Erofila Sibilla di Eritre
Mario Scamardo
I RACCONTI DEL BORGO
S I B I L L A
Giorgio Luongo
, indossato il suo abito migliore, si recò in Comune e chiese dell’Ufficio
Anagrafe. Poggiò i gomiti sull’enorme mensola in legno, posta sotto la
finestrella che comunicava con un altro ambiente e attese che una impiegata lo ascoltasse,
quando finalmente:
-
Buongiorno signore, in cosa posso esserle utile?
- Buongiorno, grazie per la sua gentilezza, ieri mia moglie ha partorito una bambina, sono venuto per registrarla in comune.
- Congratulazioni a lei, alla signora e tanti auguri alla bambina. Solo un attimo che mi faccio portare un modulo per la registrazione, e che nome darete alla bambina?
- Deifobe.
- Scusi, ha detto (sillabando) Deifobe ?
L’impiegata storse le labbra, si allontanò un attimo, sussurrò qualcosa ad una collega che sedeva dietro un computer in fondo alla stanza, quindi consultò un testo che prelevò da uno scaffale e ritornò da Giorgio:
- Scusi, abbiamo una difficoltà, non possiamo registrare la sua bambina col nome di Deifobe, ce lo vieta il regolamento, quindi lei dovrà scegliere un nome diverso,
- (Accigliato) Ma, Deifobe è il nome della Sibilla Cumana, anzi il nome completo è Deifobe di Galuco, così come la chiama Virgilio.
- Signore, abbia pazienza, è come volere chiamare un bimbo Taigeto, come la catena montuosa del Peloponneso, non possiamo fare un torto al regolamento. Ora io le farò delle domande, su sua moglie, su lei, sul luogo dove è nata la bimba, data, ora e se assistita da un medico, da una levatrice o quant’altro, lei nel mentre pensi ad un altro nome.
Compilati tutti i moduli necessari, l’impiegata d’anagrafe ripeté a Giorgio:
- Ha scelto il nome?
- Si, allora la chiameremo Sibilla
- Sibilla?
- Si, Sibilla.
Con una enorme pazienza l’impiegata ritornò al tavolo della collega, la interrogò, riconsultò il testo che aveva riposto un po’ prima, poi tornò allo sportello, finì di compilare i moduli e poi disse a Giorgio:
- Ora le giro i moduli e lei li firma, auguri per la sua Sibilla e ancora complimenti alla signora!
La Sibilla Cumana
Giorgio
salutò ed usci ilare e gioioso dal Comune, come se avesse azzeccato una
cinquina secca!
Ci vuole davvero un bel coraggio ad appioppare ad una bimba il nome Sibilla,
figura mitologica che definiva una vergine, ispirata dal dio Apollo, dotata di
capacità profetiche ed in grado di fornire responsi e di fare predizioni ma
sempre in forma oscura o ambivalente.
Giorgio, pur esercitando la professione di agricoltore, era un uomo erudito, da
ragazzo aveva frequentato il liceo classico della sua città ed era arrivato
alla maturità, conseguendola col massimo dei voti. Da studente liceale, si era
immerso nei classici nell’Iliade, nell’Odissea e nell’Eneide, ricordava tutti i
personaggi collegandoli tra loro, recitava a memoria pezzi dell’Eneide e,
quando gli capitava tra le mani un testo di mitologia, lo divorava d’un fiato,
per poi riprenderlo fino a quando non diventavano patrimonio della sua mente
luoghi, Dei, Semidei, Eroi e qualunque altro personaggio.
Quando, per
effetto di un male, vennero a mancare i suoi genitori, con tre fratelli più
piccoli da tirare su, a Giorgio toccò di abbandonare gli studi e di mettersi a
capo dell’azienda di famiglia. Non sempre le messi furono abbondanti, non
sempre la natura fu madre generosa, ma, senza perdersi d’animo riuscì a mandare
a scuola i suoi fratelli, a farli laureare tutti e tre e quando ognuno di loro
divenne indipendente, trovò il tempo per innamorarsi e sposarsi a quarant’anni
suonati.
Sibilla crebbe pasciuta e rosea, e quando la madre la stacco' definitivamente
dal suo seno, Giorgio comprò una bellissima capra girgentana che assicurò alla
bambina latte fresco e genuino fino a quando non arrivò il momento di andare in
prima elementare. Racconti su racconti, novelle su novelle, favole su favole,
Sibilla già prima di essere iscritta in prima elementare sapeva scrivere e
cominciava a leggiucchiare tutto quanto il padre le metteva sotto gli occhi.
Passarono gli anni delle due prime classi delle elementari e Sibilla sapeva che
suo padre avrebbe voluto chiamarla Deifobe
di Galuco, come la chiama Virgilio, sognò allora, come la vera Sibilla Cumana, di vivere tanti anni quanti erano i granelli
di sabbia che poteva racchiudere la sua mano, imponendosi di non farsi mai
corrompere dall’orgoglio e di non esigere da alcuna divinità la giovinezza
eterna. La giovinetta, ad onta della sua tenera età, si mise a sognare non come
le bambine della sua età ma come la prescelta dal destino ad avere vita e
conoscenza diversa dalle altre.
Sibilla si maturò a diciotto anni nello stesso liceo che aveva frequentato suo
padre e accedette alla facoltà di filosofia nell’Ateneo più vicino. Splendida
donna dagli occhi sfolgoranti, longilinea, con due mani diafane che si
muovevano armoniosamente al suono delle sue stesse parole. Si laureò Sibilla,
il massimo dei voti e la lode e, quando i suoi genitori le chiesero che regalo
preferisse, lei puntò il dito su una mappa, il litorale campano posto davanti
all’isola di Ischia.
-
Portatemi a Cuma!
Giorgio guardò la moglie negli occhi ma non trovò risposta, poi:
- Ci andremo in settimana.
S Secondo la leggenda, i fondatori di Cuma furono gli Eubei di Calcide, che sotto la guida di Ippocle di Cuma e Megastene di Calcide, scelsero di approdare in quel punto della costa perché attratti dal volo di una colomba o secondo altri da un fragore di cembali.
- - Voglio sentire i cembali, quelli suonati nei baccanali dai coribanti e lo sbattere d’ali di una colomba.
Sorrisero i genitori, l’abbracciarono e lasciarono che la ragazza sognasse.
Il mattino seguente, mentre Giorgio si preparava per recarsi nella sua azienda, si soffermò in corridoio, accostò l’orecchio alla porta della camera di Sibilla ed ascoltò la figlia che con voce solenne declamava la Metamorfosi di Ovidio: “Mentre Apollo cercava di corrompermi con i doni, dice: Fanciulla di Cuma, scegli ciò che desideri. Io raccolsi e mostrai un mucchio di polvere, altrettanti natalizi io, sciocca, chiesi che mi toccassero in sorte; mi sfuggì di chiedere gli anni giovanili fino alla fine. E quello me li avrebbe concessi insieme alla giovinezza eterna, se avessi accettato il suo amore: ma, avendo disprezzato il dono di Febo, rimango senza nozze”. Fu poi silenzio, come se la fanciulla fosse caduta in un profondo sonno. Giorgio in punta di piedi attraversò il corridoio e guadagnò l’uscita.
Antro della Sibilla Cumana
Il
sabato successivo Sibilla, papà e mamma si recarono nell'area vulcanica dei Campi Flegrei. Visitarono
l’area archeologica e quando furono davanti all’antro della Sibilla cumana,
visto il numero di visitatori, si resero conto che esso costituisce un'attrazione turistica di
notevole interesse. Nessuno fiatò e marito e moglie lasciarono, come se fosse
in meditazione, la loro figlia a godersi quell’antro, il suo regalo di laurea,
anomalo rispetto alla vanità delle ragazze della sua età. Usciti dall’area
archeologica la ragazza volle recarsi in riva al mare, si tolse le scarpe e
percorse un tratto di un piccolo arenile, poi immerse i suoi piedi in acqua e
alzò lo sguardo al cielo aspettando qualcosa, fino a quando una coppia di
piccioni attraversò uno squarcio di cielo e si senti il battere delle loro ali,
mentre le onde che si infrangevano su uno scoglio, imitavano il suono ritmico
di cembali.
Tornarono a casa Sibilla e i genitori, nessuno commentò, cenarono ed ognuno
andò a dormire.
Da un liceo classico di Napoli arrivò la prima nomina per insegnare filosofia. La
ragazza rilesse più volte quella nomina, la mostrò felice ai suoi genitori e
chiese di poter mangiare con loro, quella sera, una pizza in un locale in riva
al mare. Il mattino seguente la dottoressa in filosofia, si mise alla guida
della sua utilitaria e raggiunse Piazza Giovanni Amendola dove aveva sede il
Liceo Classico Umberto I.
Fu accompagnata dal preside del liceo in una classe gremita di giovani, maschi
e femmine, tutti belli, tutti svegli, tutti con gli occhi puntati sulla nuova
docente e, quando il capo d’istituto uscì dall’aula, i ragazzi sedettero
composti e, per la prima volta sentirono la voce di Sibilla che si presentò :
-
Sono la professoressa Luongo, Sibilla Luongo. Ora chiamerò l’appello
così sentirò i vostri nomi.
Scorrendo il registro di classe, chiamò l’appello, fissando di volta in volta l’allievo in viso, come a volerli fissare tutti alla sua mente. Fu l’ultimo nome che la impressionò, Zummo Erofila .
-Zummo, il tuo nome di battesimo è Erofila?
- Si professoressa, mio padre amava tanto la mitologia e,
non seppe resistere e volle chiamarmi come la sibilla Eritrea. Da bambina mi
sembrava un po’ troppo pesante, poi mi ci sono abituata, ora lo amo.
- Scusami che professione
esercita tuo padre.
- Il pescatore, fu il primo di
nove figli e, quando appena quindicenne il nonno venne meno dopo una lunga
malattia, mio padre lo sostituì al comando di un piccolo peschereccio in
fasciame. Imparò appena a leggere e dedicò tutto il suo tempo libero alle
vicende della mitologia.
- Quindi non è andato a
scuola?
- In prima elementare, appena
un trimestre.
Strano, i genitori sia dell’alunna che dell’insegnante, sono stati costretti a sostituire
i loro papà venuti a mancare anzitempo al
fine di sostenere le loro famiglie.
Finirono le due prime ore di lezione e, quando
Sibilla si mise in macchina per ritornare a casa, fece una lunga riflessione
sul nome della sua allieva, riportò la sua mente ai suoi studi liceali. La Sibilla Eritrea era la profetessa
dell'antichità classica che presiedeva sopra l'oracolo di Apollo a Eritre, una
città della Ionia di fronte a Chios. Una leggenda vuole fosse figlia di una
ninfa e del pastore Teodoro, ambedue del monte Ida. Essa, sotto il nome di Eròfila,
avrebbe insegnato agli Etruschi l'arte della divinazione tramite i fulmini. Lei
e la sua allieva segnate da due figure mitologiche, due sibille, lei a Cuma,
Erofila a Eritre. Stropicciò gli occhi come a volersi svegliare da un sogno,
poi accese l’auto e imboccò la via di casa.
Non ebbe il tempo di finire di pranzare Sibilla, che si immerse, seduta alla
sua scrivania, nella ricerca di notizie su Eritre che era una delle dodici città della Lega della Ionia, in
Asia Minore, situata a una ventina di km a nord-est del porto di Cyssus, la
moderna Cesme, su di una piccola penisola che si prolunga nella baia di
Erythrae, di fronte all'isola di Chio. I suoi resti archeologici, ricchi di
testimonianze e splendidi per la conservazione, si trovano nei pressi della
moderna Ildırı.
Erofila Zummo era una bellissima figura, coi tratti delle matrone romane, due
occhi nerissimi e una bocca dalle labbra carnose che lasciavano intravedere il
candido dei suoi denti perfetti.
Un giorno, durante la ricreazione Sibilla invitò Erofila al bar dell’istituto,
consumarono un caffè e sedute ad un tavolo, la docente propose all’allieva di
trascorrere assieme una mattinata di domenica per una visita ai Campi Flegrei.
La ragazza disse di esserci stata coi genitori più volte e di avere vissuto
delle emozioni davanti alla mole di notizie che il suo genitore, ad onta del
fatto che non era andato a scuola, le aveva dato.
Che strana circostanza, due ragazze, erudite dai genitori e per loro
ostinazione, portavano, come un grosso macigno, i nomi di due figure
mitologiche.
L’uomo ha sempre cercato risposte ai propri interrogativi, invocando gli dei,
costruendo templi per poter comunicare direttamente con queste entità e
servendosi dei mezzi ritenuti più adatti a favorire l’incontro. Sacerdotesse,
pitonesse, sibille erano le medium prescelte per questo tipo di ritualità
religiosa.
I responsi delle sibille diventavano leggi sacre che i popoli rispettavano, le
loro parole segnavano la storia e, spesse volte, segnavano il tempo.
Sibilla volle mettere alla prova Erofila, si recò con lei a Cuma davanti
all’antro, attese un attimo e notò che la ragazza chiuse gli occhi e, come se
parlasse con qualcuno, agitò con grazia le sue mani diafane, poi riaprì gli
occhi e disse:
- Professoressa, la prego,
torniamo in macchina, sarà il leggero odore di zolfo, l’afa, desidero bere un
bicchiere d’acqua.
Sibilla prese sottobraccio la sua allieva e, a passo spedito, raggiunsero
l’auto nel parcheggio. Al primo bar Sibilla si fermò ed entrati all’unisono
chiesero un bicchiere d’acqua. Sedettero fuori ad un tavolinetto e,
tranquillizzata dalle parole di Erofila sul suo stato di salute, l’allieva volle
raccontare quanto le era successo davanti all’antro.
- Professoressa
- Ti prego, chiamami Sibilla,
mi infastidisco se una amica mi da del lei.
- Ci proverò, grazie. Cara
amica mia, è la seconda volta che mi capita, la prima volta fu in compagnia di
mio padre. Davanti all’antro della Sibilla Cumana le mie palpebre diventano
pesanti, si chiudono ed io vedo davanti a me due Apollo, uno triste ed uno
allegro, uno vestito con una tunica bianca, l’altro nudo. L’Apollo con la
tunica, triste, non parla, dalle sue mani cadono una enorme quantità di piccoli
granelli di sabbia, poi scompare senza rendersi conto che io sono la donna di
cui è innamorato. L’Apollo nudo sorride, convinto di avere intravisto in me la
Sibilla di Cuma, man mano che si avvicina, si rende conto che io non sono la
donna di cui sarebbe innamorato e svanisce in una nuvola di fumo che odora
dell’acre dello zolfo. I miei occhi si riaprono, la mia testa sembra vuota e
sento il bisogno di un bicchiere d’acqua.
Sibilla aveva provato le stesse sensazioni di Erofila, era stata più volte a Cuma
da sola. Si era posta davanti all’antro e, chiudendo le palpebre, aveva visto un
Apollo bellissimo, coperto da una armatura leggera cesellata in oro e argento venirle
incontro senza mai poterla raggiungere e, vederlo rimpicciolire fino a sparire.
Poi l’odore di zolfo, i capogiri, il leggero mal di testa e una grande arsuria.
Non perse una sillaba Sibilla, ma tornò alla sua mente la Metamorfosi di Ovidio
e, senza dire una parola, colse il grave responso: lei ed Erofila, erano destinate, per volontà
del Fato a rimanere zitelle, rinchiuse negli antri che erano le loro case, a
dispensar responsi, a rasserenare le genti ed a marcare gravemente il tempo.
Sibilla ed Erofila fecero ritorno a casa loro, il tempo trascorse con i ritmi
di sempre ed assistette alla laurea di Erofila, al crescere dei fili d’argento
sulle loro tempie, alle fiumane di gente che andava a trovarle per consultarle e, quando esso tempo non fu più,
alle loro dipartite.
Apollo
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