Mario Scamardo
Il sufismo
Il sufismo
Movimento religioso
islamico diffusosi a partire dal IX secolo in prevalenza fra i sunniti.
Per quanto gli adepti
riconducano le origini del loro movimento all’epoca di Maometto, il termine che
denota il sufismo, Tasawwuf, comparve a Kufa, in Iraq, soltanto nel IX secolo,
al tempo degli Abbasidi. Esso sembra derivare dal termine arabo suf, che indica
l’abito di lana grezza indossato dagli asceti musulmani. Alla fine del X secolo
questa corrente, che rappresentava un tentativo di interpetrazione in chiave
mistica della religione di Maometto, aveva già diffuso confraternite di seguaci
da Bassora e da Bagdad, capitale abbaside, in tutto l’Iraq e nel resto del
mondo islamico. Da principio oggetto dell’ostilità delle correnti islamiche più
tradizionaliste, il movimento ottenne dal XII secolo un riconoscimento formale
nell’ambito dell’ortodossia, soprattutto grazie all’operato e agli scritti di
alcuni membri illustri provenienti dai ceti colti del sunnismo, come il
pensatore Al-Ghazali.
Il Sufismo non prevede
un sistema dottrinale omogeneo che lo caratterizzi precisamente rispetto alle
altre correnti dell’Islam. Un motivo unificante tra le varie dottrine dei sufi
è forse la convinzione di godere di una speciale relazione di (walayat) con la
divinità, grazie alla quale sarebbe possibile stabilire una forma di
comunicazione con Dio al fine di ottenere la comunione spirituale e la
conoscenza della verità divina (haqiqat). Fonte di questa potenzialità è lo
stato di grazia riservato da Dio stesso agli iniziati, che ne3 entrano in
possesso mediante un lungo cammino di ascesi spirituale (maqamat) in varie
tappe, da compiersi sotto la guida di un maestro (shaykh o pir) ritenuto capace
di trasmettere al suo discepolo uno stato di benedizione soprannaturale
(baraka). Tale benedizione sarebbe concessa alle generazioni future da Alì e
dallo stesso Maometto per mezzo della successione autorevole (silsisla) di
maestri illustri.
L’esistenza del mondo,
secondo i sufi, sarebbe garantita, in ciascuna generazione, dalla nascita di un
maestro dotato della natura di “uomo perfetto” (qutb), la cui identità può
essere svelata solo a chi abbia raggiunto lo stato dell’annientamento in Dio
(baqa) e della conoscenza (marifa). A differenza dell’imam degli sciiti, con il
quale pure condivide alcuni aspetti essenziali, come i poteri soprannaturali e
il ruolo di garante dell’esistenza dell’universo, l’”uomo perfetto” del sufismo
non dipende da una particolare linea di discendenza familiare e non appare come
figura isolata nella sua epoca; rappresenta, al contrario, il vertice di una
gerarchia di maestri venerabili, dotati in qualche misura delle sue stesse
facoltà. Stranamente ciò è riportato nel “L’ultimo dei cantori arabi” di G.
Bennici ed è riportato dal prof. Gabrieli in un suo saggio sulla nascita
dell’Islam. Al Gazali invece, trattando il Tawakkul, la Provvidenza Divina, fa
notare come Essa sia intervenuta quando Salomone, a corto di maestranze, si
vide offrire la saggia e competente opera di Hiram.
I sufi, infatti, venerano come santi, accanto agli uomini perfetti, innumerevoli maestri del passato, fra i quali personaggi estranei alla loro dottrina e gli stessi imam sciiti.
I sufi, infatti, venerano come santi, accanto agli uomini perfetti, innumerevoli maestri del passato, fra i quali personaggi estranei alla loro dottrina e gli stessi imam sciiti.
Le confraternite del
sufismo sono di tipo monastico. Richiedono il celibato, l’osservanza della
povertà come mezzo di abbandono alla Provvidenza Divina (tawakkul), l’esercizio
di pratiche di umiliazione pubblica di sé e la ripetizione di preghiere e
formule strettamente rituali, (dhikr) di
invocazione a Dio.
Grande importanza è attribuita alla musica e alla poesia; per quanto riguarda l’amore profano e il vino, tendenzialmente demonizzati dalla tradizione islamica, essi vengono considerati esperienze simboliche dell’amore divino e dell’estasi mistica.
Fra le principali confraternite sufi attive dal XII secolo si ricordano quelle dei marabutti e dei senussi, tuttora presenti in Africa settentrionale, quelle dei dervisci, e quelle che, nel XV e XVI secolo si avvicinarono al movimento sciita, assumendo talora anche il carattere di ordine militare, come nel caso dei safavidi, dominatori di vasti territori della Persia all’inizio del XVI secolo.
Grande importanza è attribuita alla musica e alla poesia; per quanto riguarda l’amore profano e il vino, tendenzialmente demonizzati dalla tradizione islamica, essi vengono considerati esperienze simboliche dell’amore divino e dell’estasi mistica.
Fra le principali confraternite sufi attive dal XII secolo si ricordano quelle dei marabutti e dei senussi, tuttora presenti in Africa settentrionale, quelle dei dervisci, e quelle che, nel XV e XVI secolo si avvicinarono al movimento sciita, assumendo talora anche il carattere di ordine militare, come nel caso dei safavidi, dominatori di vasti territori della Persia all’inizio del XVI secolo.
Hiram Abif
Dei sufi, in quanto comunione iniziatica, si riscontrano notizie sin
dall’alleanza di Salomone con Hiram, re di Tiro, che fornì legname per le navi
e lo aiutò in sette anni a
completare la costruzione del Tempio, dirigendone i lavori.
Il maestro sufi
Ibn-al-Arabi, morto venticinque anni prima della nascita di Dante nel suo
lavoro “Le Rivelazioni della Mecca”, narra il viaggio di due maestri sufi che,
sotto la guida dell’arcangelo Gabriele, visitano l’Inferno con i suoi sette ripiani
circolari e concentrici, ai quali corrispondono peccati sempre più gravi, il
Purgatorio con altri sette simmetrici ripiani, ove sono collocate le
anime di coloro che nutrono la speranza di una pena non infinita e i sette
cieli che compongono il Paradiso.
Il numero Sette si ripete! Per i Pitagorici il numero 7 essendo originato (e non generato) dalla somma del Tre (numero umano che rappresenta Uomo – Donna – Figlio) con il Quattro (numero Divino) era uno dei numeri più importanti perché rappresentava senza dubbio alcuno la sacra unione del Divino con l’Uomo.
Dante attinse tantissimo dal Sufismo e altrettanto dagli insegnamenti Pitagorici.
Il numero Sette si ripete! Per i Pitagorici il numero 7 essendo originato (e non generato) dalla somma del Tre (numero umano che rappresenta Uomo – Donna – Figlio) con il Quattro (numero Divino) era uno dei numeri più importanti perché rappresentava senza dubbio alcuno la sacra unione del Divino con l’Uomo.
Dante attinse tantissimo dal Sufismo e altrettanto dagli insegnamenti Pitagorici.
Il Tempio di Salomone
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