domenica 7 ottobre 2018

UN PUGNO DI VERSI SPARSI - 07.Ottobre.2018








Mario Scamardo

Versi sparsi


Tante volte ti passa per la mente un ricordo, un pensiero che ti riporta lontano, è allora che hai bisogno di affidare ad un foglio quanto con la fantasia stai rivivendo....



NON CI SEI
Vorrei dirti tantissime cose
ciò che passa per la mente,
i miei progetti e le speranze
i sogni colorati e galoppanti
le voglie e gli arditi desideri
l'essenza vera dei pensieri.
Raccontarti le malinconie
delle notti solitarie e buie
quando il silenzio amico
mi è compagno e amante,
talvolta sordo e muto,
tal'altra logorroico e petulante.
Parlar delle aurore, sempre uguali
e dei giorni lunghi o brevi,
spesso spossanti e vuoti
come noci senza gherigli
a far soltanto rumori.
Vorrei dirti che anche questo
è diventato un sogno senza fine,
perchè tu non ci sei,
o, forse, non ci sei mai stata!



HO LETTO LA TUA ANIMA

E' successo poche volte!
Ho visto sprizzare la gioia
dai tuoi occhi apposta celati
da occhiali marcati di scuro.
Brillavano come non mai
ed in essi soddisfatto ho letto
le pagine della tua tenerezza.
Eri tu, senza il tuo velo grigio,
con tutta la carica affettiva,
senza alcuna corazza,
ed il fulgore del tuo sguardo
mi ha fatto chiaramente leggere
il pieno della tua anima,
le grandi pagine del tuo cuore,
candide, talvolta immacolate,
piene di spazi vuoti,
non pagine ingiallite
ma nitidi fogli delicati
come i petali del gelsomino.
Profondi e luminosi fanali
incapaci di mentire
che han portato fuori
quella bellezza interiore
tanto somigliante a quella esterna
che ti ostini a celare.
Sai, ora ho davvero capito
quanto la mia istintività 
è stata precisa nel tempo.
Io, quanto te son testardo,
ed ora ho avuto ragione,
il bello che tieni nel cuore
è pari al fascino tuo.
Non è stato il tempo capace
di strappare la tua innocenza;
vorrei che i giorni a venire
possano darti momenti migliori.
Ora sei tu padrona del campo,
gli altri, la gente, inezie da nulla,
minuscole menti vaganti nel vuoto,
tu, invece, regina del senno
regali i tuoi pensieri con amore
e fai che ognuno si disseti
alla coraggiosa fonte del tuo sapere.
Brava Mimì, complimenti!
Sai quanti muri hai abbattuto?
Ora sei un'impeto, una forza vera,
eppure, nella tua semplicità,
nella dignità che ti distingue,
sei sempre la stessa,
una passione infinita,
e nulla sai chiedere
perchè hai solo e sempre donato.
Grazie di avermi onorato
or mi posso con orgoglio fregiare
di essere veramente tuo amico.
Che la fortuna assista i tuoi passi
e ti renda quanto dovuto,
Grazie Mimì, ti voglio bene.

IL BARATRO

Cieli senza stelle,
prati senza erba e fiori,
alberi senza foglie
e uomini di latta
cavalcano destrieri
di plastica ingiallita.
L'aria puzza di catrame
sotto coltri di fumo
e suoni striduli
invadono le valli
e risuonano lugubri echi.
Le acque risalgono i fiumi
e ritornano alle fonti
sotterrandosi veloci,
 intanto i fuochi si spengono
sotto gli occhi di Prometeo,
mentre Atlante piega stanco
le ginocchia tremanti
e curva le spalle sempre più
sotto l'eterno peso.
Melchiorre è sempre in cammino,
col suo carico di mirra,
s'è smarrito nel deserto,
si è spenta la sua guida,
mentre bimbi macilenti
succhiano i seni scarni
di madri pelle e ossa,
e tu?... sempre imperterrita,
insegui con costanza
le tue storielle senza storia,
non curandoti di nulla,
senza accorgerti che
stai vivendo il declino.
 
L'onorata società

Uomini e donne pieni di belletti
tirati a lucido, eleganti,
grandi pompe e tanti fumi,
giovanette gracchianti
piene di lustrini,
facciate e apparenze.
Femmine gravide di odio
partoriscono piccoli mostri,
brutti, arcigni e cattivi,
mine vaganti incontrollate
in un mondo senza regole.
Fameliche Medee
divorano intere nidiate
con grande ingordigia
ed inghiottono fiele.
Bocche traboccanti di lercio,
di orrido sudiciume
che vomitano veleni.
Cervelli colmi di tragedie
e machiavelliche rovine.
Brutti rospacci luridi
colmi di tentazioni
guazzanti nella mota!
Sangue nelle loro mani
e attorno a loro grate,
enormi gabbie d'acciaio
per bestie sanguinarie.



VIA DEL SILENZIO

Ciao Veronica, ricordi?...
la nostra viuzza stretta,
allargavamo le braccia
e toccavamo le due murate.
Stringevi forte le sbarre
del piccolo balcone
ed io dalla finestra di fronte
ti accarezzavo le nocche.
Non c’era mai il sole
nella nostra stradina,
passava soltanto il lattaio
ed il vecchio maestro di piano
e noi, spennacchiando un geranio
lasciavamo che i petali rossi
come farfalle si librassero in aria
per poi vederli adagiare
sui piccoli coti del basolato.
Più grandi, ci stringevamo le mani
e il sorriso fu il nostro padrone
fino a quando la scuola ci separò
preparandoci ai nostri destini.
Cominciasti ad inseguire chimere,
sembravi già donna ed io,
eternamente bambino!
Sul tuo balcone rigogliosi gerani
alla mia finestra solo foglie verdi,
io ripetei ogni dì il gioco,
lasciando librare i petali,
non sorrisi più, divenni serioso
e guardandomi allo specchio
mi accorsi del mio naso più tozzo,
di una strana peluria sul viso.
Son diventato brutto, pensai
e fu quasi una rassegnazione,
allungai le braccia e strinsi,
come per un addio
le sbarre che stringevi tu.
Ricordavo appena il colore
verde intenso dei tuoi occhi,
ma sapevo che erano
gli occhi più belli del mondo!
Ricordi Veronica?...
Non ebbi nemmeno il tempo
di fare progetti allora,
eri il mio impegno quotidiano,
l’unico, allietato dai petali volanti
e dai nostri silenziosi sorrisi.
Cinquant’anni dopo,
quasi per caso, ti cedetti il passo
in quel budello stretto,
ambedue ci girammo di colpo, e
istintivamente presi le tue mani
e carezzai le tue nocche,
anche tu non dicesti una parola
ma dolcemente, con un polpastrello
raccogliesti sul mio viso una lacrima.
Ciao Veronica…




AMORE

Amore che svanisce e scappa via
amore che da il vuoto
amore catturato che ha messo le ali.
La vita è diventata un temporale
che si è portato via il sereno.
Non c'è freddo, tremo di paura
e piango solo lacrime d'amore.
Dell'amore hai avuto paura,
di soffrire hai tanto timore.
Dove vai così raminga,
fermati!... soffrire per amore
è vivere l'amore!
La vita non ha ieri
dimentica il passato
come io ho già dimenticato,
il domani è già presente! 







E’ STATA COLPA DEL GABBIANO !

Sulla plancia guardavi l’infinito
e una brezza sfiorava i tuoi capelli,
il tuo volto, le tue braccia scoperte…
un paio di guizzi, forse un delfino.
Ti poggiai la mia giacca sulle spalle,
non dicesti nulla, solo uno sguardo,
due occhi profondi e neri,
le sopracciglia esprimevano un cruccio
e ci fu compagno un lungo silenzio.
Cercavi qualcosa o sognavi,
chi eri? Forse una creatura del mare,
dell’azzurro infinito coi suoi misteri,
 ninfa leggiadra o ammaliante sirena.
All’orizzonte affiorò dalle acque,
lentamente, coi suoi pallidi raggi,
il più ingannevole degli astri, e tu,
 incantata, sempre a mirare nel vago.
Mi distrasse un gabbiano gracchiante,
poggiato sulla cima d’un pennone,
stava spiccando il volo, un attimo soltanto,
in un baleno, non c’eri più… svanita!
All’orizzonte una scia luminosa
si perdette nell’immensità del cielo.
Su un sedile, la mia giacca piegata,
con sopra un pettinino in madreperla.
Chi eri? Forse una fata, certo una strega
che mi rubasti il sonno e la ragione.
Non ho sognato, ne son certo, e  ritorna
il magone allo spuntar della luna.
E il gabbiano?... un diavolo!...
o forse tu stessa, che pigliavi il volo.
Ti cercai tra la gente invano,
fino a scrutar le onde pacate…
dissolta nel nulla come angelo o demone,
che rabbia!... E’ stata colpa del gabbiano!






 
Dipinger l’Ade  

Infausto destino,
t’abbattesti su di lei
e le rubasti giovane
il lume degli occhi.
Il suo abito a fiori,
da sempre lo stesso,
si è attaccato alla sua pelle
testimone dell’antico sfarzo.
La mano sua leggiadra,
mossa da musa ispiratrice
dava vita a mille tele,
or pesante e rattrappita,
serra la cima di un bastone
che scruta per evitar periglio.
La città rumorosa,
è diventata incantato bosco,
dove vivono folletti,
gnomi ed elfi burloni,
dove non c’è colore,
dove non senti un suono,
e, come nei vecchi films
la vita è in banco e nero.
Non aspetti più nulla,
il tempo, parametro vuoto
 si è fermato da tanto e,
 il rintoccar dei campanili
non ti da emozioni.
La grande fontana
piange lacrime amare
come madre addolorata,
poche gocce rugginose
 perforano un cote.
Ad inverno inoltrato,
una brezza leggera,
come gelido vento
d’impietosa tormenta,
ti sferza il volto
già triste e smunto, e tu,
come storiella senza storia,
silenziosa e muta
trapassi all’oblio
tra le tele e i colori
che sol rivedesti
con la magia del sogno
e della fantasia.
Addio Ornellina,
amica di sempre,
che fosti scalpitante puledra
con la criniera al vento,
fosti primavera inghirlandata,
sorgente fresca e copiosa,
tenera e delicata amante
prodiga di sorrisi e di carezze,
sostegno dei momenti bui.
Quando la prossima brezza
vorrà che trapassi anch’io,
voglio portarti  una tavolozza
spalmata di tutti i colori
per ridipinger l’Ade
con le tinte dell’ amore.



Se vi sono piaciuti o meno questi versi, se vi va, lasciate un commento. Grazie!

lunedì 1 ottobre 2018

IL GIUDICE PALAGONIA INCASTRA LA PANTERA - 01 ottobre 2018











Tratto dal romanzo IL FASCINO DELLE MUTAZIONI
di Mario Scamardo


IL GIUDICE PALAGONIA INCASTRA LA PANTERA


     [......   Lei in un tailleur color granata con bottoni dorati, capelli raccolti sulla nuca, le mani scarne e curatissime, entrò accompagnata da un legale e salutò chinando lievemente il capo. Ad un cenno di Mario si sedette e rispose alle domande di rito, poi fissò negli occhi il magistrato, non era un implorare aiuto, nemmeno la ricerca di compassione, era una voglia di sfida, sfida alle istituzioni, di sfida alla società, al mondo che la circondava. Mario stava per porgere la prima domanda, ma il difensore intervenne dicendo che la sua cliente si sarebbe avvalsa della facoltà di non rispondere, il magistrato prese nota di ciò e le fece firmare il verbale. Rosetta chiese a Mario di potere avere un colloquio da sola, senza il legale e senza l’agente verbalizzante, Mario fece cenno di si, aspettò che l’avvocato uscisse e, con un cenno, fece allontanare l’agente, rimasto solo con lei disse: - signora, senza la presenza del suo legale, l’interrogatorio non può avere luogo. – Rosetta accennò un sorriso e, dopo un attimo di silenzio: - io ho un gran rispetto per il tuo lavoro, anche perché le voci sulla tua incorruttibilità corrono per tutta la città. Tu sei colui che mi ha offerto l’opportunità di conservare integra la mia onestà, dignità, e, forse, anche la mia semplicità. Ho scoperto con te l’amore, la nobiltà dei sentimenti, senza secondi fini, dove tutto è stato dover dare senza mai nulla chiedere, dove non esiste la ricerca dell’opulenza fine a se stessa. Che mondo eccezionale è il tuo!.. – Mario stava per parlare e lei poggiò due dita sulle labbra di lui – non parlare, lascia che lo faccia io, questa città mi ha preso, società di bestie che si sbranano, incapaci di razionalizzare, animali di branco, vige la sola legge del più forte, ed è più forte chi possiede tanto intelletto e ancor di più denaro contemporaneamente.


 A me mancavano i soldi, e con ogni mezzo li ho avuti, li gestisco, e per averne ancora minaccio, truffo, e, qualora occorresse, non esiterei un solo istante a sparare su chiunque volesse sbarrarmi la strada. Il denaro è la chiave che apre tutte le porte, corrompe, travolge, sommerge, e tu sei fuori da questo mondo, lo combatti, credimi, è difficile che tu possa vincere!... Una città intera è connivente, più sali i gradini della società borghese e più sei dentro al sistema; più pensi ad una borghesia staccata, disinteressata, spesso salottiera, fatta di grandi professionisti, di ottimi artisti, di banchieri, di uomini e donne di chiesa, più sei vicino al connubio intelletto-denaro, più vicino ai poteri forti, più vicino al più forte! Nello stesso esercito, tutti hanno la stessa divisa, ma troppe sono le spie, i traditori, e tutti sono corrotti, travolti dal fascino borghese del denaro! – Mario, che pur era abituato a sentire discorsi perversi e delinquenziali, restò sconcertato di fronte a tanta freddezza, si aspettava una richiesta d’aiuto, la proposta d’un patto con impegno a tornare sulla retta via, era preparato sinanco alla recita di una scena patetica, che gli strappasse un accordo, invece, lei era lì, cruda, fredda, determinata, minacciosa, altera. Quanto male si era insediato in lei, quanta perfidia l’aveva invasa?.. La cupidigia aveva trasformato un angelo in un demonio, la sete di potere aveva annientato in lei ogni sentimento!.. Non amava e non odiava, una razionalità perversa, fredda, il cinismo era diventato il suo padrone, era riuscita a dominare ogni emozione. Della sua bellezza ne aveva fatto mercimonio e la usava come merce di scambio per il denaro, per il potere. Mario non battè ciglio, la lasciò finire e le lanciò la sfida del silenzio, poi, distese una mano e disse: - Il nostro colloquio è finito, quella è la porta!


        Il magistrato per mesi lavorò sodo, non si dette respiro, raccolse prova su prova, ascoltò testi, non avvicinò anima viva e, quando non mancò alcuna prova ed ebbe ogni riscontro, trascinò in Corte di Assise Bianchi Rosetta ed Ettore Mondelli.

        Il dibattimento fu lungo, estenuante, centinaia di testimoni, migliaia di prove, a decina gli alibi, smontati tutti.

Rosetta in aula non perdette un briciolo della sua alterigia e, più l’accusa la inchiodava alle sue responsabilità, assieme al suo compagno, più lei lanciava sfide, con la certezza che alla fine, come in ogni tempo, l’avrebbe spuntata corrompendo a destra e a manca. Indossava una gonna amaranto, una camicia bianca ed una giacca di colore azzurro, aveva i capelli raccolti dietro la nuca e a trattenerli un paio di pettinini di tartaruga madreperlati. La sua bocca era dipinta dello stesso colore della gonna.

        Molti furono i messaggi che arrivarono all’orecchio di Mario: promesse di denaro, avanzamenti di carriera, trasferimenti immobiliari, minacce per la vita dei genitori e per la sua, ed ogni messaggio sembrava sortire l’effetto contrario, la posizione dei due imputati si aggravava ogni giorno di più. Quando l’ultima prova fu provata, l’ultimo sforzo di Mario, una lunga e circostanziata requisitoria, alla fine della quale, prima di chiedere l’applicazione delle pene previste dai codici, si fermò, fissò negli occhi Rosetta, per voler cogliere in lei, anche se il peggiore, l’ultimo dei ricordi. La “Pantera” lo fissò anch’essa, tirò i pettini dai capelli che le scesero sulle spalle, li ravviò con ambo le mani all’indietro, tiro un lungo sospiro e chinò lievemente il capo. Mario si girò verso la Corte e chiese per ambedue il massimo della pena. I lupi famelici, ammalati di rabbia, vanno abbattuti!

Alla difesa si alternarono tre avvocati, poi concluse con auliche frasi l’avvocato Azzurri. La Corte si chiuse in camera di consiglio e dopo sei ore rientrò in aula. Rosetta ed Ettore Mondelli erano già provati per la estenuante attesa, si coglieva nei loro volti la stanchezza, ma la “Pantera” era ancora altera, sguardo fiero, impettita si alzò ed ascoltò la lettura della sentenza.

        Gli imputati furono condannati a quindici anni di reclusione, senza attenuanti alcune. Il silenzio piombò nell’aula e poi, man mano, i primi brusii, i primi commenti, il dubbio non aveva sfiorato le menti dei magistrati giudicanti. Palermo era abituata a sentenze che assolvevano per insufficienza di prove, specialmente per  la natura dei personaggi che erano saliti sul banco degli imputati. Cosa stava cambiando?



        Quando l’aula giudiziaria fu sgombra, Mario  tolse la sua toga, si avvicinò al banco vuoto degli imputati, dove un momento prima stava seduta Rosetta, lo fissò e nel suo pensiero affiorò la dottrina di Buddha, e la teoria filosofica della reincarnazione estrapolata dall’Induismo. Nascere, morire e rinascere continuamente è la triste sorte degli uomini, è la ruota dell’esistenza, è il dolore. La causa del perpetuarsi della vita dei sensi sta nei desideri dei piaceri, degli onori, delle ricchezze e di qualunque altro bene illusorio. Bisogna spezzare la ruota dell’esistenza ed eliminare i desideri per mezzo delle privazioni e della meditazione. – L’amore è un ponte – dice Buddha – perciò non costruirci sopra una casa! Chi si attacca a qualcosa nella vita, troverà sofferenza perché tutto passa, tutto è apparenza. - Raccolse le sue carte dal suo scranno, chiuse la sua borsa e a piccoli passi raggiunse il porticato del palazzo di giustizia. Il magistrato Palagonia nella sua lunghissima requisitoria, durata circa otto ore, non fece mai cenno al contenuto di un fascicolo inserito nel faldone attinente la “Pantera”. Erano delle carte riguardanti un tentato omicidio sortito come epilogo di un’orgia, l’ultima di una lunga serie, consumata in Palermo, in un appartamento del centro storico. Mario non se la sentì di umiliare più di tanto la donna; quanto aveva in possesso bastava e soverchiava per incastrare gli imputati alle loro responsabilità. La vita di Rosetta era già diventata un inferno, rimuovere la mota che le stava attorno sarebbe stato soltanto morboso, un atto di accanimento inutile, buono solo a far scandalo sulla stampa e ad aggiungere disperazione e vergogna a quella che sicuramente viveva la sua genitrice. Rosetta era diventata amica di una certa Mara, un’insegnante di industrie agrarie, donna alquanto bella e affascinante quanto perversa. Si erano costruite assieme tanti segreti, uscivano e si accompagnavano con uomini facoltosi, quasi sempre sposati con prole e dalle situazioni familiari risaputamene serene. Mara era legata ad un negoziante palermitano mentre Rosetta consumava i suoi rapporti con un amico dello stesso negoziante. Tante le notti brave e tante le giornate passate in quell’appartamento attiguo al negozio. La perversione di Mara aveva indotto Rosetta a consumare spesso delle orge in quella casa e, man mano che il tempo trascorreva, il numero dei partecipanti aumentava. A letto, per rendere più eccitante l’orgia, Mara pretese che le prestazioni sessuali fossero precedute da minacce, da atti brutali e, quindi, tra le lenzuola

fecero comparsa un paio di pistole cariche. Tutto andò bene fino a quando accidentalmente partirono dei colpi che attraversarono il corpo di Mara. Una corsa disperata contro la morte a sirene spiegate verso l’ospedale salvò miracolosamente la donna. Ora saltavano i legami tra i partecipanti; ognuno cercò di salvare se stesso, fu aperta una indagine di polizia, fu istruito un processo. Chi premette il grilletto? Gli spari furono preterintenzionali? Difficile ricostruire i fatti davanti a quattro mentitori, ognuno accusava l’altro e tutti negavano che il loro menage a quattro fosse mai stato consumato. Dal processo, che al tempo fece epoca, venne fuori che il negoziante amico di Mara le sparò intenzionalmente. Rosetta, che pure era stata prima attrice nel teatro delle operazioni, ebbe modo di defilarsi e rese, in una udienza a porte chiuse, una testimonianza falsa, ma creduta attendibile dalla Corte di Assise, contro il negoziante, per proteggere la “dignità” sua e dell’amica, ciò inchiodò l’uomo a delle responsabilità che invece erano di tutti e quattro i partecipanti all’orgia e fu lo stesso condannato a molti anni di reclusione per tentato omicidio. Il rimorso colse Rosetta, i suoi nervi non ressero a lungo, lottò contro le depressioni e gli esaurimenti. La ragazza ebbe paura, per un poco di tempo si spostò, prima negli Stati Uniti, poi nel bellunese dove aveva delle amiche, spesso andò in crisi ricorrendo a psicologi e psichiatri, ma mai trovò il coraggio di recarsi dal magistrato e dire che la sua era stata una testimonianza falsa che aveva sbattuto in galera un innocente. Odiò, almeno apparentemente, la sua amica che le faceva tornare alla mente i fatti; Mara, per paura di ritorsioni, si allontanò anch’essa da Palermo. Quando il piccolo imprenditore, che si era invaghito alla follia di lei, informato di questo fatto increscioso, che ormai faceva parte del suo turbinoso passato, le chiese, con le dovute cautele, se conoscesse Mara, Rosetta ebbe un attimo di esitazione, il suo volto diventò nero, la sua espressione fu di smarrimento, si innervosì e molto infastidita rispose di non averla mai conosciuta. L’uomo capì tutto, conosceva il negoziante, per essere stato suo cliente, che scontava in galera una condanna ingiusta. Era tanta la passione che lo legava alla donna che fece finta di nulla, tirò dalla tasca della giacca una scatola contenente un paio d’orecchini con due preziose gocce d’ambra e gliele regalò. Rosetta  con disinvoltura le indossò e, con la vanità che la contraddistingueva, si guardò allo specchio e riprese l’espressione di sempre.

      Di solito, quando un processo si chiude e la Corte accoglie le tue tesi, colleghi, avvocati, cancellieri, si congratulano con te, ti ringraziano per avere dato il tuo contributo alla Giustizia. Non c’era nessuno ad aspettare Mario davanti all’aula, eppure il processo era uno dei più importanti, nessuno per i corridoi, neppure i giornalisti, nessuno sotto il porticato, solo i due agenti in borghese della sua scorta. Aveva colpito duro il giudice Palagonia, aveva incastrato la  “Pantera”! Era così tanto il timore che la gente aveva dei delinquenti testè condannati? Ma a Palermo era il periodo dei grandi attentati. Il giovane magistrato nei giorni successivi, vide i suoi colleghi che, in maniera quasi furtiva, entravano nel suo studio e, quasi sottovoce, si complimentavano per l’esito del suo lavoro. Solo il Procuratore fu soddisfatto e ampiamente lo dimostrò convocandolo nel suo ufficio e davanti a tutti, senza ipocrisia, lo lodò e gli promise ulteriori incarichi delicati. Mario capì che qualcosa al palazzo di giustizia non andava per il giusto verso, chiese al Procuratore un piccolo periodo di riposo e si trasferì in campagna con i suoi genitori.

La campagna lo rilassava, le lunghe passeggiate a caccia con suo padre e la lettura dei vecchi romanzi popolari che lo immergevano nella Palermo del settecento.

        Mario non vide più Rosetta, venne trasferita in una casa di pena del nord. In Corte di Assise di Appello le pene vennero confermate, e lo stesso avvenne in Corte di Cassazione. Al giudice Palagonia il procuratore affidò altri casi scottanti e la sua vita diventò quella di un monaco di clausura, i suoi capelli cominciarono ad essere brizzolati e non ebbe più una vita privata. Otto anni dopo il processo alla “Pantera” si dimise dalla magistratura ed esercitò la professione di avvocato penalista.....]



 §§§§§§

Se vi è piaciuta o meno, se volete, lasciate un commento!