giovedì 7 marzo 2013

AKRONOS E LA PALINGENESI - Racconto breve



















Mario Scamardo

I Racconti del Borgo
Monte Jato visto da Nord-Est

IL TEATRO DI JATO (III sec. a.C.)

 

AKRONOS E LA PALINGENESI



         Al centro dell’orchestra del teatro di Jato, Akronos siedeva sempre davanti ad uno stuolo di adolescenti. Il vecchio saggio, ogni mattina che seguiva il novilunio, percorreva la decumana, si fermava sulla soglia del Tempio di Venere, si raccoglieva in meditazione per qualche minuto, attraversava la grande agorà e pigliava posto tra i giovani. Sosteneva che, proprio in quella notte in cui mancava la luna, la sua mente, non distratta  dalle sollecitazioni della vista, rivisitava  il passato e sostenendo che l’uomo non è una zucca, trovava il modo di ricredersi su alcune cose sostenute anzitempo e di cambiare eventualmente opinione. I ragazzi seduti attorno a lui, pendevano dalle sue labbra ed aspettavano che finisse di parlare per interrogarlo su quanto non avessero capito.
         Quel mattino, il vecchio saggio dalla barba fluente e bianca come il latte come i suoi lunghi capelli, parlò di Empedocle, un medico e filosofo che aveva incontrato ad Agrigento, e col quale si era raccolto in meditazione nel Tempio della Concordia, e lì lo aveva ascoltato discernere sulle sostanze primordiali, vere radici di ogni cosa, i quattro elementi: la terra, l’acqua, l’aria ed il fuoco.  Gli occhi dei ragazzi erano puntati verso le sue labbra, il silenzio regnava contrastato solo dal  lieve fruscio delle frasche d’intorno: - Questi quattro elementi sogliono mischiarsi tra loro e sogliono separarsi, sotto l’opposto influsso di due forze, anch’esse primordiali ed eterne: l’Amore e l’Odio che, talvolta, prevalgono l’una sull’altra e viceversa. Tutti gli elementi si fondono assieme, in un’unica sfera quando l’Amore ha prevalenza assoluta, ma aimè, tale coesione è a tempo, non ha durata infinita, perché gradatamente cominciano a prevalere le potenze dell’Odio che, pian pianino, in maniera progressiva, danno luogo alla disgregazione degli elementi, fino a far diventare quell’unica sfera quattro sfere omogenee interamente separate. Anche la disgregazione è soggetta ad un tempo, perché l’Amore, gradatamente, riporta alla coesione, all’unica sfera degli elementi fusi insieme. Il ciclo cosmico così si compie, e poi tutto ricomincia da capo in un ripetersi eterno.
         Finito il suo discorso, Akronos poggiò le sue labbra in una piccola brocca d’argilla che portava sempre con se e bevve un sorso d’acqua, poi attese che qualcuno lo interrogasse.  I ragazzi rimasero un poco attoniti, nessuno alzò il dito per chiedere qualcosa, ma tanto non meravigliò il vecchio saggio che, appoggiandosi al primo gradino degli spalti, si sollevò da terra, poi disse: - Ragionate su quanto avete sentito, anch’io ebbi delle difficoltà a capire quanto Empedocle in quel lontano giorno mi disse, immagazzinai il suo discorso nella mia mente e per tanto tempo riflettei, ora so cos’è la palingenesi, il rinnovamento finale dopo la distruzione. In tutte le notti di novilunio sono ritornato con la mia mente sul quel discorso, non ho cambiato la mia opinione, ma forse devo ancora spiegarvi qualcosa. Lasciate che la vostra mente maturi quanto vi ho finora detto, al prossimo incontro vi parlerò dell’Odio e dell’Amore, vi servirà per comprendere e fare vostro il pensiero. Ora tutti assieme ci recheremo presso il bastione più vicino, guarderemo attorno a noi le valli che ci circondano e ammireremo il creato.


Scorcio degli scavi - Peristilio di casa romana


         I ragazzi si alzarono e preceduti da Akronos uscirono dal teatro, attraversarono la grande agorà e si incamminarono verso il bastione che sovrastava le valli attorno. Il paesaggio era ameno, illuminato da un sole tiepido di primavera. Verso sud, pianure a distesa dove si coglieva a piene mani l’alacrità degli uomini, campi arati, alberi fioriti, corsi d’acqua regimentati, armenti al pascolo e dai casali risaliva il canto di bambini ilari che giocavano nelle aie. Il saggio aspettò che i ragazzi avessero contezza di quel paesaggio, poi disse loro: - Ora possiamo andare, vi porterò sul torrione che guarda ad est; in quelle campagne vivono i nemici della pace, due fazioni sempre in belligeranza tra loro, dove ognuno vuole imporre le proprie leggi, dove prevale l’intolleranza, dove le notti e i giorni non sono sereni, dove ognuno teme le malefatte dell’altro.
         Jato al tempo contava circa quattordicimila famiglie, circa settantamila abitanti,  il suo teatro era, dopo quello di Epidauro, il più grande e dove il bouleterion, la sala del consiglio, aveva duecento posti a sedere, un piccolo parlamento. Il tragitto fino al torrione che guardava ad est era ad una buona mezzora. Il saggio si incamminò con i suoi discepoli, alla grande cisterna rabboccò la sua piccola brocca e lasciò che tutti bevessero. Raggiunto il torrione sedette sulla murata e ammirò senza dire una parola. Campi pieni di sterpi e rovi rinsecchiti, armenti scarnati in pascoli scarsi d’erba, pozzanghere e stagni putridi, non una strada ma sentieri impervi, uomini abbrutiti che si guardavano in cagnesco e alti recinti a guardia di case malconce talvolta divorate dal fuoco. Non canti di bambini, ma pianti di orfani.
         Akronos notò il disgusto dei suoi discepoli, poi, rinnovando la promessa di parlargli dell’Odio e dell’Amore, li accompagnò all’agorà, li salutò dicendo: - Al prossimo novilunio!  Si allontanò a passo lento e scomparve dietro un colonnato.
         Il saggio difficilmente si vedeva in giro, abitava un anfratto proprio dietro il teatro, al limite di un bosco. Il cammino per raggiungerlo era impervio, e l’ingresso era nascosto da una fitta macchia di rovi, quando usciva dalla sua grotta si recava sempre al tempio di Venere a meditare davanti l’uscio. Quanti lo conoscevano lo ricordavano sempre vecchio e canuto, sia i giovani che quelli anziani, non aveva tempo, e a quanti gli chiedevano quanti anni avesse, ricordava il suo nome, Akronos, prima del tempo!
         I ventotto giorni passarono e ritornò il novilunio, la notte fu buia e la sua vista non lo sollecitò e non lo distrasse. Il mattino seguente, dopo il percorso di rito, ritornò a sedere al centro dell’orchestra del teatro contornato dai suoi discepoli e con la sua piccola brocca al fianco. Guardò i visi dei ragazzi ad uno ad uno, poi cominciò a parlare: - Il nostro è un mondo di cose singole, per cui è impossibile il verificarsi né dell’assoluta prevalenza dell’Amore né quella dell’Odio. Essa prevalenza può aver luogo solo nei periodi intermedi dentro i quali Odio e Amore si fronteggiano e si fanno equilibrio. L’Amore unifica elementi diversi, dà quindi nascita agli esseri singoli; l’Odio produce la loro morte disgregandoli. Le due valli che avete visto ventotto giorni addietro ne sono l’esempio, l’una, quella che guarda a sud aggrega, unisce, perché lì vi regna l’Amore, l’altra, quella che guarda a levante, disgrega, divide, perché vi impera l’Odio e, quindi, la morte!  La palingenesi è sempre nell’aria! Anche questa città sta vivendo la fine della coesione degli elementi primordiali, pian piano arriverà la disgregazione e prevarrà l’Odio.  Pensate alla palingenesi politica, al rinnovamento radicale delle istituzioni, delle concezioni. In questa città, che conosco da sempre, i poveri sono sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi, voi avete da adesso una responsabilità, quella di far si che gli elementi si uniscano in un’unica coesione, per quanto più è possibile.
         Ancora una volta nessun discepolo lo interrogò, ma Akronos capì dai loro sguardi che la sua missione era compiuta. Si erse il vecchio saggio e, come d’incanto, scomparve in quel silenzio, il vento attraversando come sempre le frasche continuava a suonare la sua arpa eolica.

Akronos



Parte dell'agorà


Menadi e Satiri che sostenevano l'architrave della scena




Pianta dei resti di Jato


Ottima lettura!


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