Mario
Scamardo
IL TEATRO DI JATO (III sec. a.C.)
AKRONOS
E LA PALINGENESI
Al centro dell’orchestra del teatro di Jato, Akronos siedeva
sempre davanti ad uno stuolo di adolescenti. Il vecchio saggio, ogni mattina
che seguiva il novilunio, percorreva la decumana, si fermava sulla soglia del
Tempio di Venere, si raccoglieva in meditazione per qualche minuto,
attraversava la grande agorà e pigliava posto tra i giovani. Sosteneva che,
proprio in quella notte in cui mancava la luna, la sua mente, non
distratta dalle sollecitazioni della
vista, rivisitava il passato e
sostenendo che l’uomo non è una zucca, trovava il modo di ricredersi su alcune
cose sostenute anzitempo e di cambiare eventualmente opinione. I ragazzi seduti
attorno a lui, pendevano dalle sue labbra ed aspettavano che finisse di parlare
per interrogarlo su quanto non avessero capito.
Quel mattino, il vecchio saggio dalla barba fluente e bianca
come il latte come i suoi lunghi capelli, parlò di Empedocle, un medico e
filosofo che aveva incontrato ad Agrigento, e col quale si era raccolto in
meditazione nel Tempio della Concordia, e lì lo aveva ascoltato discernere
sulle sostanze primordiali, vere radici di ogni cosa, i quattro elementi: la
terra, l’acqua, l’aria ed il fuoco. Gli
occhi dei ragazzi erano puntati verso le sue labbra, il silenzio regnava
contrastato solo dal lieve fruscio delle
frasche d’intorno: - Questi quattro elementi sogliono mischiarsi tra loro e
sogliono separarsi, sotto l’opposto influsso di due forze, anch’esse
primordiali ed eterne: l’Amore e l’Odio che, talvolta, prevalgono l’una sull’altra
e viceversa. Tutti gli elementi si fondono assieme, in un’unica sfera quando l’Amore
ha prevalenza assoluta, ma aimè, tale coesione è a tempo, non ha durata
infinita, perché gradatamente cominciano a prevalere le potenze dell’Odio che,
pian pianino, in maniera progressiva, danno luogo alla disgregazione degli
elementi, fino a far diventare quell’unica sfera quattro sfere omogenee
interamente separate. Anche la disgregazione è soggetta ad un tempo, perché l’Amore,
gradatamente, riporta alla coesione, all’unica sfera degli elementi fusi
insieme. Il ciclo cosmico così si compie, e poi tutto ricomincia da capo in un
ripetersi eterno.
Finito il suo discorso, Akronos poggiò le sue labbra in una
piccola brocca d’argilla che portava sempre con se e bevve un sorso d’acqua,
poi attese che qualcuno lo interrogasse. I ragazzi rimasero un poco attoniti, nessuno
alzò il dito per chiedere qualcosa, ma tanto non meravigliò il vecchio saggio
che, appoggiandosi al primo gradino degli spalti, si sollevò da terra, poi
disse: - Ragionate su quanto avete sentito, anch’io ebbi delle difficoltà a
capire quanto Empedocle in quel lontano giorno mi disse, immagazzinai il suo
discorso nella mia mente e per tanto tempo riflettei, ora so cos’è la
palingenesi, il rinnovamento finale dopo la distruzione. In tutte le notti di
novilunio sono ritornato con la mia mente sul quel discorso, non ho cambiato la
mia opinione, ma forse devo ancora spiegarvi qualcosa. Lasciate che la vostra
mente maturi quanto vi ho finora detto, al prossimo incontro vi parlerò dell’Odio
e dell’Amore, vi servirà per comprendere e fare vostro il pensiero. Ora tutti
assieme ci recheremo presso il bastione più vicino, guarderemo attorno a noi le
valli che ci circondano e ammireremo il creato.
Scorcio degli scavi - Peristilio di casa romana
I ragazzi si alzarono e preceduti da Akronos uscirono dal
teatro, attraversarono la grande agorà e si incamminarono verso il bastione che
sovrastava le valli attorno. Il paesaggio era ameno, illuminato da un sole
tiepido di primavera. Verso sud, pianure a distesa dove si coglieva a piene
mani l’alacrità degli uomini, campi arati, alberi fioriti, corsi d’acqua regimentati,
armenti al pascolo e dai casali risaliva il canto di bambini ilari che giocavano
nelle aie. Il saggio aspettò che i ragazzi avessero contezza di quel paesaggio,
poi disse loro: - Ora possiamo andare, vi porterò sul torrione che guarda ad
est; in quelle campagne vivono i nemici della pace, due fazioni sempre in
belligeranza tra loro, dove ognuno vuole imporre le proprie leggi, dove prevale
l’intolleranza, dove le notti e i giorni non sono sereni, dove ognuno teme le
malefatte dell’altro.
Jato al tempo contava circa quattordicimila famiglie, circa
settantamila abitanti, il suo teatro
era, dopo quello di Epidauro, il più grande e dove il bouleterion, la sala del
consiglio, aveva duecento posti a sedere, un piccolo parlamento. Il tragitto
fino al torrione che guardava ad est era ad una buona mezzora. Il saggio si
incamminò con i suoi discepoli, alla grande cisterna rabboccò la sua piccola
brocca e lasciò che tutti bevessero. Raggiunto il torrione sedette sulla murata
e ammirò senza dire una parola. Campi pieni di sterpi e rovi rinsecchiti,
armenti scarnati in pascoli scarsi d’erba, pozzanghere e stagni putridi, non
una strada ma sentieri impervi, uomini abbrutiti che si guardavano in cagnesco
e alti recinti a guardia di case malconce talvolta divorate dal fuoco. Non
canti di bambini, ma pianti di orfani.
Akronos notò il disgusto dei suoi discepoli, poi, rinnovando
la promessa di parlargli dell’Odio e dell’Amore, li accompagnò all’agorà, li
salutò dicendo: - Al prossimo novilunio!
Si allontanò a passo lento e scomparve dietro un colonnato.
Il saggio difficilmente si vedeva in giro, abitava un
anfratto proprio dietro il teatro, al limite di un bosco. Il cammino per
raggiungerlo era impervio, e l’ingresso era nascosto da una fitta macchia di
rovi, quando usciva dalla sua grotta si recava sempre al tempio di Venere a
meditare davanti l’uscio. Quanti lo conoscevano lo ricordavano sempre vecchio e
canuto, sia i giovani che quelli anziani, non aveva tempo, e a quanti gli chiedevano
quanti anni avesse, ricordava il suo nome, Akronos, prima del tempo!
I ventotto giorni passarono e ritornò il novilunio, la notte
fu buia e la sua vista non lo sollecitò e non lo distrasse. Il mattino
seguente, dopo il percorso di rito, ritornò a sedere al centro dell’orchestra
del teatro contornato dai suoi discepoli e con la sua piccola brocca al fianco.
Guardò i visi dei ragazzi ad uno ad uno, poi cominciò a parlare: - Il nostro è
un mondo di cose singole, per cui è impossibile il verificarsi né dell’assoluta
prevalenza dell’Amore né quella dell’Odio. Essa prevalenza può aver luogo solo
nei periodi intermedi dentro i quali Odio e Amore si fronteggiano e si fanno
equilibrio. L’Amore unifica elementi diversi, dà quindi nascita agli esseri singoli;
l’Odio produce la loro morte disgregandoli. Le due valli che avete visto
ventotto giorni addietro ne sono l’esempio, l’una, quella che guarda a sud
aggrega, unisce, perché lì vi regna l’Amore, l’altra, quella che guarda a
levante, disgrega, divide, perché vi impera l’Odio e, quindi, la morte! La palingenesi è sempre nell’aria! Anche
questa città sta vivendo la fine della coesione degli elementi primordiali,
pian piano arriverà la disgregazione e prevarrà l’Odio. Pensate alla palingenesi politica, al
rinnovamento radicale delle istituzioni, delle concezioni. In questa città, che
conosco da sempre, i poveri sono sempre più poveri ed i ricchi sempre più
ricchi, voi avete da adesso una responsabilità, quella di far si che gli
elementi si uniscano in un’unica coesione, per quanto più è possibile.
Ancora una volta nessun discepolo lo interrogò, ma Akronos
capì dai loro sguardi che la sua missione era compiuta. Si erse il vecchio
saggio e, come d’incanto, scomparve in quel silenzio, il vento attraversando
come sempre le frasche continuava a suonare la sua arpa eolica.
Akronos
Parte dell'agorà
Pianta dei resti di Jato
Ottima lettura!
Ottima narrazione!!!
RispondiElimina