giovedì 2 maggio 2013

LE PILLOLE MIRACOLOSE !!! - (Racconto)













L'effetto placebo? Un miracolo!

Ottima lettura!



Mario Scamardo

I RACCONTI DEL BORGO




LE PILLOLE MIRACOLOSE!!!


     Quando Giovannino venne alla luce, sua madre, la signora Provvidenza era per fare i preparativi per il santo Natale. Aiutata dalle vicine di casa, aveva tritato i fichi secchi, sgusciato mandorle e noci, tagliuzzato della frutta candita e una grossa barra di cioccolato fondente, aveva impastato il tutto amalgamandolo con del miele e lo aveva deposto in una terrina a riposare, pronto per farcire i buccellati, degli strudel con forme particolari, a palmetta, a farfallina, a cavalluccio, tutte con gli orli tagliuzzati , quasi un ricamo, per poi cuocerli al forno e decorarli con una velata di zucchero e tanti codini colorati. Non ebbe il tempo la signora Provvidenza, con un filo di voce avvertì la vicina di casa che dun tratto era entrata in travaglio, pronta per partorire.

Buccellati


 Era metà dicembre, Giovannino era arrivato pasciuto e affamato e, mentre il mattino seguente lostetrica andava via dopo averla controllata, le vicine di casa si diedero un gran da fare, impastarono la farina, aggiunsero lo zucchero, un pizzico di sale, della sugna, della vanillina e terminato limpasto si misero ad allestire i buccellati, prima che fu sera erano già sfornati e decorati, sistemati in due canestri e ricoperti con un telo di cotone. Il papà di Giovannino si era adoperato a far da balia a Filippo, il primogenito. Quando qualcuno, la vigilia del Natale chiese se avessero registrato il bambino allanagrafe, tutti si guardarono in faccia e nessuno ebbe una risposta, solo la signora Provvidenza, si fece coraggio e disse:

- Siamo alla vigilia, fino allEpifania non ci sarà nessuno in comune, meglio così, meglio registrarlo con lanno nuovo, almeno farà il soldato con un anno di ritardo, così gli rubiamo un anno al governo!

Nessuno fiatò, anzi qualcuno assentì col capo ed il padre disse soltanto:

- Giusto, anzi, giustissimo! Giusto dice mia moglie, tanto il governo ci ruba le tasse, ci impone i dazi sui prodotti agricoli, ci ruba i soldi con la tassa sul macinato e noi?... Gli rubiamo un anno, così abbiamo pareggiato i conti! Dopo lEpifania lo registriamo!

Il sette gennaio del 1898 il papà di Giovannino, dopo aver dato da mangiare al mulo e alla capra, si cambiò dabito e si recò al comune a registrare il figlio.



Il bambino crebbe pasciuto e già a cinque anni sembrava che ne avesse il doppio. Come il fratello andò a scuola, e come il fratello ultimata la seconda elementare, dopo avere imparato appena a leggere, sommare e sottrarre, il padre lo portò con se in campagna. Quando qualcuno gli chiedeva perché lo avesse tolto da scuola, il genitore rispondeva:

- Limportante è che sulla tessera, quando la farà, non gli scrivano analfabeta, di quello mi vergognerei, ma lui sa firmare, sa scrivere, sa leggere e sa contare, io tutta questa fortuna non lho avuta, ho imparato a fare la croce al posto della firma, e mia madre, buonanima, per farmi fare le croci diritte, ha faticato un bel po.

     La mamma ed il papà di Giovannino non erano veggenti, né indovini, ne chiromanti, ma lavere rubato un anno al governo funzionò alla perfezione, quando il ragazzo ricevette la cartolina precetto era gennaio del 1918, la guerra era appena finita e suo padre, a dorso di mulo, lo accompagnò alla stazione ferroviaria. Un treno lo avrebbe portato in cinque giorni da Palermo a Cuneo.



     Le rovine della guerra impressionarono Giovannino, ma non finì mai di benedire i suoi genitori per quellidea geniale di averlo registrato allanagrafe venti giorni dopo la sua nascita. Sotto le armi conobbe tanti commilitoni venuti da ogni parte dItalia, sentì parlare delle fabbriche del nord, delle grandi città, ebbe modo di rendersi conto che anche gli agricoltori erano un po più emancipati. Vide le prime trebbiatrici, i primi trattori, ma anche le prime fanciulle che aspettavano davanti le casermette il loro moroso, un altro mondo! I diciotto mesi passarono, e con il grado di caporalmaggiore Giovannino scese alla stazione centrale di Palermo, si sciacquò il viso in una fontanella, sortì fuori nella piazza, si girò attorno per orizzontarsi e cominciò la sua marcia verso casa. Trenta chilometri a piedi per una strada sterrata, un vecchio tracciato, una via consolare, la vecchia via Valeria, con qualche sosta per i bisogni corporali e per fumarsi una sigaretta di trinciato che confezionava da se. Dieci ore di marcia forzata, ma il ragazzo era una roccia, e quando bussò alla porta di casa sua, trovò il padre ed il fratello che stavano uscendo per andarsene in campagna, mentre laurora squarciava il buio della notte. Un abbraccio, un pianto dei genitori, poi una lunga dormita ed al risveglio le visite interminabili dei vicini che chiedevano su tutto, sul viaggio, sul treno, sulla città che laveva ospitato, sulle fabbriche, sulla lingua. Dopo due giorni il padre lo avvertì che bisognava cominciare a mietere il grano, trasportarlo nellaia, batterlo, spagliarlo, vagliarlo e poi riportare a casa le paglie per il mulo e la capra. Giovannino era un lavoratore, riprese la sua attività tra seminare granaglie e coltivare viti.

     Si sposò prima Filippo, il fratello maggiore, poi, quattro anni appresso venne il suo turno e Giovannino mise su casa, divenne papà di una bambina, ma passarono a miglior vita i suoi genitori. Non ebbe altri figli Giovannino, si specializzò nella viticoltura, motorizzò la sua piccola azienda e siccome lagricoltura era in un periodo florido, allargò le superfici vitate, trasformandosi in imprenditore, perché doveva usufruire dellopera di qualche bracciante.

Anche il suo mulo diventò vecchio, ma Giovannino se ne accorse solo quando gli caricò sul basto quattro sacchi di grano ed il mulo fece meno di cinquanta metri e si fermò ansimando, allora scaricò due sacchi, ma il mulo si rifermò dopo un percorso uguale, luomo capì, dopo essersi fatto i conti, che per contare gli anni della bestia non bastavano le dita delle mani ma occorrevano tutte le dita dei piedi. Due giorni dopo la povera bestia fu prelevata da un sensale che lo portò via ma lo rincalzò con un giovane mulo di cinque anni dal manto merlino.

     A sessantanni Giovannino ebbe la soddisfazione di vedere sposare la sua unica figlia, e volle che quel matrimonio fosse fastoso, il genero era figlio di un suo amico e lui fu contento di questo, e quando venne meno il suocero della figlia, il genero si trasformò nel figlio maschio che aveva tanto desiderato e non avuto.

     Passò appena un anno e qualche mese e Giovannino diventò nonno del primo nipotino, per lui fu lapoteosi, finalmente poteva trasmettere il suo sapere e da quelluomo di poche parole che era, diventò loquace e, quando il bambino cominciò a dire le prime parole, il suo orario di lavoro si ridusse, non più fino al tramontar del sole ma ad ora di pranzo rincasava, una doccia veloce e di corsa a casa della figlia a riprendere col bambino il discorso lasciato il giorno prima, eccezione fatta per il periodo di coltivazioni delle viti e per la vendemmia.




     Giovannino non aveva hobbyes, non giocava a carte, non pigliava il caffè, non beveva pur essendo vitivinicoltore, non era smodato nel cibo, non andava mai a letto tardi, spesso sua moglie rimaneva a guardare la televisione, ma egli, appena finito il telegiornale di prima serata, accendeva lultima sigaretta e allultima boccata si preparava per andare a letto. Fumare, quello si, era il suo vizio, fumava continuamente e sua moglie mal sopportava quellodore di tabacco per casa, anche perché le sigarette se le confezionava da se. Tirava dalla tasca della giacca il pacchetto di trinciato forte, la cartina, la poneva tra il pollice ed il medio, tirava la giusta quantità di tabacco dal pacchetto collindice,  con destrezza da prestidigitatore trasferiva il pacchetto tra lanulare ed il mignolo, poi arrotolava cartina e tabacco dandole la forma dovuta,  leccava un lembo della cartina e la incollava, tutto questo con una sola mano e con una sveltezza da far invidia anche alle macchinette della Manifattura Tabacchi. Riposto in tasca il trinciato e le cartine, solo allora usava laltra mano, la sinistra, che gli serviva a prendere la scatola degli zolfanelli per accendere la sigaretta. Non sentiva ragioni Giovannino, non le voleva confezionate, ancora meno col filtro, li definiva pagghia, paglia, senza gusto!

Non era indenne né dalla tosse né dal catarro, e col tempo anche il suo fiato cominciò a diventare corto e, siccome lavorava alla pari di un giovane, e il suo mulo tirava laratro in maniera spedita, Giovannino cominciò a far le scale di casa, appena quindici gradini, fermandosi due o tre volte, ed anche al mattino, la sveglia che aveva nella sua testa, cominciò a perdere qualche colpo, ma lui trovò sempre una giustificazione per continuare a fumare. Un suo amico ex commilitone, barbiere, mastro Ignazio, si era ridotto pelle e ossa, perché la sua tiroide funzionava male, un giorno subì un intervento e guarì, diventando in tre mesi più arzillo di prima. Giovannino si convinse che anche la sua tiroide era diventata poco funzionale, allora bisognava operarsi.





     Il dottore Andrea, un giovane geriatra, era suo nipote, e solo da lui si sarebbe fatto visitare, non aveva mai varcato la soglia di un ambulatorio, lunico ospedale che conobbe fu quello militare quando passò la visita di leva. Il genero, amico del geriatra lo andò  trovare e gli raccontò degli acciacchi del suocero, il medico che lo conosceva bene, concordò col genero che quando lo avrebbe visitato, lo avrebbe allarmato al punto da farlo decidere se continuare a fumare o morire.

     Il giorno convenuto, Giovannino, la moglie, la figlia e il genero si misero in macchina alla volta di Palermo. Giunti in ospedale, furono ricevuti dal geriatra che visitò lanziano agricoltore:

- Zio Giovanni, la cosa è grave!

Giovannino diventò serio:

- Grave?...

Il medico storse il muso un paio di volte:

- Grave, zio Giovanni!... Tu da quando fumi?

- Da quando sono andato militare, più di quarantanni.

- Male!... Molto male!... I tuoi polmoni non hanno quasi più elasticità!

Si alzò il medico, lo strinse a se, fecero tre passi assieme e si fermò, poi in maniera grave:

- Sai che ti resta poco da vivere!... Sei mesi forse dieci

Se non smetti subito quello è il massimo!

Giovannino divenne serio, quasi cereo:

- e se cambio sigaretta, se le fumo col filtro?

- No! Allora non vuoi capire, i tuoi polmoni non possono più sopportare il fumo!... Ascoltami, tu vuoi goderti la famiglia, tua figlia, il tuo nipotino?... Pensa che guida perderebbe questo bambino, e quale dolore gli daresti!

Giovannino chinò il capo, stette due minuti in silenzio, gli luccicarono gli occhi, poi:

- Ma che rimedio c’è, si può fare qualcosa?

- Certo che c’è rimedio, basta smettere di fumare, un paio di mesi di riposo, mangiare ad orario e, il pericolo sarà scongiurato!

Giovannino, come un eroe risorgimentale, compì la sua grande opera, infilò tutte e due le mani nelle tasche della giacca, tirò fuori tabacco, cartine e zolfanelli, si girò verso la scrivania del medico, cercò il cestino dei rifiuti e vi buttò dentro il suo piccolo tesoro.

- Dimmi Andrea, bisogna che io pigli qualche medicina, anche perché penso che bisogna tener conto della mia tiroide.

La sua ghiandola funzionava benissimo, ma il medico pur di ottenere il risultato gli disse:

- Per quella basta poco, ti prescrivo dei discoidi, ne piglierai una prima della colazione ed una dopo la cena per trenta giorni, vedrai, fra un mese ci rivedremo e tu sarai ritornato saltellante come un grillo.



Giovannino salutò il nipote medico, rincuorato ed uscì per mettersi subito in macchina. Il genero prima di uscire chiese al medico se i discoidi da comprare fossero dei ricostituenti, il medico sorrise:

- Non potevo non dargli delle pillole per la sua tiroide che è sanissima, sono dei discoidi di talco stearato e zucchero, solo degli zuccherini, effetto placebo!

Tutti in macchina, ed alla prima farmacia il genero si fermo e comprò quattro flaconi della specialità medicinale, quindici per ogni flacone, totale sessanta, due al giorno per un mese. Strada facendo il bambino chiese dellacqua, ma entrato al bar con papà e mamma, volle comprate due scatoline di bottoncini di cioccolata che aperte con poca destrezza, la nonna fece fatica ad avvolgerli in un fazzolettino. Giunti a casa, la nonna si liberò dei bottoncini di cioccolata e li pose in una tazza da tè dentro una vetrinetta.



   Il mattino seguente Giovannino prima della colazione cercò i discoidi, notando i bottoncini di cioccolato, pensò che la moglie glieli avesse per comodità messi nella tazza, quindi con regolarità ingoiò per un mese un bottoncino di cioccolata a colazione ed uno dopo cena, mai si accorse che erano colorati in giallo in rosso, in verde, anzi, pensò che la diversità di colore, servisse a ricordare di più e, quando usciva per farsi una passeggiata, la moglie o la figlia aggiungevano nella tazza altri bottoncini. Il genero informò il medico dei bottoncini e dello star meglio del suocero.

     Messo a riposo lanziano agricoltore, non fumando più, gli venne fame e riprese i suoi chili e qualcuno in più, non ebbe più il fiato corto e rifece le scale senza fermarsi, e qualche volta col bambino in braccio; il pericolo era scampato!

     Dopo trenta giorni esatti, Giovannino accompagnato dal genero varcò  saltellante lo studio del geriatra che lo vide pasciuto ed arzillo come ai vecchi tempi.

- Come va, zio Giovanni?

- Benissimo!... Sono venuto a ringraziarti, mi sento davvero ringiovanito, un leone!

Il medico sorrise, gli pose una mano sulla spalla:

- Dimmi, e la tiroide ti ha dato più fastidi?

- Caro mio dottore, tu sei un genio, sto meglio di mastro Ignazio il barbiere, lo sfiderei a correre per le campagne, quelle pillole?... Miracolose!... davvero miracolose!

Il medico lo abbracciò e dolcemente, prendendolo sottobraccio, lo accompagnò fino alla macchina.



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3 commenti:

  1. Una storia dove si respira tutta la semplicità e bellezza della Sicilia e dei tempi in cui il lavoro e la famiglia erano i maggiori valori. Molto bella

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  2. Venuto al momento giusto....devo smettere di fumare.GRAZIE

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  3. Una storia di famiglia semplice,genuina,sana,di
    un rigore morale che sa guardare,con ottimismo e speranza, attraverso le pieghe della vita contadina.Salvo Galiano

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