L'effetto placebo? Un miracolo!
Ottima lettura!
Mario Scamardo
I RACCONTI DEL BORGO
LE PILLOLE MIRACOLOSE!!!
Quando Giovannino venne alla luce, sua
madre, la signora Provvidenza era per fare i preparativi per il santo Natale.
Aiutata dalle vicine di casa, aveva tritato i fichi secchi, sgusciato mandorle
e noci, tagliuzzato della frutta candita e una grossa barra di cioccolato
fondente, aveva impastato il tutto amalgamandolo con del miele e lo aveva
deposto in una terrina a riposare, pronto per farcire i buccellati, degli
strudel con forme particolari, a palmetta, a farfallina, a cavalluccio, tutte
con gli orli tagliuzzati , quasi un ricamo, per poi cuocerli al forno e
decorarli con una velata di zucchero e tanti codini colorati. Non ebbe il tempo
la signora Provvidenza, con un filo di voce avvertì la vicina di casa che d’un tratto era entrata in
travaglio, pronta per partorire.
Era metà dicembre, Giovannino era arrivato pasciuto e affamato e, mentre il
mattino seguente l’ostetrica
andava via dopo averla controllata, le vicine di casa si diedero un gran da
fare, impastarono la farina, aggiunsero lo zucchero, un pizzico di sale, della
sugna, della vanillina e terminato l’impasto si misero ad allestire i buccellati, prima che fu sera erano
già
sfornati e decorati, sistemati in due canestri e ricoperti con un telo di
cotone. Il papà di
Giovannino si era adoperato a far da balia a Filippo, il primogenito. Quando
qualcuno, la vigilia del Natale chiese se avessero registrato il bambino all’anagrafe, tutti si guardarono
in faccia e nessuno ebbe una risposta, solo la signora Provvidenza, si fece
coraggio e disse:
Buccellati
-
Siamo alla vigilia, fino all’Epifania
non ci sarà
nessuno in comune, meglio così,
meglio registrarlo con l’anno
nuovo, almeno farà il
soldato con un anno di ritardo, così gli rubiamo un anno al governo!
Nessuno
fiatò,
anzi qualcuno assentì col
capo ed il padre disse soltanto:
-
Giusto, anzi, giustissimo! Giusto dice mia moglie, tanto il governo ci ruba le
tasse, ci impone i dazi sui prodotti agricoli, ci ruba i soldi con la tassa sul
macinato e noi?... Gli rubiamo un anno, così abbiamo pareggiato i conti! Dopo l’Epifania lo registriamo!
Il
sette gennaio del 1898 il papà di
Giovannino, dopo aver dato da mangiare al mulo e alla capra, si cambiò d’abito e si recò al comune a registrare il
figlio.
Il
bambino crebbe pasciuto e già a
cinque anni sembrava che ne avesse il doppio. Come il fratello andò a scuola, e come il fratello
ultimata la seconda elementare, dopo avere imparato appena a leggere, sommare e
sottrarre, il padre lo portò con
se in campagna. Quando qualcuno gli chiedeva perché lo avesse tolto da scuola,
il genitore rispondeva:
- L’importante è che sulla tessera, quando la
farà, non
gli scrivano “analfabeta”, di quello mi vergognerei,
ma lui sa firmare, sa scrivere, sa leggere e sa contare, io tutta questa
fortuna non l’ho
avuta, ho imparato a fare la croce al posto della firma, e mia madre,
buonanima, per farmi fare le croci diritte, ha faticato un bel po’.
La mamma ed il papà di Giovannino non erano
veggenti, né
indovini, ne chiromanti, ma l’avere
rubato un anno al governo funzionò alla perfezione, quando il ragazzo ricevette la cartolina precetto
era gennaio del 1918, la guerra era appena finita e suo padre, a dorso di mulo,
lo accompagnò alla
stazione ferroviaria. Un treno lo avrebbe portato in cinque giorni da Palermo a
Cuneo.
Le rovine della guerra impressionarono
Giovannino, ma non finì mai
di benedire i suoi genitori per quell’idea geniale di averlo registrato all’anagrafe venti giorni dopo la sua nascita. Sotto le armi conobbe tanti
commilitoni venuti da ogni parte d’Italia, sentì
parlare delle fabbriche del nord, delle grandi città, ebbe modo di rendersi conto
che anche gli agricoltori erano un po’ più
emancipati. Vide le prime trebbiatrici, i primi trattori, ma anche le prime
fanciulle che aspettavano davanti le casermette il loro moroso, un altro mondo!
I diciotto mesi passarono, e con il grado di caporalmaggiore Giovannino scese
alla stazione centrale di Palermo, si sciacquò il viso in una fontanella, sortì fuori nella piazza, si girò attorno per orizzontarsi e cominciò la sua marcia verso casa. Trenta chilometri a piedi per una strada
sterrata, un vecchio tracciato, una via consolare, la vecchia via Valeria, con
qualche sosta per i bisogni corporali e per fumarsi una sigaretta di trinciato
che confezionava da se. Dieci ore di marcia forzata, ma il ragazzo era una
roccia, e quando bussò alla
porta di casa sua, trovò il
padre ed il fratello che stavano uscendo per andarsene in campagna, mentre l’aurora squarciava il buio
della notte. Un abbraccio, un pianto dei genitori, poi una lunga dormita ed al
risveglio le visite interminabili dei vicini che chiedevano su tutto, sul
viaggio, sul treno, sulla città che
l’aveva ospitato, sulle
fabbriche, sulla lingua. Dopo due giorni il padre lo avvertì che bisognava cominciare a
mietere il grano, trasportarlo nell’aia, batterlo, spagliarlo, vagliarlo e poi riportare a casa le paglie
per il mulo e la capra. Giovannino era un lavoratore, riprese la sua attività tra seminare granaglie e
coltivare viti.
Si sposò prima Filippo, il fratello maggiore, poi, quattro anni appresso venne
il suo turno e Giovannino mise su casa, divenne papà di una bambina, ma passarono
a miglior vita i suoi genitori. Non ebbe altri figli Giovannino, si specializzò nella viticoltura, motorizzò la sua piccola azienda e
siccome l’agricoltura
era in un periodo florido, allargò le superfici vitate, trasformandosi in imprenditore, perché doveva usufruire dell’opera di qualche bracciante.
Anche
il suo mulo diventò
vecchio, ma Giovannino se ne accorse solo quando gli caricò sul basto quattro sacchi di
grano ed il mulo fece meno di cinquanta metri e si fermò ansimando, allora scaricò due sacchi, ma il mulo si
rifermò dopo
un percorso uguale, l’uomo
capì,
dopo essersi fatto i conti, che per contare gli anni della bestia non bastavano
le dita delle mani ma occorrevano tutte le dita dei piedi. Due giorni dopo la
povera bestia fu prelevata da un sensale che lo portò via ma lo rincalzò con un giovane mulo di
cinque anni dal manto merlino.
A sessant’anni Giovannino ebbe la soddisfazione di vedere sposare la sua unica
figlia, e volle che quel matrimonio fosse fastoso, il genero era figlio di un
suo amico e lui fu contento di questo, e quando venne meno il suocero della
figlia, il genero si trasformò nel
figlio maschio che aveva tanto desiderato e non avuto.
Passò appena un anno e qualche mese e Giovannino diventò nonno del primo nipotino,
per lui fu l’apoteosi,
finalmente poteva trasmettere il suo sapere e da quell’uomo di poche parole che era,
diventò
loquace e, quando il bambino cominciò a dire le prime parole, il suo orario di lavoro si ridusse, non più fino al tramontar del sole
ma ad ora di pranzo rincasava, una doccia veloce e di corsa a casa della figlia
a riprendere col bambino il discorso lasciato il giorno prima, eccezione fatta
per il periodo di coltivazioni delle viti e per la vendemmia.
Giovannino non aveva hobbyes, non giocava
a carte, non pigliava il caffè, non
beveva pur essendo vitivinicoltore, non era smodato nel cibo, non andava mai a
letto tardi, spesso sua moglie rimaneva a guardare la televisione, ma egli,
appena finito il telegiornale di prima serata, accendeva l’ultima sigaretta e all’ultima boccata si preparava
per andare a letto. Fumare, quello si, era il suo vizio, fumava continuamente e
sua moglie mal sopportava quell’odore
di tabacco per casa, anche perché le sigarette se le confezionava da se. Tirava dalla tasca della
giacca il pacchetto di “trinciato
forte”, la
cartina, la poneva tra il pollice ed il medio, tirava la giusta quantità di tabacco dal pacchetto
coll’indice, con destrezza da prestidigitatore trasferiva
il pacchetto tra l’anulare
ed il mignolo, poi arrotolava cartina e tabacco dandole la forma dovuta, leccava un lembo della cartina e la incollava,
tutto questo con una sola mano e con una sveltezza da far invidia anche alle
macchinette della “Manifattura
Tabacchi”. Riposto
in tasca il trinciato e le cartine, solo allora usava l’altra mano, la sinistra, che
gli serviva a prendere la scatola degli zolfanelli per accendere la sigaretta. Non
sentiva ragioni Giovannino, non le voleva confezionate, ancora meno col filtro,
li definiva “pagghia”, paglia, senza gusto!
Non
era indenne né dalla
tosse né dal
catarro, e col tempo anche il suo fiato cominciò a diventare corto e, siccome lavorava alla pari di un giovane, e il
suo mulo tirava l’aratro
in maniera spedita, Giovannino cominciò a far le scale di casa, appena quindici gradini, fermandosi due o tre
volte, ed anche al mattino, la sveglia che aveva nella sua testa, cominciò a perdere qualche colpo, ma
lui trovò
sempre una giustificazione per continuare a fumare. Un suo amico ex
commilitone, barbiere, mastro Ignazio, si era ridotto pelle e ossa, perché la sua tiroide funzionava
male, un giorno subì un intervento
e guarì,
diventando in tre mesi più
arzillo di prima. Giovannino si convinse che anche la sua tiroide era diventata
poco funzionale, allora bisognava operarsi.
Il dottore Andrea, un giovane geriatra,
era suo nipote, e solo da lui si sarebbe fatto visitare, non aveva mai varcato
la soglia di un ambulatorio, l’unico
ospedale che conobbe fu quello militare quando passò la visita di leva. Il
genero, amico del geriatra lo andò trovare e gli raccontò degli acciacchi del suocero,
il medico che lo conosceva bene, concordò col genero che quando lo avrebbe visitato, lo avrebbe allarmato al
punto da farlo decidere se continuare a fumare o morire.
Il giorno convenuto, Giovannino, la
moglie, la figlia e il genero si misero in macchina alla volta di Palermo. Giunti
in ospedale, furono ricevuti dal geriatra che visitò l’anziano agricoltore:
- Zio
Giovanni, la cosa è
grave!
Giovannino
diventò
serio:
- Grave?...
Il
medico storse il muso un paio di volte:
-
Grave, zio Giovanni!... Tu da quando fumi?
- Da
quando sono andato militare, più di
quarant’anni.
-
Male!... Molto male!... I tuoi polmoni non hanno quasi più elasticità!
Si
alzò il
medico, lo strinse a se, fecero tre passi assieme e si fermò, poi in maniera grave:
- Sai
che ti resta poco da vivere!... Sei mesi… forse dieci…
Se non
smetti subito quello è il
massimo!
Giovannino
divenne serio, quasi cereo:
- … e se cambio sigaretta, se le
fumo col filtro?
- No!
Allora non vuoi capire, i tuoi polmoni non possono più sopportare il fumo!... Ascoltami,
tu vuoi goderti la famiglia, tua figlia, il tuo nipotino?... Pensa che guida
perderebbe questo bambino, e quale dolore gli daresti!
Giovannino
chinò il
capo, stette due minuti in silenzio, gli luccicarono gli occhi, poi:
- Ma
che rimedio c’è, si
può fare
qualcosa?
-
Certo che c’è
rimedio, basta smettere di fumare, un paio di mesi di riposo, mangiare ad
orario e, il pericolo sarà
scongiurato!
Giovannino,
come un eroe risorgimentale, compì la sua grande opera, infilò tutte e due le mani nelle tasche della giacca, tirò fuori tabacco, cartine e
zolfanelli, si girò
verso la scrivania del medico, cercò il cestino dei rifiuti e vi buttò dentro il suo piccolo tesoro.
-
Dimmi Andrea, bisogna che io pigli qualche medicina, anche perché penso che bisogna tener
conto della mia tiroide.
La
sua ghiandola funzionava benissimo, ma il medico pur di ottenere il risultato
gli disse:
- Per
quella basta poco, ti prescrivo dei discoidi, ne piglierai una prima della
colazione ed una dopo la cena per trenta giorni, vedrai, fra un mese ci
rivedremo e tu sarai ritornato saltellante come un grillo.
Giovannino
salutò il
nipote medico, rincuorato ed uscì per mettersi subito in macchina. Il genero prima di uscire chiese al
medico se i discoidi da comprare fossero dei ricostituenti, il medico sorrise:
- Non
potevo non dargli delle pillole per la sua tiroide che è sanissima, sono dei discoidi
di talco stearato e zucchero, solo degli zuccherini, effetto placebo!
Tutti
in macchina, ed alla prima farmacia il genero si fermo e comprò quattro flaconi della
specialità
medicinale, quindici per ogni flacone, totale sessanta, due al giorno per un
mese. Strada facendo il bambino chiese dell’acqua, ma entrato al bar con papà e mamma, volle comprate due scatoline di bottoncini di cioccolata che
aperte con poca destrezza, la nonna fece fatica ad avvolgerli in un
fazzolettino. Giunti a casa, la nonna si liberò dei bottoncini di cioccolata e li pose in una tazza da tè dentro una vetrinetta.
Il mattino seguente Giovannino prima della
colazione cercò i
discoidi, notando i bottoncini di cioccolato, pensò che la moglie glieli avesse
per comodità
messi nella tazza, quindi con regolarità ingoiò per
un mese un bottoncino di cioccolata a colazione ed uno dopo cena, mai si accorse
che erano colorati in giallo in rosso, in verde, anzi, pensò che la diversità di colore, servisse a
ricordare di più e,
quando usciva per farsi una passeggiata, la moglie o la figlia aggiungevano nella
tazza altri bottoncini. Il genero informò il medico dei bottoncini e dello star meglio del suocero.
Messo a riposo l’anziano agricoltore, non
fumando più, gli
venne fame e riprese i suoi chili e qualcuno in più, non ebbe più il fiato corto e rifece le
scale senza fermarsi, e qualche volta col bambino in braccio; il pericolo era
scampato!
Dopo trenta giorni esatti, Giovannino
accompagnato dal genero varcò saltellante lo studio del geriatra che lo
vide pasciuto ed arzillo come ai vecchi tempi.
-
Come va, zio Giovanni?
-
Benissimo!... Sono venuto a ringraziarti, mi sento davvero ringiovanito, un
leone!
Il
medico sorrise, gli pose una mano sulla spalla:
-
Dimmi, e la tiroide ti ha dato più fastidi?
-
Caro mio dottore, tu sei un genio, sto meglio di mastro Ignazio il barbiere, lo
sfiderei a correre per le campagne, quelle pillole?... Miracolose!... davvero
miracolose!
Il
medico lo abbracciò e dolcemente,
prendendolo sottobraccio, lo accompagnò fino alla macchina.
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Una storia dove si respira tutta la semplicità e bellezza della Sicilia e dei tempi in cui il lavoro e la famiglia erano i maggiori valori. Molto bella
RispondiEliminaVenuto al momento giusto....devo smettere di fumare.GRAZIE
RispondiEliminaUna storia di famiglia semplice,genuina,sana,di
RispondiEliminaun rigore morale che sa guardare,con ottimismo e speranza, attraverso le pieghe della vita contadina.Salvo Galiano