sabato 24 marzo 2012

L'ULTIMO ATTO DELLA VITA... LA MORTE... LUNEDI'... POESIA!!!!





L'ULTIMO ATTO DELLA VITA...LA MORTE

A seconda delle diverse epoche e civiltà è cambiata l'idea di ciò che costituisce la morte. In occidente la morte è stata considerata come l'abbandono del corpo da parte dell'anima. Secondo questa concezione, l'essenza dell'essere umano è indipendente dalle proprietà fisiche. Poiché l'anima non ha manifestazioni corporee, la sua uscita dal corpo non può essere vista o determinata obiettivamente e, quindi, il segno della sopravvenuta morte è la fine del respiro. Nei tempi moderni la morte si ritiene coincidere con la cessazione delle funzioni vitali, quali la respirazione e la circolazione sanguigna. Tale convinzione ha, cominciato a vacillare quando la medicina ha reso possibile la respirazione e il funzionamento cardiaco con l'ausilio di dispositivi meccanici. Per ciò, in tempi recenti è stato introdotto il concetto di morte cerebrale, dove a indicare l'avvenuta cessazione è la perdita irreversibile dell'attività cerebrale.
     La morte fa parte della vita, è la sua antitesi, essa è l'ultimo atto di una grande opera. L'uomo stenta ad accettarla.
Coloro che studiano l'ambiente e le esperienze interiori degli individui in procinto di morte hanno intercettato parecchi stadi attraverso i quali passano i morenti: rifiuto della morte e isolamento ; rabbia, ira, invidia e risentimento, non riescono ad accettarla; contrattazione, depressione, in quanto non si spiegano a cosa serve e, accettazione. La maggior parte degli studiosi ritiene che l'ordine degli stadi attraversati non sia prevedibile in alcun modo e che tali fasi si possano alternare con sentimenti di speranza, angoscia e terrore. Le persone care coinvolte attraversano fasi di rifiuto e di accettazione. Il lutto, comunque, segue di solito una sequenza regolare, che spesso inizia ancora prima della morte di un caro e che può aiutare ad alleviare la sofferenza successiva. L’assistenza richiede qualità particolari da parte dei familiari, che devono aver elaborato la propria paura di morire per poter confortare adeguatamente il paziente.
     La morte dei genitori è nelle cose, fa soffrire ma alla fine la si accetta e viene fuori col tempo la rassegnazione. Il contrario, la morte di un figlio, non è nelle cose, non si accetta, è contro natura. Non arriva la rassegnazione e il dolore segna per tutta la vita i genitori, senza che il tempo riesca a cancellarlo.





[...    Un mattino di maggio, quando i raggi del sole, in una città come Palermo, costringono ad alleggerire l’abbigliamento, e quando i platani del grande viale sono al massimo della rigogliosità, Gertrude, al capezzale della madre, la sentì gemere. Come se, per un attimo, tutto fosse ritornato a dieci anni prima, in un momento di lucidità, Matilde accostò la sua mano a quella della ragazza, accennò ad una flebile carezza, ed a mezza voce:
- Figlia mia, grazie per il tuo sacrificio, non mi hai lasciata sola un istante, Iddio, buono e riconoscente, ti renderà grazia. Siamo giunti, sta per arrivare il momento che ci lasciamo per sempre.

Una bava fuoriuscì dalla bocca di Matilde e Gertrude le asciugò le labbra con un tovagliolo.
- Mamma, cosa dici, non mettermi paura.
- No figliola, i tuoi occhi non possono vedere, quelli di una morente si. In questa camera sono due giorni e due notti che son seduti ad aspettarmi tutti i miei cari defunti, mio padre, mia madre, mio marito ed i miei nonni. C’è pure una signora che io non conosco, ha circa quarant’anni, bellissima, coi capelli bruni sciolti sulle spalle, due occhi neri e profondi, due mani grandi, ed un neo sulla sua guancia sinistra e, sorridente, non ti ha tolto gli occhi di dosso.

Gertrude fu percorsa da un brivido, le sue mani tremarono, si guardò attorno ma non vide nessuno. Quella donna che Matilde aveva descritta con dovizia di particolari era sua madre. La donna scoprendo il volto teso pieno di stupore della ragazza:
- Figlia mia, non aver paura, loro son venuti per me, mi accompagneranno per condurmi al cospetto del Giudice Supremo.

Accennò un lieve sorriso Matilde, il sorriso di una madre che intende far coraggio alla figlia.
- Gertrude, sull’uscio ad attendermi c’è un vecchio con una lunga barba, vestito di un saio marrone stretto alla cintola con un cordone, porta in braccio il Bambin Gesù, lo bacia sulla fronte, ed il Bambino giocherella con la sua barba, è San Giuseppe, non facciamolo aspettare! Ti prego, avvicinati, lascia che le mie labbra sfiorino per l’ultima volta il tuo viso.

Gertrude strinse con tenerezza al seno sua madre, poggiò la sua guancia alle labbra di lei e sentì il suo ultimo respiro. ...]

(Tratto dal romanzo GERTUDE di Mario Scamardo)






[ ... Una settimana dopo, prima che il giudice incaricato di svolgere le indagini relative all’omicidio la sottoponesse ad interrogatorio, legò un lenzuolo alle sbarre della finestrella della sua cella e si suicidò impiccandosi.    Dai giornali, il giudice Palagonia apprese la morte della Bianchi, provò pena e rabbia, si disperò e pianse. Andò al suo funerale e pose l’ultima rosa rossa sulla sua bara.
         La metamorfosi si era compiuta in tutte le sue fasi, Rosetta aveva riempito tutti i vuoti della sua esistenza ed era approdata all’ultimo, il peggiore! ... ]

(Tratto dal romanzo "Il fascino delle mutazioni" di Mario Scamardo)



[ ... L’anziano genitore, ormai ridotto ad un relitto, col suo viso di sofferenza, trovò la forza di muovere la sua mano, di sfiorare quelle di Giulia e di sussurrarle con un filo di voce: - Alzati e siediti, vedi, oramai non ho più nulla da darti, sei tu che stai dando a me, il mio tempo è quasi finito. I figli si vogliono bene tutti alla stessa maniera, tu sei la più dolce e sei colei che ha saputo soffrire più in silenzio, così come ho fatto sempre io, me ne sono accorto, ma non sono mai riuscito a trovare le parole e il modo per alleviarti il dolore. Vi ho amato tutti, senza fare uso delle parole che spesso rimangono tali e vuote del loro significato. Tua madre, come me, vi ha amato intensamente, stalle vicina, non perdere mai il contatto con i tuoi fratelli, loro non ti hanno mai tradito e mai lo farebbero. – Strinse le dita di Giulia e stanco, chiuse gli occhi e si addormentò. Ogni notte la ragazza lo vegliò, e la colsero spesso la paura e l’ansia di potersi immergere in un sonno profondo e non poter rispondere alle esigenze del padre. I suoi occhi erano cerchiati e, spesso, dimenticava di consumare il pasto.
         Era una giornata di pioggia, tutta la famiglia era raccolta a casa di Giulia, il padre chiamò figli e moglie,  fece cenno acchè si avvicinassero, e con quel fil di voce che gli rimaneva disse a Maria: - Abbi cura di tua sorella, i troppo buoni non sempre sono fortunati, spesso, la loro bontà viene travisata e la cattiveria umana non ha limiti. Guai al buono che si fida troppo, tutti cercheranno di approfittare di lui, ricordati che siete agnelli in mezzo ai lupi. Sulle colline attorno al paese, ho imparato, a mie spese, che la bontà è un pregio, ma è anche un difetto. – Cercò le mani del suo ragazzo, le strinse e gli sussurrò: - Le pecore nello stazzo belano, le loro mammelle sono piene di latte, vogliono essere munte, non farle soffrire, la loro generosità non va punita, altrimenti, quello che ho detto un istante fa, è come se l’avessi predicato al vento. – Mentre, a testa bassa, il ragazzo andava via a compiere il rito della mungitura, il vecchio pastore chiese alla moglie di rimanere solo con lei, l’accarezzò sul viso per l’ultima volta, chiuse gli occhi e si addormentò per sempre. ... ]

(Tratto dal romanzo "I sette giorni della trasgressione" di Mario Scamardo)




LA DOLCE DIPARTITA

Gli occhiali in un cestino da lavoro
dove ella con cura li ha riposti,
sulla poltrona, alla penombra,
il corpo appesantito di mia nonna;
il suo spirito oltre il davanzale
ha intrapreso il viaggio di ritorno.





PIANTO DI MADRE

Tra vomeri che penetrano il terreno
e ribaltano antiche zolle
mucchietti di bianche ossa.
Rotola un teschio
forato alla tempia
dall'espressione crucciata
e stuoli di formiche giganti
attraversano le occhiaie
quasi a sostituirsi
ad un pianto interrotto
per un figlio infelice
che solerzia dell'uomo
ha spezzato la pace
di un sonno infinito.
Attorno il grigiore
che annulla le ombre,
la pioggia pietosa
cade copiosa dal cielo
per bagnar quelle ossa.
E' pianto di madre
che non trova pace
nè tomba marmorea
nè stele negata.




UN'AQUILA

Lento le trasporta il vento
le piume soffici di un'aquila,
ad una ad una, giù per i crinali...
e in cima alla vetta il nido
perde le sue paglie piano piano,
restano solo stocchi rinsecchiti
e quà e là qualche penna.
Il dolce librarsi non è più,
non più il planare,
non più le carezze dell'aria,
non più padrona del vuoto,
non più pigolii di nidiata,
non più volteggi nel cielo
col compagno di sempre
e coi pulcini già adulti
che intrecciano voli.
La sua maestà svanisce
e dal becco striduli suoni.
Un sole si spegne!...
Gli occhi, luminosi fanali,
due stelle splendenti nel buio
sono guida per i suoi aquilotti...
il suo grido d'aiuto non rompe il silenzio,
attorno, il suo mondo senza udito!...
... e l'Olimpo popolato di sassi
reclina il capo impietrito.
L'austera regina, ormai quasi implume,
sorride ancora, ancora,...ancora.



Il conforto della famiglia, nel dolore, conferisce dignità alla morte. "Sorella Morte" la chiama San Francesco, si, sorella morte la chiamano i derelitti, sorella morte, liberazine dalle sofferenze, unica compagna, talvolta agognata da chi solo, senza affetti, senza calore alcuno, si pone in attesa...
     Ho visto morire un barbone che s'era trascinato a stenti sulla gradinata di una chiesa, con la mano sinistra indicava il portone, con la destra accennava ad un segno di Croce. Aveva incontrato la morte, forse gli aveva chiesto un minuto per entrare a ringraziare il Creatore... lei, drastica, aveva fermato le lancette della sua vita. L'unico conforto, un santino che usciva a metà da una tasca assieme a una crosta di pane raffermo, forse la sua Eucarestia....



MINNICU

Lu passu stancu,
lu jri silinziusu, mutu...
La morti a sensu cuntrariu
marciava lesta e maistusa.
Ormai nenti cci facia cchiù scantu,
nuddu cci putia dari timuri;
ogni attimu spirava fussi chiddu
di l'abbrazzu finali...
Un scaluni di nna chesa,
l'occhi a lu celu,
un signu stancu
di nna fatta a cruci...
La testa a facci all'aria
'ncapu lu scaluni appressu,
lassannu all'arma chi nisciu
la vista di li stiddi.



La vita si conclude con la morte, ne abbiamo parlato, se ci consente di riflettere, abbiamo aggiunto un tassello alla nostra maturità.    
                              Grazie per l'attenzione.






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