La mente vaga sempre nel passato, e tornano i ricordi, talvolta belli, tal'altra tristi e melanconici. Come in un film scorrono le immagini e, sovente, la fantasia ci riporta indietro nel tempo; ogni tanto ci coglie il magone, fors'anche la rabbia, per qualcosa che ci saremmo aspettati e che non mai arrivata. Torniamo a risentirci dimenticati, e ritornano alla mente le promesse di uno Stato che non ha mai attuato e mai completato, e la rassegnazione dei vecchi con una frase, sempre la stessa: "Pazienza, noi siamo il Sud!"
IL CAPPELLO DI PAGLIA
Un cappello di paglia
attaccato ad un chiodo.
File interminabili di termiti
tra le travi polverose.
Sui monti tremendi boati
e schiene vibranti di paura.
Valanghe di fango
trasportano terra e massi,
radici al vento
di ulivi secolari
e fiumi di mota.
I laghi di collina tracimano
uno appresso all'altro,
impietose masse d'acqua
trasportano miseria e morte.
Giù in pianura
gli antichi fiumi
han perduto le anse
e sono annegati
in enormi paludi.
Su un tetto, una vecchia
attaccata all'ultimo abbaino
agita freneticamente un drappo
e su un tronco in deriva
un cane giocoliere
ricerca l'equilibrio.
L'Arca non c'è all'orizzonte,
piove a dirotto
e la bianca colomba
si lascia cullare
dalle placate onde
sul cappello di paglia
che mi donò ragazzo
un vecchio barbone.
LA MIA CASA
Grandi crepe agli stucchi,
carte da parati penzolanti,
muffa alle parete e ragni,
tanti ragni su enormi tele
aspettano inermi falene.
Giù per le scale rivoli d'acqua
e in cima al lampadario
le paglie di un nido abbandonato.
Quì sono nato!
Mi si stringe il petto
e non alzo più gli occhi
per guardare i puttini
sulle volte cadenti.
Sparsi qua e là
i tasti di un pianoforte
ed i martelletti rosi dai topi.
Vecchi fasti spariti nel nulla
e note stonate e pareti stinte,
cornacchie ai veroni,
calcinacci e tanti cocci.
Malinconie affioranti
e ricordi, soltanto ricordi!...
Mio padre in doppiopetto,
le zie in cuffietta,
la nonna severa in poltrona
ed i rumori dei ferri da calza,
l'odor della legna in camino
e il profumo dei fieni d'intorno.
Sotto il grondone, a decine,
nidi di balestrucci, ed ora?
Soltanto detriti e cornacchie.
Nel gennaio 1968 un fortissimo terremoto colpì la Valle del Belice (Il Belice, fiume che attraversa un vasto territorio nelle tre Province: di Palermo, con due bracci, Belice destro e Belice sinistro; di Trapani, dalla confluenza dei due bracci a metà percorso; quella di Agrigento, con il tratto che arriva alla foce. Anticamente questo fiume, di portata ben più consistente di quella odierna, si chiamò Krimiso). I morti si contarono a centinaia; i centri abitati della zona furono seriamente danneggiati, alcuni paesi furono spazzati via, come: Montevago, Santa Margherita Belice, Salaparuta, Poggioreale, Gibellina, ecc., altri irrimediabilmente destinati a rimanere testimonianza di lutto, luoghi spettrali dove il ricostruito fa dispetto al rudere per ricordare che ancora, dopo quasi un cinquantennio c'è gente che abita le baracche, per sottolineare che la "ricostruzione di Stato" non è ancora ultimata.
La frase ricorrente sulle bocche degli anziani, pronunciata con atavica rassegnazione: Pazienza, noi siamo il Sud!
BELICI 1968
La Vaddi di lu Belici durmia...
l'ossa s'arripusava ogni criaturi,
fora, lu friddu attassava li mura
dintra, tra li linzola, la notti passava a la calura.
Li muli a la stadda lintaru di manciari,
li cani 'ntunaru un gran lamentu,
no!... nun abbaiavanu alla luna,
no!... chissu fù l'avvirtimentu,
la terra trimau!...
Primu, secunnu, terzu strantuliuni,
poi, comu curpiti a tradimentu
mureru, a unu a unu.
Trava, sulara, mura e cuvirtizzi,
tutti s'allavancaru, 'nto 'nvuluni.
La morti cu la favuci a li manu,
vigliacca!... Travagghiau tutta la notti.
Li strati chini chini di cristiani
all'apertu circavanu riparu:
- figghiu!... Gridava nna matri
circannu tra li resti d'un sularu.
Chistu è lu paisi di li piccatura?...
'N'infernu 'nta nna notti addivintau,
tuttu distruttu, - chista è nna svintura!...
puru Cristu 'ncruci l'abbannunau...
Lu cielu si grapiu, lampi e trona;
l'acqua si l'assupparu para para
poviri nuccinteddi a peri fora
'ntisiru lu friddazzu e la furtura.
Ogni notti la passaru ddà, all'apertu,
sti figghi di sta terra marturiata.
Nna manna di frascazza era lu lettu,
puru la luna stesi ammucciata.
Passati su tant'anni di dda notti,
li picciriddi sunnu già omini granni
e ppi li strati a vuci china gridanu:
- Aviti vistu passari lu Cuvernu?
Un vecchiu ccu nna varva tutta bianca,
sapennu 'nsoccu vonnu li criatura,
chiancennu dici a tutti: Bona genti,
circallo è tempu persu, nun cci senti!
Avevo 21 anni, ne sono passati 44, i vecchi siti su cui insistevano i vecchi centri abitati, sono ancora lì, sono cataste di detriti ancora non rimossi. Nei nuovi siti, ancora una serie di "incompiute", ma ormai, i vecchi raccontano...
Se vi ho rattristiti vi chiedo venia, ma ho inteso raccontarvi in versi un pizzico di storia del sud.
Grazie per l'attenzione.
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