mercoledì 20 marzo 2019

I LANDMARK DI UN SIGNORE DI CAMPAGNA (Tratto dal romanzo "Il fascino delle mutazioni" di Mario Scamardo 20.03.2019)


         












 I LANDEMARK DI UN SIGNORE DI CAMPAGNA

(Tratto dal romanzo di Mario Scamardo "Il fascino delle mutazioni")


 Fu un sabato pomeriggio che Rosetta chiese al suo compagno di trascorrere la domenica in campagna, possibilmente dai genitori di lui che vivevano in provincia, la risposta fu positiva. Lei indossò un tailleur blue chiaro con sotto un top in seta bianca, lasciò sciolti i suoi capelli, adornò il suo collo con una collana di perle che le lambiva l’attaccatura del seno, ed infilò in un borsone che porse a Mario, un jeans ed alcuni indumenti intimi, aprì poi l’armadio e tirò fuori una giacca a vento color senape.
         Usciti dalla città salirono, curva dopo curva, per una panoramica fino a raggiungere Giacalone, una frazione di Monreale posta a quota settecento metri, da dove è possibile cogliere in un sol colpo d’occhio tutta la città, da Mondello ad Acqua dei Corsari. Si soffermarono a mirare il panorama e cercarono di individuare, facendo riferimento ai campanili, le piazze ed i monumenti più noti della città.
         Rosetta chiese a Mario se quella visita imprevista lo avesse messo in imbarazzo o avesse potuto indisporre i suoi genitori, ma egli la rassicurò informandola che la sua famiglia, pur non aspettandoli, conosceva la sua storia d’amore. Risalirono in macchina e affrontarono la discesa che conduceva in paese. Rosetta fu per un momento taciturna, poggiò la testa sullo schienale e riflettè sulla differenza d’età col suo ragazzo. Come era possibile che i genitori di lui potessero accettare tale situazione per l’unico figlio che avevano, come era possibile che in Sicilia, dove regna ancora la famiglia patriarcale, dove il padre padrone impera, nulla avessero obiettato i genitori di Mario o, forse, Mario non aveva fatto cenno all’età di lei. Quella discesa offriva il più incantevole dei paesaggi, coda terminale della Val di Mazara, la Valle dello Jato si apriva da una gola tra i monti e sembrava essere illuminata a festa, mille luci nella campagna e sullo sfondo Castellammare, col tremolio delle sue luci che domina il Golfo.
         Un portone enorme di una casa con la facciata a pietra viva, Mario infilò la chiave ed entrarono in un androne illuminato con due enormi fanali che indirizzavano la luce su uno scalone i cui gradini erano usurati dal tempo. In cima alle scale si aprì una porta e venne fuori una giovane signora che portava benissimo i suoi quarantacinque anni, elegantemente vestita. Mario le andò incontro, la baciò e pigliando la ragazza per la mano le disse: - lei è Rosetta. - La ragazza a capo chino, attese che quella bella figura di donna la invitasse ad entrare e, quando l’altra allungò la mano lei gliela strinse ed accennò ad un piccolo inchino. Tutti e tre percorsero un corridoio pieno di specchi che li portò in un salotto Luigi XIV tappezzato in seta damascata tessuta a mano di colore rosso cardinale.
Mario notò la meraviglia di Rosetta, ma non volle chiederle del perché, sapeva benissimo che lei non si aspettava che le case dei contadini siciliani potessero essere talvolta ricche di vecchie nobiltà scomparse, di valori e tradizioni che solo il sud ha saputo conservare con cura nel tempo, e la invitò a sedere in una di quelle poltrone, mentre la sua mamma andò in soggiorno per avvertire il marito che sonnecchiava davanti al televisore. – Li avevi avvertiti di questa visita? – Disse Rosetta a Mario, ed al cenno negativo di lui – è questa una casa di contadini? – Mario assentì e poi disse: - mio padre è agricoltore. - Entrarono il papà di lui e la signora, Rosetta si alzò e andò incontro ad un elegantissimo signore che ebbe solo cura di scusarsi per le sue mani ruvide, poi sedettero tutti e quattro e, mentre la signora s’informò se avessero voglia di cenare con loro, quel signore distinto tempestò il figlio di domande sui suoi studi e chiese a Rosetta, soppesando ogni parola, sulle sue origini, su come si trovasse a Palermo, di cosa vivesse, tutto con la maestria di un grande attore, che assumeva atteggiamenti del volto, di volta in volta che recepiva la risposta.
         Faceva bella mostra in un angolo dell’immenso salone un pianoforte a coda da concerto, con le sue decine di cornici d’argento sopra, Mario volle interrompere l’interrogatorio elegante del padre e disse a Rosetta: - sai, mio padre suona il pianoforte, vuoi che ti faccia sentire qualcosa? – Rosetta chiese al papà di Mario: - lei ha studiato al conservatorio? – No – disse Mario – mio padre è autodidatta, suona ad orecchio – ed indicando un altro angolo del grande salone affrescato – guarda, suona anche il violino ed il mandolino – che facevano bella mostra adagiati su un elegantissimo mobile in maggiolino. Quell’uomo sui cinquanta ben portati, si alzò, sbottonò la sua giacca grigia di vigogna, mettendo in mostra il suo figurino avvolto in un gilè di colore antracite, dal taschino del quale pendeva una catenina d’argento alla quale era attaccato uno Zenith. Si sedette al piano, mentre la moglie chiese il permesso di recarsi in cucina per preparare la cena.
Davvero bravo! – Esclamò la ragazza dopo le prime battute, poi si alzò, si pose accanto al pianoforte ed ascoltò, senza batter ciglio, alcune arie celebri eseguite con buona maestria e spesso con virtuosismi. Mario andò in cucina per dare aiuto alla madre, Rosetta attese l’ultima nota de “Una furtiva lacrima” per applaudire. – Bravo, bravo per davvero, sa che mio padre voleva che studiassi il piano? – E’ sempre a tempo – ribadì il signore – a vent’anni si è ancora in tempo a cominciare se si ama la musica. - Rosetta fu attraversata da un brivido, quel distinto signore non aveva colto la sua età o, l’aveva colta e … aveva fatto finta di nulla, il fatto vero era che ne erano passati quasi il doppio; andò a sedersi seguita dal papà di Mario il quale ebbe modo di mirarla e rimirarla, cogliendo ogni tratto del suo aspetto. – Potevate venire prima, a mio figlio piace tanto andare in campagna, ama tanto gli animali ed il suo cane fa follie quando lo vede arrivare. – Rosetta cercò di scusarsi, come se fosse stata lei la causa del mancato anticipo, e spiegò del suo lavoro, lui seguì minuziosamente, come a voler cogliere la forbitezza del suo parlare e la grazia delle sue fattezze. – Così giovane e così impegnata – accennò l’uomo, ed ancora una volta Rosetta ripensò ai suoi trentacinque anni, quindici più di Mario. Ebbe un attimo di smarrimento, ma seppe sorridere, tanto incantò il simpatico signore che la immaginò al fianco del suo unico figlio e se la vide parte integrante della sua famiglia.
La mamma di Mario, la signora Giulia, entrò in salotto, dietro di lei il figlio – se volete, la cena è pronta – poi al marito: - Giorgio, offri un aperitivo alla signorina, i bicchieri sono sul carrello – Giorgio prelevò una bottiglia di ottimo spumante, col garbo di chi conosce le buone maniere, la sturò, odorò il tappo per verificarne l’integrità e ne offrì una coppa alla ragazza, Mario e Giulia si servirono da soli, tutti sedettero a tavola dove ognuno studiò le posture e le ritualità dell’altro.
         Finita la cena, tutti e quattro si recarono nel grande terrazzo che guardava le campagne d’intorno e le luci dei paesini del circondario che tremolavano, facendo diventare il paesaggio ancora più suggestivo.
         Il signor Giorgio sedette su una poltrona di vimini e la signora Giulia rientrò in casa per preparare il caffè. Rosetta diede uno sguardo ammirato al panorama al chiarore della luna piena, poi chiese a Mario di spiegarle perché nel grande salone campeggiavano, ai tre angoli, le statue di Minerva, di Venere e di Ercole e perché i candelabri sulla enorme consolle non erano tutti identici ma, alla maniera orientale, erano composti da tre, due ed una luce soltanto; lei aveva visto simili candelabri assistendo ad una funzione religiosa di rito bizantino.
         Mario la fece accomodare davanti a lui e le parlò dei simboli e dell’inconscio. – Il simbolismo – disse – riveste una indubbia importanza in campo psicologico e psicopatologico. La psicoanalisi e le psicoterapie ad indirizzo psicoanalitico si sostanziano di rappresentazioni mentali colorite di valore simbolico profondo in quanto rilevanti strati inconsci della personalità. Il simbolismo, pertanto, viene riconosciuto come tappa fondamentale di conoscenza. Tuttavia si rivela subito come campo d’indagine fortemente complesso. - Il pronto ragionamento di Mario faceva notare quanto fresca fosse la preparazione dello stesso che giorni prima aveva affrontato l’esame di criminologia. Il signor Giorgio, ad onta della sua molto modesta cultura, seguiva l’esposizione del figlio ed assentiva col capo. Rosetta cercò di capire meglio e spinse il ragazzo ad andare avanti. Come poteva un agricoltore, pur se raffinato,  penetrare i meandri di argomentazioni così difficili?
         Mario notò le perplessità di Rosetta ma continuò: - Cos’è un simbolo e come definirlo? In greco “siùmbolon” indica il congiungere o l’intrecciare insieme, stante che ogni simbolo racchiude in se più significati. Il simbolo è la rappresentazione di una cosa per un’altra. Simbolo, viene definito un oggetto, un gesto, una rappresentazione in relazione di significante e significato che si trova, inoltre, a differenza del segno, in relazione analogica con quest’altro oggetto. Il simbolo è anche un segno che indica, evoca, rappresenta qualcosa di assente. -
         Entrò la signora Giulia con una caffettiera fumante e fragrante,  poggiò il vassoio su un tavolinetto e servì il caffè, incassando i complimenti dei due ragazzi e del marito, poi, anch’essa sedette in poltrona.
         Il signor Giorgio aspettò che Rosetta finisse di sorbire il suo caffè e disse: - Io non ho la vostra cultura ma la letteratura attorno al simbolismo mi ha affascinato sin da ragazzo, per fortuna in questa casa non sono mai mancati i libri. – Guardò negli occhi la ragazza come a cercarne il consenso e, quindi, riprese: – Durand dice che il simbolo è una rappresentazione che manifesta un significato nascosto. E’ l’Epifania di un mistero. Mentre per Freud il simbolo è una rappresentazione cosciente di contenuti inconsci ed è altresì costante: sono gli stessi simboli che assumono significato simbolico. Secondo altri, il simbolo rappresenta il nostro spirito, l’anima, la mente. Ma forse, cara signorina, la sto annoiando. - La ragazza, che lo seguiva senza batter ciglio, meravigliata e stupita, rispose: - no, la prego continui pure, la sto seguendo con interesse. – L’uomo sorrise e riprese a parlare: - Cara signorina, le dirò che significato hanno i simboli di casa mia, l’Ercole, che lei ha visto nel salone, sta a rappresentare la forza, Venere la bellezza e Minerva la sapienza, ma lei lo ha sicuramente appreso dalla mitologia greca e da quella romana durante i suoi studi liceali. La vita dell’uomo dovrebbe essere ispirata a questi tre simboli ed ai valori che essi rappresentano. – Rosetta battè le mani: - bravo! – Esclamò, poi, alla signora Giulia che guardava il marito compiaciuta – può essere fiera di suo marito, mi arrogherò il diritto di dargli un bacio – si alzò, si chinò sull’uomo e lo baciò sulla guancia. Si alzarono anche gli altri e poggiarono i gomiti sulla ringhiera che guardava verso la vallata. Rosetta guardò tutt’intorno, quella valle le dava un grande senso di libertà, di serenità, l’attraeva fatalmente e disse: - quest’angolo del creato sembra fatto apposta per indurre alla riflessione, tanto silenzio ma tante luci in armonia col luogo stesso, sembra che il Creatore l’abbia voluto donare a uomini giusti e razionali come lei signor Giorgio. – Poi si fermò, si accostò alla sua poltrona e sedette.
         Il papà di Mario, attese che tutti ripigliassero posto e rivoltosi alla ragazza disse: - mia cara signorina, se non l’annoierò, desidero parlarle dell’uomo e dell’uso che può fare della sua razionalità, sempre che lei abbia voglia di ascoltare un anziano agricoltore d’altri tempi. Veda, lei mi attribuisce molti meriti che io non ho, certo, lo fa per essere cortese nei miei confronti e di ciò io la ringrazio, però nella vita non sempre è facile far fede ad ogni impegno morale, l’uomo alla ricerca continua di migliorare se stesso, in quanto tale, talvolta sbaglia, valuta non correttamente, si fa pigliare dall’orgoglio e dalla superbia. – Rosetta avvicinò la sua poltrona a quella del signor Giorgio e rispose: - non mi stancherei mai di ascoltarla, stasera sto apprendendo tanto e soprattutto senza fatica, lei esprime concetti con una padronanza notevole, ed usa le parole come fossero pietre miliari, sono io che le chiedo di parlare, ma deve consentirmi, alla fine, di porle qualche domanda qualora non dovessi capire un concetto. – Il signor Giorgio tirò dal taschino del gilet il suo orologio, lo osservò per leggerne l’ora e, tirato un bel sospiro, così iniziò: - L’uomo ha il dovere di migliorarsi continuamente, fondando la sua vita su quattro elementi indispensabili. Il primo di essi è la LIBERTA’ intesa non tanto nel suo significato esteriore di libertà garantita o talvolta negata dalle leggi, ma il suo significato interiore, ossia la piena disponibilità di tutte le proprie facoltà, non asservite da alcuna di quelle schiavitù, cui spesso è asservito l’essere umano: vizi, passioni degradanti, da ideologie che richiedano cieca adesione, a teorie o a prassi contrastanti con la propria ragione ed i propri sentimenti, si può essere schiavi di preconcetti, siano essi razzisti, religiosi, od antireligiosi, per non parlare della superstizione, il dogmatismo cieco e tanti altri. Essere liberi interiormente significa poter disporre, ad ogni momento, delle proprie azioni secondo il dettame di una ragione illuminata e di sentimenti mossi da null’altro che dalla ricerca del vero e del bene. – L’anziano signore si fermò, guardò negli occhi Rosetta e poi, con la signorilità che lo contraddistingueva, le chiese: - se le sembro logorroico e se la stanco me lo dica pure. – Rosetta, incantata, gli prese una delle sue mani, ruvide ma ben curate e rispose con un sorriso ed un pizzico di humor: - Lei non può promettermi di parlarmi di quattro elementi e trattarne uno soltanto, io sono come una bambina a cui sono state promesse le caramelle, le voglio tutte, quindi svuoti tutte le sue tasche. – Poi lasciò la mano di Giorgio ed aspettò che l’uomo riprendesse. Il papà di Mario accese una sigaretta e continuò: - La DIGNITA’ è il secondo elemento, ossia quel rigore di pensiero, di parola e di azione che debbono caratterizzare il comportamento dell’uomo giusto. La dignità implica una continua vigilanza sul proprio atteggiamento e su ogni espressione del proprio Io. Dignità significa rinuncia a tutto quanto di volgare possa affiorare dal proprio subconscio di fronte alla provocazione, mantenendo la calma e la serenità in ogni occasione, anche in quelle nelle quali, “saltano i nervi”. La dignità consiste nel crearsi una corazza resistente a tentazioni e provocazioni, capace di far abbassare in noi il livello delle nostre reazioni e farci tendere a calma socratica. Dignità vuol dire affrontare le avversità mantenendo l’animo sgombro dal desiderio di ricorrere a mezzi di difesa che non siano onorevoli. – Giorgio prese fiato, guardò in faccia gli astanti ed assicuratosi che non erano annoiati continuò: - L’ONESTA’ è il terzo elemento, essa non sta soltanto nel non rubare, ma sta in un comportamento globale di rettitudine e di rispetto verso di sé e verso gli altri. C’è l’onestà della parola che si esprime nel motto evangelico “il vostro SI sia SI ed il vostro NO sia NO”. Si tratta di quell’aspetto dell’onestà per la quale chiunque abbia a che fare con un uomo giusto sa di poter contare su di una parola veritiera che non nasconde nulla e che non copre secondi fini od interessi particolari. E’ onesto chi mantiene sempre le promesse e ogni impegno preso, chi sa conservare il segreto di una confidenza ricevuta, e chi sa riconoscere obiettivamente i propri limiti e valutare al loro giusto valore le qualità e i difetti altrui. Il quarto elemento è l’UMILTA’. L’Apostolo Paolo, per ben due volte, nelle sue lettere scriveva: “non vi stimate savi da per voi stessi” e motivava la sua raccomandazione dicendo “se qualcuno si stima di essere qualcosa, pur non essendo nulla, egli inganna se stesso”. L’umiltà consiste quindi nel valutare se stessi non per quello che ognuno vorrebbe essere, ma per quello che realmente è. Essere umili significa saper rinunciare alle proprie personali verità o accettare di modificarle quando ci si trova dinnanzi ad una verità più convincente ed evidente, quand’anche fosse quella di un nostro avversario. – L’uomo riscosse il compiacimento di Rosetta che restò sempre di più meravigliata dinnanzi ad un agricoltore della buona provincia siciliana. Perché il papà di Mario l’aveva intrattenuta in un discorso così complesso e profondo? Perché la costringeva a delle riflessioni così importanti? Davvero Rosetta pensò che i genitori di Mario, discreti e traboccanti di buone maniere, si sarebbero fermati alle presentazioni e all’accettazione passiva di lei quale ulteriore membro della loro famiglia? Il mondo è pieno di pregiudizi, Rosetta era una illustre sconosciuta e Mario era soltanto un ragazzo pervaso da un grande ed impetuoso sentimento. Il meridione, nel superamento di taluni pregiudizi, è molto più in ritardo delle regioni del nord. Pur vivendo a Roma i genitori della ragazza la avevano da sempre imprigionata tra i gangli dei loro pregiudizi, delle loro opinioni preconcette, capaci di far assumere atteggiamenti ingiusti specialmente nell’ambito del giudizio o in quello dei comportamenti sociali. Il pregiudizio si presenta alle coscienze come un messaggio, mascherato di saggezza e di verità, che stravolge la nostra ragione. Avevano i genitori di Mario, per analizzare i loro pregiudizi, messo in opera la metodologia del dubbio per mettere alla prova le loro opinioni e le eventuali loro convinzioni sia per modificarle, per confermarle o acquisirne di ulteriori? Rosetta non ebbe mai modo di verificare tutto ciò.

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