Il palcoscenico, l'ambiente per la rappresentazione dell'azione. Esso può essere in teatro, piccolo o grande che sia, può essere la pista di un circo, un'arena, la strada.
Quando cercavo di coinvolgere qualcuno a far parte della filodrammatica che, con impegno e tanta pazienza, assieme ad alcuni amici avevo tiratu su, mi sentivo rispondere: Io non ho mai recitato, non ne son capace! Era la risposta più sincera, in quanto non aveva mai calcato un palcoscenico in teatro, ma la più bugiarda, perchè la strada è il più grande dei palcoscenici.
Tutto contribuisce a fare spettacolo, il copione, l'attore, il comprimario, la comparsa, le luci, la scenografia, le musiche, il pubblico e sinanco la maschera che ci accompagna alla nostra poltrona.
IL CIRCO
Spalti gremiti di vecchi e piccini,
occhi puntati su clowns e artisti
giraffe, cammelli e grandi felini,
costumi, trapezi e aggraziati gesti.
E' il circo, fantasia dei bambini,
il mondo beato dei sogni onesti,
bellissime donne, smaglianti lustrini,
l'illusione imperante del vivere i fasti.
Lavoro e fatica per tanti attrezzisti,
amor sconfinato per foche e leoncini,
giornate di prove per fiati e coristi.
Sceman le luci tra funamboli mesti
e ritorna il venditor di palloncini
sulla pista buia, con i suoi occhi tristi.
IL GUITTO
Vecchio guitto che calcavi le scene
e divertivi platee gremite,
là, sul palco, scordavi le pene
che dalla tua arte venivan lenite.
Dietro le quinte le belle sirene
ci danno coi canti le più belle vite
ma tu ti legavi a mille catene
e rinunciavi a gabbie dorate.
Per te non c'è stato mecenate
sei stato trattato come un cane,
nel tempo soltanto speranze svanite.
L'arte sovrana percorre le vene,
tutte le parti le hai sempre onorate
ed hai recitato per un pezzo di pane.
Per introdurre la poesia in lingua Siciliana, mi servirò di un brano tratto dal mio libro " L'ORRENDO FASCINO DELLE MUTAZIONI ".
[... Un venditore di gelati si dava un gran da fare davanti al suo triciclo bardato con festoni e bandierine di mille colori, il vento caldo muoveva le girandole variopinte come farfalle ed il loro rumore sembrava scandisse il tempo della ballata popolare che cantava. Un pezzo di folklore siciliano era in quel cantuccio, e una parte di esso era dipinta nel cassone del triciclo, pitturato a mano come i carretti, ritraeva scene dal “Trabazio”, dai “Paladini di Francia”, dal “Rinaldo”, dal “Rinaldino”, opere epiche e cavalleresche messe in scena dai pupari dell’isola. Rosetta, figlia di un siciliano verace, si incantò davanti a quel capolavoro d’arte e le tornarono alla mente i ricordi di fanciulla, quando suo nonno la portò ad assistere allo spettacolo dell’opera dei pupi in una stradina del centro storico, dentro un teatrino allestito per pochissime persone. Rivolgendosi a Mario disse: - sai che i vostri pupi siciliani mi affascinano, mi piacerebbe rivedere un teatrino allestito alla maniera tradizionale, ne ho un vago ricordo da bambina. – Mario dando fondo a tutto il suo sicilianismo disse: - il linguaggio dei pupari diventato “cultura”, ha consentito che le parole, la forma ed il costrutto sono entrati nella lingua letteraria italiana dalla tradizione e dal dialetto stesso. Ciò mi fa sentire importante e mi fa ragionare sulla grande culla di civiltà che è stata la mia terra. I Sicani, i Siculi, gli Elimi, i Greci, i Romani, gli Arabi, i Normanni, gli Angioini, gli Aragonesi, gli Armeni, ogni popolo ha lasciato un patrimonio in cultura e civiltà. Nessuno dimentica che questa è stata la patria di Ducezio, di Ermocrate, di Antonello da Messina, di Pirandello, di Verga, di Capuana, di Martoglio, di Sciascia. – Rosetta lo guardava fisso negli occhi e non perdeva una sillaba, Mario fece risaltare la sua sicilianità, quindi la presenza dei caratteri tradizionalmente peculiari: - Senza per nulla trascendere nell’Indipendentismo o nel Separatismo, considero la Sicilia la mia patria, dentro una patria più grande che è l’Italia e ancora dentro una patria più estesa che è l’Europa. Se qualcuno mi chiede di che Paese sono, rispondo senza riflettere che sono siciliano. La Sicilia, con lo scirocco che ti screpola le labbra ed il sole di luglio che ti fa bruciare la pelle, dove tutto sembra essere fatalità, dove le culture non hanno una linea di demarcazione, mi attrae e mi coinvolge. La Sicilia può essere identificata in ogni parte del mondo con un carrettino o, ancora meglio, con un paladino. Le cadenze melodiose dei dialetti, i carretti pitturati al traino di un sauro bardato, le tradizioni popolari, le manifestazioni religiose quasi sempre tra sacro e profano, i pupi ed il teatro di figura, dai colori sgargianti. Il verde acceso del cimiero di Orlando, il rosso scarlatto delle vesti di Rinaldo, il blu oltremare delle vesti di Bradamante e quello rosa di Marfisia cimierata in giallo-oro. Le vetrine cariche di marzapane e i toni forti, accesi e caldi delle frutta; gli occhi neri e luminosi delle fanciulle, i sorrisi dei bambini, il vociare dei mercati e i lunghi silenzi dei torrenti asciutti. - La ragazza, fermando quel fiume in piena che era diventato Mario, gli chiese: - qual è il paladino che più ti affascina? – Il giovane universitario non ebbe dubbi: - se fossi donna desidererei emulare Bradamante: nobile, valorosa, paladina, accanita sostenitrice della fede cristiana. Mi piace la sua sfida, lotta per amore di Ruggiero, rompe incantesimi, diviene pazza di gelosia e lotta contro i pregiudizi per volere sposare un pagano; vince, convertendo il suo uomo al cristianesimo. Bradamante è sempre attuale, sempre più vicina ai nostri tempi, è eroina senza tempo. Essa è il prototipo di donna che assurge al ruolo di comprimaria degli altri uomini, i paladini. Bradamante è paladina di libertà, paladina di sentimenti e di grandi passioni, paladina nella lotta contro i pregiudizi, paladina della sua fede, paladina di giustizia. - Rosetta fu sorpresa per la grande conoscenza che Mario aveva della cultura e delle tradizioni della Sicilia, ed approfittò per chiedergli di parlarle dei pupi. Mario per quella donna avrebbe parlato giorni interi, non si sarebbe mai fermato pur di farle piacere.
Tra il gelataio e gli acquirenti era posta una lamina in plexigas trasparente, opacizzata da un lato dai fiati dei ragazzini che vi poggiavano i nasi per guardare in fondo ai pozzetti la messa in opera del loro cono, dall’altro lato, dalla condensa dovuta alla bassa temperatura.
Rosetta fu attratta da tutto ciò e chiese a Mario di volere assaggiare uno di quei gelati, proprio dall’omino del triciclo. – Pistacchio e panna – chiese la donna, e quando l’omino aprì i pozzetti per confezionare il cono, la condensa sulla lamina trasparente aumentò, fino a formare due gocce, come due grosse gocce di rugiada che scivolarono e s’incontrarono formandone una sola. Fu quello il momento in cui lei, attraversata da un brivido alla schiena, si rivide giovinetta e definì dentro di se l’amore: due gocce di rugiada che s’incontrano e diventano una sola…
Consumato il conogelato, i due giovani si sedettero su una panchina a Villa Bonanno, il giovane riprese a parlare su invito della ragazza: - I pupi sono le caratteristiche marionette armate di quel teatro epico popolare che, operò a Napoli e a Roma, ma soprattutto, dalla prima metà dell’Ottocento, in Sicilia, dove raggiunse il suo massimo sviluppo. Con i pupi emergeva un’idea epica e drammatica del mondo a livello di cultura popolare e affioravano conflitti e aspirazioni del “core paladino” della gente, unitamente alla questione dell’essere fedeli o infedeli, cristiani o pagani, dalla parte dell’Occidente o dell’Oriente, con gran tormento storico del Mediterraneo e, in particolare, della Sicilia, da sempre teatro di civiltà e di fedi religiose e politiche contrastanti. I pupi sono espressione “splendente” di questo spirito epico, eroico e cavalleresco, che dalla chanson de geste medievale ai grandi poemi del Boiardo e dell’ Ariosto, a tutta una tradizione letteraria, musicale, figurativa, e in particolare teatral popolare, segna lo sviluppo di un’educazione sentimentale e di una visione etica e poetica del mondo.
I pupi esprimono la volontà di continuare a battersi in quella che è stata definita “la più invisibile delle guerre invisibili” che, con i nostri ideali, sosteniamo dentro di noi più che fuori. Non a caso i pupi costituiscono un umile ma tenace segno di contraddizione e di resistenza rispetto alla logica della rassegnazione e del peggio, che è di tanta cultura e letteratura di “vinti”. I pupi ci aiutano a capire il Gran Teatro del Mondo, dove si è fin dalla nascita “agiti”, giusta l’idea pirandelliana secondo la quale “siamo tutti pupi”, marionette, burattini, maschere, ombre, animati dall’onnipotente Spirito divino, che è nel cuore di tutti gli esseri e tutto agita al ritmo incalzante del tempo, col potere della “meraviglia”. – Mario si fermò per un attimo, ma Rosetta mostrò delusione per l’interruzione e disse: - continua, abbiamo ancora una buona mezz’oretta. – Il giovane riprese, appagato dall’attenzione e dalla curiosità della ragazza: - con i pupi possiamo aprirci un varco verso quel po’ di libertà che si può conseguire nella recita “a soggetto” del sacro canovaccio del destino, e affrontare il pathos dell’esistenza in un “catartico” gioco di arte e poesia. In tal senso, come ebbe a dire Peter Shumann, che al teatro dei pupi si ispirò per il proprio Bread and Puppet Theatre, un teatro come quello dei pupi può essere “necessario,… essenziale come il pane”. Per decine di lustri i pupi siciliani hanno costituito l’unica fonte di istruzione, di svago e di divertimento sia per le classi umili che, nel tempo, anche per la borghesia. Ogni pupo siciliano è un’opera d’arte unica, realizzato in legno, stoffa e metallo, a cui viene dato il movimento tramite due aste di metallo, una attaccata alla sommità del capo e l’altra al dorso della mano destra che è chiusa a pugno, dove è stato realizzato un foro che permette ad un filo di scorrere per consentire l’impugnatura della spada. Altri due fili consentono uno, il movimento del braccio sinistro che permette al pupo di usare lo scudo, l’altro di alzare il ginocchio destro ed imprimergli l’andatura. Ancor oggi bambini ed adulti, anche se travolti e smaliziati dalla televisione, dai videogiochi, dai trastulli che la telematica e la tecnologia offrono, restano a bocca aperta dinnanzi ad una rappresentazione dell’ “opera”, che rimane la forma più visitata del Teatro di Figura. L’Unesco, verificando che l’Opera dei pupi è stata ed è espressione di una immensa cultura popolare, capace di conservarne intatta tutta la sua ricchezza, ne ha riconosciuto il valore racchiudente buona parte di tradizioni e storia della Sicilia, e l’ha dichiarata patrimonio inalienabile dell’umanità. L’opera dei pupi è il teatro tradizionale siciliano delle marionette. Sull’origine dei pupi le certezze sono molteplici, ogni autore ne possiede una. Alcuni supposero che l’arte dei moderni pupari potesse affondare le radici nei marionettisti siracusani che al tempo di Senofonte e Socrate esercitavano la loro professione in tutta l’Ellade. Con caratteristiche, tecniche e tematiche varie, il teatro delle marionette si ritrova in tutto il mondo fin dai tempi antichissimi. Di certo, l’origine dei pupi non coincide con l’origine delle marionette. Una miniatura su di un manoscritto francese del XIV secolo rappresenta un teatro di burattini guerrieri in armatura. In Spagna, tra la fine del Cinquecento ed i primi del Seicento vengono rappresentati spettacoli di marionette cavalleresche. La dominazione spagnola sia nel meridione d’Italia che nelle Fiandre, fa si che si venga ingannati dal fatto che nel Cinquecento in ambedue le regioni venivano rappresentati spettacoli di marionette molto simili tra di loro, per cui era facile attribuirne l’origine agli spagnoli. Nelle Fiandre ad introdurre le marionette di soggetto cavalleresco nel 1854 fu un italiano, nato in provincia di Lucca, tal Alessandro Ferdinando Pompeo Conti. Il teatro dei pupi in versione attuale nasce nella prima metà dell’Ottocento. I temi e le storie trattate sono gli stessi dei poemi epico-cavallereschi del Quattrocento e del Cinquecento, e fu opera dei pupari quella di attingere dalla Chanson de Roland, dal Morgante, dall’Orlando innamorato e dall’Orlando Furioso. Ai pupari e alla loro fantasia si deve la creazione di un mondo fantastico dove creature bizzarre, eroi, dame, maghi, angeli e demoni interpretavano, facendola rivivere in una quasi fiaba, la corte di Carlo Magno e le gesta dei Paladini di Francia. I pupari, con la loro fantasia fecero rivivere i paladini vissuti nell’Ottocento con le armature di foggia rinascimentale del XIV secolo. Intorno al 1850 Giusto Lodico pubblica “Storia dei paladini di Francia”, ed ancor oggi rappresenta il fondamento dell’opera dei pupi. Da qui comincia l’evoluzione costruttiva del pupo e questo processo di sviluppo dura fino ad oggi. Gli opranti ebbero la capacità di dotare i pupi di espressione di sentimenti di libertà e giustizia, dei quali il popolo, attraverso tutti gli strati sociali, si fece portatore. Per detti valori, esaltati da quella fonte di cultura che era l’opera dei pupi, i Siciliani combatterono contro i Borboni per liberare la loro terra. Nell’opera dei pupi ogni siciliano trovò il suo eroe, Orlando, Rinaldo, Bradamante, Ruggiero, Astolfo, Oliviero, Malaguerra, Marfisia, Milone, Agolaccio, ed in ognuno vi si raffigurò, seguì la sua storia, sera dopo sera, per mesi. La sua partecipazione non era passiva ma spingeva fino al coinvolgimento emotivo, partecipava ai dialoghi, imprecava verso i traditori, plaudiva e fischiava. – Mario guardò l’orologio, Rosetta gli stampò un bacio sulla guancia e disse: - grazie per tutto quanto mi hai detto, sei stato molto circostanziato, devi amare tanto questa terra, l’enfasi con cui la racconti mi coinvolge e mi entusiasma, grazie ancora – poi lo pigliò sottobraccio e si diressero verso la macchina. – Amara e bellissima la Sicilia della metà degli anni quaranta – disse la ragazza – quel sogno di essere Nazione padrona dei propri destini, la Sicilia del vento del sud, la Sicilia separatista. Mi piacerebbe tanto parlarne una sera, è quella storia che non conosco ma che amo, che sento mia come se questa terra mi appartenesse. - ...]
Pupo della "Collezione Canino"
Sezione di telone a scacchi della "Collezione Canino"
MORTI D'UN PALADINU (Ccu lu parrari di l'opranti)
D'Angranti è lu casatu di Miluni,
padri d'Orlandu e granni paladinu,
cadi di bottu e scoppa addinucchiuni
ppi manu d'un feroci saracinu.
Berta, alluttata e china di duluri,
soru di Carlo Magnu, la muggheri,
chianci la morti di lu granni amuri
ccu vuci e lacrimi ca si lavau li peri.
Un ancileddu, senza diri sbifari,
ca era grossu quantu nna purpetta,
calau supra lu corpu di Miluni
cu nna vucidda a scrusciu di trummetta:
- Milone, Milone,...
Iddio a me mi manda e a te ti comanda!
Ti faccio un sorriso nel tuo pallido viso
per portarti lassù, nel celeste Paradiso.
E dd'anciuleddu cchiù grossu d'un muscuni,
s'appoia allatu di l'eroi Miluni,
aggranfa l'arma aisannula di pisu
e acchiana linnu linnu 'mparaddisu.
Chiedo scusa a quanti avranno difficoltà di leggere la poesia in dialetto, ma il linguaggio degli "opranti" e dei "pupari" perde tutto il suo significato se tradotto.
Mi impegno a regalare un lavoro in lingua italiana sul teatro di figura, sull'Opera dei pupi.
Grazie!
L'amore,l'interesse,la gioia di andare, quando era possibile, all'opera dei pupi era un qualcosa che ancora oggi mi fa tornare alle imprese di Orlando,Rinaldo e all'amore di orlando verso la bellissima angelica che lo porto, nella sua pazzia sulla luna per ritrovare il senno e poi Angelica.....Chi non ricorda le teste mozzate dei saraceni .quanti ricordi caro Mario sei riuscito a risvegliare Grazie veramente grazie,......
RispondiElimina