Quante storie si vivono nella vita? Tante, tante da non avere il tempo per raccontarle; con un fine lieto, da dramma, da commedia, da tragedia, talune anche senza fine. Tutte hanno lasciato un segno, alcune tracciato nella sabbia, dove il vento in pochi secondi le cancella, altre sul granito, solchi profondi, che rimangono e si perpetuano, anche se la mente tenta di accantonarle in un angolo buio, di affidarle all'oblio, ma poi... ritornano!
E’ STATA COLPA DEL GABBIANO !
Sulla plancia guardavi l’infinito
e una brezza sfiorava i tuoi capelli,
il tuo volto, le tue braccia scoperte…
un paio di guizzi, forse un delfino.
Ti poggiai la mia giacca sulle spalle,
non dicesti nulla, solo uno sguardo,
due occhi profondi e neri,
le sopracciglia esprimevano un cruccio
e ci fu compagno un lungo silenzio.
Cercavi qualcosa o sognavi,
chi eri? Forse una creatura del mare,
dell’azzurro infinito coi suoi misteri,
ninfa leggiadra o ammaliante sirena.
All’orizzonte affiorò dalle acque,
lentamente, coi suoi pallidi raggi,
il più ingannevole degli astri, e tu,
incantata, sempre a mirare nel vago.
Mi distrasse un gabbiano gracchiante,
poggiato sulla cima d’un pennone,
stava spiccando il volo, un attimo soltanto,
in un baleno, non c’eri più… svanita!
All’orizzonte una scia luminosa
si perdette nell’immensità del cielo.
Su un sedile, la mia giacca piegata,
con sopra un pettinino in madreperla.
Chi eri? Forse una fata, certo una strega
che mi rubasti il sonno e la ragione.
Non ho sognato, ne son certo, e ritorna
il magone allo spuntar della luna.
E il gabbiano?... un diavolo!...
o forse tu stessa, che pigliavi il volo.
Ti cercai tra la gente invano,
fino a scrutar le onde pacate…
dissolta nel nulla come angelo o demone,
che rabbia!... E’ stata colpa del gabbiano!
“Sorriso”
L’abbagliante luce del mattino
bacia il tuo volto sempre sereno.
Le tue mani alacri si muovono
con l’armonia che ti è congeniale
e la vita che ti è dentro si risveglia.
I tuoi pensieri sono per chi ha bisogno,
comincia così la tua missione…
Il sorriso è la tua grande forza
che viene spontaneo dall’anima,
che si sprigiona dalla tua bocca
colma di denti di pasta d’avorio.
Tu, sai ascoltare la sofferenza
e la trasformi in speranza grande,
infondi, con la gaiezza fiducia
ed hai sempre un pensiero
per quanti vivono il dolore.
Sei semplice, tra le tue cose semplici!...
Pellegrina tra gli afflitti,
allarghi le tue lunghe braccia,
stringi tutti in una stretta d’amore
e da quella grande anima che sei,
non provi mai la stanchezza.
Se fossi stata fontana,
copiosa e gorgogliante,
fresca e immensamente generosa,
avresti dato vita a un fiume di portata,
per tutti quanti dissetare.
Se fossi stata albero,
avresti prodotto cento rami
e avresti dato mille frutti,
tutti succosi, belli e dolci
come il tuo sguardo di madre.
Se fossi stata una tiepida brezza,
avresti soffiato leggera
a scaldare il cuore degli afflitti.
Il vento che parla a chi sa ascoltare
e porta seco la sua musica,
ti sfiora dolcemente il viso
e muove le tue crespe ciocche.
Dal vento ti fai sedurre e lo seduci,
lo ammalii e ti fai ammaliare,
sei la semplicità e null’altro…
Il tuo nome, Maria, è “Sorriso”!
Dipinger l’Ade
Infausto destino,
t’abbattesti su di lei
e le rubasti giovane
il lume degli occhi.
Il suo abito a fiori,
da sempre lo stesso,
si è attaccato alla sua pelle
testimone dell’antico sfarzo.
La mano sua leggiadra,
mossa da musa ispiratrice
dava vita a mille tele,
or pesante e rattrappita,
serra la cima di un bastone
che scruta per evitar periglio.
La città rumorosa,
è diventata incantato bosco,
dove vivono folletti,
gnomi ed elfi burloni,
dove non c’è colore,
dove non senti un suono,
e, come nei vecchi films
la vita è in banco e nero.
Non aspetti più nulla,
il tempo, parametro vuoto
si è fermato da tanto e,
il rintoccar dei campanili
non ti da emozioni.
La grande fontana
piange lacrime amare
come madre addolorata,
poche gocce rugginose
perforano un cote.
Ad inverno inoltrato,
una brezza leggera,
come gelido vento
d’impietosa tormenta,
ti sferza il volto
già triste e smunto, e tu,
come storiella senza storia,
silenziosa e muta
trapassi all’oblio
tra le tele e i colori
che sol rivedesti
con la magia del sogno
e della fantasia.
Addio Ornellina,
amica di sempre,
che fosti scalpitante puledra
con la criniera al vento,
fosti primavera inghirlandata,
sorgente fresca e copiosa,
tenera e delicata amante
prodiga di sorrisi e di carezze,
sostegno dei momenti bui.
Quando la prossima brezza
vorrà che trapassi anch’io,
voglio portarti una tavolozza
spalmata di tutti i colori
per ridipinger l’Ade
con le tinte dell’ amore.
LA PIAZZA
Sotto l’arancio amaro della piazza,
inusualmente la panchina è vuota,
i due clochards l’hanno abbandonata
e l’hanno liberata dai cartoni.
Anche la lampada avvitata sul fanale
sembra non dar più luce,
e i gatti mogi, miagolano lontano
forse, piangono la loro dipartita.
Il campanile batte le ore
e il vento ha smesso di soffiare,
non girano più i galletti di latta
e la bandiera ha smesso di garrire.
Tutto in questo slargo s’è fermato,
la cannella della fontanella,
il triciclo del vecchio gelataio,
l’andirivieni della rondinella,
le alacri mani del cestaio.
Al lento calar della sera
solo un rumore di passi felpati,
è il vecchio attempato ubriaco
in compagnia del suo fiasco vuoto,
e parla a un segnale stradale,
alle imposte di finestre chiuse,
alla luna già alta nel cielo,
alla panchina stranamente vuota.
All’alba, trainato da un ronzino
incede un vecchio carro funebre,
non ha ornamenti, non ha fronzoli neri,
è il carro del comune per chi, tapino,
non può pagarsi manco un funerale,
sopra, una cassa di tavole inchiodate
e per corteo un cane ed un barbone.
Quattro diverse storie, quattro amori grandi in pochi versi, perchè poesia è libertà di narrare il fantastico connubio tra amore, sogno e fantasia.
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