domenica 13 dicembre 2020

LA DOTTRINA DELLA CONOSCENZA - 13 dicembre 2020

 

 

 





 

 

 

I RACCONTI DEL BORGO 


Mario Scamardo

 

LA DOTTRINA DELLA CONOSCENZA

 

Aristotele

     Gabriele superato l’esame di licenza media, chiese consigli alla sua mamma se inscriversi in un liceo classico, così come aveva suggerito la sua insegnante di lettere, oppure accedere a quello scientifico o ad un istituto tecnico. La mamma, che era in servizio nella qualità di docente di fisica in un Istituto tecnico, gli consigliò il liceo classico, anche perché l’unico che c’era nella loro cittadina, era a duecento metri da casa loro, LICEO CLASSICO STATALE LUIGI PIRANDELLO.

            Sin dal primo giorno di scuola Gabriele seguì ogni ora di lezione con enorme interesse, guadagnandosi il plauso di insegnanti e genitori. Pian pianino prese dimestichezza con la filosofia e fece suoi, di volta in volta, i pensieri di Socrate, di Platone, di Aristotele. Fece propri tanti concetti della Scuola Classica, si addentrò nei Caratteri della civiltà ellenistica, l’Epicureismo, lo Stoicismo, lo Scetticismo, ecc.

            Ci volle poco per Gabriele a cimentarsi in un argomento che lo affascinava e che riteneva  la sua conoscenza indispensabile alla crescita dell’uomo, “La dottrina della conoscenza”.  Così come Platone, Aristotele riconosceva  il duplice grado della conoscenza dell’uomo, delle cose individuali e cioè la sensitiva e delle essenze universali, dei concetti che costituiscono “scienza” e cioè l’intellettiva. Aristotele non conveniva con la dottrina platonica, per cui i concetti  erano reminescenze contemplate nelle vite precedenti che egli negava.

All’inizio della vita la mente dell’uomo è una pagina non scritta. Con gli occhi, le orecchie, il naso, il tatto e il gusto, arrivano all’uomo le prime sensazioni. Un senso interno, senso comune, connette in una unica rappresentazione le qualità sensoriali dello stesso oggetto di cui il cervello elabora una immagine che viene conservata dalla memoria. La fantasia compie un ulteriore lavoro, quello di fondere immagini di oggetti simili, per ottenerne un’immagine generica che diventa schema. Basta cimentarsi nel disegnare una semplice foglia o un animale dove delineiamo i tratti caratteristici, all’uomo familiari. I bambini, ce lo fanno notare, attraverso i loro disegni sempre schematici.

La fantasia conserva le immagini sensibili, la memoria ne dà il possesso permanente.
            Si fermava Gabriele, rileggeva quanto aveva scritto, lo rivedeva una seconda volta, poi chiudeva il quaderno dove scriveva e andava a farsi una passeggiata per incontrare gli amici ed i compagni di scuola e, cercava di verificare quanto aveva sostenuto, quando lo riteneva possibile.

Risedutosi davanti al suo quaderno ripigliava a scrivere.  Aristotele, In difformità con Platone, afferma che nella rappresentazione sensibile l’elemento universale non è in atto ma in potenza. Aristotele distingue un intelletto attivo ed uno passivo. Ogni uomo è dotato di intelletto passivo, esso è come un occhio mentale che non riesce a vedere se non viene impressionato dalla luce intellettuale (intelletto attivo), un elemento che viene dal di fuori, un elemento divino che trae dalla rappresentazione sensibile l’essenza che vi abitava allo stato potenziale; da qui il concetto di astrazione e, quindi, l’intelletto passivo che l’accoglie e la immagazzina quale concetto.

                                                                Celestino V
 

Nel Medio Evo il Cristianesimo, considerando l’intelletto attivo come infuso in ogni uomo con la creazione della sua anima spirituale da parte di Dio, si inventò l’aristotelismo cristiano ma, la concezione aristotelica cristiana  e la mentalità  del filosofo sono distanti anni luce, per cui diventa molto verosimile che Aristotele non ammettesse l’immortalità personale.

La filosofia cristiana è quel campo di indagine che cerca risposte sul senso del mondo e della vita umana alla luce della rivelazione cristiana; in tal senso essa attiene più in generale ai rapporti tra filosofia e religione.

In periodo medievale la teologia cristiana assumerà sempre più le vesti della filosofia, ovvero di un tentativo di pensare la divinità anche con gli strumenti della ragione, non tanto per rinforzare la fede, quanto allo scopo di difenderla dalle critiche nei suoi confronti. La filosofia "ancella della fede" è così la concezione rintracciabile in questi primi costruttivi rapporti tra filosofia e Cristianesimo. 

 

                                           Gregorio X

Il tempo, questo infaticabile camminatore, modella  e affina ogni cosa.  Più volte nei secoli esponenti del pensiero cristiano, quali ad esempio Tommaso d'Aquino, o anche documenti ufficiali della sede papale, si sono soffermati sul rapporto fra fede e ragione, per marcare il punto di vista cattolico, sulla risoluzione di questo rapporto; una recente enciclica, promanata da papa Giovanni Paolo II con il nome appunto di Fides et Ratio, ha riproposto la dottrina della Chiesa su questo punto. L'enciclica presenta lo spirito dell'uomo come compreso tra due ali che sono appunto la fede e la ragione. Mancando un sola delle due non si può spiccare il volo alla ricerca della verità. Nessuna fede può essere accettata se prima non è pensata dall'intelletto: Dio si rivela all'intelligenza, dà spiegazione intelligibile del suo amore. L'amore di Dio è oggetto di Rivelazione e quindi comunicato all'uomo che la conoscerà tramite la sua razionalità.

Gabriele, per il tema che s’era dato, aveva ultimato il suo scrivere, ma non aveva finito di cercare conferme quindi, affidava il suo lavoro al severo giudizio di sua madre, accettando tutte le eventuali critiche e i consigli. Fu così per tutti gli anni del liceo poi, la scelta per la vita, la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo che lo vide laureato in Filosofia e Pedagogia col massimo dei voti, la lode e la pubblicazione della tesi: “LA DOTTRINA DELLA CONOSCENZA E I PAPI INNOVATORI DAL MEDIO EVO A PAOLO VI”. Due anni dopo Gabriele ebbe la cattedra di filosofia in un COLLEGE Californiano.
    Quasi trentenne Gabriele sposò in Sicilia una sua collega universitaria. Si dimise dal College californiano e diventò dirigente di una industria agroalimentare facendola diventare nota in tutto il mondo. Sua moglie partorì Luigi che crebbe fino a diventare scolaro e poi studente e, quando fu il momento di affrontare il liceo, chiese anch'egli consigli ai genitori che lo inscrissero al
LICEO CLASSICO STATALE LUIGI PIRANDELLO della loro cittadina, lo stesso che aveva formato Gabriele.


 

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mercoledì 2 dicembre 2020

...QUANDO LA MISERIA - Narrato breve - 02.12.2020

 




 

 

 

Mario Scamardo

 

...QUANDO LA MISERIA


(Tratto dal romanzo GERTRUDE  di Mario Scamardo)

 

 

Gertrude. Perché ad una bambina gracile e timorosa avevano appioppato quel nome? E’ come se le avessero caricato sulle esili spallucce un masso di un quintale. Non ne esisteva un’altra che si chiamasse così a Monreale[1], ed anche l’anziana nonna, l’unica persona che le era rimasta al mondo, la chiamava come tutti, con un vezzeggiativo, in dialetto, Cilitrudda.

    Suo padre non l’aveva conosciuto, aveva lasciato la famiglia messa su due anni prima, alla sua nascita, ed era fuggito in Germania con un’altra donna. L’aveva tirata su con grandi stenti, attaccata fino a due anni ad un seno sempre più vuoto la sua mamma, dividendo con la vecchia genitrice qualche piatto di minestra dove c’erano più verdure, che la donna raccoglieva nei pressi del lavatoio pubblico e nei viottoli, che pasta. Era una donna bellissima con due occhi profondi, due mani grandi, ed un neo sulla guancia sinistra, come quelli posticci che le dame della corte di Versailles, solevano attaccarsi alle gote.

Non aveva un lavoro la mamma di Cilitrudda, un giorno aiutava a pulire le olive alle mogli dei contadini vicini di casa, un altro lavava il grano da portare al mulino, un altro ancora pigiava l’uva con i piedi, e tutti le donavano una manciata dei frutti della terra. Per poter dare qualche proteina alla bambina le toccava pulire ogni settimana il pollaio d’un vicino e, quando le andava bene, le regalavano due uova, allora il suo volto diventava meno tirato e riusciva anche a sorridere.

    La sua casa era sterrata, senza pavimentazione, ed il tetto era fatto in canne e tegole. Le estati erano freschissime, ma gli inverni erano gelidi. Tutto l’anno, prima che imbrunisse, o al mattino presto, la mamma di Cilitrudda girava per viottoli nelle campagne della periferia e portava a casa una bella fascina di sterpi, dei sarmenti e, quando era fortunata, trovava un ramo che il vento aveva buttato giù dagli eucalipti.

    Cilitrudda aveva compiuto sei anni e la vecchia nonna, da un vecchio vestito nero di cotone, era riuscita a tirarle fuori un grembiulino; da un lembo di lenzuolo aveva ricavato un collettino bianco, e fu per la bambina il primo giorno di scuola. Era così piccola e macilenta che, pur seduta in prima fila, sui banchi di guareschiana memoria, dalla cattedra si riuscivano a malapena a vedere i due occhietti vispi e profondi.

La madre ebbe in dono da una anziana signora un telaio e tutta l’attrezzatura per ricamare, e quando lo ricevette le fu raccomandato di insegnare sin da subito alla bambina l’arte di Aracne[2], mandandola nei pomeriggi da una brava ricamatrice perché imparasse. L’anziana donna sapientemente le raccomandò:                                           - Non farla crescere senza né arte né parte, non fare come tua madre che non ti ha insegnato niente, io guardo sempre la bambina, e mi fa tanta pena, ricorda, impara l’arte e mettila da parte, il proverbio antico non sbaglia mai!

 

    Cilitrudda finì la prima elementare, e nei pomeriggi, anziché giocare come tutti gli altri bambini, andò dalla signorine Margherita e Vincenzina Morello, due zitellone grasse e gonfie come due zampogne, ma con le mani abili sui telai, due ricamatrici con una ventina di allieve. Margherita prese a cuore Cilitrudda, le insegnò il punto catenella, il punto croce, il punto corallo, il punto erba, il punto raso, il mezzopunto e il punto smerlo e i filati da usare: fili di seta, lino, cotone, lana; cordoncini, nastri, fettucce, filati sintetici; e a volte addirittura oro e argento. La bambina, anche se con difficoltà imparava e la signorina Morello la seguiva dandole consigli di volta in volta.

    Cilitrudda era minuta, ma era intelligente e capiva che prima imparava, prima poteva dare una mano d’aiuto alla sua mamma che ogni giorno era sempre più stanca.

    Ottobre arrivò carico di pioggia e, quando la bambina tornò dal suo primo giorno di scuola in seconda elementare, trovò la sua mamma a letto che tossiva e si copriva la bocca con un panno. La vecchia nonna soffiava sul fuoco per far bollire la pentola ed ogni tanto con una paletta di ferro tirava della brace e la depositava nel braciere posto accanto al letto.

- Mamma, ti senti male?

- No, è solo un raffreddore, tu mangia e poi copriti bene, con questo tempaccio non andare dalla signorina Morello, statti seduta accanto a me, fammi compagnia.

 

Sentì la madre tossire convulsamente, si avvicinò al letto, ma la nonna l’allontanò.

- L’influenza è contagiosa, specialmente per i bambini, vatti a sedere a tavola, fra due minuti ti darò la minestra, poi ti metti accanto al braciere.

 

La nonna consegnò un altro panno pulito alla madre, avvolse il primo in un pezzo di carta e lo infilò nel secchio dell’immondizia.

Era il primo giorno d’ottobre e sembrava febbraio, il freddo entrava nelle ossa e dal tetto cadeva gelo.

    Il buio arrivò presto, la nonna rimise sul fuoco la pentola e diede a Cilitrudda una scodella di fagioli ed un pezzetto di pane raffermo.

- Buttaglielo dentro a pezzetti, vedrai che diventa buono, oggi tua madre non è uscita, non è andata ad aiutare il fornaio per le pulizie, e il pane è quello d’ieri, sbriciolalo nei fagioli.

 

    Cilitrudda voleva dare un bacio alla mamma prima di mettersi a letto, le due candele che illuminavano quell’unico vano tremolavano per le correnti d’aria che provenivano dal tetto, la nonna aggiunse una vecchia coltre al suo lettino.

- La tua mamma dorme, vieni ti darò io due baci.

 

Le rimboccò le coperte, la baciò più volte sulla fronte e sedette accanto a lei tenendole una mano. Quando la bambina si addormentò, scoppiò in un pianto dirotto, si spostò al capezzale della figlia e le accarezzò la fronte.

    Fu una notte tremenda, i lampi sembravano volessero sgangherare il tetto, tuonava e qualche goccia d’acqua cadeva sul pavimento sterrato facendolo diventare un pantano. L’anziana signora toccò ancora una volta la fronte della figlia, la febbre era altissima e le pose sopra un panno bagnato. La donna tossì ancora e si asciugò a fatica la bocca insanguinata. La malnutrizione aveva permesso al bacillo di Koch di proliferare nei suoi polmoni, quasi carenti erano state le cure e quell’ambiente malsano che era la sua casa, la stavano spegnendo.

    Gertrude si ritrovò nel pomeriggio del due di ottobre dietro un carro funebre, lei, l’anziana nonna e cinque o sei vecchierelle di quella malsana periferia. Lungo il percorso dalla chiesa al cimitero, un vecchio si staccò dal corteo, raccolse due dalie da un’aiola sul ciglio della strada e, quando il carro si fermò, le pose sulla bara e si segnò. Erano gli unici due fiori che la mamma di Gertrude aveva ricevuto durante la sua permanenza sulla terra.

    Quella bambina di sette anni non versò una lacrima, era intontita, il suo volto era senza espressione e quando a casa la nonna le mise davanti il piatto con i fagioli rimasti la sera prima, Gertrude lo respinse.

- Nonna, io non ho fame, mangiali tu.

 

Si alzò dalla seggiola, si mise sulle spalle lo scialle di nonna e prima di varcare la soglia:

- Nonna, vado dalle signorine Morello.

- Non far tardi che è quasi buio.

- Solo il tempo di parlare con la signorina Margherita.

 

Uscì avendo cura di non sbattere la porta che cigolava.

    La signorina Margherita si era affezionata a Gertrude, e quando la vide comparire all’imbrunire, lo stesso giorno che aveva accompagnato sua madre al camposanto, l’abbracciò e la baciò.

- Siediti, ti preparo una tazza di cioccolata e due biscotti.

- No, grazie signorina, non ho fame, sono venuta per un altro motivo.

- Parla piccina, cosa posso fare per te?

-Tanto, signorina Margherita, io e nonna da due giorni non mangiamo e l’unico piatto di fagioli, avanzo di due giorni, lo rifiutiamo ambedue, nella speranza che lo mangi l’altra. Pigliatemi a servizio da voi, mi curerò della casa, vi farò le commissioni, ricamerò le cose più semplici per voi, ma fate si che pure quella vecchietta di mia nonna non abbia a morire anche lei di tisi.

 

La bambina scoppiò in un pianto dirotto e la signorina Margherita l’abbracciò e la strinse al suo enorme seno singhiozzando.

- Ti aiuteremo noi, verrai da domani a servizio da noi, mia sorella Vincenzina sembra un po’ burbera, ma non ti preoccupare, stasera le parlerò io, vedrai che non troverà nulla da ridire. Ora aspetta, ti preparo la cioccolata e i biscotti, poi ti darò qualcosa da portare alla nonna, e da domani verrai da noi, mezza giornata ti servirà per affinare l’arte del ricamo, l’altra metà ti servirà per le faccende di casa e le commissioni.

 

Si allontanò la signorina Margherita e tornò di li a poco con una tazza di cioccolata e due grossi biscotti fatti in casa, poi preparò un cesto con della pasta dentro, un grosso pezzo di formaggio, quattro uova, due grappoli di uva rossa dagli acini grandi quanto le olive da mensa ed un pane rotondo ricoperto di semi di sesamo.

- Portateli via piccina, fai mangiare la tua nonna.

 

Si chinò, baciò in fronte Gertrude.

- E’ quasi buio, vai di fretta a casa.

- Grazie signorina, domattina passerò da scuola per dire che non frequenterò più le lezioni, poi di corsa sarò qui a fare le pulizie.

 

Gertrude prese il cesto e si incamminò verso casa.

Si sentì importante la bambina, aveva trovato lavoro e poteva sfamare l’anziana nonna. Quando chiuse la porta di casa sua, si sedette accanto al fuoco e guardando il letto di mamma vuoto si mise a piangere. Tra i singhiozzi disse:

- Nonna, domani svegliami al canto del gallo, prima che sia ora di andare a scuola devo recuperare un poco di legna per il fuoco, poi comincerà la mia prima giornata di lavoro.

 

Raccontò a nonna del suo accordo con la signorina Morello, ma presto si addormentò sulla sedia.



[1] Cittadina della Sicilia occidentale, a circa 8 km da Palermo, su un picco che domina la Conca d'Oro. La località conosce fama internazionale grazie al celebre Duomo, gioiello dell'architettura medievale siciliana. Dopo Piazza dei Miracoli a Pisa, il duomo di Monreale, gioiello di arte bizantina, è il monumento più noto al mondo.

 


                                                             DUOMO DI MONREALE

[2] Nella mitologia greca, una giovane tessitrice abile da sfidare Atena, protettrice delle ricamatrici. La dea tesseva un arazzo raffigurante gli dei e le dee in tutto il loro splendore, Aracne ne realizzò uno che raffigurava i loro amori. Furiosa per la perfezione dell'opera trasformò Aracne in un ragno condannandola a tessere continuamente il suo filo.

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