A dominio della valle del fiume Jato sorge il Monte omonimo, alto più di 800 metri.
La zona archeologica di monte Jato ricade nel territorio di San Cipirello e San Giuseppe Jato distante circa 30 chilometri da Palermo.
Una missione di scavi, guidata dal professor Peter Isler dell' università di Zurigo nel 1971, ha contribuito in modo determinante a riportare alla luce l'antico abitato; da allora monte Jato è divenuto una tappa obbligata per studiosi e visitatori.
Il materiale rinvenuto comprende, tra l'altro, frammenti di ceramica lavorata a mano, custoditi nell' antiquarium comunale di San Cipirello; la maggior parte di questi reperti è databile dall'VIII sec. a.C. in poi.
L'identità etnica delle popolazioni arcaiche vissute in questo luogo è tuttora enigmatica: il primo insediamento risale probabilmente al I millennio a. C. ma non è certo che fosse elimo o sicano; sono invece confermati i contatti con i cartaginesi (IV sec. a. C.) e con i romani durante la prima guerra punica (261 - 241 a. C.). Il segno più importante della civiltà greca (550 a. C.), tuttora visibile, è il tempio di Afrodite, con relativo altare.
L'identità etnica delle popolazioni arcaiche vissute in questo luogo è tuttora enigmatica: il primo insediamento risale probabilmente al I millennio a. C. ma non è certo che fosse elimo o sicano; sono invece confermati i contatti con i cartaginesi (IV sec. a. C.) e con i romani durante la prima guerra punica (261 - 241 a. C.). Il segno più importante della civiltà greca (550 a. C.), tuttora visibile, è il tempio di Afrodite, con relativo altare.
I tesori archeologici scoperti sul monte Jato comprendono anche un grande teatro del IV sec. a. C., capace di ospitare fino a 4400 spettatori, l'agorà (piazza principale) con i resti del bouleuterion (sala del consiglio), e la cosiddetta "casa del peristilio"( III sec. a. C.), una struttura residenziale privata, su due piani, che ospitava ventitrè stanze al pianterreno, una splendida sala dei banchetti al piano superiore e magnifici decori musivi a colori.
La "casa a peristilio" fu distrutta nel 50 a. C. sotto l'imperatore Claudio.
Disabitata per secoli dopo il terremoto del I sec. d. C., Jato riprese vigore soltanto sotto il dominio arabo; le sue vicissitudini storiche si conclusero nel 1246 quando Federico II di Svevia la fece distruggere definitivamente, deportando gli abitanti altrove per domare una rivolta religiosa.
La "casa a peristilio" fu distrutta nel 50 a. C. sotto l'imperatore Claudio.
Disabitata per secoli dopo il terremoto del I sec. d. C., Jato riprese vigore soltanto sotto il dominio arabo; le sue vicissitudini storiche si conclusero nel 1246 quando Federico II di Svevia la fece distruggere definitivamente, deportando gli abitanti altrove per domare una rivolta religiosa.
Panorama del Monte Jato
Planimetria del sito Archeologico
Agora'
Sala da bagno della casa a peristilio
Capitello
Recipienti in terracotta
I Mulini della Valle Jato
"…Cerere ordina alle Naiadi di fare ciò che facevano le vostre mani: esse obbediscono, si slanciano fino alla sommità di una ruota e fanno girare un asse; l’asse per mezzo dei raggi che lo circondano fa girare con violenza le mole che aziona.…Impariamo a raccogliere senza fatica i frutti dei lavori di Demetra…”
Questa antichissima descrizione poetica tesminonia l'uso del mulino idraulico fin dall'antichità, ciperviene da un epigramma di Antipatro di Tessalonica del I sec° a.C.
La massiccia presenza dell'acqua ha fatto sorgere nella Valle dello Jato numerosi Mulini che, attivi fino ai primi del 900, si erano affermati nella zona, come primiera industria della molitura.
È noto, ad esempio, come fin dall'antichità fossero a servizio dell'Arcivescovado di Monreale.
È noto, ad esempio, come fin dall'antichità fossero a servizio dell'Arcivescovado di Monreale.
I mulini ad acqua vennero costruiti lungo il corso del fiume Jato fin dal 1182. I contadini vi giungevano con i carri o con i muli carichi di grano e attendevano lunghe ore per il loro turno di mulitura; non era raro che facessero notte nell'attesa che il mugnaio consegnasse loro farina.
Il mestiere del mugnaio era spesso tramandato di padre in figlio e ciascuno conservava i suoi segreti per la macinatura dei cereali, un vero proprio rito di trasformazione del prezioso cereale in farina. La bravura del mugniaio stava nel regolare la quantità di grano da molire in base al carico dell'acqua e la giusta pressione da dare alle macine per ottenere la giusta granulosità della farina che doveva essere né troppo fine né troppo semolosa .
Come funzionavano?
L'acqua veniva convogliata, attraverso un canale in muratura detta zachia o Saia, in dialetto "prisa", accumulata e scaricata nella "botte di carico", o torre di carico che poteva anche superare i dieci metri di altezza, raggiungeva il locale inferiore dell'apparato detto "guarraffo", dove veniva indirizzata a forte pressione da una canaletta detta "cannedda" sulle pale della ruota orizzontale (ruota a raggiera). Sotto la spinta dell'acqua, nel locale superiore dove alloggiava il vero e proprio apparato molitorio, attraverso un giuoco di ingranaggi, la macina soprana ruotante (rotore) su quella sottana fissa (statore),triturava la granaglia che veniva dai sacchi riversata nella tramoggia (trimoia) e convogliata nel foro centrale della mola soprana. Il grano, man mano che veniva molito dalle macine, opportunamente scalpellate con incavi disposti a spirale, che favorivano la fuoriuscita della farina, si frantumava e la farina veniva raccolta in un apposito accumulatore detta "cascia" (Cassa in fasciame di legno).
Le macine di pietra, pur avendo speciali requisiti di durezza porosità ed omogeneità di struttura, richiedevano continui lavori di scalpellamento con apposite martelline.
Ricordiamo:
Il Mulino della Chiusa.
Questo mulino è uno tra i più antichi dello Jato esso si distingueva sino a poco tempo fa dagli altri per un bel bassorilievo inserito nella sua facciata principale, di epoca sconosciuta, comunque reimpiegato da qualche edificio antico della zona, esso rappresenta un santo ed è stato tolto dal suo sito originario dal proprietario al fine di evitarne il trafugamento. Esso sfruttava le acque provenienti dal vallone Procura, dove un piccolo sbarramento innalzava l'acqua fino alla condotta, l'acqua arrivava sopra il mulino, in una botte di carico e, tramite una condotta verticale, acquisiva pressione. Tre pulegge in ferro, di dimensioni differenti (due da macina e una da pulitura).Esso sfruttava le acque provenienti dal vallone Procura, dove un piccolo sbarramento innalzava l'acqua fino alla condotta, l'acqua arrivava sopra il mulino, in una botte di carico e, tramite una condotta verticale, acquistava pressione. Dopo, attraversava una cannella in dislivello da dove, per caduta, riceveva la spinta necessaria per mettere in moto la turbina che, poi, attraverso un albero trasferiva il movimento alle macine. Rimangono a testimonianza, dell'antica funzione, la condotta idrica, il garraffo, la turbina e la cannella..
Il Mulino del Principe
Così chiamato perché fu costruito per iniziativa dal Principe di Camporeale. È il più bel mulino presente nella zona. È caratterizzato dalla condotta sostenuta da arcate ogivali, forse di datazione precedente rispetto allo stesso mulino o costruita con materiali di recupero ,provenienti da antichi edifici della zona.
La sua struttura è a martello ed è stato costruito con pietra squadrata, (ai lati), e pietra informe mista a tufo. Sono visibili talune catene in ferro che hanno lo scopo di trattenere la struttura stessa. All'interno sono ancora intatte le pulegge in ferro, di dimensioni differenti (due da macina e una da pulitura).
La sua struttura è a martello ed è stato costruito con pietra squadrata, (ai lati), e pietra informe mista a tufo. Sono visibili talune catene in ferro che hanno lo scopo di trattenere la struttura stessa. All'interno sono ancora intatte le pulegge in ferro, di dimensioni differenti (due da macina e una da pulitura).
Il Mulino della Provvidenza.
Risalente alla fine del 1880 si trova in Contrada Mortilli e porta il nome della Patrona Maria della Provvidenza. Funzionava con gli stessi principi degli altri mulini ma riadattato ad edificio rurale conserva ben poco della sua origininaria struttura.
Il Quarto mulino.
Di questo mulino rimangono e sono visibili la botte di carico; la condotta che si biforca in due parti che servivano una per macinare il grano e l'altra per muovere le macchine di un pastificio; la ruota porta-cinghia che serviva per muovere i macchinari e infine,una macchina utile a separare la farina dalla crusca.
Il Mulino di Jato (Ghiati)
Si trova in prossimità della contrada Vaccaio e del fiume Jato. Accanto vi sono una Torre cilindrica ed è il Mulino più antico della zona già menzionalo nel 1182 in un documento (Rollo) che tratta dei confini delle terre concesse da Guglielmo II° il Buono Re normanno al Monastero di S. Maria La Nuova da lui fondato.
Pensando di fare cosa gradita sia ai nativi della Valle che agli amanti dell'archeologia , ho voluto omaggiarvi di questo lavoro.
Qualora,per mia ignoranza fossi stato poco esaustivo, chiedo venia.
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