I
Racconti del Borgo
Mario Scamardo
IL PREMIO
(Ricordi
d’infanzia)
Avete
mai promesso qualcosa ad un bambino? Recita un vecchio adagio siciliano : Nun purmettiri voti a santi ne cudduri a
picciriddi! (Non promettere voti ai santi ne dolcetti ai bambini!). Provate
a deludere un bambino che si aspetta la giusta ricompensa per qualcosa che lo
ha messo alla prova, sarà difficile averlo dalla vostra parte e, molto
probabilmente, sarà difficile che continuerà a fidarsi ancora di voi!...
Nel grande salotto, posta in un angolo a fare bella figura, una grossa pendola batteva regolarmente le ore; noi bambini, avevo cinque anni, mia sorella Ninetta e mia cugina Clelia tre anni e mezzo e suo fratello Giorgetto, che aveva da poco imparato a camminare, due anni appena, ogni tanto ci ponevamo davanti il grande orologio e aspettavamo di sentire i rintocchi e, sotto l’occhio vigile della nonna scandivamo i battiti con le dita e ripetevamo ad alta voce : - Uno, due, tre, quattro … e fu così che imparammo a contare fino a dodici. Nel pomeriggio, appena la pendola batteva quattro colpi cupi e tre argentini, visto che mancava un quarto d’ora alle cinque, come soldatini, ci recavamo accanto alla poltrona dove aveva schiacciato il pisolino pomeridiano la nonna.
Nel grande salotto, posta in un angolo a fare bella figura, una grossa pendola batteva regolarmente le ore; noi bambini, avevo cinque anni, mia sorella Ninetta e mia cugina Clelia tre anni e mezzo e suo fratello Giorgetto, che aveva da poco imparato a camminare, due anni appena, ogni tanto ci ponevamo davanti il grande orologio e aspettavamo di sentire i rintocchi e, sotto l’occhio vigile della nonna scandivamo i battiti con le dita e ripetevamo ad alta voce : - Uno, due, tre, quattro … e fu così che imparammo a contare fino a dodici. Nel pomeriggio, appena la pendola batteva quattro colpi cupi e tre argentini, visto che mancava un quarto d’ora alle cinque, come soldatini, ci recavamo accanto alla poltrona dove aveva schiacciato il pisolino pomeridiano la nonna.
Ritualmente, nonna Nunzia
poggiava la sua enorme sciarpa sulla spalliera della poltrona e andava a
sedersi un una poltroncina di finocchino che faceva bella mostra sopra un enorme tappeto. Doveva essere di
valore la poltroncina per meritare un enorme tappeto tutto per se!
Tutti e
quattro nipotini, sotto il suo sguardo vigile, come i pulcini attorno alla
chioccia, ci inginocchiavamo sul tappeto attorno a lei ad attendere che dal
quadro di San Giuseppe, posto di fronte, arrivasse il premio giornaliero per il
nostro comportamento, l’ubbidienza e la compostezza, soprattutto per non avere
litigato tra noi, magari per un trastullo, e per non avere fatto disperare mia
madre, visto che i genitori di Giorgio e di Clelia ritornavano dal lavoro
quando faceva buio. Il quadro, con una
antichissima cornice in legno scuro, che ritraeva il Patriarca era molto grande
e, pur essendo di carta, gli era riservato l’angolo opposto, proprio di fronte
alla pendola. Il Bambinello, posto in braccio al padre sembrava ridere e qualcuno,
aveva collocato sotto il vetro, proprio in cima ai riccioli, un fiocco azzurro,
chissà perché, noi bambini una spiegazione ce la siamo data, il fiocco azzurro
testimoniava che il Bambinello era maschietto; tanto avevo imparato dal fiocco
azzurro dietro la porta della zia, quando è venuto alla luce Giorgetto. I capelli ricci e biondi del Bambinello si
confondevano con la barba canuta del padre e facevamo fatica a capire dove
finissero i capelli e dove cominciasse la barba. Rispetto al Bambinello San
Giuseppe era troppo vecchio, con le borse sotto gli occhi, pieno di rughe e le
mani scarnate e aggrinzite dal tempo, però per noi era bellissimo, eravamo
affezionati a quel vecchio e, alle cinque del pomeriggio, mia nonna gli parlava
e, se eravamo stati buoni e bravi, ci buttava sul tappeto delle nocciole, dei
cioccolatini o delle caramelle , rigorosamente di carruba, identiche a quelle
che la zia Caterina, la sorella di papà, ogni tanto portava alla nonna, la
stessa carta, la stessa forma quadrata, la stessa immagine della carruba.
Chissà
pensavamo, forse zia Caterina e San Giuseppe le compravano dallo stesso
bottegaio, andavano forse ambedue da don Carmelo Sciurbo il bottegaio all’angolo
della piazza, il quale vendeva ogni cosa, la pasta, lo zucchero, il caffè, le
nocciole, i dentifrici, le scope e pure le caramelle carruba. Però, a pensarci,
come poteva San Giuseppe uscire dal quadro per recarsi da don Carmelo, e a chi
lo avrebbe lasciato il Bambinello?... e
poi, di giorno non si muoveva, era sempre lì nel quadro e di notte don Carmelo
è chiuso!... mah! Mia nonna, quando glielo chiedavamo, ci diceva che San
Giuseppe, a comprare le caramelle o le nocciole, ci mandava gli angioletti, ma
con lui non c’erano gli angioletti, stavano attorno alla Madonna, nell’altro
quadro accanto il pianoforte; erano tanti, raffigurati con la sola testa e le
ali, senza piedi e senza mani, chissà, don Carmelo attaccava i sacchetti nelle
ali e loro, di notte, quando tutti dormivamo, li portano a San Giuseppe. La
pendola batteva cinque colpi gravi e mia nonna, come un giudice severo mi
chiedeva:
-
Mariuccio,
tu che sei il più grande, farai sei anni a giugno, come si sono comportati tua
sorella e i tuoi cuginetti?
Mi sentivo sei occhi puntati addosso e tre
facce che sembravano un vento di maestrale, perché, sotto sotto, qualche
piccola marachella ognuno di noi l’aveva combinata, non avevamo del tutto la
coscienza pulita, tranne Giorgio che aveva quasi dormito tutto il giorno. La
nonna assisteva a questa scena e se la rideva sotto sotto.
-
Nonna,
siamo stati tutti buoni, ci siamo comportati bene, non abbiamo litigato e non
abbiamo neppure fatto rumore e non abbiamo fatto disperare mamma.
-
Attenti
bambini, voglio credervi, che la bugia non sfiori mai le vostre labbra, essa ha
le gambe corte e, come Pinocchio, vi potreste ritrovare col naso più lungo o
addirittura con la coda.
Fu proprio in quell’attimo che Clelia si toccò il naso.
La nonna pigliava in mano il rosario, e noi a
mani giunte ripetevamo un pater, un’ave e un gloria, fatto il segno della Croce
la nonna ripeteva:
-
A nome
del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, così sarà per tutta l’eternità.
Alla parola eternità, chiudevamo gli occhi tappandoceli con le mani
e, dopo un ripetuto avvertimento della nonna a non riaprirli prima che lo
dicesse lei, pena nessun premio, San Giuseppe ci buttava tre caramelle carruba
a cranio e un cioccolatino … mah!... chissà con quali soldi San Giuseppe pagava
le caramelle a don Carmelo...
Arrivò giugno e compii sei anni, e arrivò
ottobre col primo grembiulino, la prima cartella e i primi compagnetti di
scuola. Mia nonna continuò regolarmente a chiedere il premio a San Giuseppe, ma
si accorse, prima che ebbe fine l’anno scolastico, che cominciavo a perdere la
mia innocenza e, quando si accorse che, con le mani sugli occhi, sbirciavo tra
le dita, mi chiamò a se nella sua camera e, fattomi sedere davanti a lei, mi
spiegò che non avrei dovuto mai svelare che il premio era dato dalla nonna e
non da San Giuseppe. Mi strinse a se e mi baciò ripetutamente come era solita
fare, poi mi disse:
-
Ascoltami
con attenzione, tutti siamo stati bambini, era il nostro tempo, poi siamo
cresciuti, a scuola abbiamo incontrato i nostri compagnetti, qualcuno più
piccolo qualche altro più grande, magari di una o due classi più avanti di noi.
Pian pianino abbiamo fatto le nostre scoperte e lentamente abbiamo perso parte
della nostra innocenza, così come sta succedendo a te. Ora il segreto del
premio che ogni giorno voi ricevete, non è solo mio, ma lo condividiamo io e
te, non dobbiamo svelarlo a tua sorella o ai tuoi cuginetti, come a nessun
altro bambino della vostra età, aspettiamo che, come te, tutti diventino
grandi. Figliolo, sappi che c’è un tempo per tutte le cose, per te è arrivato
il tempo di razionalizzare, lo farai pian pianino, nessuno ti deve spingere,
vedrai che sarà bello scoprire quanto era prima mistero per te. Ai tuoi cugini
e a tua sorella, visto che il loro tempo non è ancora arrivato, continueremo a
far credere loro che San Giuseppe provvede ai loro regalini. Regalini che
continuerai a ricevere anche tu, finché l’ultimo, Giorgio, se Iddio vorrà che
io lo veda diventare adulto, non perderà anche lui la sua innocenza.
La nonna non disse più una parola, aveva percepito che io avevo capito
quanto
lei mi aveva spiegato, ed io fui felice di
essere suo complice nell’opera di rendere felici gli altri. Ogni giorno alle
cinque del pomeriggio, in ginocchio, con gli occhi chiusi ricevetti il premio
assieme agli altri. Quando Giorgio frequentò la seconda elementare io avevo
compiuto undici anni, ero già inscritto alla prima classe della scuola media, e
quando tutti ci accorgemmo che il più piccolo sbirciava tra le dita della mano,
il nostro segreto ebbe fine e i premi si chiamarono regali, non più elargiti
quotidianamente alle diciassette in ginocchio davanti all’immagine di San
Giuseppe, ma alle ricorrenze, onomastici, compleanni, promozioni, Natali e
Pasqua. La società nel mentre si è evoluta, la botteguccia di don Carmelo
Sciurbo diventò un grande supermercato gestito dai figli, ma ci chiedemmo
sempre, fino a grandi, se vendessero nel supermercato ancora le nocciole, i
“golosini” di cioccolata e panna, i
gianduiotti a forma di formaggino e le caramelle di carruba. La nonna, come le
nostre mamme seguì tutto il nostro divenire adulti, e ci riempiva il cuore il
suo sguardo tenero e tutte le sue attenzioni. Con lei imparammo a camminare, a
parlare, a far di conto, ad avere cura dei più piccoli, a rispettare i grandi,
a ringraziare il Creatore per i doni che ogni giorno ci donava ma soprattutto a
rispettare chi non la pensava come noi. Ci insegnò ad avere cura dei più deboli
e di emulare i nostri genitori, senza mai dimenticare che noi eravamo il frutto
del loro amore e che ci avevano donato il dono più prezioso, la vita.
I
giorni si susseguirono ai giorni, le settimane alle settimane, gli anni agli
anni, Giorgio si iscrisse all’Università, io da poco insegnavo, la nonna sempre
arzilla, tutte le domeniche, dopo il pranzo, ci riuniva nel salotto, seduta
sulla stessa poltroncina in finocchino e, dopo un bacio ciascuno sulla fronte,
perpetuava il rito del “premio” regalandoci una banconota, raccomandandoci di
rispettarla perché frutto del lavoro e di farcela durare fino alla prossima
domenica. Un pomeriggio mia sorella e mia madre entrarono in salotto, la grande
pendola aveva battuto le diciassette da qualche minuto e nonna non si era
svegliata dalla sua pennichella pomeridiana, la sua fronte fredda e l’assenza
di battito cardiaco testimoniarono il suo passaggio ad una diversa dimensione;
da una mano le scivolarono le ultime quattro caramelle al gusto di carruba,
l’ultimo premio mai consegnato.
Nel
salotto nulla è cambiato, tutto è allo stesso posto, la sedia a dondolo, il
quadro di San Giuseppe, quello della Madonna con gli angioletti, la grande
pendola, il grande tappeto con al centro la poltrona in finocchino e sul
tavolinetto un vassoietto di ceramica colmo di gianduiotti e di caramelle
carruba … la nonna non c’è più ormai da tanto tempo, ma il suo ricordo è
perenne!
LA DOLCE DIPARTITA
Gli
occhiali in un cestino da lavoro
Dove
ella con cura li ha riposti,
sulla
poltrona, alla penombra,
il
corpo appesantito di mia nonna;
il
suo spirito oltre il davanzale
ha
intrapreso il viaggio di ritorno.
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