domenica 25 novembre 2012

L ' A D D I M U R U












L'innocenza ? .... perchè disquisire, nei bambini fa credere a Babbo Natale, alla Befana, alle fate, agli orchi, a tutti i personaggi delle fiabe, alla cicogna che porta un bimbo o al cavolo sotto cui nasce. Mezzo secolo fa, i bambini non erano diversi da ora, alcune forme di pudore costringevano i genitori a quasi burlarsi dei bambini, certamente senza cattiveria. Provo a raccontarvi un aneddoto che fa perno sull'innocenza dei bimbi del tempo. L'avevo scritto in dialetto, l'ho adattato in lingua italiana, credo non abbia perso nulla del suo significato. Buona lettura.



L’addimuru*


(* Addimuru = l'attesa e il ritardo concordati. Quando bisognava tenere i bambini lontani da casa, si mandavano dai nonni, dagli amici, dai vicini di casa, avendo cura di avvertire l’ospitante di dare al bambino un poco di “addimuru”. Quando il bambino manifestava la voglia di ritornare a casa sua, tutti si prodigavano a trattenerlo promettendogli l’”addimuru” che non arrivava mai.)


            Avevo da poco compiuto cinque anni e da cinque o sei giorni donna Nunzia, mattina e sera, veniva a casa mia portandosi dietro un grosso borsone in cuoio marrone che aveva tra un manico e l’altro due lunghe cerniere e una piccola stava su un lato del borsone, quasi a guardia di una piccola tasca.
            Donna Nunzia era una donna corpulenta, altissima, dalle mani immense; non era né bella né brutta, ma tutti la salutavano con rispetto, tutti si inchinavano e lei accennava ad un sorriso che era più una smorfia. Io non capii mai il significato del termine, ma tutti dicevano che fosse una mammana, e questa parola mi fece impressione. Credevo che donna Nunzia, chiamata dalle persone alla bisogna, castigasse i bambini più discoli, e lei non faceva nulla per non farmelo pensare. Mai una carezza ad un bambino, mai un sorriso, solo due occhi grandi sempre sbarrati che sembravano puntare come due cani levrieri, e sotto il naso, due peli neri e lunghi che spuntavano come due sarmenti da un neo grosso e tondeggiante come un cece. Quando lei entrava a casa mia, riparavo di corsa in un angolo e stringevo i pugni per timore che potesse dirmi qualcosa.
            Una mattina a casa mia ci fu una gran confusione, le zie che entravano ed uscivano, mia nonna presa da un gran da fare con Donna Nunzia e mia madre a letto. In punta di piedi mi avvicinai guardingo alla camera da letto, mia madre non si accorse neppure che c’ero, affacciato appena alla porta, forse stava male, era tanto pallida, poi diventava paonazza, e il borsone della mammana era aperto sopra una sedia.  Non sapevo se entrare e correre da mia madre o rimanere a soffrire sullo stipite. Donna Nunzia con gli occhi spalancati si accostò a me, io indietreggiai con le spalle al muro e gli occhi gonfi di pianto, pensando che pur non avendo fatto alcuna monelleria fosse arrivato il momento di essere castigato; col vocione, simile al suono di una tuba, disse a mia nonna: - Ci siamo! Mandate questo bambino a prendere un poco di addimuru! Cercai di capire cosa fosse l’addimuru e, pensando che potesse essere una medicina o un qualunque rimedio per mia madre, mi sentii carico di responsabilità e, presa coscienza che avevo contezza solo della strada che conduceva all’asilo, cercai con gli occhi chi mi potesse accompagnare. Da giorni mia madre non mi metteva in braccio, e pur di riguadagnarmi quella possibilità con la sua guarigione, ero pronto ad affrontare anche l’ignoto. Mentre pensavo al mio atto eroico da compiere, mia nonna mi fece indossare un giubetto di lana, mi accompagnò all’uscio, mi baciò ripetutamente  e mi consegnò a mio padre che stava rientrando con un pacchetto in mano, festante gridai: - Papà, l’hai portato tu l’addimuru per la mamma? Mio padre sorrise per la mia innocenza, mi sollevò sulle sue braccia e, come era solito fare, strofinò i suoi baffi sul mio naso, poi mi rimise a terra e mi disse: - Nel pacchetto non c’è addimuru, ci sono solo medicine per la tua mamma, ora ti ci porto io a prenderlo, mi fece sedere sui gradini dell’ingresso ed entrò in casa dicendomi: - Faccio subito, tu non muoverti.  Pensai che l’addimuru non fosse una medicina, ma se aveva una funzione così importante, cosa poteva essere, se serviva proprio in quel momento di confusione? Mio padre uscì, mi prese per mano e mi portò due strade sotto l’asilo che frequentavo, da una sua vecchia zia che tutti chiamavamo zia Maria. La porta, composta da due grandi ante, era dotata di uno sportello aggiunto su una delle ante ed era accostata e dal camino usciva copioso il fumo, entrammo e mio padre disse all’anziana zia: - Zia Maria, appena lo ha pronto, dia al bambino un poco di addimuru.  Baciò la zia e si fermò sull’uscio. La zia Maria stava mandando avanti il forno, aveva finito di imboccarlo con dei sarmenti, si pulì le mani col suo grembiule, prese una sedia e mi fece sedere a distanza, in modo che potessi vedere la legna che bruciava dentro, si avvicinò a mio padre e si dissero qualcosa che non capii. Andato via mio padre, lei ritornò a rompere sarmenti e ad infilarli nel forno. Lo spettacolo fu molto bello, le fiamme sembravano tante braccia che salivano fino a raggiungere la cupola e parevano accarezzarla e lo scoppiettio costante si trasformava in una musica. Per un po’ dimenticai perché mi trovassi in quella casa, in compagnia della vecchia zia che alimentava un fuoco con costanza ed ogni tanto alzava una coperta distesa su un tavolo e bussava nelle forme di pane pronte per essere infornate, ne ascoltava il suono e continuava a spezzare sarmenti. Preso un coltello, tagliò un pezzetto di una forma, lo pose in un angolo del tavolo, lo schiacciò e mi disse: - Ti preparo una focaccia, poi la mangi appena è cotta. Con una pala di legno spostò un po’ di brace nel forno e vi collocò quell’impasto schiacciato, attese un pochino, la girò con l’aiuto della pala e con la stessa la tirò fuori dicendomi: - Appena si raffredda un po’ la puoi pigliare. Mi convinsi che quel pezzo di pasta infornata fosse l’addimuru e, per la fretta di portarla a mia madre, avvicinai timidamente un dito ed ebbi la sensazione che non si raffreddava mai. L’anziana zia cominciò a tirare la brace dal forno, poi scopò la base con una vecchia ramazza di saggina infilata in un manico di canna e corse a scoprire le forme di pane sul tavolo, le sistemò una alla volta sulla pala e le depose in forno. L’operazione mi incuriosì fino a veder chiudere il forno, poi cominciai a chiedermi perché mio padre non tornasse a riprendermi, allungai la mano sulla focaccia che credevo fosse l’addimuru, la presi e mi approcciai alla porta. La zia Maria mi fermò, mi prese per mano e mi riaccompagnò alla sedia: - Siedi, ora che ho finito di infornare il pane ti cerco l’addimuru. Avevo sbagliato tutto! Quella focaccia era cosa ben diversa, e la zia pigliandomela dalle mani mi disse: - Ora te la condisco questa focaccia, siedi così nel mentre ci metto l’olio e un pizzico di sale, poi la mangi e quando finisci cerchiamo assieme l’addimuru. Ho avuto un nodo alla gola e mi è venuta voglia della mia mamma, singhiozzando le dissi: - Non la voglio la focaccia, voglio la cosa che deve darmi perché mia madre sta male, voglio l’addimuru! Zia Maria s’è messa a ridere e, convincendomi a risedermi ripeteva: - Ci vuole pazienza, mangia la focaccia che fra poco viene lo Zio Nino, mio marito e ti porta l’addimuru. Lo zio Nino era un vecchietto buono che passava tutti i giorni da casa mia, si fermava un po’, tirava dalla tasca sempre una caramella carruba e me la dava bella e senza carta, poi salutava ed andava a casa sua, sedeva sull’uscio ed intrecciava i vimini per fare i panieri. Giorni prima lo zio Nino mi aveva regalato un panierino colmo di fichi secchi, castagne e noci ed un altro vuoto dicendomi: -Tieni, quello pieno è per te, quello vuoto poi, se ti nasce una sorellina o un fratellino glielo regali. Tutti mi avevano detto che doveva nascere un fratellino o una sorellina, da così troppo tempo che mi ero stancato di guardare il cielo aspettando che una cicogna si posasse sul terrazzo con un bimbo trattenuto dal suo lungo becco. La zia Maria cominciò a sfornare il pane, erano tanti pani rotondi da riempire un grande cesto, l’ultimo più piccolo non era rotondo ma aveva la forma di un pupazzetto con testa, braccia e gambe. La zia lo strusciò con una salvietta per togliere qualche residuo di cenere e me lo porse: - Questo è tuo, tieni, quando te ne andrai lo porterai al fratellino o alla sorellina. Io non avevo né l’uno né l’altra e decisi di portarlo alla mia mamma, si, però, l’addimuru? Entrò lo zio Nino, si avvicinò alla moglie e con gli occhi pieni di gioia le disse: Marì, Santina ha partorito una femminuccia. Sua moglie prese un tovagliolo, avvolse il pupazzetto di pane, me lo diede: - Ora con lo zio ti riportiamo dalla mamma, passando ha lasciato l’addimuru a casa tua. Mi sentii sollevato, provai una gioia immensa, corsi dallo zio e abbracciai le sue ginocchia. Sua moglie si tolse il grembiule, ricoperse il cesto del pane appena sfornato con una coperta di lana, mi prese per mano assieme al marito e mi ricondusse a casa mia. Quanto tempo era passato? Era già buio e da un bel po’. A casa tutte le lampade erano accese, donna Nunzia non c’èra più e nemmeno il suo borsone di cuoio con tre cerniere. Sia nonna che mio padre mi misero in braccio e mi accompagnarono accanto al letto di mia madre che non era più pallida, era guarita, ed ho visto mia sorella piccolissima che dormiva accanto a mia madre, nello stesso posto dove piccolino avevo dormito anch’io. Peccato, pensai, mi sono distratto solo il tempo che sono stato dalla zia Maria ed ho perso di vedere posare sul terrazzo di casa la cicogna con la sorellina. Io avevo un altro compito, più importante, ero andato a cercare l’addimuru!


Spero di essere riuscito nell'intento. Grazie.

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