Non c’è economia
capace di sostituirsi alla morale, quella morale, che pretende che i figli
abbiano come precettori i genitori, i nonni, e molto più ampiamente i grandi e
i sapienti.
Tratto
da Il
Favoliere – Cucù e le sue storie
di
Mario Scamardo e Sara Riolo
Dopo le prime piogge, tutti andavano con grossi cesti a
raccogliere funghi nel bosco di Pian delle Castagne, e appena i ricci
cominciavano ad aprirsi, lasciando cadere a terra i frutti, stuoli di ragazzi,
arrivati in bicicletta o con qualunque altro mezzo, si sparpagliavano tra i
grossi tronchi e ne raccoglievano a sacchi.
Appena addentrati nel castagneto, una radura si apriva ai
raggi del sole per mettere in luce i resti di un bouleterion: una ex sala del
consiglio di una antica città greca, i cui resti erano seppelliti sotto le
radici del castagneto. Il bouleterion, in confronto con altri siti
archeologici, non era una piccola cosa, poteva contenere, in cinque ordini di
gradini rimasti a testimonianza, un centinaio di persone, per cui, facendo le
dovute proporzioni con i reperti greci dello stesso periodo, la città doveva
ospitare all’incirca trentamila abitanti, quindi tra cinque e seimila famiglie.
Accanto alla radura passava un ruscello su terreno
pianeggiante, formando un piccolo acquaio ricco di vita e cosparso di tanti
sassi affioranti, tanti da dare l’impressione che fossero stati collocati lì
apposta per farvi saltellare i ranocchi e far sì che alcune tartarughe
potessero crogiolarsi al sole. Lo stagno era meta di tutta la fauna del bosco
per l’abbeverata, e a tutte le ore si poteva assistere all’arrivo impettito di
grosse papere seguite da nidiate di paperini goffi che in acqua, come d’incanto,
diventavano eleganti e armoniosi. Tutt’attorno leprotti, merli, ricci, conigli,
tortore, volpi in agguato tra i giunchi, e sui rami di noce selvatico due
allocchi facevano l’occhietto aspettando il calar delle ombre, per ghermire i
topini campagnoli in cerca di semi sotto un pallido raggio di luna piena.
I tronchi cavi dei castagni secolari sembravano essere stati
messi lì apposta per consentire di ripararsi in caso di pioggia o di grandine,
così come spesso si verificava all’avvento dell’autunno, proprio quando
castagne e funghi erano pronti ad essere raccolti.
I ragazzi del paese vicino avevano scelto il castagneto come
luogo per i propri giochi. Nelle giornate d’estate si riunivano proprio nella
radura, e avevano di che passare il loro tempo tra la pesca nello stagno, il
rincorrersi tra i filari di olmi che ne segnavano la viabilità e l’infilarsi
dentro i mille tronchi cavi, ripetendo il vecchio rito del nascondersi e
ritrovarsi.
Un giorno i ragazzi, circa una quindicina, presero posto sui
gradini del bouleterion e, come avveniva tremila anni prima, decisero di
eleggere tra loro un capo e di usare, tutte le volte che c’era da discutere
qualcosa, quella antica sala del consiglio che se ne stava proprio nel bel
mezzo della radura a testimoniare antichi splendori e antiche sapienze. Da quel
giorno, tutti i pomeriggi, le gradinate del bouleterion furono occupate dai
ragazzi.
Era un gioco anche quello di imitare i grandi nelle
discussioni importanti e nelle eventuali decisioni, tutto veniva stabilito a
maggioranza, applicando le più avanzate regole della democrazia! I ragazzi
scelsero un posto tra gli spalti del bouleterion e lo contrassegnarono con
sassi dalle forme particolari e talvolta colorati.
Una mattina arrivarono tutti assieme, posarono le loro
biciclette e fecero per sedersi, ma tutti restarono stupiti: sotto il sasso
segnaposto di ognuno c’era una pezzuola di disegno e colore diverso. Chi era
stato? Mah… Non vennero a capo di nulla, mentre tutt’intorno si cominciarono a
sentire risatine di scherno, scricchiolii, rumori, e i rami più bassi degli
alberi cominciarono insolitamente a muoversi. I ragazzi ammutolirono, si
guardarono negli occhi ed ebbero un’intesa tra loro, quella di non aver paura.
Giorgio, un ragazzo quindicenne che era stato eletto a capo della comitiva,
fece segno a tutti di sedere e disse:
<<Nessuno abbia paura, in questo bosco non ci sono animali feroci, non ci
sono serpenti velenosi. Non è abitato da nessuno.>> Ad onor del vero, si
vedevano circolare solo le guardie forestali e gli addetti a prevenire gli
incendi; quindi, ricordando che nessun genitore aveva mai proibito l’accesso al
bosco, bisognava starsene tranquilli.
D’un tratto le biciclette appoggiate ai grossi tronchi
cominciarono a cadere, una dopo l’altra, e si sentì un suono di campanelli,
prima rado, poi intenso… Poi il silenzio più assoluto.
Francesca, la ragazza dai capelli rossicci ondulati, portava
un paio di occhiali con vetri molto spessi. Mentre ascoltava, Giorgio, che
lamentava la scarsa attenzione che il padre prestava al suo bisogno di dialogo,
sentì sfiorarsi i capelli e vide sulla sua gonna cadere una pezzuola, uguale a
quella trovata sotto il suo sasso segnaposto. Non disse nulla Francesca,
trattenne quasi il respiro quando un esserino dalle sembianze umane, non più
alto di due spanne, con una barbetta che gli avvolgeva il mento, si
materializzò accanto a lei. Portava un giubbino proprio in morbido panno
amaranto con due piccoli strappi di stoffa mancante, un paio di scarpine a
punta con i campanellini, un pantalone rosso di panno e un cappello a cono
dello stesso colore del pantalone, in cima ad esso in vistoso <<bon
bon>> di lana gialla. Il colletto era come una corolla di un enorme
fiore, in punta ad ogni petalo un campanellino d’argento tintinnava ad ogni
movimento dell’esserino. Francesca sorrise ed il piccolo essere dalle sembianze
umane sorrise a sua volta e batté le manine allegramente.
Quando la ragazza si portò in fondo alla radura, anche l’esserino
si spostò con lei. Strano, nessun altro ragazzo si era accorto di nulla, nessuno
aveva visto l’esserino. Quando furono fuori dalla vista dei ragazzi, Francesca
gli chiese: <<Chi sei?>>
L’omino dai campanellini rispose: <<Non aver paura, io
sono Lilio, sono lo gnomo anziano del posto, sono quasi tremila anni che mi
trovo in queste vicinanze, vivo in questo castagneto con altri gnomi. Da sempre
ho assistito allo scetticismo di quanti, sentendo parlare della nostra
esistenza, si sono burlati di chi l’ha sostenuta. Davanti allo scetticismo,
nessuno può imporsi, e i secoli scorsi hanno tutto mitizzato e tutto
dissacrato, per cui noi gnomi abbiamo preferito allontanarci dagli uomini,
isolandoci in questa città fatta di tronchi cavi e di silenzio. Ogni uomo
dovrebbe avere uno gnomo accanto, che nasce con lui e può scegliere di morire
con lui, ma può anche scegliere di non morire e di farlo solo quando, non
contento del mondo in cui si evolve il bene, decide di cessare la sua esistenza
facendo tre dispetti consecutivi alla fata che gli è più cara. Essa intuisce la
volontà dello gnomo, se lo pone tra le braccia e come un bimbo l’addormenta
cullandolo, lo deposita, a sua volta, nel nido vuoto di una cicogna su uno dei
comignoli di una baita di montagna.>>
Francesca non batté ciglio, ascoltò lo gnomo affascinata e
mentre stava per chiedergli qualcos’altro lo vide indietreggiare verso un
vecchio tronco e sparire come d’incanto. La ragazza tornò sugli spalti del
bouleterion, come se niente fosse accaduto, e aspettò che tutti i suoi compagni
fossero pronti a sollevare le biciclette da terra e a ritornare in paese.
Tornata che fu a casa sua, la ragazza miope dagli occhiali
spessi, e dai capelli rossicci ondulati, si rinchiuse nella sua stanzetta e
tentò di far mente locale su quanto aveva vissuto nella radura del castagneto,
cercando di capire se lo gnomo Lilio, con il giubbino color amaranto con due
piccoli strappi, fosse sortito dalla sua fantasia o se davvero Pian delle
Castagne, con i suoi tronchi cavi, fosse la città degli gnomi. Infilò la mano
nella tasca della gonna e tirò fuori la pezzuola di panno amaranto che lo gnomo
le aveva fatto cadere sulle ginocchia.
Quando Francesca
maturò il proposito di parlare con i suoi genitori e fece per alzarsi dal letto
su cui era seduta, sentì un campanellino dal suono argentino e vide muovere la
sua vecchia bambola, che aveva trovato posto da tempo sulla scrivania; Lilio le
apparì proprio accanto allo zainetto dei libri sistemato in un angolo e
ridacchiò. Francesca, sorpresa, gli chiese perché era svanito nel bosco e perché
si trovava ora nella sua stanza.
Lilio si fece serio, la invitò ad ascoltarlo, poi saltò
sulla sedia di fronte al lettino, si aggiustò il cappello e
disse:<<Bambina mia, tra tutti i tuoi amici, tu sei quella che meno si
impressiona vedendo che c’è un mondo parallelo di gnomi, non sei tanto scettica
e la tua semplicità e la tua tenerezza mi hanno convinto a palesarmi e a
tentare di riprendere il dialogo con gli uomini. Il consiglio degli gnomi, che
occupa gli stessi posti di voi ragazzi là nella radura, tanto che anche noi li
abbiamo contrassegnati con brandelli dei nostri corpetti, ha deciso che attraverso
voi ragazzi possiamo arrivare al cuore di tutti gli uomini volenterosi. Tu domani
ti alzerai in consiglio e piglierai la parola, parlerai del nostro incontro e
del nostro dialogo, e siccome tutti hanno grande stima di te, ti ascolteranno
con interesse e vorranno incontrarsi con gli gnomi. Non parlarne, al momento,
con i tuoi genitori, non ti capirebbero e potrebbero vietarti di salire su nel
castagneto. I genitori non sono più quelli di una volta, in una società ormai
del tutto figlia dei mezzi di comunicazione di massa, non c’è più tempo per le
fiabe, e voi ragazzi, che siete l’unico terreno fertile affinché le fiabe
rivivano, dovete diventare, nel rispetto dei ruoli, i rieducatori dei vostri
genitori>>.
Francesca alle parole dello gnomo assentiva, sul suo viso era
chiaro il segno che aveva capito.
Lo gnomo continuò:<<Domani, dopo che avrai parlato, io
mi farò vedere accanto a te e chiamerò tutti gli altri gnomi, essi si
siederanno accanto ai tuoi amici proprio dove hanno depositato il loro
segnaposto con un brandello di stoffa. Poi, tutti assieme affronteremo il
discorso sul modo di far ritornare i genitori così come erano una volta, capaci
di inventarsi una fiaba al momento giusto.>> Lilio scese dalla sedia,
fece tintinnare i suoi campanellini, strizzò l’occhio e scomparve.
Il mattino seguente, quando i ragazzi si ritrovarono nel
castagneto, dopo aver preso posto sugli spalti, ognuno nel posto contrassegnato
dal proprio sassolino, Francesca chiese di parlare e raccontò del suo incontro
con lo gnomo, notando che tutti la guardavano incuriositi. Finito il racconto,
Giorgio, il giovane capo, chiese a Francesca:<< Perché da noi non si sono
fatti vedere?>> La ragazza non rispose, si guardò attorno e cercò con gli
occhi il suo gnomo Lilio, lo scorse accanto alle biciclette e sentì i
campanellini, poi lo gnomo le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio qualcosa.
Francesca si alzò e disse:<< Amici miei, chiudete gli
occhi, e quando li riaprirete non abbiate nessun timore.>>
I ragazzi si alzarono anch’essi, chiudendo gli occhi, e quando
Francesca batté le mani li riaprirono e notarono, con somma meraviglia, che
accanto ad ognuno c’era uno gnomo, col cappello rosso a forma di cono e in cima
un campanellino; le scarpette nere con le stringhe rosse portavano in punta due
campanellini, ed il giubbino era dello stesso colore della pezzuola segnaposto,
con un lembo mancante. Gli gnomi se ne stettero muti fino a quando Francesca
chiese di parlare.
Così spiegò all’intero gruppo la titubanza degli gnomi a
farsi vedere, dovuto allo scetticismo che gli uomini hanno nei confronti dell’esistenza
dei meravigliosi esserini carichi di saggezza e buona volontà, poi disse a
Giorgio che Lilio, il capo degli gnomi, aveva scelto il posto accanto a lei, perché
per prima aveva desiderato che queste esistenze parallele potessero essere
palesi, ed ogni essere umano potesse avere l’opportunità di valersi del loro
aiuto.
Lilio parlò dal suo posto in cui si trovava: <<
Ragazzi, la vostra amica Francesca è stata abbastanza chiara, il problema che
affligge voi ragazzi è il dialogo sempre più carente con i genitori. Nessuno vi
ha raccontato una fiaba, papà e mamma ritornano stanchi dal lavoro, i nonni
sono sempre più destinati a non assolvere al ruolo più bello, quello di
dedicarsi ai nipotini, portarli a spasso, raccontare le favole e dare loro,
oltre all’amore, la saggezza frutto di esperienza. Certamente tutto ciò non è
possibile farlo dalle case di riposo in cui la società moderna li ha relegati,
trasformando il loro ultimo tempo, anziché nella gioia di rivivere attraverso
le nuove generazioni, in una rinunzia alla vita, che porta via con se pezzi di
cultura e di sapienza che non si trovano quasi mai sui libri. Fra i pellirossa
d’America, quando chiudeva la vita un vecchio capo per le tribù era come se si
fosse incendiata una biblioteca. Noi gnomi e voi ragazzi abbiamo ora un
compito: far si che tutti ritornino al loro vero ruolo. Non sempre i grandi
hanno ragione: dimenticano che la vita senza sogni non è degli uomini, perché il
sogno è speranza e fantasia e non si può fare a meno né dell’una né dell’altra.>>
Gli gnomi batterono le piccole mani per applaudire Lilio; di
tutti i campanellini, se ne sentì il tintinnio; anche i ragazzi applaudirono e,
quando fu silenzio, lo gnomo barbuto riprese: << Ogni domenica, ognuno di
voi avrà il compito di far raccontare una fiaba ai propri genitori. Il vostro
gnomo personale sarà invisibile al vostro fianco, ad ispirarvi tutti: Il
bouleterion sarà il vostro punto di incontro, per ascoltare le fiabe più belle
dell’infanzia.>>
La domenica mattina la radura si andò popolando di ragazzi e
genitori con i loro cestini della colazione e tutti cominciarono a prender
posto sugli spalti.
Si sentiva il gracidare delle rane nello stagno e i
fischiettare dei merli, mentre l’allocco, sul vecchio ramo di noce selvatico,
faceva a scatti l’occhietto a qualcosa che si muoveva sul prato.
Quando tutti furono seduti, Francesca e Giorgio chiesero ai
genitori di raccontare la favola che meglio ricordavano della loro infanzia.
La mamma di Francesca cominciò così: << C’era una
volta una fata bellissima seduta in riva a un ruscello, da tre giorni cullava
un piccolo gnomo, e poi, e poi… >>
La mamma di Francesca non ricordava più, non poté
continuare, ma si sentì una vocina accompagnata dal tintinnio dei campanelli
che disse: << … e dopo tre giorni il piccolo gnomo non si addormentò, perché
la fata, distratta, l’aveva preso in braccio appena dopo il secondo dispetto …>>
e accanto a Giorgio si materializzò lo gnomo Lilio, e poi, ad uno ad uno, tutti
gli altri.
Lilio proseguì la narrazione: << Quindi, il piccolo
gnomo non poteva morire, la fata capì che non era stata attenta a seguire i
dispetti del piccolo gnomo, era troppo intenta a pensare di abbellire la sua
dimora e ad arricchire la sua dispensa per ospitare a tavola altre fate e
maghi, quindi, senza possibilità di ripensamenti, stava per far morire lo gnomo
innanzitempo. Le fate sovrintendono alla vita degli gnomi ed alla loro
incolumità e formazione, così come i genitori nei confronti dei figli. Nulla
può distrarre un genitore da quelle che sono le regole del gioco, non devono
esistere interessi più grandi. Nessun genitore deve mettere in braccio il
proprio figlio quando non è arrivato il tempo, le negligenze creano
incomprensioni, mancanza di dialogo, arresto della crescita intellettuale e dei
sentimenti. Non c’è economia capace di sostituirsi alla morale, quella morale,
che pretende che i figli abbiano come precettori i genitori, i nonni, e molto
più ampiamente i grandi e i sapienti. Questi ragazzi oggi ci stanno dando, nel
rispetto dei ruoli, una grande lezione, stanno rigenerando la salute della
famiglia. La salute è una fortuna che permette il lusso della malattia che può
e deve essere curata, come sono riusciti a farlo i nostri ragazzi.>>
Allora gli gnomi applaudirono, anche i genitori applaudirono
e tenendosi tutti per mano formarono una grande catena attorno al bouleterion.
Dal bosco gli uccelli e le rane, come una grande orchestra,
intonarono una musica, e un gioioso girotondo di gnomi, di bambini e genitori,
cominciò a girare sempre più svelto, tra le grida festose di tutti.
Grazie per averla letta, spero vi sia piaciuta, se volete, lasciate un commento.
Grazie!