martedì 8 ottobre 2019

Akronos, vecchio sapiente di Jato e l’Olimpo - Racconto breve - 08.ottobre.2019





























Mario Scamardo

I Racconti del Borgo

Akronos, vecchio sapiente di Jato e l’Olimpo



Al centro dell’orchestra del teatro di Jato, Akronos il vecchio sapiente, se ne stava seduto dopo avere parlato per ore con uno stuolo di giovani vogliosi di apprendere. Le sue palpebre pian pianino si chiusero ed il saggio, cadde in un sonno profondo. Quando le ultime luci che provenivano da ovest si spensero e non si videro più le ombre, del vecchio saggio non si seppe più nulla. Nel tempo, parecchie volte Akronos si era eclissato, ma era poi ricomparso a continuare ad istruire i giovani, scegliendo ogni volta il luogo d’incontro, il colonnato dell’agorà, uno dei torrioni della città, l’orchestra del magnifico teatro o la gradinata del maestoso tempio di Venere. Gli abitanti di Jato chiesero di lui nei primi giorni della sua assenza poi, attesero che si rifacesse vivo e continuasse a dare i suoi insegnamenti.
Monte Olimpo


 Un mattino di primavera, quando i prati si ricoprirono di violaciocca gialla e di iris, sul torrione di ponente, Akronos fissava lo sguardo verso Sud Est, come se davanti a lui ci fosse qualcosa da ammirare. All’orizzonte solo colline verdeggianti e nuvole bianche a perdita d’occhio, che si muovevano lentamente ed assumevano forme sempre diverse che erano capaci di sollecitare la fantasia. Akronos sedette e, pazientemente, attese che arrivasse uno stuolo nutrito di giovani  e giovanette jatine e, quando tutti sedettero, accarezzò la sua fluente barba e iniziò il suo narrare: - Non ci vediamo da tempo, io non lo quantizzerò, esso è solo un parametro vuoto, vi racconterò, come se avessi sognato, la mia visita all’Olimpo, la dimora degli Dei, posto sul monte più alto della intera Grecia. Mai uomo è salito su codesto monte sacro, e non è dato ad occhio umano di scorgere nulla di quanto vi è edificato, logge, cupole, soggiorni ameni, perché le nubi hanno il compito di celare i grandi misteri. Miei cari giovani, oltre gli spazi della grama vita degli uomini, si eleva il sacro monte col radioso palazzo degli Dei. Ciascun Dio gode della sua reggia che luccica come un diamante al sole, colma di comodità, capace di tutelare anche le debolezze degli Dei, che tanto somigliano a quelle degli uomini. Tutti accedono alla sterminata sala dove gli Immortali siedono a banchettare, a tracannare boccali di nettare e a mangiare in piatti d’oro l’ambrosia intorno a Giove Olimpio. Giunone, la sua sposa, siede alla sua destra, poi Vulcano, Apollo, Marte, Nettuno, Mercurio. Alla sinistra di Giove siedono Cerere, Venere, Diana, Vesta, Minerva, tutte belle, tutte leggiadre. A servire con una anfora d’oro tutti è Ebe, la coppiera degli dei, figlia di Giove e di Giunone , che versa il nettare nelle coppe.
Apollo, di tanto in tanto, suona la cetra allietando gli Dei e accompagnando il canto delle nove Muse. Al calar delle ombre  le vergini Ore portano le fiaccole e chiudono le porte della Città degli Dei. E’ l’ora che le divinità rientrano nei loro appartamenti per cadere prede delle loro passioni, alla Necessità che tutto manda avanti con la forza. In questa fase ritornano alla loro mente le discordie, i desideri spinti, le rabbie e le vendette.


 Il mondo degli umani e degli Dei sarebbe andato allo sfascio se Temi, una delle mogli di Giove, madre delle Ore e delle Parche, non avesse dominato gli impeti e non avesse ispirato il padre degli Dei a sagge volontà, a divieti e a castighi tremendi. Giove , di tanto in tanto invia agli uomini uno dei suoi segni, un regalo e fa si che Iride batta le sue ali e omaggi alle genti l’arcobaleno.  Anche Temi, della stirpe dei  Titani manifesta la sua saggezza, aggiudicando agli uomini sia il bene che il male per mezzo delle Parche, le sue figlie che tutti immaginano vecchie e bruttissime con i visi da strega. I Greci le concepiscono invece come tre bellissime donne. Cloto, la parca più giovane è dotata di una conocchia e trae dai fiocchi di lana la vita; Lachesi, fa girare il fuso creando il destino degli uomini; Atropo, la più grande delle Parche, impugna le forbici tagliando il filo per segnare il momento irrevocabile della morte.

Le Parche


Si fermò Akronos, guardò in faccia le giovinette e i giovani poi, dopo un lungo sospiro, poggiò le mani sulle sue ginocchia e attese che un rapace si gettasse in picchiata su un topino campagnolo che rosicchiava una radice. Il rapace lo ghermì e volò su un albero a gustarsi la sua preda mentre Akronos riprese a parlare: - Vedete, Giove ci ha dato testé un segno, ci ha fatto vedere come il Fato ha deciso contemporaneamente di essere per la felicità e per il dolore. Il falco ha incontrato il volto sorridente del Fato e, in quanto predatore, ha messo a segno un colpo che gli permette di continuare a vivere, mentre il topino ha incontrato la faccia funesta del Fato, il becco adunco del predatore che ha messo fine alla sua esistenza.
Una giovinetta alzò la mano e chiese di poter fare una domanda: - Maestro, voi che siete stato sull’Olimpo faccia a faccia con gli Dei, che ci avete raccontato come la loro vita assomiglia tanto a quella dei mortali, voi che vi chiamate Akronos perché ci avete detto che siete senza tempo e siete nato prima del tempo, cos’é il tempo per le divinità, che valore ha per Diana, per Vesta, per Apollo, per Vulcano?
- Il tempo è solo un parametro per gli uomini, la sua misurazione consente all’uomo di rapportarsi col giorno, con l’alternarsi dei noviluni o delle stagioni. Per un abitante dell’Olimpo il tempo non esiste, lo stesso Giove è figlio di Crono, figlio del tempo!
Il sole si fece alto nel cielo, le ombre si accorciarono e Akronos in mezzo ai giovinetti imboccò lentamente la decumana e con molta calma si avviò verso l’Agorà.
- Domani ci incontreremo tutti davanti al tempio di Venere, siederemo sui gradini e a turno mi interrogherete sulla vita che si svolge nella reggia degli Dei.
Scomparve Akronos e sperò tanto che il giorno successivo i giovinetti gli facessero tante domande al fine di far capire loro che l’uomo ha bisogno di rapportarsi con l’Olimpo. 


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