenò un po’ prima, serrò porte e finestre, tranne lo scuro che dava sulla strada, spense le luci ed ascoltò per ore ed ore il rumore della pioggia, poi il primo fulmine illuminò la strada e i tuoni si susseguirono.  Notò che sia la mamma del frate che il sacrista e uno dei Greco, vennero a deporre nel cassonetto accanto al garage i sacchetti con la spazzatura, ognuno ritornò sotto il proprio parapioggia a casa, si chiusero le imposte e regnò il silenzio interrotto soltanto da qualche tuono.

Alle tre e mezzo, qualcosa attraversò la strada, i lampioni erano accesi, Annalisa passò le nocche degli indici sugli occhi stanchi per la veglia, tirò a se l’anta dello scuro e notò che la sagoma era quella di un maiale, allora stropicciò ancora gli occhi, un maiale, come era possibile? La sua casa era in periferia ma di maiali non ne aveva mai visti, e poi liberi per le strade e di notte! Distratta dal dubbio, non si accorse che una sagoma d’uomo sotto il mantello cerato si avvicinava quatto al suo garage, tirò da sotto il mantello una doppietta e sparò un solo colpo, aspettò due minuti appena e sotto i mantelli arrivarono i Greco con un grosso telone cerato, avvolsero e sollevarono quello che era sembrato un maiale e lo portarono via a casa dei Greco.


 Ad onta della pioggia a catinelle, vennero fuori due dei Greco e don Ciccio con tre secchioni d’acqua che buttarono accanto al cassonetto dell’immondizia per pulire e, certi della assenza di Annalisa, qualcuno esclamò:

-         E’ il terzo cinghiale che abbattiamo, credo che bastino altrimenti non potremmo sistemarli più nella cella frigorifera che è piena. Con la pioggia salgono e vanno verso i cassonetti dell’immondizia in cerca di cibo. Questa era una femmina, con le mammelle piene di latte, i cuccioli moriranno se un’altra cinghiala non li adotta, ma al buio è difficile distinguere!


Non doveva sapere altro Annalisa, il suo dubbio era stato fugato. L’interrogativo che la ragazza si poneva era, che l’indagine scientifica dei carabinieri sulla macchia di sangue non fosse ancora completata oppure, accortisi che era sangue animale avevano archiviato tutto. La cittadina aveva dimenticato l’accaduto, Annalisa no! Andò a letto e dormì fino alle tre del pomeriggio, aprì le imposte che davano sulla strada solo dopo cena, per dare l’idea del suo rientro. Cosa fare adesso?  Era concesso sparare in piena notte nel centro abitato? Era concesso abbattere cinghiali, specie se femmine con prole? Aveva un porto d’armi il sacrista? Poteva detenere legalmente una doppietta?....ma soprattutto aveva lei il dovere civico di denunciare quanto aveva visto? Si vestì la ragazza, decise di dimenticare per quella sera, tirò fuori la macchina e andò a cenare in un ristorantino dall’altra parte della cittadina. Non aveva un fidanzato la maestrina, rifiutava i legami ma aveva tanti amici con i quali si incontrava nelle ore pomeridiane o nei prefestivi. Al ristorante c’era un gruppetto di amici che stavano ordinando, sedette con loro e passò in loro compagnia la serata. Ritornata a casa il sonno la colse e dormì l’intera notte, ma quando si svegliò, aprendo le finestre, vide i Greco e il sacrista ridacchiare animatamente, le vennero in mente i cuccioli della cinghiala, allora pensò che nel pomeriggio sarebbe stato corretto raccontare tutto ai carabinieri. I bimbi a scuola, nei loro grembiulini azzurri coi colletti bianchi, la fecero riflettere ancora di più, come avrebbero fatto senza le loro mamme? Due lacrime le solcarono il viso, lei le asciugò ed imperterrita iniziò a parlare ai bambini, passando per i banchi e carezzandoli tutti.

Il pomeriggio arrivò presto, Annalisa indossò il soprabito, prese la borsa e a piedi si recò in caserma. Il maresciallo la accolse nel suo ufficio, la fece accomodare e la informò sull’esito dell’esame della scientifica.

-         Signorina,  quella macchia era sangue di animale, sicuramente un cane investito o azzannato da altro randagio, se fosse stato sangue umano non avremmo chiuso l’indagine. Scusi per il fastidio che le abbiamo dato quel mattino, capirà, noi siamo obbligati a compiere il nostro dovere.

-         E’ per questo motivo che mi trovo qua; quella notte, alle quattro e mezza in punto sono stata svegliata da un tuono ma qualche secondo dopo ho sentito prima quattro spari di seguito e poi ancora due, erano colpi da arma da fuoco.

-         Perché allora non me lo ha detto…

-         Maresciallo, ero tanto confusa, l’ho dimenticato del tutto.

-         Arma da fuoco nella notte per sparare a chi? Lei ne è sicura?

-         Certissima, perché quella notte qualcuno o più di uno hanno sparato ad un cinghiale che si era avvicinato al cassonetto delle immondizie vicino al mio garage, ecco la pozza di sangue, aveva smesso di piovere e l’acqua non aveva lavato la macchia.

-         Come fa a sapere che era un cinghiale…

-         Mi lasci finire, le racconterò tutto. Nelle notti di pioggia i cinghiali per fame raggiungono i cassonetti dei rifiuti, questo qualcuno lo ha notato. La mia è una stradina di periferia dove non circolano le automobili, ci abitiamo in pochissimi io, una vecchietta ottantenne, i tre fratelli Greco ed il sacrista, passa ogni tanto qualche randagio che insegue i gatti, se so che prima dell’alba un cinghiale  va a razzolare nell’unico cassonetto, lo aspetto e gli sparo, lo avvolgo in un telo e lo squarto a casa. Quando mi accorgo che è una cinghiala che allatta i piccoli che ha lasciato nel bosco, allora è troppo tardi per fare delle considerazioni sulla sorte dei cuccioli.

-         Continui signorina…

-         Si, io ho sentito una seconda volta, quasi alla stessa ora, dei colpi di arma da fuoco, acqua a catinelle e tuoni e lampi, il secondo cinghiale è stato abbattuto, l’acqua che veniva giù copiosa ha lavato l’asfalto e nessun segnale è rimasto. Sabato sera si è messo a piovere e non ha smesso tutta la notte, i Greco e il sacrista sapevano che ero fuori paese, a casa di mio fratello, glielo avevo fatto credere e loro, indisturbati, hanno sparato alla cinghiala, l’hanno avvolta in un telo cerato e l’hanno macellata a casa dei Greco. La cella frigorifera a casa dei Greco è colma, il sacrista non ha cella, fino a quando non smaltiranno quella carne non ne uccideranno più. Io non so se è reato detenere un’arma o più di una, non so se hanno i porto d’armi, non so se è consentito sparare di notte nel centro abitato e se è consentito abbattere le scrofe con i cuccioli. Sono disposta a testimoniare su tutto l’accaduto, la prova è nella cella frigorifera dei Greco, i fucili sono a casa dei Greco e del sacrista. Non devono rimanere più cuccioli senza mamma, non è nell’etica delle persone perbene!

Il brigadiere verbalizzò tutto quanto, Annalisa firmò il verbale e testimoniò in seguito in tribunale, dando così pace alla sua coscienza!

Il tribunale condannò due dei fratelli Greco, Rosario e Vittorio, condannò il sacrista, furono sequestrati i due fucili e furono tolti i porto d’armi sia al sacrista che a Rosario Greco. La signora Rosa Accardi, mamma del frate cappuccino, il giorno della sentenza, si recò da Annalisa e le portò un fascio di rose bianche che crescevano nella sua aiuola, le strinse la mano e le disse solo una parola:

-         Grazie!



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