Perché
poesia….
E’ possibile mettere un punto fermo nella vita, accettandoci
per quello che siamo, per essere dotti da dove partire o su cosa star fermi se
lo vogliamo, su come costruire e da dove cominciare a migliorarci o, se proprio
vogliamo, a perderci?
L’unica libertà vera è l’amore, dove
sogno e fantasia la fanno da padroni, dove il pensiero, come airone nel cielo, vola
e, talvolta, si trasforma in poesia.
Il mio
bruco variopinto
Cosa c’è di più bello
di una notte di luna,
di un cielo ammantato di stelle,
del sorriso di un bimbo,
del volo di un uccello,
del rumore dell’acqua,
del canto del vento,
di una farfalla su un fiore,
di due libellule amanti,
del silenzio del deserto,
del profumo dell’erba,
del sole che sorge,
del rosso di un tramonto,
del germinare di un seme,
di due occhi lucenti…
Rimanere incantato
davanti ad un bruco variopinto
e godere del suo muoversi lento
su foglia di rosa scarlatta.
Ogni giorno a guardarlo
ed amarlo silente
per interminabili ore,
e sognare, sognare…
Poi, metter le ali e vederlo andar via
attratto da mille colori,
da un campo di grano,
da un prato disteso,
da mille lustrini…
Ed io che l’ho amato,
accarezzato con gli occhi,
costruito i miei sogni,
l’ho perso di vista,
s’è confuso tra i campi…
S’è portato via la speranza
e mi ha spento il sorriso.
CHE FESSO SON STATO!...
Che fesso son stato!...
La tua falsa innocenza,
la tua semplicità apparente,
il tuo essere bambina ad ogni costo,
le tue voglie da fanciulla viziata,
il tuo essere indifesa,
i tuoi musi lunghi ad un rifiuto,
le bizze per un film perso,
e le richieste sempre esaudite.
Sono stato cameriere e servitore,
l'autista e il tuo accompagnatore,
l'uomo delle fatiche, il tuo
facchino,
tu capricciosa principessa
ed io umile schiavo...
Sono stato forse anche il tuo
trastullo,
solo un capriccio di breve durata,
un oggetto da usare e buttar via,
uno dei tanti ninnoli che passano di
moda.
Che fesso son stato!...
Mi son privato d'una sigaretta,
ho riciclato scarpe e pantaloni,
non t'è mancato nulla,
ogni giorno un pensiero,
ogni giorno un regalo...
Non è per il valor che mi lamento,
ti ho regalato tutto con il cuore,
ma tu hai solo giocato
com'hai sicuramente sempre fatto,
e m'hai fatto soffrire...
Non sai cosa siano i rimorsi,
la tua vita è un gioco
coi sentimenti degli altri,
il trastullo più crudele,
sei stata il peggior baro.
Che fesso son stato!...
Non ho capito nulla,
ancor oggi ti sono servitore
senza dirtelo o fartelo capire.
Possiedo ancora per te l'ultimo bene,
se occorresse ti darei la vita!
LE LUNE D'ARGILLA
Se non avessi ascoltato mio padre
sarei emigrato su al nord.
- che direbbe la gente?
Tu unico figlio amato allo stremo
in terra straniera
alla pari di uno zingaro...
e allora rinuncio!
Se non avessi ascoltato i miei nonni
sarei missionario in Uganda.
Non potei zappare la terra
perchè indecoroso, eppure,
il mio babbo fu contadino.
La gente, che brutta cosa!
Scegliere percorsi di vita
per convenzione sociale
e vivere per sospirare
e annoiarsi e annullarsi
per quanto non amo.
La gente, odiose lune d'argilla,
traboccanti di pregiudizi,
che mi ruotano attorno
e cambiano forma
e s'adeguano ai tempi
affogando le mie libertà.
Tiranne false lune
che m'avete imprigionato
tra i gangli delle vostre false morali,
le vostre illusorie verità,
che m'avete tappato la bocca,
che m'avete asfissiato...
vi sfido brutte lune,
provate anche per un istante
a incatenare il mio pensiero!
D'IMPROVVISO...
Come
d'incanto un sogno,
un
desiderio mai nato,
un
turbine alla mente
e
un tuffo al cuore...
d'improvviso
come folata
in
giorno sereno.
Scemo
che sono!...
Mai
m'ero accorto
di
avere ad un passo
la
cosa più bella
da
sempre sognata.
Cieco
son stato,
con
gli occhi di latta!
Un'anima
enorme
e
due grandi braccia
capaci
di darti la vita.
Un
fascino colmo
di
ragioni sennate,
di
grazia che avvampa,
di
sentimenti maturi,
di
scelte volute,
di
attimi rari,
di
voglie aberranti,
di
sete d'amore,
di
eccelsi pensieri...
La
cosa più bella
è
scoprire che esisti
e
dividi il pensare
con
la dea più ardita;
come
vorrei rinascere ancora...
rinascere
dentro di lei
e
recuperare il tempo perduto!
Forse
mi resta soltanto il sogno,
ma
io non dispero.
Tanto,
che importa se devo aspettare,
un
solo mattino
di
sole splendente
vale
con lei una vita!
Mi
manca, da farmi soffrire,
mi
manca il suo tono argentino,
i
gesti delle sue mani,
la
sua intelligenza,
il
suo fascino antico,
il
suo fare aggraziato,
il
suo odore che sa d'ogni fiore,
la
sua cocciutaggine,
il
suo lieve sorriso.
Come
fiume in piena
ha
attraversato la mia valle,
ha
travolto ogni cosa
e
mi ha fatto sognare.
Indomata
puledra
ha
scalpitato nel mio petto,
e
mi ha tolto la pace.
Forse,
ancora cent'anni,
forse,
son mille e più,
ma
io son felice per lei
e
le voglio più bene.
Paletti?
Quanti ne vuole!
Argini?
Io son muratore!
Il
pegno? La vita mia!
Domani?
Sarò ancora a pensarla,
fino
al cessar del cuore.
Se
sull'Olimpo fossi a comandare
di
lei farei un bruco variopinto,
l'attrezzerei
con due grandi ali
per
completare la sua libertà.
"...
i vicoli del "Cortile Cascino", luogo tra i più degradati e malsani
della Palermo degli anni '50. Il quartiere, che sorgeva alle spalle della
Cattedrale, era un vero e proprio ghetto, dove uomini donne e bambini, che
coabitavano con la sporcizia, con migliaia di topi e con milioni di scarafaggi,
vivevano segregati e abbandonati nell'abbrutimento e nella miseria senza alcuna
speranza. D'inverno, il quartiere, sprovvisto di fognature e servizi, diventava
una palude malsana, veicolo di infezioni spesso mortali. E tutto questo
accadeva sotto lo sguardo incurante e indifferente degli amministratori e dei
cittadini bempensanti...."
(Danilo
Dolci)
[Nota
al "I Semi del Melograno nano" Ed. NOVECENTO di Mario Scamardo]
FIGLI DI UN DIO MINORE
Stracci,
stracci, ancora stracci!...
Nugoli
di bambini affamati
col
volto coperto di mosche
e
i pancini pronunciati
scavano
tra i rifiuti assieme ai cani;
occhi
tristi e lucidi,
gambe
rinsecchite,
mani
vuote con le palme al cielo.
Madri
smunte dai seni asciutti
stringono
scheletri animati
e
mosche, sempre e solo mosche!...
Sulla
pista polverosa sfreccia un'auto,
sopra,
una signora leopardata
col
climatizzatore acceso
fa
mille scatti con la sua "Minolta"
e
ride e beve "Coca Cola".
Il
sole allo zenith picchia
e
asciuga l'ultima pozzanghera,
ruba
l'ultima acqua
e
da le crepe al fango
ed
alle pelli dei bimbi
tra
rifiuti e stracci,
forse,
figli di un Dio minore...
E’ STATA COLPA DEL GABBIANO !
Sulla
plancia guardavi l’infinito
e
una brezza sfiorava i tuoi capelli,
il
tuo volto, le tue braccia scoperte…
un
paio di guizzi, forse un delfino.
Poggiai
la mia giacca sulle tue spalle,
non
dicesti nulla, solo uno sguardo,
due
occhi profondi e neri,
le
sopracciglia esprimevano un cruccio
e
ci fu compagno un lungo silenzio.
Cercavi
qualcosa o sognavi,
chi
eri? Forse una creatura del mare,
dell’azzurro
infinito coi suoi misteri,
ninfa
leggiadra o ammaliante sirena.
All’orizzonte
affiorò dalle acque,
lentamente,
coi suoi pallidi raggi,
il
più ingannevole degli astri, e tu,
incantata,
sempre a mirare nel vago.
Mi
distrasse un gabbiano gracchiante,
poggiato
sulla cima d’un pennone,
stava
spiccando il volo, un attimo soltanto,
in
un baleno, non c’eri più… svanita!
All’orizzonte
una scia luminosa
si
perdette nell’immensità del cielo.
Su
un sedile, la mia giacca piegata,
con
sopra un pettinino in madreperla.
Chi
eri? Forse una fata, certo una strega
che
mi rubasti il sonno e la ragione.
Non
ho sognato, ne son certo, e ritorna
il
magone allo spuntar della luna.
E
il gabbiano?... un diavolo!...
o
forse tu stessa, che pigliavi il volo.
Ti
cercai tra la gente invano,
fino
a scrutar le onde pacate…
dissolta
nel nulla come angelo o demone,
che
rabbia! E’ stata colpa del gabbiano!
IL VIOLINO DEL DIAVOLO
Silenzi
infiniti, alternati soltanto
dallo
stridulo suono d'un violino.
Posto
ritto davanti a uno spartito
si
approccia allo studio un bambino.
E'
nella villa ovattata di fronte
recintata
da muri e cancelli,
e
dietro le tende di fine broccato
se
ne intravede l'esile sagoma.
Sul
foglio che è sempre lo stesso
ho
scritto soltanto poche righe,
due
frasi appena accennate
di
scarso valore e poca maestria.
Una
storia, da tempo iniziata
che
racconta un amore infinito
e
angosce, traversie, dolori e timori.
Il
silenzio sovrano mi ammanta,
amico
paziente ma vuoto,
compagno
di tutte le ore...
eppure,
in sua compagnia
ho
scritto le lodi più ardite,
ma
sentivo vicino il calore
della
musa che m'aveva ispirato.
Or
seduto ripiglio la penna
ma
ritorna al mio orecchio
quello
stridulo suono che è beffa;
mi
distrae, mi annebbia la mente,
mi
mette addosso un certo timore,
su,
nel cielo cupo e rossastro,
uno
stormo di neri uccellacci.
In
giardino il vento impetuoso
fa
parlare i cardini di un vecchio cancello.
Ammicco
la tenda della villa di fronte
e
noto un'insolita sagoma strana,
dimena
l'archetto con goffe maniere,
non
è più il bambino aggraziato,
è
il diavolo col suo violino!
... e
il tempo?...
Tic...
tac... tic... tac...
le
nuvole di cotone lente camminano
tra
polveroni e fumo
e
sembrano dondolarsi.
In
una stradina angusta,
una
capra rosicchia una pala
e
mastica e rimastica
senza
smettere mai.
L'ombra
di un campanile
s'allunga
a dismisura,
tutt'attorno
solo fruscii
di
olmi ed eucalipti...
Tic...
tac... tic... tac...
in
una vecchia fontana
l'acqua
rugginosa cade a goccia a goccia
addosso
al rospo più vecchio.
Una
mignatta sinuosa e lenta
aspetta
il muso di un mulo
e
una vespa fa festa
sulla
carcassa di un sorcio.
Sul
marciapiedi sterrato
russa
un cane levriero
e
due zecche grasse grasse,
come
due usurai, gli succhiano il sangue.
Tic...
tac... ti... tac...
Pietro
Greco guarda fisso
il
girare cadenzato dell'unica lancetta
di
un'orologio senza cifre,
-
Pietro, che fai figlio?
-
Faccio il siciliano,
controllo
se il tempo che passa
impiega
sempre lo stesso tempo...
Tic...
tac... tic... tac...
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