sabato 5 giugno 2021

Dall’Alfa all’Omega - IL SAGGIO DELLA MONTAGNA . 05.06.2021

 

 


I Racconti del Borgo

Mario Scamardo

Dall’Alfa all’Omega
IL SAGGIO DELLA MONTAGNA

 

Un’erta difficile è quella che porta al Piano delle Giumente, così è chiamato il tratto di pianura a quota seicento metri a ridosso della Pizzuta, montagna che si affaccia alla Kumeta, altro picco di pari altezza, che al tramonto ricopre col suo mantello d’ombra l’abitato di Piana degli Albanesi.

In fondo al pianoro, un sentiero tortuoso tra sterpi, rovi ed agavi enormi disseminate qua e là, che conduce ad un anfratto di difficile accesso, dentro l’anfratto ancora un anfratto ed una serie di grotte sempre più buie, percorribili con difficoltà, che sembra attraversino tutta la montagna per affacciarsi poi dalla parte opposta.

La roccia è calcarea con evidente colorazione rossastra, dovuta alla ferrettizzazione; la grotta presenta, al suo interno, particolari spaccature, e la presenza di formazioni molto antiche del tipo stalagmitico han fatto si che il posto divenisse meta continua di speleologi e studiosi di ogni sorta che hanno percorso tutti i cunicoli che collegano la serie di grotte, rilevando notizie sull’aspetto litologico e l’azione dell’acqua nei tempi, la flora e la fauna, e quanto può riuscire utile per la conoscenza del sito.

Piano delle Giumente è un posto da capre, bisogna talvolta arrampicarsi per lunghi tratti, e i caprai o i pecorai conoscono bene il luogo, stante che all’ingresso dell’anfratto è stata ricavata, nella pietra friabile, una piccola depressione atta a raccogliere quel filo d’acqua che fuoriesce dalla spaccatura di una roccia, consentendo l’abbeverata ad animali e pastori, che di quell’acqua apprezzano purezza e freschezza.

In ogni parte del mondo, attorno alle grotte, la fantasia degli uomini ha costruito miti e leggende, ha immaginato incantesimi e tesori, ma soprattutto si è sbizzarrita a porre, a guardia di scrigni e di fantastiche casse colme di ori, belve feroci, draghi, magici guerrieri, streghe, gnomi, folletti, fauni, semidei e quanto di più può dare suggestione o incuriosire.

Il retaggio della mitologia greca prima e di quella romana poi è evidente, ma guai a non lasciare alla mente l’opportunità di divagare in un mondo fantastico, dove ognuno può calarsi e divenire eroe e mago. La fantasia ha la forza di realizzare ogni sogno, anche se tutto poi sfuma con le nebbie del primo mattino. Caverne e grotte hanno giocato un ruolo simbolico di primo piano nei miti della tradizione, e ancor oggi non hanno perso questo ruolo. La grotta, la caverna, l’anfratto, hanno fissato nell’uomo la dualità tra il buio dell’interno e la luce al suo esterno, quindi la dualità tra giorno e notte. La notte è fredda, oscura, cattiva. Costringe al riparo e al sonno indifeso, preludio della morte alla quale assomiglia. La notte è paura, abisso insondabile, orrore agghiacciante, scommessa fatale sull’incerto ritorno del sole. il giorno è caldo, luminoso, buono. Consente di trovare i frutti della terra e ogni genere di sopravvivenza, consente di vedere e aggirare gli ostacoli e di fuggire i pericoli.

 



Gli anfratti della Pizzuta non si sono sottratti al mondo della fantasia e, spesso, la voglia di entrare in possesso dei tesori della grotta metteva in moto escursionisti che nulla avevano in comune con gli amanti della natura, con gli studiosi della flora e della fauna o con l’interesse scientifico dei geologi. Lo spirito d’avventura e una certa voglia di ricchezza a basso costo superavano ogni ragione e si scalava la montagna preparati ad affrontare i draghi, i guerrieri immortali, le streghe o i folletti, e a scavare buche profonde o abbattere pareti di pietra con attrezzi degni di un cantiere edile.

Era un mattino sereno, l’aria era cristallina e una brezza leggera aveva spazzato ogni fumo di nuvola dal pianoro della Pizzuta. Attraverso la gola che la Kumeta forma con le alture di Guadalami e Maganoce, si intravedono le colline del saccense e si può riuscire a scorgere il convento di San Calogero sul monte Kronion. Quattro giovani aitanti, sui vent’anni, e una ragazza, giunti che furono sul pianoro, armati di pale, picconi e un paio di lunghe corde, si distesero sull’erba fresca per riaversi dalla fatica, e cominciarono ad esporre il piano per esplorare le grotte alla ricerca del tesoro o, in mancanza, qualche reperto in grado di soddisfare la loro voglia di realizzare denaro e contemporaneamente di appagare qualche curiosità.

Mentre i cinque ragazzi riflettevano come affrontare la grotta, il sole, che si spostava verso lo zenith, accorciava pian piano le ombre e le animava, tanto da non fare accorgere agli stessi che una di quelle ombre si stava materializzando proprio davanti alla grotta. I cinque ragazzi si ritrovarono davanti un austero vecchio dalla barba canuta, che fluiva fino alla cintura, e i lunghi capelli color latte gli scendevano sul collo. La sua tunica era raccolta alla vita da un giunco. Per un attimo ammutolirono e indietreggiarono, per un senso di timore e insieme di rispetto per il vecchi canuto e per il grosso libro che teneva in mano. La copertina rigida colore rosso scarlatto e le lettere impresse su di essa in oro, una grande alfa e una grande omega.

Regnò il silenzio, che fu rotto solo dal vecchio: emanava saggezza e insieme semplicità, dignità, cultura profonda, ed era senza tempo. A guardarlo, sembrava che questo parametro appartenesse ad altra realtà, ad altra dimensione, e così parlò: - Sono Akronos, sono nato e non sono cessato, questa grotta l’ho voluta quando il calcare che forma questa montagna era magma incandescente. Prima che si raffreddasse invitai Sirocco a rendermi un servigio, a soffiare più forte e ad attraversare la massa fluida, lasciando che l’incavo la percorresse tutta, per permettermi di guardare, in un sol colpo, le due vallate.

La ragazza, colpita dall’austerità del vecchio, gli chiese: - Come potete fare a meno del tempo? Chi prima di voi e chi dopo di voi? Il prima e il dopo prevedono che qualcuno si rapporti col tempo…

Il vecchio accarezzò la sua fluente barba e rispose: - Io sono detentore del libro delle verità, scritto e aggiornato a mano. Mi è stato affidato da un altro saggio che con me spartì quest’anfratto e poi sparì per compiere altre missioni. Ho voluto che fosse così, nel rispetto del libero arbitrio, che Chi sta al di sopra di tutte le cose regalò all’uomo, ed io consegnerò, a mia volta, questo libro ancora ad un saggio, ed andrò via a compiere altre missioni. 

I ragazzi, quasi in coro, chiesero: - Quanto tempo passerà prima che ciò avvenga?

Il saggio sorrise, capì che i giovani non erano stati educati a recepire il suo messaggio, difatti si trovavano sulla montagna con altre intenzioni. Allora aprì il libro e sulla prima pagina lesse: - Aiutare i bisognosi, promuovere l’amore per il prossimo è un’opera che trascende il tempo!

I giovani non diedero gran peso a quanto il vecchio aveva letto e, presi da altro interesse, gli chiesero quali e quanti tesori erano stati sepolti nelle grotte…

Il vecchio li invitò a sedere, poi si lisciò i baffi e la fluente barba e disse: - Queste grotte non nascondono tesori, le pareti sono segnati da simboli, ma i simboli non sono necessariamente memorie, a volte sono sogni. I veri tesori sono racchiusi in questo libro che tengo tra le mani, esso è un compendio di verità e profezie. Esso tratta dell’uomo, specialmente in rapporto con la scelta e il criterio di giudizio nei confronti dei due concetti di bene e male. Sfogliò e lesse: - La giustizia è virtù rappresentata dalla volontà di riconoscere il diritto di ognuno, mediante l’attribuzione di quanto è dovuto, secondo la ragione e la legge. La libertà, stato di autonomia, essenzialmente sentito come diritto e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico. L’uguaglianza fa sì che l’uomo sia considerato alla stessa stregua degli altri membri della collettività relativamente a determinati diritti o valori, prescindendo dalla razza, dal colore della pelle e dal credo religioso. La fratellanza, vincolo spirituale che esiste tra fratelli naturali o tra componenti di una società costituita per fini umanitari, che non è di mutuo soccorso, ma sentita in quanto legata da quella malta che è l’amore. La tolleranza, che consente agli uomini di buona volontà, pur non condividendo idee e pensieri, di rispettare chi questi pensieri e queste idee coltiva. Il vecchio saggio si fermò.

Il sole era allo zenith, non c’erano più le ombre e i ragazzi, ricaricata sulle spalle l’attrezzatura, intrapresero la discesa dal monte carichi dei tesori che il vecchio aveva dato loro con i suoi insegnamenti.

Al mattino, quando le temperature cominciavano a elevarsi, e all’imbrunire, quando tornavano a calare si sentiva la brezza o il vento attraversare la grotta e provocare un sibilo, tanto più forte quanto più lo era la velocità delle masse d’aria. Questo rumore, del tutto naturale, aveva solleticato le fantasie che sostenevano la presenza di un gigantesco guerriero in elmo, corazza e spada, che se ne stava sdraiato entro una grotta e una volta al mattino e un’altra nel pomeriggio si destava dal sonno e sbadigliava emettendo quei sibili.

Era giorno di festa, di quelli che si trascorrono attorno alla tavola con tutta la famiglia, le campane suonavano a distesa e per le vie del paese la banda musicale. All’anfratto arrivarono i suoni, i vocii e lo scampanio festoso, nessuno poteva immaginare che attorno a mezzodì qualcuno si presentasse davanti alla grotta carico di mestizia e con in mano un paio di sacchetti. Era un uomo sui trent’anni, ben messo nella persona, ma dagli occhi e dalla espressione trasudava tanta amarezza, tanta disperazione. L’uomo, in maniera timorosa, sbirciò dentro la grotta, cautamente ne varcò la soglia, guardò attorno e cercò l’angolo dove distendersi a passare la notte. Raccolse un po’ di frasche e le sistemò a giaciglio, poi si sedette sull’uscio, proprio accanto a una lieve depressione che raccoglieva l’acqua della sorgente.

L’uomo non fuggiva da nulla, non aveva commesso nulla per cui dovesse nascondersi, ma certamente qualcosa l’aveva spinto a scegliere quella scomoda dimora.


 

Akronos, il vecchio saggio, stette a guardarlo e notò sul suo volto tanta disperazione e tanto smarrimento. Con la testa tra le mani l’uomo si mise a singhiozzare e lacrime copiose rigarono il suo volto. Akronos gli diede il tempo di sfogare, aveva tanta rabbia in corpo e tanta nebbia nel cervello, poi si materializzò assumendo l’aspetto di un cacciatore e per non farlo spaventare mosse alcuni cespugli e tossì, gli passò davanti, lo salutò facendo finta di niente e si allontanò tra le agavi; poi, si materializzò dietro un roveto e comparve nella sua tunica bianca cintata con un giunco, con la sua barba fluente, i capelli color latte e in mano il grosso libro rosso scarlatto con l’alfa e l’omega impressi in oro.

Quando l’uomo lo vide, ebbe timore e indietreggiò sbarrando gli occhi, ma il saggio lo rincuorò dicendo: - Figliolo, non temere, io sono il solo ad abitare questa grotta, ma tu sei il benvenuto; nel tempo l’ho divisa con un vecchio, ora la dividerò con te, non avrai paura del buio, non temerai la notte con le sue insidie, io veglierò su di te, sulla tua incolumità, e domattina, quando Morfeo ti consegnerà al novello giorno, rivedrai il sole già alto.

L’uomo si sentì rincuorato, si sedette accanto alla sorgente e inerrogò Akronos: - In paese si è sempre sentito parlare di voi, della grotta, della persona e dei mostri che la abitano, ma io pensavo alla fantasia degli uomini e credevo di non trovarvi anima viva, anche se in cuor mio speravo che qualcosa di fantastico accadesse. Ma voi da quanto tempo siete qua? Dalla vostra lunga barba e dai capelli come neve, scusate, semrate molto vecchio… Quanti anni avete?

Il saggio sapeva quale era il motivo che aveva spinto l’uomo verso la grotta, ma dalla sua domanda ebbe contezza della sua capacità d’ascolto e di accettare le ragioni dell’esistenza; per ciò aggirò la domanda e fu vago dicendo: - Ho visto molte lune piene, molti inverni e molti fiori diventare frutti e poi ancora semi; ho visto l’uomo perpetuarsi e lottare sia per il futile che per i grandi valori. Anche tu stai lottando, nei tuoi occhi e nel tuo viso leggo i segni della sofferenza… Perché hai scelto questo luogo per sfogare la tua rabbia?

L’uomo lo ascoltò attentamente, poi cominciò a raccontare: - Sono sposato da cinque anni, da tre sono padre di un bambino, con mia moglie viviamo a casa dei suoi genitori, dove dimorano il fratello e la sorella di lei. Il lavoro scarseggia, ed io sono prigioniero dell’alcool, bevo più di quanto guadagno e non riesco a venirne fuori, non posso farne a meno, so che mia moglie soffre di questo mio stato e so che tutto questo non giova al bambino, ma è più forte di me e le liti sono diventate quotidiane, e invece di coinvolgermi a smettere, mi spingono sempre più dentro le osterie e i bar e mi fanno perdere la ragione. Oggi è stata l’ultima lite in famiglia, li ho avuti tutti contro, mentre il bambino con gli occhietti smarriti se ne stava muto e impaurito. Sono scappato via imprecando e non voglio più tornare a casa.

Il vecchio lo lasciò parlare, poi gli mostrò il grande libro dalla copertina scarlatta e disse: - Figliolo, guarda questo libro: contiene tutte le verità, e vi sono scritte tutte le profezie del mondo. Io ho il compito di leggerti alcuni passi, tu a tua volta hai il compito di ascoltarli. Se le parole scritte sapranno staccarsi dalle pagine e imprimersi nel tuo cuore, quando ti sveglierai, ripercorrerai l’erta a ritroso e troverai tua moglie sull’uscio ad aspettarti col bimbo sulle braccia. Altrimenti, se le parole non ti arriveranno, perché la tua mente è  nel caos e la tua anima è dibattuta tra ciò che è bene e ciò che è male, questa montagna sarà la tua casa. Io posso guardare due valli e posso condurti nell’una o nell’altra. Sta a te la scelta: ridiscendere passo passo il crinale della valle del bene o scivolare nella valle del male. Seguimi e vedrai…

Andarono per un sentiero tortuoso, attraversarono grotte successive sempre più buie ma il candore della tunica, della barba e dei capelli del saggio seguivano il cammino, fino a quando non raggiunsero la grotta centrale che comunicava con l’esterno attraverso una feritoia nel tetto, da dove entrava la luce e di potevano vedere il sole e la luna transitare.


 

Nell’antro di centro Akronos si fermò, fece notare un blocco di arenaria rossa dove era infissa una grande spada di acciaio con l’elsa cesellata e un grosso rubino in cima.

Guarda questa spada infissa nella pietra, disse il vecchio, questa è la linea di demarcazione tra il bene e il male, ora ti terrò per mano e ci affacceremo sul baratro del male, ma non aver paura, torneremo indietro sui nostri passi e solo allora ti leggerò quanto ti avevo promesso.

Akronos si avviò tendendo la mano.

Non c’erano strade che conducessero all’imbocco, solo una parete rocciosa a perpendicolo con l’orizzonte, uno strapiombo su una valle dove non si intravedeva un filo di verde,un groviglio di aridi sterpi, e giù scarne giovenche che brucavano spine, e serpi ovunque intrecciati e fitte ragnatele tra alberi fossilizzati. Akronos sostò un istante, poi batté una mano sulla spalla dell’uomo e lo invitò a muovesi sulla via del ritorno.

Giunti che furono davanti al pianoro dove zampillava la piccola sorgente, i due si sedettero. Il vecchio riprese in mano il suo libro, lo ap’erse e cominciò a leggere: Onora Dio, non fare mai male, fai del bene. Ama i buoni, aiuta i deboli, fuggi i malvagi ma non odiare nessuno. Parla sobriamente con i grandi, prudentemente con i tuoi pari, sinceramente con gli amici, dolcemente con i piccoli, teneramente con i poveri. Ascolta sempre la voce della coscienza. Assisti il viandante straniero; la sua persona è sacra per te. Rispetta le donne. Non abusare mai della loro debolezza e muori piuttosto che disonorarle. Se Iddio ti da un figlio, sii grato, ma trema per l’impegno che ti affida. Sii per il bambino l’immagine della divinità. Fa’ che fino a dieci anni egli ti tema, che fino a venti ti ami, che fino alla morte ti rispetti. Fino a diedi anni sii il suo maestro, fino a venti suo padre e fino alla morte suo amico.

L’uomo ascoltava senza perdere una battuta, ed il vecchio scandiva le parole. Come un esperto maestro di dizione fece un attimo di pausa, poi riattaccò la sua austera lettura: - Preoccupati di dargli dei buoni principi, rendilo uomo onesto più che uomo abile. Poi si fermò ancora, come se volesse tirare un sospiro, alzò gli occhi al cielo e proprio in quell’istante uno stormo di anatre con la loro tipica formazione a V si dirigeva verso il lago di Piana degli Albanesi, forse quello era il segno che Akronos aspettava, quindi riprese: - Ascolta e trai profitto,guarda e imita, rifletti e lavora. Rapporta tutto alla utilità dei tuoi fratelli. Sarà come lavorare per te stesso. Rallegrati della giustizia, adirati contro l’iniquità, soffri senza compiangerti. Il vecchio chiuse il libro e notò che l’uomo copiosamente piangeva, non lo disturbò, si alzò e andò fuori dall’anfratto come a volersi riposare. Staccò un lembo della tunica, lo bagnò con l’acqua della sorgente, lo porse all’uomo e disse: - Lavati il viso e asciuga le tue lacrime. Esse non sono segno di debolezza, quindi, non vergognarti mai di piangere, solo i forti e i grandi sanno piangere, i deboli ostentano sempre la sicurezza che non possiedono e sconoscono l’umiltà. Le apparenze sono solo specchietti per le allodole, sono lustrini ingannevoli che spesso ti portano dall’altro lato della montagna, dove non c’è sentiero alcuno, dove esiste solo il baratro. Tu, figlio mio, non giudicare con leggerezza le azioni degli uomini, non biasimare affatto, e loda ancora meno. Spetta solo a Dio, che sonda i cuori, apprezzare le loro opere.

Akronos pose sotto il braccio il suo libro, volse le spalle ed entrò nella grotta, mentre il giovane venne preso da un pesante sonno.

La luna attraversò tutto il cielo e quando fu sulla grotta sembrò fermarsi come per incanto, quasi a rendere omaggio al vecchio saggio senza tempo, poi lentamente raggiunse l’orizzonte e fece posto al sole.

L’uomo si risvegliò, bevve un sorso d’acqua, riprese i due sacchetti che aveva portato con sé, si guardò attorno in cerca di Akronos e lo vide su una roccia che lo salutava; poi si incamminò ritornando sui suoi passi.

 

 

 

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