I LANDEMARK DI UN SIGNORE DI CAMPAGNA
(Tratto dal romanzo di Mario Scamardo "Il fascino delle mutazioni")
Fu un sabato pomeriggio che Rosetta
chiese al suo compagno di trascorrere la domenica in campagna, possibilmente
dai genitori di lui che vivevano in provincia, la risposta fu positiva. Lei
indossò un tailleur blue chiaro con sotto un top in seta bianca, lasciò sciolti
i suoi capelli, adornò il suo collo con una collana di perle che le lambiva
l’attaccatura del seno, ed infilò in un borsone che porse a Mario, un jeans ed
alcuni indumenti intimi, aprì poi l’armadio e tirò fuori una giacca a vento
color senape.
Usciti dalla città salirono, curva dopo
curva, per una panoramica fino a raggiungere Giacalone, una frazione di
Monreale posta a quota settecento metri, da dove è possibile cogliere in un sol
colpo d’occhio tutta la città, da Mondello ad Acqua dei Corsari. Si
soffermarono a mirare il panorama e cercarono di individuare, facendo
riferimento ai campanili, le piazze ed i monumenti più noti della città.
Rosetta chiese a Mario se quella visita
imprevista lo avesse messo in imbarazzo o avesse potuto indisporre i suoi
genitori, ma egli la rassicurò informandola che la sua famiglia, pur non
aspettandoli, conosceva la sua storia d’amore. Risalirono in macchina e
affrontarono la discesa che conduceva in paese. Rosetta fu per un momento
taciturna, poggiò la testa sullo schienale e riflettè sulla differenza d’età
col suo ragazzo. Come era possibile che i genitori di lui potessero accettare
tale situazione per l’unico figlio che avevano, come era possibile che in
Sicilia, dove regna ancora la famiglia patriarcale, dove il padre padrone
impera, nulla avessero obiettato i genitori di Mario o, forse, Mario non aveva
fatto cenno all’età di lei. Quella discesa offriva il più incantevole dei
paesaggi, coda terminale della Val di Mazara, la Valle dello Jato si apriva da
una gola tra i monti e sembrava essere illuminata a festa, mille luci nella
campagna e sullo sfondo Castellammare, col tremolio delle sue luci che domina
il Golfo.
Un portone enorme di una casa con la
facciata a pietra viva, Mario infilò la chiave ed entrarono in un androne
illuminato con due enormi fanali che indirizzavano la luce su uno scalone i cui
gradini erano usurati dal tempo. In cima alle scale si aprì una porta e venne
fuori una giovane signora che portava benissimo i suoi quarantacinque anni,
elegantemente vestita. Mario le andò incontro, la baciò e pigliando la ragazza
per la mano le disse: - lei è Rosetta. - La ragazza a capo chino, attese che
quella bella figura di donna la invitasse ad entrare e, quando l’altra allungò
la mano lei gliela strinse ed accennò ad un piccolo inchino. Tutti e tre
percorsero un corridoio pieno di specchi che li portò in un salotto Luigi XIV
tappezzato in seta damascata tessuta a mano di colore rosso cardinale.
Mario
notò la meraviglia di Rosetta, ma non volle chiederle del perché, sapeva
benissimo che lei non si aspettava che le case dei contadini siciliani
potessero essere talvolta ricche di vecchie nobiltà scomparse, di valori e
tradizioni che solo il sud ha saputo conservare con cura nel tempo, e la invitò
a sedere in una di quelle poltrone, mentre la sua mamma andò in soggiorno per
avvertire il marito che sonnecchiava davanti al televisore. – Li avevi
avvertiti di questa visita? – Disse Rosetta a Mario, ed al cenno negativo di
lui – è questa una casa di contadini? – Mario assentì e poi disse: - mio padre
è agricoltore. - Entrarono il papà di lui e la signora, Rosetta si alzò e andò
incontro ad un elegantissimo signore che ebbe solo cura di scusarsi per le sue
mani ruvide, poi sedettero tutti e quattro e, mentre la signora s’informò se
avessero voglia di cenare con loro, quel signore distinto tempestò il figlio di
domande sui suoi studi e chiese a Rosetta, soppesando ogni parola, sulle sue
origini, su come si trovasse a Palermo, di cosa vivesse, tutto con la maestria
di un grande attore, che assumeva atteggiamenti del volto, di volta in volta
che recepiva la risposta.
Faceva bella mostra in un angolo
dell’immenso salone un pianoforte a coda da concerto, con le sue decine di
cornici d’argento sopra, Mario volle interrompere l’interrogatorio elegante del
padre e disse a Rosetta: - sai, mio padre suona il pianoforte, vuoi che ti
faccia sentire qualcosa? – Rosetta chiese al papà di Mario: - lei ha studiato
al conservatorio? – No – disse Mario – mio padre è autodidatta, suona ad
orecchio – ed indicando un altro angolo del grande salone affrescato – guarda,
suona anche il violino ed il mandolino – che facevano bella mostra adagiati su
un elegantissimo mobile in maggiolino. Quell’uomo sui cinquanta ben portati, si
alzò, sbottonò la sua giacca grigia di vigogna, mettendo in mostra il suo
figurino avvolto in un gilè di colore antracite, dal taschino del quale pendeva
una catenina d’argento alla quale era attaccato uno Zenith. Si sedette al
piano, mentre la moglie chiese il permesso di recarsi in cucina per preparare
la cena.
Davvero
bravo! – Esclamò la ragazza dopo le prime battute, poi si alzò, si pose accanto
al pianoforte ed ascoltò, senza batter ciglio, alcune arie celebri eseguite con
buona maestria e spesso con virtuosismi. Mario andò in cucina per dare aiuto
alla madre, Rosetta attese l’ultima nota de “Una furtiva lacrima” per
applaudire. – Bravo, bravo per davvero, sa che mio padre voleva che studiassi
il piano? – E’ sempre a tempo – ribadì il signore – a vent’anni si è ancora in
tempo a cominciare se si ama la musica. - Rosetta fu attraversata da un
brivido, quel distinto signore non aveva colto la sua età o, l’aveva colta e …
aveva fatto finta di nulla, il fatto vero era che ne erano passati quasi il
doppio; andò a sedersi seguita dal papà di Mario il quale ebbe modo di mirarla
e rimirarla, cogliendo ogni tratto del suo aspetto. – Potevate venire prima, a
mio figlio piace tanto andare in campagna, ama tanto gli animali ed il suo cane
fa follie quando lo vede arrivare. – Rosetta cercò di scusarsi, come se fosse
stata lei la causa del mancato anticipo, e spiegò del suo lavoro, lui seguì
minuziosamente, come a voler cogliere la forbitezza del suo parlare e la grazia
delle sue fattezze. – Così giovane e così impegnata – accennò l’uomo, ed ancora
una volta Rosetta ripensò ai suoi trentacinque anni, quindici più di Mario.
Ebbe un attimo di smarrimento, ma seppe sorridere, tanto incantò il simpatico
signore che la immaginò al fianco del suo unico figlio e se la vide parte
integrante della sua famiglia.
La mamma
di Mario, la signora Giulia, entrò in salotto, dietro di lei il figlio – se
volete, la cena è pronta – poi al marito: - Giorgio, offri un aperitivo alla
signorina, i bicchieri sono sul carrello – Giorgio prelevò una bottiglia di
ottimo spumante, col garbo di chi conosce le buone maniere, la sturò, odorò il
tappo per verificarne l’integrità e ne offrì una coppa alla ragazza, Mario e
Giulia si servirono da soli, tutti sedettero a tavola dove ognuno studiò le
posture e le ritualità dell’altro.
Finita la cena, tutti e quattro si
recarono nel grande terrazzo che guardava le campagne d’intorno e le luci dei
paesini del circondario che tremolavano, facendo diventare il paesaggio ancora
più suggestivo.
Il signor Giorgio sedette su una
poltrona di vimini e la signora Giulia rientrò in casa per preparare il caffè.
Rosetta diede uno sguardo ammirato al panorama al chiarore della luna piena,
poi chiese a Mario di spiegarle perché nel grande salone campeggiavano, ai tre
angoli, le statue di Minerva, di Venere e di Ercole e perché i candelabri sulla
enorme consolle non erano tutti identici ma, alla maniera orientale, erano
composti da tre, due ed una luce soltanto; lei aveva visto simili candelabri
assistendo ad una funzione religiosa di rito bizantino.
Mario la fece accomodare davanti a lui
e le parlò dei simboli e dell’inconscio. – Il simbolismo – disse – riveste una
indubbia importanza in campo psicologico e psicopatologico. La psicoanalisi e
le psicoterapie ad indirizzo psicoanalitico si sostanziano di rappresentazioni
mentali colorite di valore simbolico profondo in quanto rilevanti strati
inconsci della personalità. Il simbolismo, pertanto, viene riconosciuto come
tappa fondamentale di conoscenza. Tuttavia si rivela subito come campo d’indagine
fortemente complesso. - Il pronto ragionamento di Mario faceva notare quanto
fresca fosse la preparazione dello stesso che giorni prima aveva affrontato
l’esame di criminologia. Il signor Giorgio, ad onta della sua molto modesta
cultura, seguiva l’esposizione del figlio ed assentiva col capo. Rosetta cercò
di capire meglio e spinse il ragazzo ad andare avanti. Come poteva un agricoltore,
pur se raffinato, penetrare i meandri di
argomentazioni così difficili?
Mario notò le perplessità di Rosetta ma
continuò: - Cos’è un simbolo e come definirlo? In greco “siùmbolon” indica il
congiungere o l’intrecciare insieme, stante che ogni simbolo racchiude in se
più significati. Il simbolo è la rappresentazione di una cosa per un’altra.
Simbolo, viene definito un oggetto, un gesto, una rappresentazione in relazione
di significante e significato che si trova, inoltre, a differenza del segno, in
relazione analogica con quest’altro oggetto. Il simbolo è anche un segno che
indica, evoca, rappresenta qualcosa di assente. -
Entrò la signora Giulia con una
caffettiera fumante e fragrante, poggiò
il vassoio su un tavolinetto e servì il caffè, incassando i complimenti dei due
ragazzi e del marito, poi, anch’essa sedette in poltrona.
Il signor Giorgio aspettò che Rosetta
finisse di sorbire il suo caffè e disse: - Io non ho la vostra cultura ma la
letteratura attorno al simbolismo mi ha affascinato sin da ragazzo, per fortuna
in questa casa non sono mai mancati i libri. – Guardò negli occhi la ragazza
come a cercarne il consenso e, quindi, riprese: – Durand dice che il simbolo è
una rappresentazione che manifesta un significato nascosto. E’ l’Epifania di un
mistero. Mentre per Freud il simbolo è una rappresentazione cosciente di
contenuti inconsci ed è altresì costante: sono gli stessi simboli che assumono
significato simbolico. Secondo altri, il simbolo rappresenta il nostro spirito,
l’anima, la mente. Ma forse, cara signorina, la sto annoiando. - La ragazza,
che lo seguiva senza batter ciglio, meravigliata e stupita, rispose: - no, la
prego continui pure, la sto seguendo con interesse. – L’uomo sorrise e riprese
a parlare: - Cara signorina, le dirò che significato hanno i simboli di casa
mia, l’Ercole, che lei ha visto nel salone, sta a rappresentare la forza,
Venere la bellezza e Minerva la sapienza, ma lei lo ha sicuramente appreso
dalla mitologia greca e da quella romana durante i suoi studi liceali. La vita
dell’uomo dovrebbe essere ispirata a questi tre simboli ed ai valori che essi
rappresentano. – Rosetta battè le mani: - bravo! – Esclamò, poi, alla signora
Giulia che guardava il marito compiaciuta – può essere fiera di suo marito, mi
arrogherò il diritto di dargli un bacio – si alzò, si chinò sull’uomo e lo
baciò sulla guancia. Si alzarono anche gli altri e poggiarono i gomiti sulla
ringhiera che guardava verso la vallata. Rosetta guardò tutt’intorno, quella
valle le dava un grande senso di libertà, di serenità, l’attraeva fatalmente e
disse: - quest’angolo del creato sembra fatto apposta per indurre alla
riflessione, tanto silenzio ma tante luci in armonia col luogo stesso, sembra
che il Creatore l’abbia voluto donare a uomini giusti e razionali come lei
signor Giorgio. – Poi si fermò, si accostò alla sua poltrona e sedette.
Il papà di Mario, attese che tutti
ripigliassero posto e rivoltosi alla ragazza disse: - mia cara signorina, se
non l’annoierò, desidero parlarle dell’uomo e dell’uso che può fare della sua
razionalità, sempre che lei abbia voglia di ascoltare un anziano agricoltore
d’altri tempi. Veda, lei mi attribuisce molti meriti che io non ho, certo, lo
fa per essere cortese nei miei confronti e di ciò io la ringrazio, però nella
vita non sempre è facile far fede ad ogni impegno morale, l’uomo alla ricerca
continua di migliorare se stesso, in quanto tale, talvolta sbaglia, valuta non
correttamente, si fa pigliare dall’orgoglio e dalla superbia. – Rosetta
avvicinò la sua poltrona a quella del signor Giorgio e rispose: - non mi
stancherei mai di ascoltarla, stasera sto apprendendo tanto e soprattutto senza
fatica, lei esprime concetti con una padronanza notevole, ed usa le parole come
fossero pietre miliari, sono io che le chiedo di parlare, ma deve consentirmi,
alla fine, di porle qualche domanda qualora non dovessi capire un concetto. –
Il signor Giorgio tirò dal taschino del gilet il suo orologio, lo osservò per
leggerne l’ora e, tirato un bel sospiro, così iniziò: - L’uomo ha il dovere di
migliorarsi continuamente, fondando la sua vita su quattro elementi
indispensabili. Il primo di essi è la LIBERTA’ intesa non tanto nel suo
significato esteriore di libertà garantita o talvolta negata dalle leggi, ma il
suo significato interiore, ossia la piena disponibilità di tutte le proprie
facoltà, non asservite da alcuna di quelle schiavitù, cui spesso è asservito
l’essere umano: vizi, passioni degradanti, da ideologie che richiedano cieca
adesione, a teorie o a prassi contrastanti con la propria ragione ed i propri
sentimenti, si può essere schiavi di preconcetti, siano essi razzisti,
religiosi, od antireligiosi, per non parlare della superstizione, il dogmatismo
cieco e tanti altri. Essere liberi interiormente significa poter disporre, ad
ogni momento, delle proprie azioni secondo il dettame di una ragione illuminata
e di sentimenti mossi da null’altro che dalla ricerca del vero e del bene. –
L’anziano signore si fermò, guardò negli occhi Rosetta e poi, con la
signorilità che lo contraddistingueva, le chiese: - se le sembro logorroico e
se la stanco me lo dica pure. – Rosetta, incantata, gli prese una delle sue
mani, ruvide ma ben curate e rispose con un sorriso ed un pizzico di humor: -
Lei non può promettermi di parlarmi di quattro elementi e trattarne uno
soltanto, io sono come una bambina a cui sono state promesse le caramelle, le
voglio tutte, quindi svuoti tutte le sue tasche. – Poi lasciò la mano di
Giorgio ed aspettò che l’uomo riprendesse. Il papà di Mario accese una
sigaretta e continuò: - La DIGNITA’ è il secondo elemento, ossia quel rigore di
pensiero, di parola e di azione che debbono caratterizzare il comportamento
dell’uomo giusto. La dignità implica una continua vigilanza sul proprio
atteggiamento e su ogni espressione del proprio Io. Dignità significa rinuncia
a tutto quanto di volgare possa affiorare dal proprio subconscio di fronte alla
provocazione, mantenendo la calma e la serenità in ogni occasione, anche in
quelle nelle quali, “saltano i nervi”. La dignità consiste nel crearsi una
corazza resistente a tentazioni e provocazioni, capace di far abbassare in noi
il livello delle nostre reazioni e farci tendere a calma socratica. Dignità
vuol dire affrontare le avversità mantenendo l’animo sgombro dal desiderio di
ricorrere a mezzi di difesa che non siano onorevoli. – Giorgio prese fiato,
guardò in faccia gli astanti ed assicuratosi che non erano annoiati continuò: -
L’ONESTA’ è il terzo elemento, essa non sta soltanto nel non rubare, ma sta in
un comportamento globale di rettitudine e di rispetto verso di sé e verso gli
altri. C’è l’onestà della parola che si esprime nel motto evangelico “il vostro
SI sia SI ed il vostro NO sia NO”. Si tratta di quell’aspetto dell’onestà per
la quale chiunque abbia a che fare con un uomo giusto sa di poter contare su di
una parola veritiera che non nasconde nulla e che non copre secondi fini od
interessi particolari. E’ onesto chi mantiene sempre le promesse e ogni impegno
preso, chi sa conservare il segreto di una confidenza ricevuta, e chi sa
riconoscere obiettivamente i propri limiti e valutare al loro giusto valore le
qualità e i difetti altrui. Il quarto elemento è l’UMILTA’. L’Apostolo Paolo,
per ben due volte, nelle sue lettere scriveva: “non vi stimate savi da per voi
stessi” e motivava la sua raccomandazione dicendo “se qualcuno si stima di
essere qualcosa, pur non essendo nulla, egli inganna se stesso”. L’umiltà
consiste quindi nel valutare se stessi non per quello che ognuno vorrebbe
essere, ma per quello che realmente è. Essere umili significa saper rinunciare
alle proprie personali verità o accettare di modificarle quando ci si trova
dinnanzi ad una verità più convincente ed evidente, quand’anche fosse quella di
un nostro avversario. – L’uomo riscosse il compiacimento di Rosetta che restò
sempre di più meravigliata dinnanzi ad un agricoltore della buona provincia
siciliana. Perché il papà di Mario l’aveva intrattenuta in un discorso così
complesso e profondo? Perché la costringeva a delle riflessioni così
importanti? Davvero Rosetta pensò che i genitori di Mario, discreti e
traboccanti di buone maniere, si sarebbero fermati alle presentazioni e
all’accettazione passiva di lei quale ulteriore membro della loro famiglia? Il
mondo è pieno di pregiudizi, Rosetta era una illustre sconosciuta e Mario era
soltanto un ragazzo pervaso da un grande ed impetuoso sentimento. Il meridione,
nel superamento di taluni pregiudizi, è molto più in ritardo delle regioni del
nord. Pur vivendo a Roma i genitori della ragazza la avevano da sempre
imprigionata tra i gangli dei loro pregiudizi, delle loro opinioni preconcette,
capaci di far assumere atteggiamenti ingiusti specialmente nell’ambito del
giudizio o in quello dei comportamenti sociali. Il pregiudizio si presenta alle
coscienze come un messaggio, mascherato di saggezza e di verità, che stravolge
la nostra ragione. Avevano i genitori di Mario, per analizzare i loro
pregiudizi, messo in opera la metodologia del dubbio per mettere alla prova le
loro opinioni e le eventuali loro convinzioni sia per modificarle, per
confermarle o acquisirne di ulteriori? Rosetta non ebbe mai modo di verificare
tutto ciò.
Se vi è piaciuto o meno, lasciate un commento!
Grazie!!!
Se vi è piaciuto o meno, lasciate un commento!
Grazie!!!
Ottima lezione di esoterismo. Narrato superbo.
RispondiElimina