Si può scrivere una favola autobiografica? Io ho provato a farlo, ho provato a raccontare, con un linguaggio comprensibile dai piccoli destinatari, uno spaccato di vita della mia età adolescente. Ho raccontato un episodio che si è ripetuto fino alla dipartita del mio genitore, cercando di evidenziare quanto la favola si prefigge, la morale.
Alle persone adulte, nell'entroterra siciliano, in ossequio alla loro età, ma soprattutto alla loro rispettabilità e al loro essere perbene, veniva anteposto al nome il "don", nel tempo una letteratura giornalistica di cronaca nera, ignara di distruggere la cultura di un popolo, trasformò il "don" che stava per signore, in un epiteto da affibbiare a malavitosi e mafiosi. Per le donne, fino agli anni '60 il ragionamento fu diverso e alla mia nonna materna tutti continuarono a chiamarla, in senso di rispetto, donna Nunzia.
Il personaggio della favola, don Saverio, contadino, seconda elementare, che soleva definirsi "un viticoltore laico", perchè coltivava il suo vigneto non obbedendo ai canoni consigliati, in quanto innovatore con risultati eccellenti, era mio padre e, pur amandolo alla follia, non ho aggiunto, per esaltarne la figura, nulla che non fosse un fatto riscontrato da me stesso. Lo perdetti che era giovane, un male incurabile se lo portò via, allora non esistevano cure, di chemioterapia si sentiva appena parlare. L'ho amato ed ho vissuto dei suoi insegnamenti!
Mario Scamardo
I Racconti del Borgo
I mandarini di don Saverio
( XI Favola )
Rigoglioso era il giardino di don Saverio, cinque ettari appena a cinquecento metri dal centro abitato. Una mulattiera lasciava il paese e scivolava dolcemente verso valle passando, davanti ad un cancello di cui nessuno aveva mai sentito cigolare i cardini, in quanto era tenuto sempre aperto, giorno e notte. Una stradina interna accompagnava al vecchio caseggiato in pietra viva e, stranamente, una delle due porte laterali rimaneva anch’essa sempre aperta. Al centro dell’appezzamento, da una sorgente zampillava copiosamente freschissima acqua, attorno, solo alberi da frutta, aranci, limoni, fichi, ciliegi, albicocchi, cachi, peri, meli, mandorli e noci, su tutti gli altri spiccavano un paio di filari di mandarini di ogni varietà che consentivano di avere una produzione da novembre a giugno.
Don Saverio era un uomo buono, la sua generosità era il suo distintivo. Contadino da quando si erano fermati i suoi studi, la seconda elementare, aveva curato il suo giardino ed il buon Dio lo aveva ripagato facendo si che quegli alberi, che lui si ostinava a chiamare figli, fossero sempre rigogliosi e stracarichi di frutta.
Tutti i contadini del circondario, che andavano a riempire le loro brocche d’acqua, spesso lo trovavano seduto su un ciglio della grande vasca in cui versava la sorgente e si intrattenevano con lui, ma prima che andassero via, don Saverio raccoglieva un cesto di frutta e gliela regalava – portatela ai vostri bambini – soleva dire, poi, se era stagione, raggiungeva un albero di mandarini e ne raccoglieva un paio di ciocche, li porgeva al suo interlocutore dicendo: - portategli anche questi, pur se è lontano il santo Natale, i mandarini serviranno a farglielo ricordare. - Quando qualcuno rimaneva imbambolato davanti a queste frasi il contadino, dopo avere accennato ad un sorriso aggiungeva: - per ogni buon cristiano, ogni giorno è Natale -.
Don Saverio aveva due figli, un maschio ed una femmina. Quando rincasava all’imbrunire, in groppa ad una mula che chiamava affettuosamente Caterina, si fermava senza smontare e fischiava un motivetto, attendendo che tutte e due i suoi figlioletti accorressero con le braccia alzate per farsi issare in groppa alla mula per poter percorrere a cavallo gli ultimi venti metri che li separavano dall’uscio di casa. Smontati, don Saverio sedeva sullo scalino davanti all’uscio, issava sulle sue ginocchia ambedue i bambini e chiedeva loro sulle eventuali marachelle, li stringeva al suo petto e tirava dalle tasche due frutta mature che aveva raccolto a fine giornata e li donava alle sue creature con la sua massima soddisfazione e promettendo che la domenica mattino li avrebbe portati in giro, dopo la santa Messa, con la macchina, una Fiat 500 belvedere di colore blu e grigio.
Un mattino d’estate, più grandicello il maschietto, don Saverio lo portò con se in campagna. Smontati dalla mula, il contadino chiese al ragazzo se avesse voglia di mangiare un frutto, c’erano dei fichi succulenti, delle albicocche, delle pesche, ma il figlio gli chiese dei mandarini, il contadino sorrise e gli disse: - figlio mio, non è stagione di mandarini, ora ti raccolgo una pesca, te la sbuccio, tu chiudi gli occhi e mordila pensando che sia un mandarino – il ragazzo sorrise ed accettò la pesca. Assieme al padre si addentrò nel giardino ed assistette alle operazioni di irrigazione. Don Saverio accompagnò con la sua zappa l’acqua che fece sortire dalla grande vasca, incanalandola nei solchi innanzi tempo tracciati, le fece raggiungere i limoni, poi i ciliegi, gli aranci, quando l’acqua arrivò ai mandarini il ragazzo gli chiese: - papà, visto che non è stagione, perché gli dai acqua? – Il contadino guardò tra le fronde e notò in cima ad un albero due succulenti mandarini tardivi, percorse una decina di metri, alzò un braccio, abbassò la fronda e li raccolse, tornò sui suoi passi, ne staccò uno e lo mise in tasca per la figliola, poi diede l’altro al suo ragazzo. – Vedi figliolo, anche se non è stagione, a volte la natura viene incontro ai ragazzi buoni, e fa maturare qualche frutto con ritardo. E’ il premio per aver curato con amore questi alberi che hanno già abbondantemente dato, e l’acqua che adesso gli stiamo somministrando non li farà soffrire per il caldo afoso di questa estate. Ragazzo mio, le piante sono come i bambini, devi dar loro tanto amore per potere ottenere frutti migliori. Io non ho mai chiuso il cancello di questo giardino, nel circondario questa è l’unica sorgente, come negare la possibilità a chi fatica di dissetarsi, rinfrescarsi e riempire la propria brocca. La sorgente è copiosa e l’acqua che soverchia la faccio utilizzare ai limitrofi affinché anche loro possano dissetare i loro campi. L’acqua è un bene di cui l’uomo non può fare a meno, è un dono del Creatore e, quindi, è giusto che nessuno soffra la sete.- Il ragazzo lo ascoltò ed i suoi occhi si inumidirono. Don Saverio, conscio dell’opera educativa che stava compiendo riprese a parlare. - Lascio sempre una delle tre porte della casa aperta, dentro lascio un fiasco di vino, un po’ d’olio per la lampada ed un pane, sai, tante mattine ho trovato il fiasco non più pieno e non ho trovato il pane, ma tutti i giorni ho sentito il calore e l’affetto delle persone che ho conosciuto-. Il ragazzo sbucciò il mandarino, lo divise in due e ne offrì al padre.
Si avvicinava il Natale, don Saverio da giorni era alla ricerca di scatole, di cesti, di canestri, di fiaschi. Conosceva tutti il contadino nel suo paese, gente colta ed analfabeti, ricchi e poveri, contadini, artigiani, professionisti e possidenti, dialogava con tutti e tutti dialogavano con lui. Dalla campagna aveva portato decine di casse di arance, di limoni, di mandarini. Il ventitré dicembre il contadino si alzò al solito, allo spuntar del sole, si recò nella stalla, la pulì e diede da mangiare e da bere alla mula Caterina, rientrò a casa, si lucidò le scarpe della festa, fece il bagno, si vestì in maniera elegante ed attese che si svegliassero i ragazzi che erano in vacanza. Consegnò ai figli una capiente borsa ciascuno e si accompagnò con loro all’uscio. Entrò in una macelleria e chiese carne e salsicce facendosi confezionare venti involti, poi fu la volta di una salumeria e la scena non mutò, infine ritirò venti vassoietti di dolci in una pasticceria. I ragazzi facevano fatica a portare le due borse, il padre si mise in mezzo a loro, prese un manico per ciascuna borsa e tutti e tre guadagnarono l’uscio di casa.
Don Saverio come se stesse eseguendo un rituale, divise quanto acquistato in venti scatole, inserì in ciascuna un fiasco di vino, una bottiglia d’olio, e le completò con arance limoni e mandarini, poi disse ai ragazzi: - ora andrò a prendere la macchina, caricheremo i pacchi e mi accompagnerete a consegnarli -. I figli di don Saverio si guardarono negli occhi, la ragazza interrogò con lo sguardo il fratello che allargò le braccia. – Papà – chiese la fanciulla, - perché hai preparato tutti questi pacchi, a chi vuoi che bisogni la carne, le salsicce o i formaggi con il benessere che c’è in giro? – Credi davvero figlia mia che ci sia tanto benessere in giro? – rispose il padre – vedi figliola, a volte dove sembra che splenda il sole c’è tanto freddo, non sto parlando di temperatura, ma di freddo affettivo, di solitudine, di mancanza di quel calore umano che solo l’amore può dare. I genitori mettono al mondo i figli con amore, li allevano con abnegazione, soffrono per loro, si tolgono il pane dalla bocca per renderli felici, ma, a volte, i figli dimenticano... e ci sono quelli che non sono stati graziati e i figli non li hanno avuti, ora sono vecchi e hanno per compagna la solitudine, poi ci sono i poveri, quelli veri, che per dignità talvolta ostentano agiatezze. Tu e tuo fratello avrete fra due giorni una tavola imbandita, due genitori che sanno darvi calore, e tutte le leccornie che un essere umano può desiderare. Colui che sta sopra di noi ci ha concesso il dono dell’amore, ed il santo Natale ogni giorno si ripeterà a casa nostra, ce lo ricorderanno i mandarini sulla tavola, ma per tanti sarà un giorno come un altro dove affioreranno tristezze, malinconie, ricordi non piacevoli. – I due ragazzi si presero per mano e avvicinandosi al padre lo baciarono. Don Saverio aveva capito di aver fatto breccia nel loro cuore ed aggiunse – voi siete dei ragazzi, ma vi accorgerete presto di quanto sia veloce il tempo, voglio che ambedue non dimentichiate mai che c’è sempre chi ha bisogno degli altri, un regalo non è sempre una cosa tangibile, si può donare sempre, è dono anche un sorriso, capace di far felice ogni uomo e soprattutto i bambini. Non chiudete mai il cancello in campagna, lasciate aperta una porta e non dimenticate mai di lasciare dentro del pane e del vino, Dio vi renderà merito del vostro operare e farà si che il vostro giardino sia sempre ubertoso.- I ragazzi caricarono la macchina dei pacchi e con il padre andarono in giro per le case a portare i doni.
Il mattino seguente don Saverio caricò gli ultimi cesti di arance, limoni e mandarini e si recò al convento dei Servi dei Poveri dove erano ospiti trenta orfanelli. Attese nella sala d’aspetto la madre superiora, al suo sopraggiungere si scoprì e si inchinò, la superiora lo accolse calorosamente ed i suoi occhi dal color della giada palesarono tanta gioia, accettò i cesti di frutta e condusse, come era solita fare, il contadino tra gli orfanelli. Gli occhi di don Saverio si inumidirono, si accosciò e baciò carezzandoli tutti i bambini. I più grandicelli che lo conoscevano dagli anni precedenti formarono un cerchio e lo misero in mezzo. Il più piccolo chiese alla superiora – Madre, chi è questo signore? – tutti in coro gli altri bambini gridarono – è don Saverio, il signore dei mandarini. –
Gli anni passarono, ed ogni Natale don Saverio visitò gli orfanelli, ed i suoi ragazzi, ormai adulti prepararono i pacchi assieme ai loro figli, tanto riempiva il cuore del vecchio contadino, che alzando gli occhi al cielo ringraziava Dio per l’opera educatrice che gli aveva concesso. La malattia lo colse, l’uomo si appoggiò al suo bastone e man mano le gambe non lo aiutarono più, non fu mai disperazione, solo rassegnazione al volere del Creatore. La madre superiora dei Servi dei Poveri spesso lo andava a trovare, portava con se due orfanelli, e don Saverio chiamava a se i nipotini affinché potessero giocare con chi i genitori non li aveva più, voleva che gli orfani si sentissero a casa loro e chiedeva alla moglie di preparare per loro una tazza di cioccolata e tanti biscotti. I bambini facevano felice quell’uomo, non lo stancavano mai, anzi gli davano forza e qualche volta riuscivano a farlo alzare dalla poltrona sulla quale passava le giornate guardando dalla finestra spalancata il tramontare del sole nel golfo di Castellammare.
Un giorno corrusco di agosto, sul finir del mattino, le campane suonarono a martello. Sul selciato le ruote di un carro funebre trainato da quattro morelli, trenta orfanelli accompagnati dalla superiora, in fila per due, in mezzo ad una grande folla, camminavano a passo lesto a rendere anche loro omaggio a don Saverio, l’uomo dei mandarini, nel giorno della sua dipartita. Ognuno di loro si chinò davanti al feretro e depose sulla bara una zagara di mandarino. Durante il corteo funebre una nuvola oscurò il sole, un lampo squarciò il cielo ed un tuono rimbombò cupo per le campagne. Una pioggia scrosciante diede l’addio a don Saverio, ed irrigò per l’ultima volta il suo ubertoso giardino.
Non so se sono riuscito nel mio intento, se ciò non fosse ve ne chiedo venia.
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